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Biografia, lavori in corso - a breve anche il 1974 e il 1975

venerdì 15 gennaio 2016

E' morto Franco Citti - Eretico e Corsaro lo ricorda.

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro



"Lui era un po' come un padre. Aveva una grande paura di me. Gli potevo sparire da un giorno all'altro, senza finire il film. E' successo mentre facevamo Mamma Roma con la Magnani. Ho avuto una disavventura con la polizia. Ho litigato con una guardia e m'hanno arrestato per oltraggio. Mi sono fatto una ventina di giorni e poi sono uscito".
Franco Citti


Da anni bloccato sulla sedia a rotelle a causa di tre ictus, Franco Citti si è spento il 14 gennaio 2016, nella sua Fiumicino luogo che aveva scelto per viverci:


"Sono andato via da Roma innanzitutto perche' cominciavano a sparire le borgate e con loro i miei amici. E quando non hai piu' le borgate ti rifugi al mare. E' per questo che sono venuto a vivere a Fiumicino. C'e' un senso di morte, qui intorno, che mi piace. Forse io sono gia' morto, qui, in questa solitudine che amo e che mi mette allegria. Anzi, io sono vivo perche' sto a Fiumicino. Forse se stavo a Roma ero gia' morto"
Il suo incontro con il Poeta avvenne all'inizio degli anni '50 quando Pasolini, lasciata Casarsa con la madre, insegnava a Roma in periferia e si circondava di un gruppo di ragazzi-poeti di strada:
Ho conosciuto Pasolini tramite mio fratello Sergio, in una pizzeria di Torpignattara. Lui mi ha detto: 'A Fra', te presento 'no scrittore, 'n amico mio. In quel periodo scriveva delle poesie in friulano, quelle cose dei primi tempi. All'inizio ho creduto addirittura che fosse analfabeta. Faceva il maestro elementare a Ponte Mammolo. Mio fratello m'ha detto. E' 'no scrittore, magnamose 'na pizza assieme. Io ero tutto sporco di calce perche' lavoravo come muratore con mio padre. Ci siamo conosciuti li' e abbiamo cominciato a frequentarci.


Il suo essere anima libera senza compromessi o cedimenti, fecero di Franco il personaggio ideale per le narrazioni di Pasolini, che lo volle protagonista del suo primo film da regista, Accattone:
Ancora cucciolo, timidissimo, con gli occhi d'angoscia della timidezza e della cattiveria che deriva dalla timidezza, sempre pronto a dibattersi, difendersi, aggredire, per proteggere la sua intima indecisione: il senso quasi di non esistere che egli cova dentro di sé. Per contraddire questa sua ingiusta incertezza d'esistenza, egli non ha altri strumenti che la propria violenza e la propria prestanza fisica: e ne fa abuso. (...)
P.P.P.
Il suo volto inquieto e sofferto, la sua fisicità e la sua umanità, che nonostante la degradazione del mondo in cui viveva, conservavano una intatta e inattesa innocenza, fecero di lui il personaggio ideale per raccontare quel mondo violento e contraddittoriamente ricco di umane speranze:
Come tutti coloro la cui psicologia è infantile, Franco ha un profondo senso della giustizia. Sente profondamente la propria colpa quando commette qualcosa di ingiusto e non sa ammettere che altri compiano qualcosa di ingiusto. Questa consacrazione, avvenuta nella sua infanzia, di un fondamentale senso di giustizia, e quindi di colpa, fa sì che tutta la sua vita sia pervasa da qualcosa di mitico, di rigido, di immodificabile (come in tutte le consacrazioni). Ha dovuto costruirselo da sé questo senso di giustizia (nelle strade della Maranella, negli istituti di educazione), e l'ha fatto male. (...)
P.P.P.
Franco fu il volto che Pasolini volle per mostrare un'umanità, che dal degrado e dalla sofferenza, riusciva a trasmettere la sua carica vitale:
Lui e Accattone sono la stessa persona. Accattone naturalmente è portato ad un altro livello, al livello estetico di un "grave estetismo di morte" come dice il mio amico Pietro Citati ma in realtà Franco Citti e Accattone si assomigliano come due gocce d'acqua. (...)
Franco Citti è uno di quegli uomini che devono combattere contro il serpente grande. La sua enorme carica vitale lo costringe ad una lotta incessante contro se stesso, a un tipo di vita eccezionale, speciale, fuori dalla norma - che io fra l'altro comprendo benissimo. È la lotta contro questa carica vitale che coloro che devono combattere contro una carica vitale piccolissima condannano. I signori che passano le loro serate davanti alla televisione a vedere gli ambigui sorrisi perbene delle presentatrici o la barba ricattatrice di Padre Mariano, sono coloro che combattono contro una carica vitale poco più grande di un vermiciattolo ed è quindi per loro facile condannare chi perde ore e ore del suo giorno e della sua notte a combattere contro la dolce violenza della tentazione».

(da Diario al registratore, a cura di Carlo di Carlo, maggio 1962).


Io penso che se Pasolini fosse stato in vita i giovani di oggi non sarebbero stati cosi'. Lo avrebbero amato e lui avrebbe amato la gioventu' di oggi, gli avrebbe dato un insegnamento nella scrittura e nel cinema. Ho letto pochissime cose di Pier Paolo, ma l'ho conosciuto bene ed e' stata la persona piu' umana che abbia incontrato. Lui era il padre di tutti noi, delle borgate, ed e' stato molto amato. Per noi era il Baggio della situazione, quello che risolveva tutto. Faceva l'elemosina ai poveri, quando ha incominciato a fare due lire andavamo sempre a mangiare, invitava tutti. Era una famiglia allegra. Ed io sono sicuro che rimarra' per sempre, anche per quelli che non l'hanno mai letto".
Franco Citti.



Filmografia

  1. Accattone, regia di Pier Paolo Pasolini (1961)
  2. Una vita violenta, regia di Paolo Heusch e Brunello Rondi (1962) 
  3. Il giorno più corto, regia di Sergio Corbucci (1962) 
  4. Mamma Roma, regia di Pier Paolo Pasolini (1962) 
  5. Parigi proibita, regia di Marcel Carné (1963) 
  6. Requiescant, regia di Carlo Lizzani (1967)
  7. Edipo Re, regia di Pier Paolo Pasolini (1967) 
  8. Seduto alla sua destra, regia di Valerio Zurlini (1968) 
  9. Ammazzali tutti e torna solo, regia di Enzo G. Castellari (1968) 
  10. Una ragazza di Praga, regia di Sergio Pastore (1969) 
  11. Gli angeli del 2000, regia di Hanil Ranieri (1969) 
  12. Il magnaccio, regia di Franco De Rosis (1969) 
  13. La legge dei gangsters, regia di Siro Marcellini (1969) 
  14. Porcile, regia di Pier Paolo Pasolini (1969) 
  15. Ostia, regia di Sergio Citti (1970) 
  16. Il Decameron, regia di Pier Paolo Pasolini (1971) 
  17. Dirai: ho ucciso per legittima difesa, regia di Angelino Fons (1971) 
  18. Il padrino, regia di Francis Ford Coppola (1972) 
  19. I racconti di Canterbury, regia di Pier Paolo Pasolini (1972) 
  20. Roma, regia di Federico Fellini (1972) 
  21. Storie scellerate, regia di Sergio Citti (1973)
  22. Ingrid sulla strada, regia di Brunello Rondi (1973)
  23. Macrò, regia di Stelvio Massi (1974)
  24. Storia de fratelli e de cortelli, regia di Mario Amendola (1974)
  25. Il fiore delle Mille e una notte, regia di Pier Paolo Pasolini (1974)
  26. Colpita da improvviso benessere, regia di Franco Giraldi (1975)
  27. Puttana galera!, regia di Gianfranco Piccioli (1976) 
  28. Chi dice donna dice donna, regia di Tonino Cervi (1976) 
  29. Uomini si nasce poliziotti si muore, regia di Ruggero Deodato (1976) 
  30. Roma: l'altra faccia della violenza, regia di Marino Girolami (1976) 
  31. La banda del trucido, regia di Stelvio Massi (1977) 
  32. Todo modo, regia di Elio Petri (1977) 
  33. Il gatto dagli occhi di giada, regia di Antonio Bido (1977) 
  34. Casotto, regia di Sergio Citti (1977) 
  35. Yerma, regia di Marco Ferreri - Film per la TV (1977-1978) 
  36. L'albero della maldicenza, regia di Giacinto Bonacquisti (1979)
  37. La luna, regia di Bernardo Bertolucci (1979) 
  38. Eroina, regia di Massimo Pirri (1980) 
  39. Ciao marziano, regia di Pier Francesco Pingitore (1980) 
  40. Il minestrone, regia di Sergio Citti (1981) 
  41. The Black Stallion Returns, regia di Robert Dalva (1983) 
  42. Sogni e bisogni, serie televisiva, regia di Sergio Citti (1985) 
  43. La coda del diavolo, regia di Giorgio Treves (1986) 
  44. Rosso di sera, regia di Beppe Cino (1988) 
  45. Kafka - La colonia penale, regia di Giuliano Betti (1988) 
  46. Il segreto, regia di Francesco Maselli (1990) 
  47. Il padrino - Parte III, regia di Francis Ford Coppola (1990) 
  48. Appuntamento in nero (1991) 
  49. El infierno prometido, regia di Juan Manuel Chumilla (1992) 
  50. La chance, regia di Aldo Lado (1994) 
  51. Il sindaco, regia di Ugo Fabrizio Giordani (1996) 
  52. I magi randagi, regia di Sergio Citti (1996) 
  53. Il miracolo di Sant'Oronzo, regia di Luca Verdone (1997) 
  54. Cartoni animati, regia di Franco e Sergio Citti (1997) 
  55. E insieme vivremo tutte le stagioni, regia di Gianni Minello (1999)

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domenica 10 gennaio 2016

Curzio Maltese : Il film-profezia di Pasolini, così nel '63 raccontò l'Italia d'oggi.

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro



 
Il film-profezia di Pasolini, così nel '63 raccontò l'Italia d'oggi.
Curzio Maltese


La visione de "La rabbia", il film-saggio di Pier Paolo Pasolini finalmente ricomposto da Giuseppe Bertolucci, con la Cineteca di Bologna che presiede, nella versione pensata dall'autore, senza l'insensata aggiunta di Giovanni Guareschi, solleva un dubbio terribile. O Pasolini era davvero un profeta oppure l'Italia è tornata indietro di mezzo secolo, ai peggiori anni Cinquanta, tempi gretti, reazionari, impauriti.

Nel dubbio che siano vere entrambe le ipotesi, scegliamo per carità di patria la migliore. Pasolini ha capito per primo e più a fondo di chiunque altro la mutazione antropologica del popolo italiano all'impatto con una modernità feroce, che l'avrebbe riconsegnato a un fascismo sotto nuove forme. Per usare una formula che rimbalza in queste settimane da Famiglia Cristiana ai vertici della magistratura.

Il film è modernissimo nella forma, d'avanguardia per l'epoca. Sul materiale assai grezzo dei cinegiornali, Pasolini sovrappone un'orazione civile composta di sue poesie e prose affidate alle voci di Giorgio Bassani e Renato Guttuso. Senza altro filo narrativo che non sia una viscerale, acutissima visione dei conflitti sociali, l'opera viaggia dai funerali di Alcide De Gasperi alla morte di Marilyn Monroe, dalla rivoluzione cubana alla guerra di Corea all'indipendenza dell'Algeria. Ma la parte più sorprendente è certo quella dedicata "al mio paese, che si chiama Italia".

Il film doveva uscire nelle sale all'inizio del '63, dopo Accattone e Mamma Roma, ma il produttore Gastone Ferranti si spaventò, convinse l'autore a tagliarlo e volle a tutti i costi affidare una seconda parte "vista da destra" a Guareschi, il quale diede nell'occasione il peggio del proprio qualunquismo. Così snaturata, l'opera fu rinnegata da Pasolini e ritirata dopo pochi giorni, per rimanere nel buio quarantacinque anni.

Ora torna nella versione concepita dal poeta, grazie al lavoro di recupero e rimontaggio di Giuseppe Bertolucci, su un'idea di Tatti Sanguinetti. "La rabbia" sarà presentata alla Mostra di Venezia il 28 agosto e sarà distribuita nei cinema dall'Istituto Luce dal 5 settembre.

Per capire quanto sia attuale basta forse citare una piccola antologia dei testi. L'Europa: "Le piccole borghesie fasciste sono pronte all'unità d'Europa in nome della comune aridità". Le guerre in Medio Oriente: "In questi deserti comincia la nostra preistoria". Le giustificazioni della guerra: "Se comincia la guerra di chi è la colpa? Dei peccati della povera gente, naturalmente. Dio punisce le Sodome di stracci, le Gomorre della miseria".

I coreani all'epoca, oggi gli irakeni, gli afghani, i curdi, i popoli africani: "Eravate milioni di uomini come noi e per conoscervi abbiamo dovuto sapervi in guerra". Il nuovo Papa: "Ci saranno fumate bianche per papi figli di contadini del Ghana o dell'Uganda? Per papi figli di braccianti indiani morti di peste nel Gange, per papi figli di pescatori gialli morti di freddo nella Terra del Fuoco?".

La politica sull'immigrazione: "Dobbiamo accettare distese infinite di vite reali che vogliono con innocente ferocia entrare nella nostra realtà". Bush, Berlusconi, Putin eccetera: "La classe padrona della ricchezza, giunta a tanta dimestichezza con la ricchezza da confondere la natura con la ricchezza. Così perduta nel mondo della ricchezza da confondere la storia con la ricchezza. Così addolcita dalla ricchezza da riferire a Dio l'idea della ricchezza".

Si potrebbe continuare a lungo, ma almeno fino alla televisione, appena apparsa sulla scena. Quando lo speaker del cinegiornale annuncia trionfante che presto gli abbonati saranno "decine di migliaia", Pasolini lo corregge: "No. Saranno milioni. Milioni di candidati alla morte dell'anima. Il nuovo mezzo è stato "inventato per la diffusione della menzogna". "È la voce che contrappone il buon senso degli assassini agli eccessi degli uomini miti".

La voce di Pasolini è viva, attuale e urticante oggi come nel '63. Gli eccessi di uomo mite non gli sono stati mai perdonati, neppure dopo la fine straziante. Lui stesso ne era consapevole: "Dice Saba che ci sono animali che non fanno pena neppure quando vengono mangiati, perché volevano essere mangiati. Forse sono uno di questi animali". Bertolucci aggiunge nel finale alcuni esempi del linciaggio cui Pasolini fu sottoposto per tutta l'esistenza, da ogni parte. Si trova sempre "nel paese chiamato Italia" un buon compromesso bipartisan per annientare le voci critiche.

Quello che s'è perso per sempre da "La rabbia" ai nostri giorni non sono le parole, ma le immagini, anzi: le facce. I volti di quel popolo, testimonianza vivente e stupenda di un retaggio millenario. I ragazzi di vita delle borgate romane vivono ma non sono come i ragazzi di Scampia filmati da Garrone in Gomorra. Più poveri e meno miserabili, avevano facce e corpi prodotti dalla storia, questi facce da cronaca, corpi creati in palestra, indistinguibili da quelli dei borghesi di successo, dagli attori delle telenovelas, dai calciatori e dalle veline.

La rivoluzione antropologica ha funzionato come una pulizia etnica, cancellando i tratti di un'antica civiltà, di un'immensa bellezza. Negli anni de "La rabbia" un altro solitario, Ennio Flaiano, annotava nel diario notturno: "Fra trent'anni l'Italia non sarà come l'avranno fatta i governi, i partiti o i sindacati, sarà come l'avrà fatta la televisione".

di Curzio Maltese


 
 
 
 

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venerdì 1 gennaio 2016

Pasolini: uno sguardo sociologico

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro


Immagine di Letizia Battaglia



Guido Nicolosi
Pasolini: uno sguardo sociologico

L'occhio si posa sopra un arido campo assolato, incorniciato con forte irregolarità da un'incolta sterpaglia e musicato magistralmente da un assordante cicaleccio estivo. Lungo un fianco del campo, ciò che resta di uno scalcinato muretto, ci separa da una irrilevante, anonima strada che ignoriamo da dove venga e non ci riguarda dove possa andare. Il muretto è imbiancato dalla riarsa polvere, lì posata dal vento dopo un breve viaggio generato da un confuso calpestio rabbioso di pochi "pischelli" scapigliati e denutriti. Credo si possa concordare sul fatto che questa immagine mentale riassuma brevemente alcuni dei più importanti elementi figurativi contenuti nella letteratura pasoliniana. Questa complessa icona artistica, quando partorita dal genio creativo di Pasolini, è in grado di infondere dentro l'animo del lettore un caldo e caustico sentimento di pura emozione. Il sole sferzante delle abbacinate periferie meridionali, la polvere bianca sollevata dal flebile e vano venticello pomeridiano che lambisce le madide fronti dei "ragazzi di vita", i loro corpi, i loro sguardi e poi la strada e la sua carica metaforica sono gli elementi realistici e allo stesso tempo poetici che "fanno" i libri e poi i film di Pasolini. Qui nasce il dilemma : poesia o descrizione sociologica ? è possibile discriminare tra questi due fattori nella produzione pasoliniana ? Io credo di no. Pasolini è uno degli autori, certo non l'unico, in cui è più forte questa commistione e complementarità di arte e sociologia. Noi possiamo leggere i suoi libri e trovarvi tutta la carica poietica dello scrittore oppure tutta la "pedanteria" descrittiva di chi analizza la realtà sociale. Credo, per esempio, che sia difficile smentire il fatto che le descrizioni della quotidianità dei suoi personaggi siano dei minuziosi resoconti sociologici della subcultura sottoproletaria italiana degli anni Cinquanta-Sessanta. Pasolini ha saputo metterne a nudo una struttura culturale (antropologica), ma anche psicologica e politico-ideologica. Molti gli elementi analizzati : la Chiesa e la sua lontananza dalla effettiva realtà vissuta dai ragazzi di vita, per esempio. Una Chiesa non in grado di capire, chiusa in una bigotta ingenuità, arroccata in una posizione astratta, asserragliata nella liturgia clericale e burocratica. Una Chiesa così inviluppata tra gli opposti del burocraticismo e dello spiritualismo da allontanare radicalmente coloro che si trovano in una condizione oggettiva di materialismo forzato ed obbligato ("[...]E' la grana che è la fonte di ogni piacere e ogni soddisfazione in questo zozzo mondo." , Ragazzi di vita). Ma ciò che più affascina in Pasolini è la capacità di sezionare con "grazia" letteraria i cardini anche normativi della sottocultura, ed è importante sottolineare che in Pasolini si è sempre di fronte ad una sottocultura e non ad una controcultura, ammesso che di queste ne siano mai esistite . Infatti, l'elemento di maggior rilievo della sociologia pasoliniana ed il maggiore cruccio della sua ideologia ( pensiamo alla Sequenza del fiore di carta o a Mamma Roma) è il riscontro della totale assenza di una tensione oppositiva e di una coscienza antagonista dei suoi personaggi. Solo la coscienza di classe, infatti, è la variabile che può donare dignità, anche se non necessariamente libertà, ai vari Tommasino. Ciò si evince facilmente proprio dal rapporto descritto in Una vita violenta tra lo stesso Tommaso ed il Pci. Pasolini sembra avere in mente una certa teoria della marginalità dove si riconosce, comunque, un ruolo di classe centrale al proletariato. Borghesia e proletariato, avverte Pasolini, sono le classi che insieme, nella lotta, si propongono verso il potere (altra categoria sociologica indagata magistralmente). Sono esse che fanno la storia, sono esse che detengono, con diversa distribuzione interna, il potere. Lo sviluppo del capitalismo moderno ha confermato tutto ciò. Ma mentre il potere del proletariato si pone in misura rivoluzionaria, dice Pasolini, la borghesia si propone in termini oppressivi. Eppure la marginalità, indagata da Pasolini anche nei tratti relativi alla genesi (inurbamento), è allo status piccolo-borghese che aspira: ecco la grande delusione ideologica di Pasolini. Ma Pasolini riconosce in ogni caso una carica eversiva al suo sottoproletariato, una carica dovuta al carattere scandalosamente irrazionale (Pasolini intellettuale post-moderno) di tale classe che, però, rischia di essere disinnescata da quel processo di omologazione (il genocidio culturale) attivato dalla cultura di massa dominante e dai suoi potenti mezzi di comunicazione. Una cosa è certa : il mondo capitalistico non si è marxianamente proletarizzato, ma si è pasolinianamente sottoproletarizzato. Oggi, forse, l'unica carica eversiva presente nel mondo occidentale è, oltre l'ideologia minoritaria ecologista, la potenzialità esplosiva delle masse de-ideologizzate e sottoproletarie delle periferie metropolitane. E' "La haine" di Kassovitz, priva di una coscienza realmente rivoluzionaria, a dominare la scena antagonistica delle omologate realtà occidentali e no. Può dispiacere, ma è così. D'altronde non si può non essere d'accordo con Dahrendorf nel riconoscere che la natura disorganizzata ed "irrazionale" delle masse marginali non troverà mai forme di strutturazione; né la loro violenta carica eversiva troverà forme "costruttive" di espressione (pensiamo alla metafora di Chabrol ne Il buio nella mente). In altre parole non ci sarà mai più un equivalente funzionale del socialismo per il semplice motivo che il sistema neocapitalistico può fare a meno dell'apporto produttivo di tali categorie e non teme il loro potere oppositivo acefalo, quindi non destabilizzante : "I ricchi possono diventare più ricchi senza di loro; i governi possono essere rieletti anche senza i loro voti e il prodotto nazionale lordo può continuare ad aumentare indefinitamente". Allo stesso modo la marginalità è frammentata e variegata, priva di un riferimento ad una "spiegazione unificata e unificante alle loro sofferenze" e di un nemico comune (R. Dahrendorf, Quadrare il cerchio, Bari, Laterza, 1995, p.42 ). Tornando a Pasolini, è impossibile dimenticare le meravigliose pagine spese a documentare le condizioni di vita e la qualità psicologica dei quartieri fatiscenti della periferia romana: l'infanzia negata, direbbe oggi qualche giornalista animato da sano spirito positivista, del Riccetto e dei suoi compagni; il carcere come onore e strumento di mobilità sociale ascendente all'interno del gruppo; la durezza ostentata come codice comunicativo e gerarchico, tutti elementi che potrebbero fuoriuscire da qualsiasi trattato socio-psicologico basato sull'osservazione partecipante. Last but not least il potere. Sarebbe troppo lungo analizzare a fondo questa categoria nella produzione pasoliniana ma è certo che Pasolini ha scritto le pagine più illuminanti sul suo carattere razionale ed irrazionale. Un solo esempio valga su tutti: l'anarchia e la dimensione a-storica del potere in Salò. Concludendo, sono profondamente convinto che l'esempio di Pasolini possa dimostrare che la letteratura come il cinema, sono, in quanto prodotti sociali e culturali, un osservatorio privilegiato per chi si occupi di scienze sociali. Senza arrivare a riconoscere uno statuto scientifico a tali "dati" è però necessario, a mio avviso, incrementare il grado di interesse della sociologia nell'analisi sistematica della produzione letteraria e cinematografica come testa di ponte verso la realtà sociale e verso l'immaginario collettivo in quanto espressione, anche distorta (la distorsione, comunque, denuncia un fatto sociale da spiegare), di questa.

Guido Nicolosi

Guido Nicolosi ha anche pubblicato in rete la sua interessante tesi di laurea su "Pasolini nell'era di internet" 

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