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Biografia, lavori in corso - a breve anche il 1974 e il 1975

lunedì 14 dicembre 2020

CAPIRE L'URLO FINALE DI PASOLINI - Sequestrare 'Salò,? - Di Mario Soldati

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro




CAPIRE L'URLO FINALE DI PASOLINI 
Sequestrare 'Salò,? 
LA STAMPA
Anno 110, Numero 25 
Venerdì 30 Gennaio 1976 

(Trascrizione curata da Bruno Esposito)

Sere fa, in un cinema di Milano, ho fatto appena in tempo a vedere l'ultimo film di Pasolini. Il giorno dopo, tornavo a quel cinema per controllare il nome di alcuni attori. Spingo i cristalli: resistono. Che succede? Due impiegati, seduti in fondo all'atrio, mi fanno cenno di no. 
No? E perché? grido. 
Non rispondono. Seguitano a dirmi no coi soli gesti, come se temessero da me qualcosa: ma che cosa? che fracassi i vetri? Sono ormai un vecchietto inerme, dall'aspetto ottocentesco e mite. Invano chiedo mi si apra, invano spiego che vorrei soltanto dare un'occhiata alle scritte delle fotografie. Finalmente, con quel tanto in più di voce che basta appena a farsi udire attraverso i cristalli, mi dicono che il film è stato sequestrato. 

Ho l'abitudine di leggere le critiche cinematografiche di mezza dozzina di quotidiani e, istintivamente, faccio una media, ricavo un giudizio complessivo che mi pare abbia ogni probabilità di corrispondere al vero. Quando poi vado a vedere i film, nella grande maggioranza dei casi, la mia opinione è l'esatto contrario. Senonché, stranamente, accade che io non mi fidi mai di questa mia esperienza: ogni volta ricasco, mi fido dei giornali; e così ero convinto che Salò non mi sarebbe piaciuto, ed ero decisissimo a non vederlo, a malgrado o piuttosto per via dell'affetto e dell'ammirazione che mi legava a Pier Paolo. Mi sono poi contraddetto all'ultimo momento, e per una curiosa serie di combinazioni: passavo la sera con uno dei miei figli; lui voleva vedere Salò, io no, e avevo insistito, fino a convincerlo, per un altro film; l'appuntamento era all'aperto, faceva molto freddo; quando mio figlio arrivò, mancava ancora mezz'ora all'inizio dell'altro film, invece Salò, in un cinema li vicino, cominciava subito... insomma, ho ceduto. E dopo pochi minuti di proiezione, ho capito che Salò non soltanto era un film tragico e magico, il capolavoro cinematografico e anche, in qualche modo, letterario di Pasolini: ma un'opera unica, imponente, angosciosa e insieme raffinatissima, che resterà nella storia del cinema mondiale. 

E' noto che Pasolini si è rifatto alle opere di Sade, e particolarmente a quella intitolata Le 120 giornate di Sodoma: meno nota la misura, larga e profonda, con cui vi attinge. Come presago della sua prossima scomparsa, Pasolini stesso aveva rilasciato interviste e aveva scritto decine di cartelle destinate a spiegare il film. Non si stancava mai di insistere su questo punto: 


« Non ho aggiunto una parola a ciò che dicono i personaggi di Sade, né alcun particolare estraneo alle azioni che compiono. Il solo riferimento all'attualità è il loro modo di vestirsi, di comportarsi, la scenografia, ecc. insomma, il mondo materiale del 1944 ». 
« Ho seguito il numero magico di Sade, cioè il 4... ». 

Continuo sunteggiando le dichiarazioni di Pasolini. Quattro sono gli episodi, gli atti in cui come una tragedia è diviso il film: il prologo, o l'Anti-Inferno; il girone delle Manie; il girone della Merda; il girone del Sangue. Quattro i principali personaggi maschili, cioè i Padroni, ai quali sono conferite addirittura le stesse qualifiche sociali che hanno in Sade: 


- il Duca (l'attore Paolo Bonacelli);
- il Vescovo (Giorgio Cataldi);
- Sua Eccellenza il Presidente della Corte d'Appello (Uberto Quintavalle);
- il Presidente (Aldo Valletti). 

Quattro le Storiche: 


- la signora Castelli (Caterina Boratto);
- la signora Maggi (Elsa de' Giorgi);
- la signora Vaccari (Hélène Surgère);
- la virtuosa di pianoforte (Sonia Saviange). 

Quattro le schiere dei giovani subalterni maschili o femminili: 


- le vittime;
- gli armati;
- i collaboratori;
- i servi. 

Quattro i messaggi inerenti all'ideologia del film: 


- analisi del Potere;
- inesistenza della Storia;
- circolarità tra i carnefici e le vittime;
- istituzione, che precede tutto quanto, di una realtà che non può essere se non economica. 

Quattro, infine, gli elementi stilistici: 

- accumulazione dei caratteri della vita altoborghese;
- ricostruzione del cerimoniale nazista, cioè la sua nudità, la sua semplicità militare e insieme decadente, il suo vitalismo ostentato e glaciale, la sua disciplina come armonia tra autorità e obbedienza; accumulazione ossessiva, fino al limite del tollerabile, dei fatti sadici, rituali e organizzati, ma talvolta affidati a un raptus;
- correzione ironica del tutto: - un umorismo che esplode in particolari sinistri e dichiaratamente comici, grazie ai quali di colpo tutto vacilla e si presenta come non vero e non creduto, un delirio, un incubo.
Perché Salò? fu chiesto in una delle interviste:
 e Pasolini rispose:

« Una frase di Sade dice che nulla è più profondamente anarchico del Potere ». 

Anarchico: ossia, niente è meno sociale, meno cristiano. 


« E, a mia conoscenza, non c'è mai stato, in Europa, un Potere così anarchico come quello della Repubblica di Salò: fu la dismisura più meschina fatta Governo ». 
« Ho preso dunque Salò come simbolo del Potere che trasforma gli esseri umani in oggetti il potere fascista e il potere della piccola repubblica. Ma, appunto, si tratta di un simbolo. Questo potere arcaico mi facilitava la rappresentazione ». 

Ripeto: fino dalle prime battute, il film mi parve una grande opera d'arte. Ma devo aggiungere subito che, mentre vedevo il film, ero sorpreso e confortato nella mia ammirazione dal contegno del pubblico. La sala era colma, non si trattava di una proiezione speciale, per giornalisti o intellettuali: era uno spettacolo qualunque per un pubblico qualunque. Ebbene, contrariamente a quanto mi aspettavo, questo pubblico misto e interclassista (oggi vanno alle prime visioni anche i giovani proletari, che non dovrebbero avere la possibilità di pagare il biglietto!) capiva, o, piuttosto, sentiva il film esattamente come va sentito: un film serio, serissimo, tragico fino all'atrocità, e malinconico fino a una disperata pietà. 

Scusate se parlo per un momento con la mia antica esperienza ipersensibile di regista nascosto - in - mezzo - al - pubblico: il modo con cui il pubblico accoglie una pellicola durante la proiezione, lo si avverte, se uno ci sta attento e teso, fino alle più piccole sfumature. Ebbene, quel pubblico, col suo stesso silenzio, coi suoi sommessi mormorii, e direi coi suoi respiri, sottolineava variamente, ma sempre positivamente, tutto: e l'eleganza, la grazia, l'illuministica geometria dei racconti delle Storiche, recitati come melologhi, con l'accompagnamento al pianoforte di dolcissime melodie romantiche; e le nefandezze ossessive dei Padroni, perpetrate e presentate fino al limite del tollerabile, come voleva Pasolini e come accade nella grande cena infernale, ributtante ma anche comica, della coprofagia; e le atrocità finali di tutte le indicibili torture, l'occhio cavato con la punta di un pugnale, i sessi arsi con la fiamma di una candela, i capezzoli bruciati da carboni ardenti; e tutti gli episodi, tutte le inquadrature che, continuamente frapposte a quelle visioni, deliranti, terribili, sataniche, mostrano l'innocenza, il candore, la rassegnazione, ma al momento giusto anche la ribellione eroica e la speranza delle povere vittime, fino alla lacerante invocazione: 


« Dio! Dio, perché ci hai abbandonati?! ». 

Questo urlo è la chiave di tutto il film. 

Nulla sfuggì agli spettatori. E quando il film finì, un lungo silenzio parve trattenerli sui sedili: si alzarono lentamente, ancora in silenzio, quasi evitando di guardarsi l'un l'altro. Non c'è dubbio, un profondo sgomento, quasi un senso di colpa era in ciascuno, come se ciascuno si chiedesse: 


« Ma è possibile? Questo, dunque, è il fondo, questo è il mistero della vita? » 

e si rispondesse, nell'intimo: 


« Eh sì, è possibile, forse è possibile... ». 

Ecco, in quei momenti, mentre il pubblico sfollava adagio verso l'uscita, ho capito what's the matter, che cosa davvero importa, in questo film: qual è il suo vero argomento. Non si tratta di Salò, si tratta del mistero della nostra esistenza, e il pubblico stesso, in quei momenti, ancora lo capiva. Invece le polemiche, le repressioni ufficiali, le denunce, il sequestro, il processo che oggi si celebra a Milano, e purtroppo anche le critiche di molti dei giornalisti si riferiscono a Salò repubblichina e sono forse, nascostamente, alimentate da un turbamento diffuso e inconfessabile, che riguarda il girone della Merda. Turbamento diffuso e inconfessabile perché, grazie al cielo, la percentuale di coloro che provano la tentazione di martoriare e di uccidere (girone del Sangue) è infinitamente meno numerosa di quella di coloro che provano quelle altre tentazioni, magari in forma blandamente masochista, mai sadica. 

Mi pare di leggere nel futuro: verrà giorno in cui il Potere di una classe qualsiasi su tutti gli altri esseri umani, il potere di quella classe che è, sempre, il Potere stesso, comincerà a declinare, oppure, al contrario, saprà mascherarsi così diabolicamente da non essere riconosciuto con facilità come Potere: ma anche se non ci sarà un miglioramento, anche se non ci sarà un progresso, anche se la struttura economica della società sarà sempre straziata dalla stessa ingiustizia, almeno allora si comincerà a capire che la sociologia attuale era come una scienza che studia i sintomi del male senza risalirne alla causa. 

Quel giorno, soltanto gli eruditi saranno ancora informati dell'esistenza lontana ed effimera della meschina repubblica di Salò; e allora i cineamatori capiranno, come voleva Pasolini, che Salò è soltanto un simbolo, e rivedranno questo film come va visto: come l'opera di un poeta che ha ficcato intrepidamente lo sguardo nella tragica oscurità del cuore umano e che ha tentato di risalire dai sintomi alla causa. 

Infatti, il piacere atroce del sadico implica che il sadico si immagina la sofferenza che infligge alle vittime, e non può immaginarsela se in qualche modo e misura non la prova egli stesso: la circolarità cui accennava Pasolini. Piacere e sofferenza, bene e male, che la ragione vuole distinti, sono invece confusi perché così, nel profondo, li vuole la natura: forse due facce della medesima realtà, complementari e necessarie l'una all'altra come la luce e l'ombra. 

A proposito di Salò, Moravia, da lunghi anni amico vero e grande di Pasolini, ha scritto che Pasolini, ideologicamente e poeticamente, si era ispirato soprattutto all'Italia, avendola amata di un amore sviscerato fino dalla fanciullezza. Si badi bene: le espressioni di Moravia, assolutamente, non sono negative né limitative, come forse si potrebbe dedurre da queste mie parole. Polemizzando con Calvino, Moravia conclude: 


« La tragedia di Pasolini non è stata quella dell'uomo corrotto dal denaro, ma quella del patriota tradito dal suo paese ». Tuttavia, con il vigore finale di Salò, Pasolini ha dato la prova di essere qualcosa di più. Ingaggiò, nell'ultimo anno di vita, una battaglia mortale, « e parve di costoro / quelli che vince, non colui che perde ». 

Mario Soldati




Curatore, Bruno Esposito

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