"Le pagine corsare "
dedicate a Pier Paolo Pasolini
Eretico e Corsaro
La meglio gioventù - La nuova gioventù
commento di Angela Molteni
Vol. I Poesie a Casarsa 1941-1943
I. Poesie a Casarsa
I. CasarsaII. Alelujia
III. La domenica uliva
II. Suite furlana 1944-1949
I. Linguaggio dei fanciulli di sera
II. Danze
III. Lieder
Appendice 1950-1953
Vol. II Romancero 1947-1953
I. Il testament Coràn 1947-1952
II. Romancero 1953
I. I colus
II. Il Vecchio Testamento
Nota
La meglio gioventù 1941-1953
Seconda forma de
“La meglio gioventù” 1974
1. - Poesie a Casarsa
I. Casarsa
II. Alelujia
III. La domenica uliva
2. - Suite furlana 1944-1949
I. Linguaggio dei fanciulli di sera
II. Danze
Tetro entusiasmo 1973-1974
(Poesie italo-friulane)
Nota 1974
Poesie a Casarsa 1942
(A mio padre)
I. Poesie a Casarsa
II. La domenica uliva
Dov’è la mia patria 1949
Edizioni dell’Academiuta de Lenga Furlana, Casarsa
con 13 disegni di Giuseppe Zigaina
Tal còur di un frut
(Nel cuore di un fanciullo)
I. Ciasarsa
II. Tal còur di un frut
III. Suite furlana
IV. Chan plor
Poesie dimenticate
La Julia 1943
A Versuta 1943-1945
Lieder 1949
Il Gloria 1950-1953
Poesie disperse I (solo in parte in friulano)
Poesie disperse II (solo in parte in friulano)
Poesie inedite
Da Poesie furlane 1946-1947
Ciasarsa
“Non è soltanto una eccezionale intelligenza ma un poeta, con un fulmineo senso della costruzione e del particolare, dell’intonazione e delle risorse metriche. A differenza di quasi tutta la poesia del Novecento e dell’Avanguardia italiana, ha rifuggito dalla purezza, omogeneità e assolutezza: ha accettato il trucco, la maschera, la circonlocuzione, la contaminazione di stili tecniche linguaggi, ha perseguito l’autenticità attraverso il suo opposto.” Così si esprime a proposito di Pasolini un altro grande poeta del Novecento, Franco Fortini.
Pasolini iniziò la propria esperienza poetica nei primi anni Quaranta, scrivendo versi nel dialetto friulano di Casarsa. Trascorsa l’infanzia a Casarsa, il paese originario della madre, si trasferì a Cremona dopo aver iniziato il ginnasio a Conegliano; subito dopo andò a vivere a Scandiano, vicino a Reggio Emilia; dal 1936 terminò il liceo a Bologna, e in questa città si iscrisse poi all’Università. Con la guerra e i bombardamenti delle città italiane, nell’inverno 1942-43, Susanna Pasolini decise di sfollare con i due figli, Pier Paolo e Guido, a Casarsa, suo paese di origine in Friuli.
Di questa “patria friulana” Pier Paolo Pasolini dirà, scrivendo a un amico: “Ogni immagine di questa terra, ogni volto umano, ogni battere di campane, mi viene gettato contro il cuore ferendomi con un dolore quasi fisico. Non ho un momento di calma, perché vivo sempre gettato nel futuro: se bevo un bicchiere di vino, e rido forte con gli amici, mi vedo bere, e mi sento gridare, con disperazione immensa e accorata, con un rimpianto prematuro di quanto faccio e godo, una coscienza continuamente viva e dolorosa del tempo”.
In quei luoghi, nei quali ogni gesto che fanno coloro che sono intorno a lui è una fitta al cuore (“chiede una collocazione nuova nella mia immagine del mondo”), Pasolini scrive quello che sarà il suo primo libro pubblicato, Poesie a Casarsa. Il volume è del 1942 e l’editore è la Libreria antiquaria Mario Landi di Bologna. Gianfranco Contini, insegnante di filologia romanza a Friburgo - che ricevette il libro dal libraio Landi, suo amico - comunicò a Pasolini che le poesie gli erano piaciute e ne avrebbe fatto una recensione (“Ho saltato e ballato per i portici di Bologna”, dirà a sua volta il poeta). La recensione avrebbe dovuto uscire su “Primato”, una pubblicazione dell’epoca, ma il periodico, trattandosi di un commento a una raccolta di poesie dialettali, la censurò: apparve invece sul “Corriere di Lugano” del 24 aprile 1943. Diceva, tra l’altro: “L’odore era quello irrefutabile della poesia, in una specie inconsueta, per di più in una di quelle non so se dire quasi-lingue o lingue minori che era mia passione e professione frequentare […] Basti senz’altro raffigurarsi innanzi il suo mondo poetico, per rendersi conto dello scandalo ch’esso introduce negli annali della letteratura dialettale”.
Lo “scandalo” era la trasgressione costituita dall’uso di un dialetto, in un paese a regime fascista che osteggiava l’uso delle “lingue barbare”: “Il fascismo, con mia grande sorpresa, non ammetteva che in Italia ci fossero dei particolarismi locali e degli idiomi di ostinati imbelli […] Ormai l’antifascismo cessava di essere puramente culturale: sì, poiché il Male lo sperimentavo nel mio caso”, commentò Pasolini. Nelle Poesie a Casarsa, inoltre, vi era lo “scandalo”, anche se molto delicato, discreto e nascosto, di un sottile filo omoerotico che attraversava quelle composizioni.
Dili
Ti jos, Dili, ta li cassis
a plòuf. I cians si scunìssin
pal plan verdùt.
Ti jos, tai nustris cuàrps,
la fres-cia rosada
dal timp pirdùt.
DILIO. Vedi, Dilio, sulle acacie piove. I cani si sfiatano per il piano verdino.
Vedi, fanciullo, sui nostri corpi la fresca riguada del tempo perduto.
(da Poesie a Casarsa)
A Rosari
Tu la ciera la ciar a pesa
tal sèil a ven di lus.
No sta sbassà i vuj, puòr zòvin,
se tal grin l’ombrena a è greva.
Rit, tu, zòvin lizèir,
sintìnt in tal to cuàrp
la ciera cialda e scura
e il fresc, clar sèil.
In miès da la puora Glisia
al è pens di peciàt il to scur
ma ta la to lus lizera
al rit il distìn di un pur.
A ROSARIO. Nella terra la carne è greve, nel cielo si fa di luce. Non abbassare gli occhi, povero giovane, se nel grembo l’ombra pesa.
Ridi tu, giovane leggero, sentendo nel tuo corpo la terra calda e scura e il fresco, chiaro cielo.
In mezzo alla povera chiesa è pieno di peccato il tuo buio, ma nella tua luce leggera ride il destino di un puro.
(da Suite furlana)
Poesie a Casarsa (1941-1943) sarà poi ripubblicato, più avanti, in seconda stesura, insieme a una Suite furlana (1944-1949), a un’Appendice del 1950-1953, e a Il testament Coran, del 1947-1952 (poesie ispirate agli eventi partigiani). Delle traduzioni italiane che appaiono sempre dopo il testo in friulano, Pasolini dirà che egli stesso le ha stese con cura “e quasi, idealmente, contemporaneamente al friulano, pensando che piuttosto che non essere letto fosse preferibile essere letto soltanto in esse”. Il titolo di questa seconda raccolta è La meglio gioventù; riecheggia un triste canto degli alpini della prima guerra mondiale (la megio zoventù la va soto tera). Il volume sarà dedicato proprio a suo primo recensore, Gianfranco Contini.
Dansa di Narcìs
Jo i soj neri di amòur
né frut né rosignòul
dut intèir coma un flòur
i brami sensa sen.
Soj levat ienfra li violis
intant ch’a sclariva,
ciantànt un ciant dismintiàt
ta la not vualiva.
Mi soj dit: «Narcìs!»
e un spirt cu’l me vis
al scuriva la erba
cu’l clar dai so ris.
DANZA DI NARCISO. Io sono nero di amore, né fanciullo né usignolo, tutto intero come un fiore, desidero senza desiderio.
Mi sono alzato tra le viole, mentre albeggiava, cantando un canto dimenticato nella notte uguale. Mi sono detto: «Narciso!», e uno spirito col mio viso oscurava l’erba al chiarore dei suoi ricci.
(da Suite furlana, II Danze)
Il “viaggio al cuore della lingua materna” nasce da un’attenzione del poeta ai particolari anche minuti della vita quotidiana, alla creatività che egli sa cogliere nelle parole dei contadini, al loro “attenersi alle regole d’onore della lingua […] senza temere di variarla con personali e azzardate invenzioni”.
“La madre di Stefano stava appoggiata alla sponda del letto, interloquendo con grazia e vivacità, assistita dal tepore dei suoi occhi neri e dall’inconscio vezzo di ripiegare il capo con un gesto di bambina imbarazzata ma non timida, e, nel parlare, si copriva la bocca con la mano gonfia (altra fonte di commozione), certo per tener nascosti almeno in parte i suoi errori di alloglotta, certi mi dolcemente veneti al posto del friulano jo, certi dolci th che, sostituendo l’s sonora, davano alle parole non so che intonazione fanciullesca.”
Pasolini estende agevolmente le proprie osservazioni all’intero Friuli, poiché “era possibile in dieci minuti di bicicletta passare da un’area linguistica a un’altra più arcaica di cinquant’anni, o un secolo, o anche due secoli”. E le sue poesie nascono come frutto di “immediata gioia espressiva” secondo una definizione di Enzo Siciliano (Pasolini, una vita). Lo dichiara Pasolini, parlando di se stesso in terza persona: “in questa gioia immediata, che egli cercava di sagra in sagra, di gioventù in gioventù, persisteva però sempre un fondo di angoscia, una tetra sensazione, di non poter mai giungere al centro di quella vita che, così accorante e invidiabile, si svolgeva nel cuore di quei paesi”.
Lùnis
I.
Timp furlan! Na scussa umida
di sanbùc, na stela
nassuda nenfra il fun
dai fogolàrs, na sera
pluvisina - un pulvìn di fen.
tai ciavièj o in tal sen
di un frut ch’al ven
sudàt da la ciampagna
ta la sera rovana.
[…]
LUNEDÌ. I. Tempo friulano! Una scorza umida di sambuco, una stella nata in mezzo al fumo dei focolari, in una sera piovigginosa – un pulviscolo di fieno nei capelli o nel petto di un ragazzo, che viene sudato dalla campagna nella sera infuocata. […]
(da La meglio gioventù)
Cansion
Lassàt in tal recuàrt
a fruvati, e in ta la lontanansa
a lusi, sensa dòul jo i mi inpensi
di te, sensa speransa.
(Al ven sempri pì sidìn e alt
il mar dai àins; e i to pras plens
di timp romai àrsit, i to puòrs vencs
ros di muarta padima, a son ta l’or
di chel mar: pierdùs, e no planzùs).
Lassàs là scunussùs
ta ciamps fores-c’ dopu che tant intòr
di lòur ài spasemàt
di amòur par capiju, par capì il puòr
lusìnt e pens so essi, a si àn sieràt
cun te i to òmis sot di un sèil nulàt.
[…]
CANZONE. Lasciato nella memoria a logorarti, e nella lontananza a splendere, io mi ricordo di te, senza pena, senza speranza. (Si fa sempre più silenzioso e alto il mare degli anni; e i tuoi prati pieni di tempo ormai arso, i tuoi poveri venchi rossi di un morto riposo, sono sull’orlo di quel mare: perduti e non pianti). Lasciati là sconosciuti, in campi stranieri dopo che tanto intorno ad essi ho spasimato di amore per capirli, per capire il povero, lucente e duro loro essere, si sono chiusi con te i tuoi uomini sotto un cielo annuvolato. […]
(da La meglio gioventù)
Franco Fortini fu molto impressionato dalle poesie di La meglio gioventù, pubblicate dalle Edizioni dell’Academiuta de Lenga Furlana, di Casarsa, nel 1949 e che conobbe in una successiva edizione Sansoni (1964). Fortini dice, in Attraverso Pasolini, di ricordare, in particolare El testament Coràn, una poesia in settantadue versi di particolare bellezza anche per la musicalità della lingua friulana
El testament Coràn narra di un ragazzo di sedici anni (la vicenda è del 1944), comunista, dal “cuore ruvido e disordinato”. Orfano, lavorava per una famiglia di vicini, e la notte andava a prendere rane con altri ragazzi e poi si fermava con loro nel boschetto a giocare a carte e a cantare. La domenica, con la stessa compagnia, andava “via in bicicletta per luoghi di un incanto senza prezzo”. Incontra una ragazzina, Neta, di tredici anni, e va con lei…: è la sua “prima volta”. Scappa “pieno di ardore” a raccontare agli amici la grande novità della sua vita: ma il paese è “deserto come un mare”, la casa dei vicini brucia, le luci sono tutte spente; nella piazza vede un morto, in una pozza di sangue rappreso. Quattro tedeschi lo prendono, lo caricano su un camion: dopo tre giorni lo impiccano “al gelso dell’osteria”. Il ragazzo dichiara di lasciare in eredità la propria immagine “nella coscienza dei ricchi” e il suo ultimo “evviva” è per il “coraggio, il dolore e l’innocenza dei poveri”. C’è nella bellissima poesia un coraggio e un eroismo che commuovono e che ispirano profondo dolore ma anche una sorta di luminosa speranza nel futuro.
El testament Coràn
In ta l’an dal quaranta quatro
fevi el gardòn dei Botèrs:
al era il nuostri timp sacro
sabuìt dal soul del dovèr.
Nuvuli negri tal foghèr
thàculi blanci in tal thièl
a eri la pòura e el piathèr
de amà la falth e el martièl
[…]
Lassi in reditàt la me imàdin
ta la cosientha dai siòrs.
I vuòj vuòiti, i àbith ch’a nasin
dei me tamari sudòurs,
Coi todescs no ài vut timour
de tradì la me dovenetha.
Viva il coragiu, el dolòur
e la nothentha dei puarèth!
IL TESTAMENTO CORAN. Nel mille novecento quaranta quattro facevo il famiglio dei Botèr; era il nostro tempo sacro, arso dal sole del dovere. Nuvole nere sul focolare, macchie bianche nel cielo, erano la paura e il piacere di amare la falce e il martello. […]
Lascio in eredità la mia immagine nella coscienza dei ricchi. Gli occhi vuoti, i vestiti che odorano dei miei rozzi sudori. Coi tedeschi non ho avuto paura di tradire la mia giovinezza. Evviva il coraggio, il dolore e l’innocenza dei poveri!
(Da La meglio gioventù)
Nel volume già citato, Enzo Siciliano chiarisce ancora: “Scrivere poesia in friulano legava il poeta al nucleo di quella ‘vita’ [quella delle campagne friulane], ma, insieme, vistosamente segnava la sua lontananza e diversità da essa. Solo uno ‘straniero’ avrebbe potuto trascegliere suono da suono, vocabolo da vocabolo nelle proprie vergini orecchie”.
In sintonia con Siciliano è Fortini: “Per Pasolini la poetica romantico-popolareggiante e la poetica veristica si sono realizzate quasi unicamente nei dialetti e ‘delineare una storia di questo fenomeno sarebbe forse dare un volto meglio contornato all’Italia umbertina’. […] Ci si inoltra nella lettura di testi noti e ignoti, spesso straordinari, sempre rivelatori, con l’impressione di curvarsi sul mistero della nostra provincia e della nostra storia recente”.
Agreste n. 3
A sgrìsulin, a ùitin, a piulin
als, als, als, tal sèil i usiei.
La neif tai mons a brila
alta tsal sèil. I usiei
in-t-al çaldùt dal nul
a clamin
tan prin soreli a clamin
la primavera.
[Trillano, cinguettano, pigolano, alti, alti, alti nel cielo gli uccelli. La neve sui monti brilla alta nel cielo. Gli uccelli nel calduccio del nuvolo, chiamano, nel primo sole chiamano, la primavera.]
(da Poesie disperse I)
Nel 1952 Pasolini curò con Mario Dell’Arco una antologia dal titolo Poesia dialettale del Novecento. Franco Fortini così intervenne su «Comunità» in merito a tale lavoro: “Il saggio [di Pasolini-Dell’Arco] contiene, in filigrana, la tesi che nella poesia dialettale di questo mezzo secolo si debba vedere, in partenza, il conflitto fra il ‘populismo’ piccolo-borghese, romantico-veristico e l’ansia internazionale, cosmopolitica, della cultura in lingua, quella che Gramsci chiama la vocazione cosmopolitica degli intellettuali italiani con la loro «disorganicità» apparente (cui corrisponde una inconscia, e quindi deleteria, inserzione organica al servizio delle ideologie della classe dominante); e, in arrivo, un vero e proprio «genere letterario», quale può nascere non già dal rifiuto ma dall’accettazione della cultura internazionale. […]
“Non conosco, insomma, un libro di poesia che come questo avvii la possibilità d’una storia reale e nuova della nostra generazione. Se è possibile - con l’improntitudine delle quattro parole - accennare ai termini nei quali il discorso sui dialettali potrebb’esser ripreso, Gramsci e Pavese potrebbero darci consigli utili. Il primo, mostrandoci - come in parte ha inteso il Pasolini - a quali complessi ideologici e sociali riferire la polemica dei dialettali, quale sia il loro «regresso» e quale il loro «progresso»; e come la debolezza della nostra borghesia nazionale, l’incapacità a prender coscienza di sé e a far fronte al mondo moderno, abbia favorito, forse in Italia più che altrove, la scissione e la contraddizione fra la letteratura d’avanguardia e la letteratura e cultura regionali; questa, impedita ad un certo punto dal risolversi in lingua, quella tagliata fuori dalle radici sociali e diventata letteratura di déracinés” (sradicati).
Alba
O sen svejàt
dal nòuf soreli!
O me cialt jet
bagnàt di àgrimis!
Cu n’altra lus
mi svej a planzi
i dìs ch’a svualin
via come ombrenis.
ALBA. O petto svegliato dal nuovo sole! O mio caldo letto bagnato di lacrime!
Con un’altra luce mi sveglio a piangere i giorni che volano via come ombre.
[Versione friulana di Alba in L’usignolo della Chiesa Cattolica]
(Da Poesie dimenticate, Società filologica friulana, Udine 1965)
di Angela Molteni