"Le pagine corsare "
dedicate a Pier Paolo Pasolini
Eretico e Corsaro
L'ultima lettera di Guido Pasolini al fratello Pier Paolo
di Angela Molteni
Lettera scritta da Guidalberto Pasolini in data 27 novembre 1944 al fratello Pier Paolo
Località di stesura: Porzûs (Attimis, UD) - Stato del documento: autografo
Le immagini riproducono le pagine del testamento spirituale di Guido Pasolini
Proprietà della foto: Archivio contemporaneo Alessandro Bonsanti,
Gabinetto G.P. Vieussieux - Collocazione archivistica: Fondo Pasolini, P.P.P. I.608.2
Gabinetto G.P. Vieussieux - Collocazione archivistica: Fondo Pasolini, P.P.P. I.608.2
Fonte: INSMLI - Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione in Italia - Ultime lettere di condannati a morte e di deportati della Resistenza italiana
Le foto e il testo della lettera
Pier Paolo Carissimo:
Quanto ti scriverò in questa lettera ti stupirà moltissimo: "Ma io non c’entro!" dirai alla fine facendo uno sconsolato gesto con le mani... Ne sono pienamente d’accordo. Ma siccome però una situazione penosissima e grave provoca uno stato d’animo per cui si sente l’assoluta necessità di confidarsi con qualcuno, e d’altra parte "siamo" convinti che tu, con qualche articolo ci puoi essere di grande aiuto, avendone d’altra parte ricevuta l’autorizzazione, ti metto senz’altro al corrente della nostra situazione come si presenta alla data di oggi 27 Novembre. Non dire nulla alla mamma: si spaventerebbe per nulla...
Cronaca degli avvenimenti dal 29 luglio ad oggi: 3.000 tedeschi e fascisti in tale giornata iniziano un rastrellamento nella zona della Ia brigata Brigata Osoppo Friuli, (la mia) inizio delle operazioni 5 ½ del mattino: attacco di sorpresa nemico (proveniente da Prosenicco) in zona Subit.
Una brigata slovena (la 128ª ?) che aveva il preciso compito di sbarrare la strada al nemico in questo settore (rappresentante il tergo del nostro schieramento) si ritira senza sparare un colpo di fucile! Risultato: due nostre postazioni di mitraglia in posizione dominante sopra Subit resistono eroicamente fino alle 4 del pomeriggio (60 morti tedeschi); esaurite le munizioni gli uomini si ritirano sul Monte Carnizza presidiato dal nostro battaglione Udine.
Frattanto si era combattuto anche sulle falde del Carnizza.
Dopo 5 ore di combattimento arrivano sul luogo 5 garibaldini con un mitragliatore inglese (Bren): sparano da lontano qualche scarica. Nel tardo pomeriggio giunge sul luogo un pattuglione, sempre garibaldino di 30 uomini, ma i tedeschi avevano ormai desistito dall’attacco al Carnizza. Risultato delle operazioni: 200 tedeschi o fascisti caduti o feriti (tutti per parte dell’Osoppo, 1 ferito leggero da parte nostra! A tanta distanza di tempo apprendiamo ora, con nostro grande stupore che furono i 30 garibaldini arrivati sul luogo a cose finite a rovesciare in nostro favore le sorti della battaglia... (ma questa è cosa da niente...).
Si riorganizza la brigata: in breve tempo raggiungiamo i 600 uomini nella vallata Attimis-Subit. Si entra in contatto con i comandanti delle 2 brigate Garibaldi che fiancheggiano il nostro schieramento: si forma la divisione Garibaldi-Osoppo, si firma un patto di amicizia con gli sloveni, che, slealmente hanno cominciato la propaganda slovena nel territorio da noi occupato. Giunge per radio una notizia ad aggravare la situazione: gli inglesi nelle terre liberate, disarmano le formazioni partigiane. A noi dell’Osoppo la notizia non ci fa né caldo né freddo: "Una volta che l’Italia è liberata!...), La cosa sembra invece mettere il fuoco nelle vene in certi commissari garibaldini. Vanni (da nessuno autorizzato), commissario di divisione, nella pubblica piazza di Nimis
[Pagina 3]
grida le seguenti parole (in un discorso enfatico quanto vuoto di sostanza): "Io vi assicuro che né Russi (la parola è detta quasi di sfuggita) né Americani né Inglesi (qui la voce tuona) disarmeranno la Divisione Garibaldi-Osoppo." In quegli stessi giorni giunge una missione slovena inviata da Tito: si propone l’assorbimento della nostra divisione da parte della Armata slovena: ci fanno capire fra l’altro che qualora facessimo parte dell’esercito sloveno eviteremmo il disarmo. Il comandante di divisione Sasso (un garibaldino) tentenna, il vice comandante Bolla (Osoppo) pone un energico rifiuto. Gli sloveni se ne vanno scontenti. Il comandante Sasso promette solennemente a Bolla (quindi alla nostra brigata) che della questione non si sarebbe più parlato. Ma gli sloveni (è evidente che la cosa sta loro molto a cuore) non abbandonano la partita e ritornano alla carica. Sempre energico e deciso il contegno di Bolla, ambiguo quello di Sasso (sobillato evidentemente da Vanni) il quale sembra incline ad accettare. Bolla fa presente che qualora avvenisse l’accordo con gli sloveni (per noi sarebbe molto peggio di una battaglia perduta) la brigata Osoppo si sarebbe staccata dalla divisione. Siamo agli ultimi di settembre: la situazione militare è minacciosa. Lo schieramento della divisione troppo avanzato, (siamo quasi in pianura) è debole.
Novecento uomini della brigata Osoppo tengono fronte sull’arco di colline: Passo di Monte Croce (tenuto da reparti
[Pagina 4]
garibaldini) Savorgnano-Ravosa-Racchiuso. La prima brigata Garibaldi (1200 uomini) copre Nimis alla nostra destra, la IIa Garibaldi (1.000 uomini) copre Faedis alla nostra sinistra.
La notte fra il 26 e 27 settembre si inizia un furibondo cannoneggiamento delle nostre posizioni da parte delle artiglierie tedesche (un treno blindato fra Reana-Tricesimo, 2 batterie del forte di Tricesimo, 2 batterie a Pavoletto). Il giorno seguente 2 divisioni tedesche con carri armati attaccano simultaneamente Nimis e Faedis. Alla sera dello stesso giorno (27) carri armati pesanti entrano nei due paesi. Noi, al centro dello schieramento non sappiamo nulla. La notte continua incessante il martellamento delle artiglierie, la mattina del 28 riprende la pressione tedesca sulle nostre ali: da Faedis su Racchiuso, da Nimis su Monte Croce: il grosso dei reparti garibaldini si sgancia, noi dell’Osoppo sempre all’oscuro di tutto attendiamo il nemico sulle nostre postazioni ormai avanzatissime. Verso le 3 del pomeriggio i tedeschi sono su Monte Croce: puntano su Attimis! (siamo quasi circondati)
Frattanto un altro fatto gravissimo: reparti tedeschi da Prosenicco puntano su Subit con lo scopo di scendere su Forame Attimis e quindi tagliarci la strada della ritirata.
[Pagina 5]
Gli sloveni (incaricati di proteggerci le spalle) si ritirano senza sparare un colpo! Le nostre postazioni sopra Subit di copertura vengono sopraffatte dal numero e dai mezzi. Il paese cade in possesso del nemico: contemporaneamente alla caduta di Passo Monte Croce. Un nostro battaglione rinforzato parte al contrassalto, con eroico furore ributta i tedeschi al di là della montagna. (La via della ritirata è aperta)
Ma le cose erano già precipitate: Garibaldini sbandati con mille notizie false o esagerate gettano il panico fra le nostre file che finalmente hanno ricevuto l’ordine di ritirata: ("Nulla da fare, i tedeschi sono a Racchiuso e Attimis" "Gettate le armi i comandanti sono fuggiti in borghese" ecc... ecc...) molti si sbandano, molti riescono a raggiungere Attimis, poi Forame e Subit. Gli ultimi a ripiegare (c’ero anch’io ed il mio comandante Romolo) escono da Attimis quando vi entrano i tedeschi calati da Monte Croce: qualche raffica passa sibilando sulle nostre teste.
Inutile che ti descriva la drammatica ritirata notturna (ancora una volta ingannati!: sul Monte Joannes est del Carnizza) vi doveva essere un presidio garibaldino: infatti vi troviamo le truppe tedesche
[Pagina 6]
schierate come un plotone d’esecuzione (in fila di fronte con le armi spianate): il nostro comandante di brigata Ferruccio cade con 17 compagni. Il vicecomandante di divisione Bolla riesce invece a passare con un 100 uomini: gli altri si sbandano fra i quali io e Romolo.
Comincia l’odissea dei dispersi in cerca del loro comandante. I presidi garibaldini (incontrati per strada) fanno di tutto per demoralizzarci e indurci a togliere le mostrine tricolore (A Memicco un commissario garibaldino mi punta sulla fronte la pistola perché gli ho gridato in faccia che non ha idea di che cosa significhi essere "Uomini liberi", e che ragionava come un federale fascista, infatti nelle file garibaldine si è "liberi" di dire bene del comunismo, altrimenti sei trattato come "Nemico del proletario" (Nientemeno!) oppure "Idealista che succhia il sangue del popolo" (senti che roba!))
A fronte alta dichiariamo di essere italiani e di combattere per la bandiera italiana, non per lo
"straccio" russo...
A Codromaz raggiungiamo il comandante Bolla ed Enea, del quale sono diventato amico
e dal quale ho saputo i retroscena ecc... ecc...
[Pagina 7]
Gli sloveni frattanto approfittano della situazione ed entrano in trattative col comando garibaldino (si riparla dell’antico progetto di assorbimento delle nostre formazioni da parte slovena) Bolla strepita: ma oramai non ha più l’autorità che novecento uomini pronti a tutto gli davano... Il delegato sloveno fa comprendere a Bolla che la sua presenza non è gradita ai colloqui, Bolla raccoglie i suoi uomini e si allontana dignitosamente.
Raggiungiamo la zona Prosenicco-Subit-Porzus e quivi ci riorganizziamo. Passano una ventina di giorni. Frattanto Enea (lasciato a Codromaz come osservatore) ci fa sapere che i garibaldini lo hanno rassicurato (la notizia dell’accordo con gli sloveni viene solennemente smentita)... Ci raggiunge a Porzus: siamo al 2 novembre.
Il giorno dopo giunge al nostro comando il comandante della divisione "Garibaldi" Sasso.
Ha un lungo colloquio con Bolla (smentisce di nuovo solennemente la notizia dell’accordo con
Tito e promette che mai più ne riparlerà) tenta di riconciliarsi con la brigata Osoppo oramai riorganizzata...
Il 7 novembre, anniversario della rivoluzione russa
[Pagina 8]
per tutti i reparti garibaldini si festeggia l’avvenuta unione con le truppe slovene. L’accordo era stato firmato prima delle famose solenni smentite!!!
Gran parte però dei garibaldini non voleva l’accordo (deciso da pochi uomini) molti piangono di rabbia e non vogliono sostituire la stella rossa alla stella tricolore. Alcuni ottengono di passare nelle file dell’Osoppo e ci raccontano che i commissari garibaldini hanno iniziato una propaganda di intimidazione fra i reparti...
Una delle clausole dell’accordo con gli sloveni è la seguente: i reparti garibaldini si impegnano di effettuare una leale propaganda in favore degli sloveni e di mobilitare la popolazione maschile nelle zone sotto il loro controllo. I mobilitati non possono far parte di formazioni italiane ma devono entrare in reparti sloveni!
Quattro giorni fa si presenta al nostro comando il famigerato commissario Vanni: dichiara al nostro comandante Bolla: "Per ordine del maresciallo Tito la prima brigata Osoppo deve sgomberare la zona (territorio di influenza slovena) a meno che non acconsenta ad entrare nelle formazioni slovene"
Siamo arrivati dunque al vertice della parabola: come andrà a finire? Udine è a 12-16 km di distanza.
La nostra parola d’ordine per ora è di rispondere ad una sleale propaganda anti-italiana con una propaganda più convincente. Abbiamo fondato fra gli altri un nuovo giornale: "Quelli del Tricolore"
dovresti scrivere qualche articolo che fa al caso nostro (non è che noi siamo a corto di argomenti né tanto meno ci manchino gli "scrittori", ma io sono convinto che tu ci puoi essere di molto aiuto...) con qualche poesia magari, in italiano e friulano (non traduzione), qualche canzone su arie note, pure in italiano e friulano ecc.... ecc....
Negli articoli cerca appena di sfiorare gli argomenti suaccennati: devi essere un italiano che parla agli italiani.
Mi dimenticavo: i commissari garibaldini (la notizia ci giunge da fonte non controllata) hanno intenzione di costruire la repubblica (armata) sovietica del Friuli: pedina di lancio per la bolscevizzazione dell’Italia!!
Ti mando una copia del programma del Partito d’Azione al quale ho aderito con entusiasmo (quanti ho conosciuto del P.A. Sono persone onestissime miti e leali: veri italiani: Enea rassomiglia moltissimo a Serra).
Naturalmente tutta questa tirata ti ha annoiato moltissimo ma è bene che tu sappia com’è la situazione anche perché ho bisogno se non altro dei tuoi
Comprendo perfettamente che molto probabilmente tu non avrai né tempo né voglia di compilare gli articoli su accennati comunque se hai intenzione di farli: falli al più presto e dalli a Berto per busta chiusa ed avverti (può farlo la mamma) dell’avvenuta consegna Elda Paravano che a sua volta andrà a ritirare ogni cosa a Udine ecc... ecc...
Se non altro almeno scrivi a me qualche riga ... Ti bacio con grandissimo affetto
Guido.
P.S.
Di alla mamma che nel caso avesse qualche altra cosa da mandarmi (Guanti, calzettoni, naftalina), vi aggiunga un fazzoletto tricolore ed uno verde ...
Saluta tutti e se vedi Renato accennagli quanto ti ho scritto...
Non ho il tempo di rileggere la lettera devo partire per la montagna immediatamente.
Il casolare nel quale, in località presso Porzûs, fu catturata la brigata Osoppo FOTO MARIO TOFFANIN |
Guidalberto (Guido) Pasolini "Ermes"
Di anni 19. Nato il 4 ottobre 1925 a Belluno. Studente. Sfollato da Bologna con la madre e il fratello Pier Paolo, si stabilisce con loro a Casarsa della Delizia (Pn). Conseguita la maturità scientifica a Pordenone, nel maggio 1944 entra a far parte della rete clandestina del Partito d’Azione, aggregandosi alle formazioni del Gruppo Brigate Osoppo dell’Est, dislocate nelle montagne tra Friuli, Venezia Giulia e Slovenia. Entrato a far parte del comando della 1ª Brigata Osoppo, il 7 febbraio 1945 viene sorpreso da alcuni gappisti delle formazioni Garibaldi mentre si trova alle Malghe Topli Uork (vicino a Porzûs, Ud) con i suoi commilitoni. Il comandate della formazione osovana Francesco De Gregori viene immediatamente passato per le armi dai garibaldini, assieme al delegato politico Gastone Valente, a Elda Turchetti (segnalata come spia da Radio Londra e recatasi alle Malghe per chiarire la propria posizione) e alla giovane recluta Giovanni Comin (che perde la vita durante un tentativo di fuga). Guidalberto Pasolini e tutti gli altri componenti del comando di brigata vengono invece fatti prigionieri e condotti al Bosco Romagno (nel comune di Cividale de Friuli, Ud) per essere interrogati. Nei giorni seguenti, tra l’8 e il 20 febbraio 1945, quattordici di loro vengono uccisi in diverse località della zona. Pasolini viene fucilato proprio a Bosco Romagno, con Franco Calledoni, Primo Targato, Antonio Cammarata, Pasquale Mazzeo e Antonio Previti. Giuseppe Sfregola, il primo a perdere la vita, viene giustiziato a Ronchi di Spessa quando gli interrogatori non sono ancora iniziati. L’esecuzione di Enzo D’Orlandi, Gualtiero Michelon, Salvatore Saba, Erasmo Sparacino e Giuseppe Urso ha invece luogo nel Bosco Musich, a Restocina (frazione di Dolegna del Collio, Gorizia); quella di Angelo Augelli a Prepotto (Ud). Egidio Vazzas infine, è ucciso in località tuttora ignota. Secondo alcune testimonianze tuttavia, la morte di Erasmo Sparacino avviene in circostanze differenti sia per luogo e che per agente della condanna e dell’esecuzione. Questa difficoltà nell’accertamento dei fatti appare per il momento non superabile.
Dati anagrafici
Età 19 anni
Genere Maschio
Stato civile Celibe
Data di nascita 4 ottobre 1925
Luogo di nascita Belluno
Residenza Casarsa della Delizia (Pn)
Data di morte 7 febbraio 1945
Luogo di morte Bosco Romagno. C'è memoria epigrafica
Comune di morte Cividale del Friuli
Provincia di morte Udine
Regione di morte Friuli Venezia Giulia
Titolo di studio Licenza media superiore. Diploma di maturità scientifica
Categoria professionale Condizioni non professionali
Professione Studente.
Appartenenza politica Azionista
Attività nella Resistenza
Nome di battaglia: Ermes
Tipologia del condannato: Partigiano
Prima formazione nella Resistenza: maggio 1944 - febbraio 1945
Tipo di reparto: Gruppo
Nome del reparto: Gruppo Brigate Osoppo dell'Est
Condizione al momento della morte: Combattente
Agente della condanna: Tribunale delle formazioni partigiane garibaldine del Friuli
Circostanza della morte: Strage
Descrizione della circostanza della morte: Il 7 febbraio 1945 viene catturato alle Malghe Topli Uork (poi dette "di Porzûs") da alcuni partigiani garibaldini. Dopo l’esecuzione del suo comandante Francesco De Gregori (e di altre 3 persone), Guido Pasolini viene condotto con i suoi compagni al Bosco Romagno, nel comune di Cividale del Friuli (Ud). Sottoposto a ripetuti interrogatori, nei giorni successivi (tra l’8 e il 20 febbraio 1945) verrà sommariamente processato e fucilato dagli stessi che lo hanno fatto prigioniero.
Causa della morte: Fucilazione
Modalità dell'esecuzione Il 7 febbraio 1945 alcuni gappisti delle formazioni Garibaldi circondano la baita alle Malghe Topli Uork (vicino a Porzûs, Udine) in cui si trova lo Stato Maggiore della 1a Brigata Osoppo. Catturato, il comandante Francesco De Gregori viene immediatamente giustiziato assieme al delegato politico Gastone Valente e a Elda Turchetti, segnalata come spia da Radio Londra e recatasi alle Malghe per chiarire la propria posizione. Anche la giovane recluta Giovanni Comin perde la vita durante un tentativo di fuga, mentre Aldo Bricco, giunto a Porzûs per sostituire De Gregori (destinato ad altro incarico), riesce a mettersi in salvo malgrado le ferite. Gli altri componenti del comando di brigata vengono tutti fatti prigionieri e condotti al Bosco Romagno (nel comune di Cividale de Friuli, Ud) per essere interrogati. Nei giorni seguenti, tra l’8 e il 20 febbraio 1945, 14 di loro vengono uccisi in diverse località della zona (Leo Patussi e Gaetano Valente sono gli unici ad essere risparmiati). Giuseppe Sfregola viene passato per le armi a Ronchi di Spessa quando gli interrogatori non sono ancora iniziati. Al Bosco Romagno vengono fucilati Franco Calledoni, Primo Targato, Antonio Cammarata, Pasquale Mazzeo, Guido Pasolini e Antonio Previti. L’esecuzione di Enzo D’Orlandi, Gualtiero Michelon, Salvatore Saba, Erasmo Sparacino e Giuseppe Urso avviene invece nel Bosco Musich, a Restocina (frazione di Dolegna del Collio, Gorizia); quella di Angelo Augelli a Prepotto (Ud). Egidio Vazzas infine, viene ucciso in località tuttora ignota. Secondo alcune testimonianze la morte di Erasmo Sparacino avvenne in circostanze differenti per luogo e agente della condanna e dell’esecuzione. Il conto totale dei morituri dei giorni successivi al 7 febbraio 1945 oscilla quindi tra 13 e 14 persone e questa difficoltà di accertamento dei fatti appare per il momento non superabile. E’ da segnalare, inoltre, che in alcune memorie epigrafiche (ad esempio a Cividale del Friuli) sono inclusi tra le vittime della strage di Porzûs anche Antonio Turlon e Annunziato Rizzo, le cui personali vicende presentano tuttavia circostanze di cattura, di condanna, di tempo, diverse da quelle qui descritte.
Bibliografia
Ritratto dei due Pasolini da giovani in "L'Espresso" n. 35, 4 settembre 1997
Associazione partigiani Osoppo. Per rompere un silenzio più triste della morte: testo della sentenza 30-4-1954 della Corte d’assise d’appello di Firenze sull’eccidio di Porzus, Udine, La nuova base, 1983, pp. 74, 195, 196, 378, 384
Marco Cesselli, Porzus due volti della Resistenza, Milano, La Pietra, 1975, pp. 74, 75, 91, 92, 97, 99, 101, 103, 126
Giancarlo Ferretti, Pier Paolo Pasolini, Le belle bandiere. Dialoghi 1960-1965, Roma, Editori Riuniti, 1977
Renato Lena, Guido Alberto Pasolini: Ermes, 1925-1945, Udine, Associazione partigiani Osoppo Friuli, 1996
Nico Nadini, Cronologia in Pier Paolo Pasolini, Lettere, 1940-1954, a cura di Nico Nadini, Torino, Einaudi, 1986, pp. LXIII-LXIX
Pier Paolo Pasolini, Album Pasolini, Mondadori, 2005
Augusto Torre, Guido Pasolini, Bologna, Forni, 1969
La foto di Guido Pasolini (in alto a sinistra) sulla tomba dedicata
alle vittime casarsesi della lotta partigiana, Cimitero di Casarsa
Un'ultima notazione sulla tremenda fine di Guido Pasolini. Sottoposto ad interrogatorio e processato in modo sommario il 12 febbraio 1945, la stessa mattina viene condotto sotto scorta sul luogo destinato all'esecuzione, dove viene fatta loro scavare la fossa, assieme ad altri tre partigiani osovani. Guido riesce a fuggire in circostanze poco chiare, ma nella fuga è ferito dai suoi inseguitori alla spalla e al braccio destro. Raggiunta a fatica la vicina frazione di Sant'Andrat dello Judrio in comune di Corno di Rosazzo, si fa medicare presso la locale farmacia di Quattroventi. Da qui prosegue a piedi verso il vicino paese di Dolegnano, ove ottiene ospitalità da una famiglia locale. Nell'abitazione arrivano due partigiani del luogo, probabilmente allertati dalla farmacista, che lo conducono in un'altra casa, nella quale fa irruzione il partigiano Mario Tulissi che, dopo aver preso ordini, preleva il ferito con la scusa di condurlo al vicino ospedale di Cormons per garantirgli le cure del caso. Pare che alla vista di Mario Tulissi, Guidalberto Pasolini abbia detto: "adesso sono perduto". "Ermes" viene quindi consegnato ai due gappisti, dai quali era riuscito a sfuggire la mattina, che lo conducono, quasi esanime, sul luogo che era destinato alla sua esecuzione e lo finiscono con un colpo di piccone. I suoi resti sono riesumati a guerra finita tra il 10 e il 20 giugno 1945 assieme a quelli delle altre vittime dell'eccidio. Dopo il solenne funerale celebrato a Cividale il 21 giugno 1945, i resti di Pasolini vengono traslati a Casarsa, ove tuttora riposa in una tomba vicino l'ingresso del cimitero che l'amministrazione locale ha riservato ai suoi Caduti per la Libertà (nello stesso cimitero riposa il fratello Pier Paolo).
21 giugno 1945: funerale di Guido Pasolini a Casarsa. Segue il feretro - in vestito chiaro - il fratello Pier Paolo
|
Il 21 giugno 1945, il corpo di Guido Pasolini - riesumato in località Bosco Romagno - viene portato a Casarsa, e lì tumulato: per l'occasione Pier Paolo compone un elogio funebre, nel quale fra l'altro afferma:
«Quanto sia il dolore di mia madre, mio, e di tutti questi fratelli e madri e parenti non mi sento ora di esprimere. Certo è una realtà troppo grande, questa di saperli morti, per essere contenuta nei nostri cuori di uomini. (...) Io per mio fratello posso dire che è stata la sorte del suo corpo entusiasta che l’ha ucciso e che egli non poteva sopravvivere al suo entusiasmo. Ora, gli ideali per cui è morto, il suo dolcissimo tricolore, lo hanno rapito in un silenzio che non è ormai più nostro. E con lui tutti i suoi eroici compagni. E solo noi, loro parenti, possiamo piangerli pur non negando che ne siamo orgogliosi, pur restando convinti che senza il loro martirio non si sarebbe trovata la forza sufficiente a reagire contro la bassezza, e la crudeltà e l’egoismo, in nome di quegli ideali per cui essi sono morti. (...) Ma noi alla società non chiediamo lacrime, chiediamo giustizia.»
(Pier Paolo Pasolini, 21 giugno 1945)
Pier Paolo Pasolini rievocò spesso, in seguito, la morte del fratello Guido, cui era legatissimo.
In una lettera del 21 agosto 1945 indirizzata all'amico poeta Luciano Serra, Pier Paolo così ricostruì la vicenda:
«Essendo stato richiesto a questi giovani, veramente eroici, di militare nelle file garibaldino-slave, essi si sono rifiutati dicendo di voler combattere per l'Italia e la libertà; non per Tito e il comunismo. Così sono stati ammazzati tutti, barbaramente.»
Lo stesso mese scriverà nel suo diario denominato "Stroligut" la seguente poesia per il fratello:
«La livertat, l'Itaia
e quissa diu cual distin disperat
a ti volevin
dopu tant vivut e patit
ta quistu silensiu
Cuant qe i traditours ta li Baitis
a bagnavin di sanc zenerous la neif,
"Sçampa - a ti an dita - no sta tornà lassù"
I ti podevis salvati,
ma tu
i no ti às lassat bessòi
i tu cumpains a murì.
"Sçampa, torna indavour"
I te podevis salvati
ma tu
i ti soso tornat lassù,
çaminant.
To mari, to pari, to fradi
lontans
cun dut il to passat e la to vita infinida,
in qel dì a no savevin
qe alc di pì grant di lour
al ti clamava
cu'l to cour innosent.»
«La libertà, l'Italia
e chissà Dio quale destino disperato
ti voleva
dopo aver vissuto e patito
in questo silenzio.
Quando i traditori nelle Baite
bagnavano di sangue generoso la neve,
"Scappa - ti hanno detto - non tornare lassù"
Ti potevi salvare,
ma tu
non hai lasciato soli
i tuoi compagni a morire
"Scappa torna indietro
Ti potevi salvare,
ma tu
sei tornato lassù,
camminando.
Tua madre, tuo padre, tuo fratello
lontano
con tutto il tuo passato e la tua vita infinita,
in quel giorno noi sapevamo
che qualcosa più grande di loro
ti chiamava
col tuo cuore innocente.»
Pier Paolo Pasolini, Corus in morte di Guido, 1945
La condanna dell'eccidio e dei suoi autori fu netta: in una lettera al direttore del Mattino del Popolo dell'8 febbraio 1948, il poeta invitò perentoriamente:
«I miei compagni comunisti farebbero bene, io credo, ad accettare la responsabilità, a prepararsi a scontare, dato che questo è l’unico modo per cancellare quella macchia rossa di sangue che è ben visibile sul rosso della loro bandiera.»
Pier Paolo Pasolini, 1948
Nella risposta ad un lettore della rivista Vie Nuove del 15 luglio 1961, Pasolini scrisse:
«Sulle montagne, tra il Friuli e la Jugoslavia, Guido combatté a lungo, valorosamente, per alcuni mesi: egli si era arruolato nella divisione Osoppo, che operava nella zona della Venezia Giulia insieme alla divisione Garibaldi. Furono giorni terribili: mia madre sentiva che Guido non sarebbe tornato più. Cento volte egli avrebbe potuto cadere combattendo contro i fascisti e i tedeschi: perché era un ragazzo di una generosità che non ammetteva nessuna debolezza, nessun compromesso. Invece era destinato a morire in un modo più tragico ancora.
Lei sa che la Venezia Giulia è al confine tra l’Italia e la Jugoslavia: così, in quel periodo, la Jugoslavia tendeva ad annettersi l’intero territorio e non soltanto quello che, in realtà, le spettava. È sorta una lotta di nazionalismi, insomma. Mio fratello, pur iscritto al Partito d’Azione, pur intimamente socialista (è certo che oggi sarebbe stato al mio fianco), non poteva accettare che un territorio italiano, com’è il Friuli, potesse esser mira del nazionalismo jugoslavo. Si oppose, e lottò.
Negli ultimi mesi, nei monti della Venezia Giulia la situazione era disperata, perché ognuno era tra due fuochi. Come lei sa, la Resistenza jugoslava, ancor più che quella italiana, era comunista: sicché Guido, venne a trovarsi come nemici gli uomini di Tito, tra i quali c’erano anche degli italiani, naturalmente le cui idee politiche egli in quel momento sostanzialmente condivideva, ma di cui non poteva condividere la politica immediata, nazionalistica.
Egli morì in un modo che non mi regge il cuore di raccontare: avrebbe potuto anche salvarsi, quel giorno: è morto per correre in aiuto del suo comandante e dei suoi compagni. Credo che non ci sia nessun comunista che possa disapprovare l’operato del partigiano Guido Pasolini. Io sono orgoglioso di lui, ed è il ricordo di lui, della sua generosità, della sua passione, che mi obbliga a seguire la strada che seguo. Che la sua morte sia avvenuta così, in una situazione complessa e apparentemente difficile da giudicare, non mi dà nessuna esitazione. Mi conferma soltanto nella convinzione che nulla è semplice, nulla avviene senza complicazioni e sofferenze: e che quello che conta soprattutto è la lucidità critica che distrugge le parole e le convenzioni, e va a fondo nelle cose, dentro la loro segreta e inalienabile verità».
Presso l'archivio del seminario vescovile di Udine venne infine ritrovata una poesia inedita dedicata a Guido dal fratello Pier Paolo, probabilmente composta nell'immediatezza della notizia della sua morte:
«[...] No, Guido, non salire!
Non ricordi più il tuo nome?
Ermes, ritorna indietro,
davanti c'è Porzus contro il cielo
ma voltati, e alle tue spalle
vedrai la pianura tiepida di luci
tua madre lieta, i tuoi libri.
Ah Ermes non salire,
spezza i passi che ti portano in alto,
a Musi è la via del ritorno,
a Porzus non c'è che azzurro. [...] »
Pier Paolo Pasolini, 1945 (?)
Pier Paolo Pasolini scrisse durante la guerra un dramma teatrale in lingua friulana, "I turcs tal Friul", recuperato postumo nel 1976 da Luigi Ciceri, amico di Pier Paolo Pasolini. In tale dramma viene rievocata l'invasione dei Turchi in Friuli del 1499; essi sfiorarono il paese di Casarsa della Delizia. Nel dramma uno dei due fratelli, Meni, combatte duramente i Turchi e perde la vita salvando il paese, mentre l'altro, Pauli, rimane a casa a lavorare e pregare salvandosi.
Tratto dalla Pagine Corsare di Angela Molteni