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venerdì 1 gennaio 2016

Pasolini: uno sguardo sociologico

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro


Immagine di Letizia Battaglia



Guido Nicolosi
Pasolini: uno sguardo sociologico

L'occhio si posa sopra un arido campo assolato, incorniciato con forte irregolarità da un'incolta sterpaglia e musicato magistralmente da un assordante cicaleccio estivo. Lungo un fianco del campo, ciò che resta di uno scalcinato muretto, ci separa da una irrilevante, anonima strada che ignoriamo da dove venga e non ci riguarda dove possa andare. Il muretto è imbiancato dalla riarsa polvere, lì posata dal vento dopo un breve viaggio generato da un confuso calpestio rabbioso di pochi "pischelli" scapigliati e denutriti. Credo si possa concordare sul fatto che questa immagine mentale riassuma brevemente alcuni dei più importanti elementi figurativi contenuti nella letteratura pasoliniana. Questa complessa icona artistica, quando partorita dal genio creativo di Pasolini, è in grado di infondere dentro l'animo del lettore un caldo e caustico sentimento di pura emozione. Il sole sferzante delle abbacinate periferie meridionali, la polvere bianca sollevata dal flebile e vano venticello pomeridiano che lambisce le madide fronti dei "ragazzi di vita", i loro corpi, i loro sguardi e poi la strada e la sua carica metaforica sono gli elementi realistici e allo stesso tempo poetici che "fanno" i libri e poi i film di Pasolini. Qui nasce il dilemma : poesia o descrizione sociologica ? è possibile discriminare tra questi due fattori nella produzione pasoliniana ? Io credo di no. Pasolini è uno degli autori, certo non l'unico, in cui è più forte questa commistione e complementarità di arte e sociologia. Noi possiamo leggere i suoi libri e trovarvi tutta la carica poietica dello scrittore oppure tutta la "pedanteria" descrittiva di chi analizza la realtà sociale. Credo, per esempio, che sia difficile smentire il fatto che le descrizioni della quotidianità dei suoi personaggi siano dei minuziosi resoconti sociologici della subcultura sottoproletaria italiana degli anni Cinquanta-Sessanta. Pasolini ha saputo metterne a nudo una struttura culturale (antropologica), ma anche psicologica e politico-ideologica. Molti gli elementi analizzati : la Chiesa e la sua lontananza dalla effettiva realtà vissuta dai ragazzi di vita, per esempio. Una Chiesa non in grado di capire, chiusa in una bigotta ingenuità, arroccata in una posizione astratta, asserragliata nella liturgia clericale e burocratica. Una Chiesa così inviluppata tra gli opposti del burocraticismo e dello spiritualismo da allontanare radicalmente coloro che si trovano in una condizione oggettiva di materialismo forzato ed obbligato ("[...]E' la grana che è la fonte di ogni piacere e ogni soddisfazione in questo zozzo mondo." , Ragazzi di vita). Ma ciò che più affascina in Pasolini è la capacità di sezionare con "grazia" letteraria i cardini anche normativi della sottocultura, ed è importante sottolineare che in Pasolini si è sempre di fronte ad una sottocultura e non ad una controcultura, ammesso che di queste ne siano mai esistite . Infatti, l'elemento di maggior rilievo della sociologia pasoliniana ed il maggiore cruccio della sua ideologia ( pensiamo alla Sequenza del fiore di carta o a Mamma Roma) è il riscontro della totale assenza di una tensione oppositiva e di una coscienza antagonista dei suoi personaggi. Solo la coscienza di classe, infatti, è la variabile che può donare dignità, anche se non necessariamente libertà, ai vari Tommasino. Ciò si evince facilmente proprio dal rapporto descritto in Una vita violenta tra lo stesso Tommaso ed il Pci. Pasolini sembra avere in mente una certa teoria della marginalità dove si riconosce, comunque, un ruolo di classe centrale al proletariato. Borghesia e proletariato, avverte Pasolini, sono le classi che insieme, nella lotta, si propongono verso il potere (altra categoria sociologica indagata magistralmente). Sono esse che fanno la storia, sono esse che detengono, con diversa distribuzione interna, il potere. Lo sviluppo del capitalismo moderno ha confermato tutto ciò. Ma mentre il potere del proletariato si pone in misura rivoluzionaria, dice Pasolini, la borghesia si propone in termini oppressivi. Eppure la marginalità, indagata da Pasolini anche nei tratti relativi alla genesi (inurbamento), è allo status piccolo-borghese che aspira: ecco la grande delusione ideologica di Pasolini. Ma Pasolini riconosce in ogni caso una carica eversiva al suo sottoproletariato, una carica dovuta al carattere scandalosamente irrazionale (Pasolini intellettuale post-moderno) di tale classe che, però, rischia di essere disinnescata da quel processo di omologazione (il genocidio culturale) attivato dalla cultura di massa dominante e dai suoi potenti mezzi di comunicazione. Una cosa è certa : il mondo capitalistico non si è marxianamente proletarizzato, ma si è pasolinianamente sottoproletarizzato. Oggi, forse, l'unica carica eversiva presente nel mondo occidentale è, oltre l'ideologia minoritaria ecologista, la potenzialità esplosiva delle masse de-ideologizzate e sottoproletarie delle periferie metropolitane. E' "La haine" di Kassovitz, priva di una coscienza realmente rivoluzionaria, a dominare la scena antagonistica delle omologate realtà occidentali e no. Può dispiacere, ma è così. D'altronde non si può non essere d'accordo con Dahrendorf nel riconoscere che la natura disorganizzata ed "irrazionale" delle masse marginali non troverà mai forme di strutturazione; né la loro violenta carica eversiva troverà forme "costruttive" di espressione (pensiamo alla metafora di Chabrol ne Il buio nella mente). In altre parole non ci sarà mai più un equivalente funzionale del socialismo per il semplice motivo che il sistema neocapitalistico può fare a meno dell'apporto produttivo di tali categorie e non teme il loro potere oppositivo acefalo, quindi non destabilizzante : "I ricchi possono diventare più ricchi senza di loro; i governi possono essere rieletti anche senza i loro voti e il prodotto nazionale lordo può continuare ad aumentare indefinitamente". Allo stesso modo la marginalità è frammentata e variegata, priva di un riferimento ad una "spiegazione unificata e unificante alle loro sofferenze" e di un nemico comune (R. Dahrendorf, Quadrare il cerchio, Bari, Laterza, 1995, p.42 ). Tornando a Pasolini, è impossibile dimenticare le meravigliose pagine spese a documentare le condizioni di vita e la qualità psicologica dei quartieri fatiscenti della periferia romana: l'infanzia negata, direbbe oggi qualche giornalista animato da sano spirito positivista, del Riccetto e dei suoi compagni; il carcere come onore e strumento di mobilità sociale ascendente all'interno del gruppo; la durezza ostentata come codice comunicativo e gerarchico, tutti elementi che potrebbero fuoriuscire da qualsiasi trattato socio-psicologico basato sull'osservazione partecipante. Last but not least il potere. Sarebbe troppo lungo analizzare a fondo questa categoria nella produzione pasoliniana ma è certo che Pasolini ha scritto le pagine più illuminanti sul suo carattere razionale ed irrazionale. Un solo esempio valga su tutti: l'anarchia e la dimensione a-storica del potere in Salò. Concludendo, sono profondamente convinto che l'esempio di Pasolini possa dimostrare che la letteratura come il cinema, sono, in quanto prodotti sociali e culturali, un osservatorio privilegiato per chi si occupi di scienze sociali. Senza arrivare a riconoscere uno statuto scientifico a tali "dati" è però necessario, a mio avviso, incrementare il grado di interesse della sociologia nell'analisi sistematica della produzione letteraria e cinematografica come testa di ponte verso la realtà sociale e verso l'immaginario collettivo in quanto espressione, anche distorta (la distorsione, comunque, denuncia un fatto sociale da spiegare), di questa.

Guido Nicolosi

Guido Nicolosi ha anche pubblicato in rete la sua interessante tesi di laurea su "Pasolini nell'era di internet" 

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