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Biografia, lavori in corso - a breve anche il 1974 e il 1975

lunedì 14 dicembre 2020

Perché non piace ai censori il "potere" visto da Pasolini - Dacia Maraini

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro




Perché non piace ai censori il "potere" visto da Pasolini 
Dacia Marami giudica "Salò"...
l'ultimo film del regista scomparso recentemente 
La Stampa
Anno 109 - Numero 264
Sabato 15 novembre 1975

(Trascrizione curata da Bruno Esposito)

Il nuovo film di Pier Paolo Pasolini «Sade-Salò» è stato bocciato dalla censura perché gli italiani non sarebbero abbastanza maturi per questo genere di pellicola.

Dovremmo ringraziare i censori che ci proteggono con tanta solerzia da spettacoli evidentemente pericolosi per la nostra integrità spirituale. Per fortuna che ci sono loro a proibirci i film di autori problematici per meglio farci apprezzare quelle geniali commedie all'italiana tanto educative e salutari per tutti noi! E' una vera fortuna, altrimenti come farebbe il popolo italiano, notoriamente ritardato e infantile, a distinguere il vero dal falso?

Ma l'Italia, ormai dovremmo saperlo, è divisa in due: da una parte ci sono cinquanta milioni di bambini e dall'altra alcuni padri molto premurosi che si preoccupano della salute morale di questi bambini, prodigandosi nella scelta di ciò che può loro giovare, fuori da ogni inquietudine e rischio intellettuale.

D'altronde ci siamo abituati, nessuno ci fa più caso: da quando nasciamo, entriamo sotto la tutela di qualche padre; sia nella scuola, durante le lezioni o gli esami, sia quando finiamo davanti a qualche commissione, oppure quando ci troviamo per malaugurato caso di fronte ai giudici di un tribunale o nel letto di un ospedale, o peggio, in prigione, oppure semplicemente di fronte alla scelta di un film da vedere.

Abbiamo anche la gioia di riconoscerli immediatamente questi padri, perché sono sempre gli stessi: adoperano lo stesso linguaggio per esprimere lo stesso cinico e pedestre buonsenso. Tutti questi padri poi fanno capo a quei pochi solerti padri pubblici che da trent'anni amorosamente vegliano sulla «grande famiglia italiana».

Si dà il caso che io, pur essendo due volte minore, una perché cittadina italiana e una perché donna, abbia visto il film di Pasolini. E vorrei qui esprimere il mio parere, contrario e opposto a quello dei padri della censura. Il pubblico, quando i censori decideranno che sarà diventato maturo (due anni? cinque? dieci?) deciderà chi di noi ha ragione.

Il film di Pasolini è una gelida e triste meditazione sulla sessualità e il potere. Una sessualità pervertita che nasce da un potere pervertito: il fascismo.

La bellezza del film sta in un rigido e regolare andamento da composizione musicale medievale; ci sono le cantate a tema, i duetti, i cori, le semplici e severe sonate con l'uso di pochi strumenti, tutte giocate su due o tre note dolenti, fisse. Ogni episodio si apre e si chiude con un movimento circolare, sapiente ed enigmatico.

Il film non ha niente di sensuale: l'autore non si immedesima mai, nemmeno per un momento col sentimento sadico degli aguzzini. Egli porta per mano lo spettatore lungo i gironi dell'inferno fascista, avvicinandolo al dolore quieto e terribile delle vittime, suggerendogli pietà e non piacere.

I quattro aguzzini infatti, sebbene siano presentati come uomini colti (ma non troppo), raffinati, signorili e perfino cortesi, sono assolutamente e definitivamente allontanati dalla simpatia del pubblico per mezzo dell'osservazione allibita e disgustata delle loro facce brutali e stupide (della stupidità che viene dall'egocentrismo e dall'avidità di piaceri).

I ragazzi e le ragazze invece sono mostrati nelle loro carni livide e intirizzite, sempre e soltanto come vittime, costrette alla passività dai fucili e dai coltelli che i giovani avanguardisti manovrano con disinvoltura.

Così nel film tutto è chiaro fin dall'inizio: i carnefici sono coloro che hanno in mano il potere e lo usano per soddisfare con la forza i loro appetiti sadomasochistici; le vittime sono i deboli, i poveri, gli sfruttati.

Da questo punto di vista Pasolini non ha fatto che riprendere i contenuti di De Sade. Nel libro («Le centoventi giornale di Sodoma»,) le vittime non sono mai consenzienti. Solo che mentre in De Sade questa mancanza di partecipazione delle vittime alla gioia sessuale ha uno scopo soprattutto stimolante per i carnefici, cioè rappresenta un meccanismo puramente funzionale, in Pasolini ha un significato sociale, politico.

Il sadismo e la violenza, anche quelle imposte coi guanti bianchi, accompagnate da soavi parole e dolci note, attorno a tavole imbandite, sono decisamente presentate come il momento più idiota e corrotto del potere fascista; il momento della sua agonia panica e morbosa.

Fin dalle prime bellissime inquadrature della pianura padana intiepidita da un debole sole autunnale, Pasolini chiarisce subito da che parte sta: con i deboli, i perseguitati, contro la violenza e i soprusi.

Significativo della concezione complessiva del film è che la sola notazione positiva riguarda un giovane comunista che si ribella alle leggi del potere e muore fucilato nel momento dell'amore (ancora una volta significativo che l'amore sia, all'interno della villa fascista, assolutamente vietalo e bandito) nudo, serio, gentile, col pugno chiuso teso verso i suoi aguzzini, accanto alla sua innamorata africana.

Il fascismo, ci dice Pasolini con le sue immagini terse e violente, riduce le persone a oggetto. Il male sta prima di tutto li.
E che lo si faccia in nome della purezza della razza, o di un grande impero o del superomismo o del nazionalismo, non importa. La sua ideologia aberrante non può che portare gli uomini all'odio e all'assassinio.

In questo senso si potrebbe dire che egli volontariamente contraddice gli ultimi discorsi fatti pubblicamente sui guasti del consumismo e sull'omologazione dei valori che avrebbero resi fra loro simili per cultura e abitudini i giovani delle destre ai giovani delle sinistre. Ma è anche vero che questo livellamento, per Pasolini, era cominciato col boom degli Anni 60.

Nel film comunque non c'è nessuna possibile somiglianza fra dominanti e dominati, fra ricchi e poveri, fra potenti e sfruttati. Un solco profondissimo separa i gusti, i desideri, le abitudini degli uni da quelli degli altri, senza contaminazione possibile. Potremmo addirittura dire che il film è manicheo in maniera didascalica: male e bene coesistono senza comunicare.

Ci sono alcuni ragazzi corrotti, ma sono pochissimi e abbiamo ben visto come sono stati strappati al lavoro dei campi e costretti con la forza a partecipare al lugubre festino dei signori. Perfino le quattro narratrici, in questa limpida gerarchia del potere, occupano un posto di sottordine, alla mercé delle voglie brutali dei padroni. E non è un caso che una di queste guardiane, quella che accompagna le sevizie degli aguzzini con le patetiche note del pianoforte, si uccide buttandosi dalla finestra. Tutti gli altri sono testimoni impotenti di un dolore e di una offesa senza fondo.

Proprio per fare capire fino a che punto gli abusi sessuali servono a dividere il potere dal non-potere, gli orrori sadici sono rinchiusi da Pasolini all'interno di cornici doppie e triple, rapprese nei momenti di maggiore crudezza, dentro i tondini di un binocolo, al di là di una finestra, in un mondo lontano e silenzioso, da incubo. Il triste sguardo del regista vaga sulle persone e le cose raggelate dal male con allibita consapevolezza e inquieta pietà.

Il finale dei due ragazzi che ballano fra di loro infine sembra porre un ansioso interrogativo sul futuro: vinceranno gli aguzzini con la loro cultura inumana e violenta o vincerà il nuovo umanesimo e quindi la dolcezza e quindi l'amore che anche negli occhi stupidi e rozzi dei ragazzi corrotti a momenti si fa viva quasi loro malgrado?
Dacia Maraini



Curatore, Bruno Esposito

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