"Le pagine corsare " dedicate a Pier Paolo Pasolini
Eretico e Corsaro
Pasolini in Friuli:
2° parte
3° parte
4° parte
5° parte
6° parte
7° parte
8° parte
Per Pier Paolo e Susanna, Casarsa sarà la terra del "non ritorno": Guido è già morto, assassinato, non per mano di Tedeschi, ma di altri partigiani comunisti che hanno teso un'imboscata al gruppo della Brigata Osoppo.
“(...) passano gli ultimi mesi di guerra ciascuno impegnato come può nella lotta per cacciare il tedesco arriva il trionfante aprile
del Quarantacinque ed in armi torniamo al paese ferito ma liberato per sempre al prezzo di giovane sangue
(...) non torna Guido dalle colline di Cividale (...) non ci può essere consolazione nemmeno a Versuta”. (119)
In casa Pasolini, il canto della cinciallegra nella primavera del 1945 sembra preannunciare la fine della guerra e il trionfante ritorno di Guido. La primavera casarsese sarà culla di pace per la riconquistata libertà, invece, per Pier Paolo e Susanna, Casarsa sarà la terra del "non ritorno": Guido è già morto, assassinato, non per mano di Tedeschi, ma di altri partigiani comunisti che hanno teso un'imboscata al gruppo della Brigata Osoppo. Il giovane partigiano muore combattendo con commovente coraggio per liberare il Friuli dalle “offese degli Slavi”. (120)
La notizia della morte di Guido arriva a Casarsa parecchie settimane dopo la fine della guerra e getta Pier Paolo in uno strazio senza fine:
“La disgrazia che ha colpito mia madre e me , è come un'immensa, spaventosa montagna che abbiamo dovuto valicare (...). Non posso scrivere senza piangere, e tutti i pensieri mi vengono su confusamente come le lacrime. Dapprincipio non ho potuto provare che un orrore, una ripugnanza a vivere (...). Ora l'unico pensiero che mi consola non è l'idea che bisogna essere saggi, che bisogna superare e rassegnarsi; questa rassegnazione è egoismo; è crudele, disumana. (...) Bisognerebbe essere capaci di piangerlo sempre senza fine(...)”. (121)
Se pur incapace di fronte alla morte, verso la quale prova un'insormontabile “difficoltà d'infinito” (122), Pasolini sa che occorre vivere, o meglio «il faut tenter de vivre»:
“(...) per quale ragione non si sa (ossia non lo saprei, se non dovessi scrivere versi) (...)”. (123)
Ancora una volta, Pasolini, da ergastolano della propria vocazione trova nella poesia l'unica àncora di salvezza; parallelamente alla vocazione poetica, Pier Paolo riprende ad insegnare nella scuola privata di Versuta, «benché questo sembri inumano». Riprendere l'attività didattica dopo dieci giorni dalla notizia della morte del fratello, invece, ci sembra l'atteggiamento più umano di chi vuole, nel dolore insormontabile, affermare il positivo lì dove c'è.
La morte di Guido non può placare la sua disperata vitalità; Pier Paolo è profondamente
del Quarantacinque ed in armi torniamo al paese ferito ma liberato per sempre al prezzo di giovane sangue
(...) non torna Guido dalle colline di Cividale (...) non ci può essere consolazione nemmeno a Versuta”. (119)
In casa Pasolini, il canto della cinciallegra nella primavera del 1945 sembra preannunciare la fine della guerra e il trionfante ritorno di Guido. La primavera casarsese sarà culla di pace per la riconquistata libertà, invece, per Pier Paolo e Susanna, Casarsa sarà la terra del "non ritorno": Guido è già morto, assassinato, non per mano di Tedeschi, ma di altri partigiani comunisti che hanno teso un'imboscata al gruppo della Brigata Osoppo. Il giovane partigiano muore combattendo con commovente coraggio per liberare il Friuli dalle “offese degli Slavi”. (120)
La notizia della morte di Guido arriva a Casarsa parecchie settimane dopo la fine della guerra e getta Pier Paolo in uno strazio senza fine:
“La disgrazia che ha colpito mia madre e me , è come un'immensa, spaventosa montagna che abbiamo dovuto valicare (...). Non posso scrivere senza piangere, e tutti i pensieri mi vengono su confusamente come le lacrime. Dapprincipio non ho potuto provare che un orrore, una ripugnanza a vivere (...). Ora l'unico pensiero che mi consola non è l'idea che bisogna essere saggi, che bisogna superare e rassegnarsi; questa rassegnazione è egoismo; è crudele, disumana. (...) Bisognerebbe essere capaci di piangerlo sempre senza fine(...)”. (121)
Se pur incapace di fronte alla morte, verso la quale prova un'insormontabile “difficoltà d'infinito” (122), Pasolini sa che occorre vivere, o meglio «il faut tenter de vivre»:
“(...) per quale ragione non si sa (ossia non lo saprei, se non dovessi scrivere versi) (...)”. (123)
Ancora una volta, Pasolini, da ergastolano della propria vocazione trova nella poesia l'unica àncora di salvezza; parallelamente alla vocazione poetica, Pier Paolo riprende ad insegnare nella scuola privata di Versuta, «benché questo sembri inumano». Riprendere l'attività didattica dopo dieci giorni dalla notizia della morte del fratello, invece, ci sembra l'atteggiamento più umano di chi vuole, nel dolore insormontabile, affermare il positivo lì dove c'è.
La morte di Guido non può placare la sua disperata vitalità; Pier Paolo è profondamente
«infelice, ma non annoiato», perché «la vita ha un senso preciso, ed è il suo essere infinito».(124)
Proprio perché infinito, il suo essere non può accontentarsi di una sterile e limitante staticità; occorre tentare una strada, occorre rilanciarsi nella realtà, non come su un "bateau ivre" rimbaudiano, bensì con la coscienza, con una domanda drammatica ma sempre più urgente.
“Ora tutto questo amore che quel ragazzo aveva per me e per i miei amici, tutta quella sua stima per noi e per i nostri sentimenti (per i quali è morto) mi tormentano sempre; vorrei poter contraccambiarlo in qualche maniera”.(125)
“Ora tutto questo amore che quel ragazzo aveva per me e per i miei amici, tutta quella sua stima per noi e per i nostri sentimenti (per i quali è morto) mi tormentano sempre; vorrei poter contraccambiarlo in qualche maniera”.(125)
Lottare per l'autonomia friulana è una delle possibilità attuabili per continuare ad affermare quegli ideali per cui Guido ha combattuto in guerra, ma anche un'opportunità per volgere lo sguardo alla gioventù friulana che, priva di possibilità, è costretta ad abbandonare la propria terra per andare viers Pordenone il mont.
A questo punto, si apre un nuovo capitolo della vita di Pasolini, il suo impegno politico per l'autonomia del Friuli, che poggia su questa tragedia privata e
«che si amplifica collegandosi alla tragedia della "meglio gioventù"». (126)
Lottare per l'autonomia friulana è una delle possibilità attuabili per continuare ad affermare quegli ideali per cui Guido ha combattuto in guerra, ma anche un'opportunità per volgere lo sguardo alla gioventù friulana che, priva di possibilità, è costretta ad abbandonare la propria terra per andare viers Pordenone il mont.
Già nel manifesto dell'Academiuta, Pasolini aveva accennato al suo impegno civile:
Già nel manifesto dell'Academiuta, Pasolini aveva accennato al suo impegno civile:
“(...) la nostra estetica non si chiude in se stessa, essendo un'estetica del cuore non del cervello, e perciò configurerà a sé l'arte; configurerà a sé la politica”. (127)
Il 30 ottobre 1945 Pasolini aderisce prima personalmente, poi sottoscrivendo tutta l'Academiuta, all'Associazione per l'Autonomia Friulana. L'interesse di Pasolini era restituire un'identità linguistica al Friuli, salvaguardandola dalla contaminazione con lo «strambo veneto». (128) C'è il solito, urgente desiderio di salvare la storia, la densa tradizione friulana, mentre a gravitazione dei parlanti verso Venezia avrebbe significato la genesi di «un Friuli anonimo, vagante, privo di coscienza». (129) In molti friulani invece, la convinzione di
“(...) essersi spostati verso la più progredita Venezia li riempie di una baldanza incapace di dubbi: e li fa una delle genti più liete d'Italia. Eccoli compensati: se da secoli nessuno di loro è passato alla storia, tuttavia il lavoro e la gioia quotidiani dà loro un ebbro senso di immutabilità”. (130)
Questo accontentarsi non può essere accettato dal militante Pasolini, la «meglio gioventù» deve essere educata ad avere coscienza delle proprie capacità, «mal represse» (131) da voluttuosi e inconsistenti godimenti.
Ma - ed è qui l'epilogo tragico degli anni friulani - il grande amore per la sua terra non sarà ricambiato da quella gente non disposta a trattare la sua diversità che dà scandalo che come un pretesto per non immedesimarsi fino in fondo nel cuore dell'esperienza poetica e della passione pedagogica del giovane educatore. Persino lo sguardo appassionato ai contadini friulani, alla gente umile di Casarsa, che lo indurrà ad abbracciare l'ideale del partito comunista nel 1948, verrà come imprigionato, schiacciato nell'ideologismo per il quale verrà accusato e stimato, ma ancora una volta, forse in una singolare comunanza di destino con Guido, addirittura tradito. (132)
“Jo i ài crodùt in te,
sigùr di podèi crodi ta la vita
dal Mond (...)
Ma tu se i àtu fat,
ciera cristiana, par distudà chel fòuc
ch'i ti às impijàt ta la me ciar
quan'ch'i crodevi un zòuc
amati? Nuja (...)
Non ti pos perdonàighi tu, Friùl
cristiàn, a un che la to lenga sclava
ta un còur cialt di peciàt al disperava.
Cansiòn, sviàla lajù
dulà che dut a è fer. Non disi nuja:
no ài àgrimis pì a recuardàmi
di ches vivis ciampagnis, co na passiòn pì viva a mi li suja.
Ti sos l'ultin suspìr in ta un lengàs
Colàt da nòuf ta còurs dismintiàs”. (133).
NOTE
118. «Ta la sera ruda di Sàbida / mi contenti di jodi la int / fór di ciasa ch'a rit ta l'aria. / Encia me cór al è di aria / e tai me vuj a rit la int / e tai me ris a è lus di Sàbida. / Zòvin, i mi contenti dal Sàbida, / puòr, i mi contenti da la int, / vif, i mi contenti da l'aria. / I soj usàt al mal dal Sàbida», in P. P. PASOLINI, Tutte le poesie, tomo I, cit., p. 112. Trad.: "Nella nuda sera del sabato / mi accontento di guardare la gente / che ride fuori di casa nell'aria. / Anche il mio cuore è di aria / e nei miei occhi ride la gente / e nei miei ricci è la luce del sabato. / Giovane, mi accontento del sabato, / povero, mi accontento della gente, / vivo, mi accontento dell'aria. / Sono abituato al male del sabato".
119. BRUNO BRUNI, Il ragazzo e la civetta, cit., p. 16.
120. Cfr. Lettera dal Friuli, cit., p. 212. Pasolini si riferisce alle mire espansionistiche di Tito su parte dei territori friulani.
121. A Luciano Serra, Casarsa, 21 agosto 1945, in PASOLINI, Lettere 1940-1954, cit., p.197
122. Cfr. Atti impuri, in P. P. PASOLINI, Romanzi e racconti 1946-1961, tomo I, cit., p. 150.
123. A Franco Farolfi, Versuta, 22 agosto 1945, Lettere 1940-1954, cit., p. 204.
124. Cfr. ibid., p. 203.
125. A Luciano Serra, Versuta 21 agosto 1945, Lettere 1940-1954, cit., p. 201.
126. Cfr saggio di Domenico Canciani dal titolo Lingua, autonomia, `patria": brevi note su alcuni interventi del Pasolini friulano, in AA. VV., Pier Paolo Pasolini. L'opera e il suo tempo, Cleup Editore, Padova 1983
127. Academiuta di lenga furlana, in «Stroligùt», agosto 1945; ora in P. P. PASOLINI, Saggi per la letteratura e l'arte, cit., p. 74.
128. Cfr. Di questo lontano Friuli, cit., p. 220.
129. Che cos'è dunque il Friuli?, «Libertà», 6 novembre 1946; ora in Un paese di temporali e di primule, cit., p. 251.
130. Di questo lontano Friuli, cit., p. 220.
131. Cfr. I colori della domenica, «Il Messaggero Veneto», 13 luglio 1947; ora in Un paese di temporali e di primule, cit., p. 135.
132. Quasi contemporaneamente all'iscrizione al partito comunista, Pasolini sottoscrive le dimissioni dall'Associazione per l'Autonomia Friulana, intuendo le strumentalizzazioni a cui il partito democristiano friulano sottoponeva il problema dell'autonomia. Questo allontanamento verrà giudicato dai membri di quel partito, e in particolare da don Marchetti, come un'abdicazione dell'ideale stesso dell'autonomia del Friuli per asservire un indottrinamento teorico. Ci sembra, tuttavia, di poter compendiare la "risposta" di Pasolini in queste sue parole: «Si è detto che ho tre idoli: Cristo, Marx , Freud. Sono solo formule. In realtà il mio idolo è LA REALTÀ» (in Pier Paolo Pasolini par lui même, in «Avant-scène», Parigi, novembre 1969).
133. Cansiòn, in P. P. PASOLINI, Tutte le poesie, tomo I, cit., p. 98. Trad.: "Io ho creduto in te, / sicuro di poter credere nella vita / del Mondo (...). / Ma tu che cosa hai fatto, / terra cristiana per spegnere il fuoco / che hai appiccato alla mia carne / quando credevo un gioco / l'amarti? Nulla (...) / non puoi perdonare tu, Friuli, / cristiano a uno che la tua lingua schiava / liberava in un cuore caldo di peccato. / Canzone, vola laggiù / dove tutto è fermo… Sei l'ultimo sospiro in una lingua / caduta di nuovo in cuori dimenticati".
127. Academiuta di lenga furlana, in «Stroligùt», agosto 1945; ora in P. P. PASOLINI, Saggi per la letteratura e l'arte, cit., p. 74.
128. Cfr. Di questo lontano Friuli, cit., p. 220.
129. Che cos'è dunque il Friuli?, «Libertà», 6 novembre 1946; ora in Un paese di temporali e di primule, cit., p. 251.
130. Di questo lontano Friuli, cit., p. 220.
131. Cfr. I colori della domenica, «Il Messaggero Veneto», 13 luglio 1947; ora in Un paese di temporali e di primule, cit., p. 135.
132. Quasi contemporaneamente all'iscrizione al partito comunista, Pasolini sottoscrive le dimissioni dall'Associazione per l'Autonomia Friulana, intuendo le strumentalizzazioni a cui il partito democristiano friulano sottoponeva il problema dell'autonomia. Questo allontanamento verrà giudicato dai membri di quel partito, e in particolare da don Marchetti, come un'abdicazione dell'ideale stesso dell'autonomia del Friuli per asservire un indottrinamento teorico. Ci sembra, tuttavia, di poter compendiare la "risposta" di Pasolini in queste sue parole: «Si è detto che ho tre idoli: Cristo, Marx , Freud. Sono solo formule. In realtà il mio idolo è LA REALTÀ» (in Pier Paolo Pasolini par lui même, in «Avant-scène», Parigi, novembre 1969).
133. Cansiòn, in P. P. PASOLINI, Tutte le poesie, tomo I, cit., p. 98. Trad.: "Io ho creduto in te, / sicuro di poter credere nella vita / del Mondo (...). / Ma tu che cosa hai fatto, / terra cristiana per spegnere il fuoco / che hai appiccato alla mia carne / quando credevo un gioco / l'amarti? Nulla (...) / non puoi perdonare tu, Friuli, / cristiano a uno che la tua lingua schiava / liberava in un cuore caldo di peccato. / Canzone, vola laggiù / dove tutto è fermo… Sei l'ultimo sospiro in una lingua / caduta di nuovo in cuori dimenticati".
Autore: Chieco, Mariella
Curatore: Leonardi, Enrico
Curatore: Leonardi, Enrico
Curatore, Bruno Esposito
Grazie per aver visitato il mio blog