"Le pagine corsare "
dedicate a Pier Paolo Pasolini
Eretico e Corsaro
Maria Vittoria Chiarelli, risponde a Massimo Fusillo
.
.
Per leggere l'intervista, clicca sul link sotto:
Intervista davvero molto interessante da integrare magari con gli altri autori citati. D'accordo sull'uso improprio della figura e dell'opera di Pasolini, quel tirarlo forzatamente ciascuno nel proprio campo ideologico, mentre è incatalogabile dal momento che viveva pienamente le sue contraddizioni intellettuali.
Sono meno d'accordo sull'esagerazione in cui Pasolini sarebbe incorso parlando di "genocidio culturale" e perdita delle culture locali particolari. Credo, a tal proposito, che, se si mette in discussione, ma non perché ne voglia fare un dogma, quel fondamento dell'impianto critico sulla civiltà dei consumi, condotto con estremo rigore in "Scritti Corsari" e in tanti interventi pubblici, si rischia di minimizzare o, perlomeno, di ridurre, la portata storica del passaggio repentino, "quasi senza che ce ne accorgessimo" da una civiltà ad un'altra, passando attraverso la rivolta dei figli contro i padri, nelle forme più conformistiche, in nome dei principi dell'antiautoritarismo e della libertà assoluta, sciolta da ogni dipendenza al vecchio sistema di valori. La tragedia del "genocidio" in realtà è cominciata quando l'antisistema al sistema borghese è stato assorbito, assimilato dal nuovo potere dei consumi, dal neocapitale, che imponeva le scelte e stili di vita, facendo credere che erano frutto di libera scelta. Tutto questo ha portato al completo superamento, insieme ad uno stile di vita contadino, sottoproletario, ed anche operaio ( perché Pasolini era attento al processo di alienazione industriale che riguardava gli operai ), delle realtà culturali particolari in un'Italia che, a differenza di altri Paesi europei, non aveva vissuto alcuna vera unificazione politica e sociale, ( linguistica solo dal punto di vista letterario )se non con la fase della riorganizzazione del capitale in chiave tecnologica, voluta dal nuovo potere neoliberista. Non dovremmo essere contenti per aver superato disagi economici, per non dire povertà e miseria, di esserci liberati da vecchi retaggi sottoculturali, che volevano, ad esempio, le donne sottomesse e relegate ai margini? Certo, ma tutto questo sarebbe dovuto avvenire attraverso una presa di coscienza e con l'innesto di fecondi processi nel sostrato delle culture popolari: un progresso vero ( non sviluppo che già in sé contiene il concetto di velocità disumanizzante ), che non avrebbe cambiato i connotati fisici, psicologici, sociali, relazionali alle singole persone che sono state completamente espropriate ( l'esproprio, ahimè, l'ha compiuto il potere borghese ) dei beni del loro patrimonio linguistico, gestuale, dei loro stili di comportamento.
Le forme "ibride" purtroppo non sanano la mancanza, si può conservare ciò che è rimasto, questo sì, salvaguardare almeno la memoria storica e lo si fa, con numerose iniziative locali, anche con interessanti e coinvolgenti forme di incontro tra diverse forme espressive, provenienti da altre parti del mondo.
Ma quell'umanità è scomparsa per sempre perché è stata sradicata dal suo naturale terreno. Le fasce economicamente più povere, vivono in maniera disumana il loro disagio, senza punti di riferimento, relegate ai margini , in attesa di essere ricollocate nel circuito di una vita precarizzata, di sopravvivenza senza radici. Agli immigrati e ai profughi hanno tolto anche la terra sotto i piedi: speriamo che conservino i tesori preziosi delle loro culture, affinché possano riviverli altrove, in una società che globalizzi valori e non trasformi le persone in merce di scambio.
Quando Pasolini parlava di "mutazione antropologica" e di "genocidio culturale" , il "discorso sulla realtà" era a ragion veduta perché la sua conoscenza passava attraverso una pluralità di linguaggi, che diventavano "irrazionalmente" poesia e mito, oltre che "razionalmente" analisi ed interpretazione.
Maria Vittoria Chiarelli