Un uomo "diverso", lo scandalo Pasolini
LA STAMPA
LA STAMPA
Anno 109 - Numero 255
Martedì 4 Novembre 1975
(Trascrizione curata da Bruno Esposito)
Roma, 3 novembre 1975.
Corruzione di minorenne: è il primo reato che viene contestato a Pierpaolo Pasolini. Siamo nel 1949, a Casarsa nel Friuli, durante la sagra di San Sabino. Pasolini è un giovane professore. Il suo nome viene implicato in un'orgia studentesca. In seguito egli tornerà innumerevoli volte a sedere sul banco degli imputati, accusato di tentata rapina, vilipendio della religione di Stato, ricettazione, oscenità, lesione del comune sentimento del pudore, istigazione alla disobbedienza della disciplina militare, apologia ed esaltazione di fatti contrari alle leggi, disgregazione degli ideali dell'esercito, sovvertimento violento degli ordinamenti costituiti dello Stato, istigazione a commettere delitti.
Ogni accusa ha portato a un processo, costellato da una sequela di ricorsi e di appelli. Tante vicende giudiziarie appaiono oggi come altrettanti momenti di un unico processo intentato contro (do scandalo Pasolini», lo scandalo che l'artista stesso rappresentava con la sua caparbia ostinazione nel definirsi «diverso» nel manifestare apertamente scelte e comportamenti «irregolari», nel denunciare la violenza del potere, la corruzione della classe dominante, la sordità della Chiesa ufficiale, i tranelli del moralismo gauchista, la continuità fra il ventennio fascista e il trentennio democristiano, il settarismo della cultura ufficiale, gli effetti disgreganti di uno sviluppo che non è progresso, ma consumismo e mercificazione di massa, i falsi miti del nostro tempo, le facili etichette, i luoghi comuni consolanti.
Per la destra è stato un simbolo, da esecrare senza mezzi termini. «Anomalo sessuale, psicopatico pericoloso» veniva definito abitualmente. Alla prima di «Mamma Roma», nella capitale, lo presero a schiaffi. Alla presentazione di «Accattone», al Lido di Venezia, fu bersagliato da pomodori, uova marce, fischi, invettive. Le provocazioni venivano dai passanti dagli sketches radiofonici. Il linguaggio usato contro di lui era irriducibilmente volgare. Quando gli venne conferito il premio «Città di Crotone», il prefetto di Catanzaro annullò il riconoscimento. La tensione emotiva che egli riusciva ad attizzare — suscitando su di sé collera, violenza, sarcasmo, antipatia, rifiuto, odio — era proporzionale al crescere della sua notorietà e alla sua autorevolezza di artista.
Lo «scandalo Pasolini» continuamente si ripresentava, sotto diverse facce. Nel '54 fu il suo primo libro di successo, «Ragazzi di vita», che si attirò — insieme con le polemiche letterarie — l'accusa di oscenità: il processo si concluse con un'assoluzione. Poi fu la volta di un epigramma dedicato a Pio XII, morto di recente. I versi dicevano:
«Ma la tua religione non parla di pietà? - Migliaia di uomini sotto il tuo pontificato - davanti ai tuoi occhi - sono vissuti in stabbi e porcili. - Lo sapevi: peccare non significa fare il male. - Non fare il bene, questo significa peccare. Non c'è stato un peccatore più grande di te»
Valentino Bompiani, che aveva pubblicato la composizione, fu espulso dal Circolo romano della caccia.
Premio Strega del '60, l'anno della «Ragazza di Bube» di Cassola: alla presentazione dei finalisti, egli lesse una lunga poesia che parafrasava l'orazione funebre di Antonio. Era contro Cassola, denunciava «La morte del realismo». 1968: in versi Pasolini lanciò il suo anatema contro gli studenti figli di papà, e si schierò dalla parte dei poliziotti, figli del proletariato; si ritirò dal Premio Strega e invitò a votare scheda bianca; fu al palazzo del cinema del Lido di Venezia, fra i cineasti contestatori.
L'irritazione che egli riusciva a seminare intorno a sé, si allargava. Nel '60 fu querelato dai genitori di alcuni ragazzi, che lo accusavano di istigazione alla prostituzione. Nello stesso anno si dovette difendere dall'accusa di favoreggiamento: nella vecchia via Di Panico aveva preso a bordo della sua vettura un giovane che aveva partecipato a una rissa. Fu querelato da un giovane del Tiburtino 111, che si riconobbe nel personaggio di un suo romanzo.
Nel '61 un distributore di benzina di San Felice Circeo, vittima di una tentata rapina, denunciò lo scrittore. Pasolini respinse ogni accusa. Al processo di primo grado, nel '62, fu condannato a 15 giorni. In appello fu amnistiato. Nel '69 lo querelò il regista Zeffirelli. Nello stesso anno il pretore di Venezia lo assolse per gli incidenti accaduti alla mostra cinematografica. Nel '71 fu di nuovo sul banco degli imputati, dinanzi alla Corte d'appello di Torino, insieme con Pannella e esponenti di «Lotta continua»: gli vennero contestati i reati di disobbedienza alla disciplina militare, disgregazione degli ideali dell'esercito, eccetera.
Quasi tutta la sua produzione cinematografica è stata contrassegnata da denunce, polemiche, sequestri, processi, conflitti con le commissioni di censura. Divennero «casi» giudiziari e culturali Accattone, Mamma Roma, La ricotta (l'accusa di oscenità e vilipendio alla religione fu sostenuta dal giudice Di Gennaro; la condanna fu di 4 mesi), Teorema, Porcile, I racconti di Canterbury. Ogni volta che la magistratura interveniva, Pasolini era lì, paziente e risentito, pronto a difendere la sua opera. Denunciava «l'oscenità della Tv, la pornografia della produzione cinematografica corrente». Diceva che «la censura è il fatto davvero indecente, perché violenza alla libertà di pensiero e di comunicazione».
Liliana Madeo
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