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Biografia, lavori in corso - a breve anche il 1974 e il 1975

martedì 19 agosto 2014

TEOREMA - Pier Paolo Pasolini (Theorem)

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro




TEOREMA - Pier Paolo Pasolini (Theorem)
 
 

TEOREMA

Regia - Pier Paolo Pasolini
Soggetto - Pier Paolo Pasolini
Sceneggiatura - Pier Paolo Pasolini
Fotografia - Giuseppe Ruzzolini
Montaggio - Nino Baragli
Musiche - Ennio Morricone
Scenografia - Luciano Puccini
Paese di produzione - Italia
Anno - 1968
Durata - 98 minuti
Colore - Colore
Audio - Sonoro
Genere - Drammatico

Interpreti e personaggi

Terence Stamp: l'ospite
Massimo Girotti: Paolo
Silvana Mangano: Lucia
Anne Wiazemsky: Odetta
Laura Betti: Emilia, la serva
Adele Cambria: l'altra serva
Andrès José Cruz Soublette: Pietro
Ninetto Davoli: Angelino
Carlo De Mejo: un ragazzo
Cesare Garboli: l'intervistatore del prologo
Alfonso Gatto: il medico
Susanna Pasolini: la vecchia contadina
Luigi Barbini: ragazzo della stazione

Doppiatori italiani

Pino Colizzi: l'ospite
Rodolfo Traversa: Pietro

Premi

Mostra del cinema di Venezia: miglior interpretazione femminile (Laura Betti)

Navicella d'oro, premio OCIC

Teorema è un film del 1968, scritto e diretto da Pier Paolo Pasolini, prodotto da Franco Rossellini e Manolo Bolognini. Il film è la trasposizione cinematografica dell'omonimo romanzo.

Uno strano ragazzo, molto attraente ed affascinante è ospite per qualche giorno di una famiglia borghese, e fa innamorare di sè tutti i componenti della famiglia: la madre, il padre, i due figli adolescenti e la governante...



PREMESSA

Teorema è un film che, nella sua disarmata e feroce provocazione, verrà attaccato con violenza da ogni parte: dallo Stato, che lo porrà sotto sequestro intentando nei confronti di Pasolini un processo per oscenità; dai benpensanti e dalle destre, accomunati dal disgusto per I'uso spregiudicato e "perverso" della sessualità; dalla critica della sinistra "militante", da cui sarà accusato di "misticismo", "reazionarietà" e "religiosità"; e infine anche dal mondo cattolico, che dopo aver conferito al film a Venezia il premio dell'OCIC (Office Catholique International du Cinéma), ha successivamente preso le distanze dalle dichiarazioni dell'autore, soprattutto riguardo all'associazione tra sessualità e senso del sacro.
Teorema è insomma il film che più di ogni altro traccia con definitiva nettezza la posizione di progressivo, totale isolamento intellettuale di Pasolini, che sarà trasformato di lì a poco in una specie di "mostro del dissenso" da esorcizzare "facendolo parlare".
Dell'importanza cruciale che I'autore attribuiva al "teorema" che è alla base del film, è segno il fatto che egli abbia esitato a lungo sulla forma attraverso cui esprimerlo: nato come una tragedia in versi, Teorema si sviluppa poi come abbozzo letterario composito, a cavallo tra la versificazione e il racconto-inchiesta per frammenti, per assumere infine autonomia dall'opera letteraria in quanto traccia cinematografica, traccia nella quale Pasolini approfondisce ed estremizza la ricerca formale già intrapresa con Edipo re quella della rinuncia progressiva all'espressione verbale, e alla preponderanza dell'immagine silenziosa, piena, liberata dal vincolo didascalico borghese.

Il teorema in questione ha per argomento I'irredimibilità della borghesia, che è destinata a soccombere proprio attraverso il suo strumento di dominio: la razionalità illuministica. Ultimo tentativo di perpetuare il suo pericolante dominio per la borghesia non può essere che la trasformazione dell'intera società, e in primo luogo delle classi subalterne, in un unica, omologante Cultura Borghese. Per far questo deve compiere l'ultimo passo, il più arduo: riuscire a rendere borghese il sentimento rivoluzionario antiborghese. A partire da questa condizione, la lettera del teorema è questa: se I'individuo borghese è posto a contatto con quanto la sua società ha esorcizzato con i propri strumenti di dominio, cioè col "sacro" in quanto zona superindividuale del tutto estranea alla Ragione Dominante, ammesso che l'individuo borghese prenda coscienza dell'esistenza dell'Altro, mettendo in discussione in tal modo la propria identità, non può che confrontarsi col proprio vuoto, con la propria impotenza, con la propria morte, vagando nel deserto della propria spiritualità reificata dalla ragione.

Vediamone ora lo svolgimento. Prima dei titoli di testa assistiamo ad un'intervista televisiva (l'intervistatore è Cesare Garboli) fatta a degli operai a cui il padrone ha deciso di donare la fabbrica (solo alla fine del film capiremo che quel padrone è uno dei protagonisti della vicenda). Dopo aver dichiarato la propria sfiducia nei confronti di questo gesto, gli operai non sanno o non vogliono rispondere alla domanda:
"Un borghese, anche se dona la sua fabbrica, in qualsiasi modo agisce, sbaglia?".
La risposta è nella dimostrazione, per absurdum, del "teorema" dell'irredimibilità della borghesia: poniamo che il borghese si muova finalmente con tutte le sue forze verso una presa di coscienza e un superamento delle sue certezze: che cosa può accadere?
Scorrono i titoli di testa. Il film ha inizio.


TRAMA

Siamo a Milano, nella primavera del '68. Un postino dal significativo nome di Angelo (interpretato da Ninetto Davoli) porta un telegramma nella villa di un industriale, in cui si annuncia la visita imminente di un Ospite inatteso. L'Ospite (Terence Stamp) giunge il giorno successivo. È un ragazzo senza particolari qualità, forse uno studente in ingegneria, schivo, riservato, assorto in se stesso, che rimane intatto dagli schemi e dalle convenzioni che vigono nella famiglia, e passa la maggior parte del suo tempo a leggere I'opera omnia di Rimbaud.
Questa sua angelicità, cioè la sua naturalezza ed estraneità a tutto ciò che lo circonda, attrae irresistibilmente, uno ad uno, rutti i membri della famiglia: a cominciare dalla serva Emilia (Laura Betti), che, letteralmente folgorata dalla sua presenza, nel timore di non poterlo avere, corre a suicidarsi in casa, ma viene salvata e amata dall'Ospite. Poi è la volta di Pietro (Andrès Jose Cruz Soublette), studente con inclinazioni artistiche, coetaneo del giovane Ospite, che prenderà coscienza della sua diversità sessuale; quindi di Lucia (Silvana Mangano), moglie e madre di famiglia perbene, fino ad allora trincerata nel cattolico principio di fedeltà coniugale; poi è la volta di Odetta (Anne Wiazemsky), studentessa introversa e adoratrice della famiglia e dell'autorità paterna; in ultimo, la stessa irrefrenabile smania di condivisione sessuale ghermisce il Padre (Massimo Girotti), I'uomo borghese per eccellenza, padrone dei propri mezzi di produzione (è un industriale) e pater-familias.
Tutti hanno rapporti sessuali con I'Ospite, che, come I'Adorabile descritto da Rimbaud per bocca dell'Ospite stesso "E' venuto, se ne è andato, e forse non tornerà mai più".
L'Ospite, infatti, così come era giunto, senza alcun motivo, viene richiamato da un telegramma (portato in casa sempre dallo stesso postino-angelo), e parte il giorno successivo.
Tutti i membri della famiglia, ormai rivelatisi a se stessi, cercano di ovviare l'assenza del loro oggetto d'amore percorrendo fino in fondo la strada che, nella loro visione individualistica, porta verso il raggiungimento dell'Altro, Altro di cui l'Ospite era Portatore.
Emilia, l'unica a legare questa presenza alla sacralità (chiede perdono a Dio per aver fatto l'amore con I'Ospite), prende la strada dell'ascesi: gradualmente si distacca dalla famiglia in cui lavora, torna nel borgo rurale da cui proviene, siede accanto ad un muro e si ciba solo di ortiche, aspettando il ritorno dell'Ospite, compiendo il sacrificio di sè perché si compia questo ritorno.
I veri e propri membri della famiglia borghese, invece, percorrono la strada opposta, cercando il senso della propria individualità, invece di sacrificarla: Odelia si chiude in una paralisi isterica, recidendo i rapporti con il mondo, facendosi autisticamente essa stessa mondo di sè, e finisce in un manicomio; Pietro cerca la sua liberazione tramite il gesto artistico, attraverso la pittura, vivendo lo strazio e I'impotenza della gratuità sociale, della perdita del senso delle proprie azioni, nella coscienza che un artista, un creatore, è qualcuno che "non vale niente, che è un essere inferiore, un verme che si contorce e striscia per sopravvivere" ma continua a vivere e a dipingere, incolpando il mondo del deserto in cui si trova; Lucia, donna rigorosamente monogama fino all'arrivo dell'Ospite, percorre la strada della gratuità sessuale, del non senso delle relazioni affettive: prende a vivere una sequela di rapporti occasionali con giovani coetanei dell'Ospite, cercando di rinnovare individualmente, senza uscire da se stessa, dalle proprie forze e determinazioni, il miracolo della naturalezza sessuale che aveva vissuto; ma invano, e perm€ata da una tristezza profonda.
A parte Emilia, dunque, tutti gli altri hanno sostituito il mondo che hanno abbandonato dopo la venuta dell'Ospite con il dilagare della propria individualità, facendosi mondo essi stessi, senza affatto rinunciare alla propria identità, ma anzi eliminando tutto il resto; solo il Padre, la cui "illuminazione" richiama, attraverso la citazione dell'autore, quella del tolstoiano Ivan Iljic, che a partire da un incidente apparentemente insignificante vive il senso della propria morte, percorre fino in fondo la strada della perdita della propria identità: sarà infatti lui a raggiungere quel deserto di cui, di tanto in tanto, nel film si vedono inquietanti immagini tra una scena e I'altra.
Come un nuovo Francesco d'Assisi, nella Stazione Centrale di Milano egli si spoglia completamente nudo, si districa dalla folla-società, dopodiché lo vediamo percorrere il deserto disperato, senza una direzione, barcollante: ha rinunciato alla sua identità, ma, come egli stesso ha detto, questa è per lui la morte civile, la nullificazione di sè.
A lui si contrappone, con un montaggio alternato, la vicenda di Emilia: essa percorre altrettanto fino in fondo la strada della perdita di sè, ma non avendo un'identità borghese da salvaguardare, il suo gesto sfocia in donazione totale di se stessa al mondo: dopo un'estasi che I'ha portata a sollevarsi sui tetti delle case, liberata dalla costrizione del sè, Emilia fa dono delle sue lacrime: si fa sotterrare viva, e rimette alla terra, rimbuadianamente intesa come carne e fonte della vita, le sue lacrime di amore e sofferenza, avendo rinunciato finanche all'idea del ritorno dell'Ospite: è diventata lei stessa l'Ospite, ne ha incarnato il distacco dal mondo delle concretezze.
Accompagnato dalle note strazianti del Requiem mozartiano, l'uomo vaga nel deserto, e, messosi di fronte alla propria nudità, si scioglie in un urlo di impotenza, un urlo ferino, l'urlo della consapevolezza di non essere, I'urlo del nulla.

COMMENTO

La grandezza, e la forza di Teorema, più che di ogni altro film pasoliniano, che gli hanno guadagnato l'incomprensione pressoché totale (salvo alcune entusiastiche ma altrettanto faziose crociate in favore) degli effettivi destinatari intellettuali dell'opera, consistono nell'aver creato una struttura irriducibile ai parametri di giudizio di tutte la forze esistenti, borghesi o antiborghesi che siano, di aver espresso un'utopia negativa, non la proposizione di un ennesimo modello razionale della società dei consumi, magari un po' più socialistico, ma una possibilità di rifondazione del modo di vedere, di conoscere, di convivere.
A suscitare la maggior parte delle polemiche è proprio il discorso su cui si struttura la visione palingenetica della rivoluzione per Pasolini: il senso del sacro.
Soprattutto per la critica militante, il grande livello di ambiguità, contraddittorietà, dialetticità sollevato dall'aver connesso uno dei cardini del "movimento" politico, la liberazione sessuale, ad uno dei cardini millenari delle chiese secolari, il senso del sacro, diventava il segno tangibile di un'abdicazione decadente e reazionaria rispetto all'immagine, già intaccata, di un Pasolini "intellettuale marxista".
La definitiva condanna della borghesia coincide così paradossalmente con la definitiva condanna delle forze ad essa antagoniste: negare l'identità dell'una corrisponde, infatti, a negare I'identità (è il ruolo storico) delle altre. La frizione tra Pasolini e il Movimento, dunque, perviene con Teorema (coevo alla celebre poesia Il PCI agli studenti! sugli scontri di Valle Giulia in cui dichiarava che i veri proletari erano i poliziotti, e non gli studenti borghesi) al massimo della violenza.

Eppure, lo sforzo espressivo di Pasolini è tutt'altro che irrazionalista, tutt'altro che reazionario e mistico: infatti, va a toccare le basi concettuali di una cultura che del proprio mezzo la ragione illuministica, aveva fatto la gabbia in cui imbalsamare definitivamente, con tutto il carico di ingiustizia presente, la società nei suoi schemi irremovibili, nei suoi antagonismi tutti interni ad essa. Una società che si vuole sicura e stabile nel suo "illuminismo" democratico, in cui la rivoluzione stessa (politica, morale, artistica) diventa lo sbocco naturale della noia esistenziale profonda della classe dominante, e non la necessità dell'affermazione di qualcosa di differente, di altro, di ciò che è escluso dalla dialettica servo-padrone (inattaccata) su cui tale società si fonda.
Ma quanto più la borghesia cerca di trarsi fuori dal proprio disfacimento, e tanto più dunque percorre fino in fondo la strada velleitaria dell'allontanamento da se stessa verso I'Altro, tirandosi su per il proprio codino come il barone di Münchausen, cercando in se stessa I'impeto rivoluzionario (che trova la sua più compiuta espressione nella "maniera" barricadiera dei figli dei borghesi), in modo tale da rilegittimarsi dopo una "palingenesi" delle sue forme, tanto più essa è destinata a vagare nel deserto stesso della sua reificata spiritualità, spazio vuoto, privato di ogni consistenza, in cui I'unica espressione consentita è informe, bestiale, disperata: un grido d'impotenza.


Ora, analizziamo il tanto contestato senso del "sacro", di cui Pasolini scorge la nascita nella incapacità borghese di "vedere nella natura la naturalezza", e che rappresenta (al contrario di quanto sostenevano i suoi detrattori) "la parte dell'uomo che resiste meno alla profanazione del potere, che è la più minacciata dalle istituzioni delle Chiese.
Nel film, il giovane Ospite è il portatore del sacro. I membri della famiglia cadono uno ad uno in balia dell'Ospite, della sua estraneità ai valori su cui si struttura la loro vita, anche se egli non fa assolutamente nulla perché questo accada. Ciò che lo fa accadere, e che distrugge ogni possibilità per i membri della famiglia di rapportarsi con i propri cliché alla sua presenza è la totale assenza, in questo Ospite, di quel retaggio morale e razionale della società, per cui ordine, possesso e benessere garantiscono un'identità ai suoi membri.
Questa presenza dunque, determina, senza alcuna velleità rivoluzionaria dichiarata dal pulpito della Ragione, ma col suo semplice esserne al di fuori, l'impossibilità che i membri della famiglia possano rapportarsi a lui continuando a mantenere la loro identità. E rapportarsi a questa presenza diventa a poco a poco per i membri della famiglia borghese un'esigenza irrefrenabile, in primo luogo perché è nello spirito borghese fagocitare, con la conoscenza, ogni cosa che gli è estranea, e quindi omologarla a sè, in secondo luogo perché nulla di ciò che non si spiega può lasciare tranquilla la coscienza razionale borghese.
In tal modo si compie, per i membri della famiglia-società borghese, con une inesorabilità determinata dal loro strutturale bisogno di certezza che li porta ad affrontare come individui e nell'ottica individualista questa presenza "estranea", la demistificazione della seconda natura, dell'identità individuale fornita dal vincolo sociale.
Questo vincolo è fondato sui princìpi di "rispetto democratico delle istituzioni" (ordine), "proprietà" intesa come diritto esclusivo al beneficio di qualcosa, concetto che penetra all'interno delle interrelazioni sociali anche come possesso reciproco delle persone che si amano (concetto di famiglia), e "benessere" come conservazione dell'esistente, produttività crescente, affrancamento progressivo dall'obbligo del lavoro manuale.
II mezzo con cui l'Ospite giunge a distruggere i principi della società-famiglia è l'atto sessuale. Il sesso, nell'ottica della Ragione Borghese, in quanto esperienza fondante della vita che non si può controllare in base all'aderenza ai principi solidi, è per l'individuo il massimo atto di "donazione di sè", e di conseguenza, è I'atto che innesca il definitivo diritto di reciproco possesso esclusivo degli amanti.
Nell'ottica dell'Ospite, però, il sesso non è "usato" intenzionalmente, e di per sè non è dunque né un atto sacrale di redenzione, né un'atto a suo modo "rivoluzionario', ma qualcosa di vissuto in maniera del tutto naturale, in qualsiasi forma si manifesti. Il sesso, dunque, non è sacro nel senso religioso del termine (o non soltanto): esso è semplicemente al di fuori dei canoni di ordine, possesso e benessere sociale, e diventa "sacro" nel senso abusato del termine solo nel tormentato senso di colpa con cui lo vivono tutti i membri della famiglia.
Dunque, l'Ospite di per sè non è né Dio (anche se, come sostiene Pasolini, svolge la funzione divina di Angelo Sterminatore della borghesia), né l'incarnazione del sesso; esso non si "contrappone" alla logica inesorabile dei personaggi, ma semplicemente la ignora, distruggendone in tal modo Ia condizione vincolante.
Tutto il dramma si consuma in questo modo nell'identità della Ragione Individualistica Borghese, e non tocca né le intenzioni, né le azioni dell'Ospite. Il significato di questa presenza altra non è importante di per sè, per le sue connotazioni tracciabili da un orizzonte razionale-borghese: e ridurlo, come alcuni hanno fatto, alla presenza di un Dio o della pura e liberatoria istintività sessuale, non aiuta a spiegare, se non nei termini borghesi che Teorema intende distruggere, il complesso atto di accusa, eminentemente politico, lanciato nei confronti della società dall'autore.
L'irresistibilità dell'Ospite portatore del sacro non sta infatti nella indominabilità degli elementi che esso mette in gioco (infrazione dei tabù sessuali, amore senza possesso, ecc.), ma nella irriducibilità di tali elementi alla logica razionale su cui la borghesia ha edificato il proprio teorema di autoperpetuazione. L'Ospite nella villa della famiglia borghese non ha qualità superumane, ma è appunto la sua alterità "senza qualità" a distruggere, senza far uso di male e di violenza, ma anzi con il bene e l'amore, I'apparato razionale dell'identità di ognuno dei membri della famiglia.
E in questo consiste, per Pasolini, l'unica possibilità della rivoluzione: nello scardinamento della logica che conserva la società dello sfruttamento, non attraverso le ragioni di un'utopia da essa stessa elaborata, quindi un'utopia ancora una volta "borghese" (come quella del "movimento"), ma attraverso ciò che ad essa è del tutto estraneo, e che, a rigore, non possiede quella struttura concettuale tautologica che la condanna ad essere o indefettibilmente se stessa o il nulla (e che, per converso, condanna ogni uomo ad essere il suo ruolo sociale-identità personale o a vagare nel deserto, nell'informe, nell'inesprimibilità, in una condizione di morte, di impotenza o di follia).
Un tale concetto di rivoluzione, che include I'idea di una estraneità necessaria, di un'utopia innegabile, e che ha per condizione un diverso senso del mondo e dell'umanità è un concetto più filosofico che pragmatico, più inerente alla riflessione che al comizio: dunque non poteva che guadagnare a Pasolini, nel pieno del periodo "contestatario", gli epiteti di "cattolico delirante", "reazionario", "rivoluzionario da salotto", da parte dei difensori della inattaccabilità della ragione illuministica: tanto coloro che la difendevano dall'alto delle istituzioni, quanto coloro che propugnavano proprio quel tentativo di rivoluzione borghese contro cui il Teorema pasoliniano si scaglia.


Le vicende giudiziarie di Teorema si intrecciano a quelle della contestazione dell'ANAC (Associazione nazionale autori cinematografici) nei confronti della direzione della Mostra del Film di Venezia, contro i vieti meccanismi di competizione, i criteri di giudizio e di selezione dei film come previsti dallo statuto della Biennale, stilato in epoca fascista (statuto che, naturalmente, è rimasto intatto), e la riduzione del Festival ad un costosissimo appuntamento mondano (questione solo di recente fatta oggetto di indagini giudiziarie), a detrimento del livello culturale della manifestazione. A causa delle proteste e delle minacce di alcuni autori di ritirare i propri film dal concorso, l'inaugurazione del Festival viene fatta slittare, e la Sala Volpi è temporaneamente utilizzata come luogo assembleare dei contestatari. Ma il 26 agosto, dopo aver intimato un "ultimatum", la polizia attua lo sgombero dei cineasti rimasti in assemblea. Tra questi, Francesco Maselli, Cesare Zavattini e Pasolini, i quali, trasportati fuori dalla sala con la forza, rischiano il linciaggio da parte di una folla di facinorosi fascisti.
Ma nonostante l'opposizione dell'autore, per decisione del produttore Franco Rossellini, Teorema partecipa comunque al concorso, e spacca la giuria, rischiando anche di vedersi attribuito il Leone d'oro.
Intanto Pasolini, con un gesto clamoroso restituisce il premio all'OClC, il cui comitato esecutivo aveva preso le distanze dalla decisione veneziana dopo una protesta uffìciale della Chiesa giunta dalle colonne dell'Osservatore romano.
Qualche giorno dopo l'uscita di Teorema nelle sale, ha luogo il sequestro del film, ed ha inizio il processo per oscenità presso la Procura della Repubblica di Roma, nel quale il regista rischia di vedere distrutte tutte le copie di Teorema. Il sequestro del film, tra una fase e I'altra del processo, dura fino alla fine dell'anno, quando viene rimesso in circolazione con il solito divieto ai minori, ma gli strascichi giudiziari, tra corsi e ricorsi processuali, giungeranno fin quasi al 1970.

  
 
Fonte:
 
 


@Eretico e Corsaro - Le Pagine Corsare

Curatore, Bruno Esposito

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