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Biografia, lavori in corso - a breve anche il 1974 e il 1975

mercoledì 31 ottobre 2012

Pasolini ed Ezra Pound: un incontro di poesia e di amicizia

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro




A trentasette anni dalla morte il segno che Pier Paolo Pasolini ha impresso nella cultura e nella società è ancora vivo e bruciante, così come la brutalità dell'omicidio che all'alba del 2 novembre 1975 lo strappò alla vita – in circostanze mai del tutto chiarite fino in fondo – nello squallido scenario dell'Idroscalo di Ostia.

La ricorrenza non può passare inosservata, men che meno se ci si chiede quanto altro avrebbe avuto da raccontare e da dire, con la versatilità artistica e umana che lo ha reso una delle figure più incisive del panorama della cultura internazionale. Non etichettabile, in nessun modo inquadrabile, Pasolini è stato poeta, romanziere, drammaturgo, linguista, giornalista e cineasta, ma soprattutto finissimo e originale osservatore, narratore e testimone della società italiana, delle sue trasformazioni e dei suoi mutamenti.
Oggi avrebbe novant'anni, eppure il peso della sua assenza non si è mai alleggerito.
Il ricordo che oggi scegliamo di proporre, dagli archivi delle Teche Rai, per celebrarne l'immagine e la figura è legato a un evento che precede di quasi un decennio la sua tragica scomparsa.
E' infatti un Pier Paolo Pasolini ancora giovane e visibilmente emozionato quello che nell'autunno del 1968 incontra per la prima volta, a Venezia, il poeta americano Ezra Pound.
L'occasione è molto più che una semplice intervista, ma un evento di portata storica: non soltanto per il mondo della letteratura e della poesia, ma anche nella vita dei due intellettuali.
Da una parte Ezra Pound, ormai anziano e affaticato, apparentemente indifferente al peso della vita e delle vicissitudini attraversate, dall'esperienza di detenzione nel manicomio criminale di St. Elizabeths di Washington, dalle accuse di tradimento nei confronti del proprio Paese, l'America, per appoggiare il regime fascista. Dall'altra, sulla poltrona accanto, il Pasolini scrittore e regista che proprio in quegli anni iniziava finalmente a godere i frutti di un lavoro a lungo criticato, bistrattato, se non apertamente schernito dai benpensanti di un'Italia fino a poco prima del tutto impreparata a cogliere la sensibilità, il coraggio, la lucidità della sua ricerca epressiva e stilistica di narratore.

Ma quello fra Pasolini e Pound non è solo l'incontro fra due figure rivoluzionarie, sebbene idealmente antitetiche. E' il confronto fra due poeti e fra due uomini legati a doppio filo da un rapporto di amore e odio, di pesanti eredità intellettuali, di conflitto e contatto, giunto al punto di doversi tradurre in una riconciliazione formale che ha il sapore di un simbolico passaggio di testimone. Due irregolari, due outsider, due anticonvenzionali accomunati dalla scelta di mettersi in gioco in prima persona senza risparmiarsi. Un filo riannodato sulla traccia dei versi di Pound, che Pasolini ridisegna e fa propri in una rilettura di rara e toccante intensità.  



@Eretico e Corsaro - Le Pagine Corsare

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Pier Paolo Pasolini, il futuro dell'intellettuale

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro


Pier Paolo Pasolini, il futuro dell'intellettuale


Il compito dell’intellettuale è capire il mondo. Né più né meno. Il suo mestiere, se qualcuno lo paga, è spiegarlo a un pubblico. Il pubblico c’è, chi è disposto a pagare anche. Mancano gli intellettuali. Esistono scrittori, giornalisti, filosofi, scienziati ma sono tutti opinionisti. Con modestia riconoscono di non avere la verità in tasca, e il frammento di certezza che si sono conquistati devono centellinarlo per vivere.
Pasolini era un intellettuale e il mondo lo aveva capito, come anche altri suoi contemporanei amici e nemici, ma lui fu diverso nel raccontarlo. A cominciare dal pubblico che si era scelto: la gente che lavorava dalla mattina alla sera e stava ricostruendo l’Italia. Questa gente nei momenti di svago ballava il twist, leggeva rotocalchi e fotoromanzi, andava allo stadio, giocava al calcio, alle carte, correva in bicicletta oppure andava al cinema. E Pasolini scelse il cinema per parlare a questo pubblico.



I film di Pasolini sono piaciuti a tanti critici, studiosi e scrittori ma non alla gente a cui Pasolini voleva parlare. Fu questa la sua tristezza, che divenne feroce a poco a poco. La gente che lavorava li conosceva fin troppo bene i "ragazzi di vita": erano quelli che li rapinavano, i prepotenti che non stavano alle regole, questa era la loro quotidiana e diretta esperienza: prenderli e riempirli di mazzate, altro che capire le ragioni della loro esistenza.
Pasolini era perfettamente cosciente di questo ma fece lo stesso i suoi film sui disperati della società, sulla spazzatura e i rifiuti, su quello che la gente non ama e non vuole vedere. Era il suo compito e il suo mestiere di intellettuale. Lui la verità la conosceva e la diceva. E che fosse la verità intorno a quel mondo e a quella storia non è da dubitarne: una cosa è vera quando ne sai l’orrore e la grazia.
Pasolini sapeva la verità e la diceva con l’arroganza di chi non può essere smentito, come nella famosa dichiarazione del 14 novembre 1974 ("Io so..."). In un famoso film del 1999, Matrix dei fratelli Wachowski, c’è un dialogo che avrebbe potuto scrivere lui: "Matrix è ovunque. E’ intorno a noi. Anche adesso, nella stanza in cui siamo. E’ quello che vedi quando ti affacci alla finestra, o quando accendi il televisore. L’avverti quando vai a lavoro, quando vai in chiesa, quando paghi le tasse. E’ il mondo che ti è stato messo davanti agli occhi per nasconderti la verità" (Morpheus a Neo).



A una realtà che continuamente si sdoppia, a una dimensione sociale in cui i dominati sono i primi sostenitori dei loro dominatori, a una cultura sempre più estranea alla vita e al pensiero e sempre più omologata all’efficienza e allo sviluppo tecnologico, Pasolini a un certo punto oppone la realtà irriducibile del corpo. Nel corpo si mantiene in vita la contraddizione, dal corpo l’umanità non può essere bandita. Per quanto ottuso, alienato, disperato, il corpo grida la verità.
Il film Salò o le Centoventi giornate di Sodoma fu l’ultima provocazione e il tema era l’avvilimento dei corpi. Avvilimento perpetrato nel solenne rispetto dei regolamenti e nella affermazione della superiorità dell’intelletto. Forse mai in un film la finzione e la vita furono tanto vicine, al punto che gli attori si rifiutavano di eseguire certe scene. Pasolini voleva fare del male a quel pubblico che si ostinava a non capire, che viveva come se la morte e il dolore non esistessero. Quel pubblico che non si accorgeva, stordito dalla possibilità di consumare, che a poco a poco in cambio di una subcultura gli si voleva portare via il pensiero.




Oggi noi vediamo la realtà della scuola. L’esclusione delle classi popolari e medie dalla cultura, dalla consapevolezza della propria storia, sta avvenendo in Italia con la progressiva trasformazione della scuola pubblica in area di parcheggio per i futuri lavoratori e disoccupati. L’intellettuale del futuro sarà il prodotto confezionato di pochissime scuole private, come è già avvenuto, per esempio, in America e in Inghilterra. Come Pasolini aveva previsto, le subculture hanno preso il posto lasciato vuoto dalla scuola, non sappiamo se migliori o peggiori. Pasolini si sentiva "una forza del passato" perché nel passato, nella cultura che vi si esprime, sono conservate tutta la complessità e le contraddizioni della vita contro ogni semplificazione e riduzione a formula. La grande e terribile "mutazione antropologica" comincia proprio dalla sottrazione di questa ricchezza.
Pasolini è stato ucciso da un ragazzo. Si vuol vedere in questo una rappresaglia del potere con la p maiuscola o l’effetto di un destino tragico. Della morte si fece e si fa un teatrino dove si dibatte e si scontrano tesi. Nell’opinare, nei servizi esclusivi, nelle clamorose rivelazioni, nella spartizione di ogni capello emerge l’orrenda irrealtà. Però la morte che è toccata a Pasolini sta nella possibilità stessa di odiare la vita, nel fatto che una vita possa essere invivibile, che non sia più degna e importante di tutti i valori, le morali e le religioni del mondo.

Paolo Tonini

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martedì 30 ottobre 2012

Eretici o Corsari? Due accostamenti difficili, ma facili. Pasolini e Gaber

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro


Eretici o Corsari?
Due accostamenti difficili, ma facili.
Pasolini e Gaber

“Io non sono mai stato un militante, mai tesserato, mai
propagandista. Questo essere un po’ dentro un po’ fuori, che mi è
stato anche imputato, per me è vitale.
Io credo invece nell’utopia della politica come indagine nella
realtà.”
Giorgio Gaber





“Io non ho alle mie spalle nessuna autorevolezza: se non quella
che mi proviene paradossalmente dal non averla e dal non averla
voluta; dall’essermi messo in condizione di non avere niente da
perdere e quindi di non essere fedele a nessun patto che non sia
quello con un lettore, che io considero del resto degno di ogni più
scandalosa ricerca.”
Pier Paolo Pasolini
da: Scritti Corsari (6/10/74)



Pur non frequentandosi, Gaber e Pasolini nella prima metà degli anni Settanta portavano avanti una missione comune: cantautore, commediografo ed attore l’uno; poeta, scrittore, regista e giornalista l’altro; con le armi delle loro arti, criticavano e scuotevano le coscienze della società italiana massivamente borghese e sempre più indirizzata ad un consumismo sfrenato.

Due artisti e intellettuali “non organici”, che non temono di compromettersi
e di risultare anche scomodi, poeti d’opposizione, diversi nella libertà, che con lucida preveggenza ci svelano che “il futuro è già finito” e che sarebbe ora di tornare a privilegiare il “crescere” rispetto al “consumare”.

Come si fa per una mosca che ci ronza attorno, i due sono stati scansati perché scomodi e d’intralcio, arrivando addirittura ad uccidere barbaramente Pasolini.
Queste “mosche ronzanti” però avevano la funzione di svegliare l’individuo che inconsapevolmente, quasi ipnotizzato, si inoltrava in paludi putride e melmose.
Oggi, dopo anni, questo loro soave ronzio torna a farsi sentire con immutato impeto, a scuotere coscienze ancora impantanate. Non attraverso un rivoluzionario esperimento o per una resurrezione miracolosa ma per effetto della loro Arte che li ha resi eterni.
Attraverso l’intreccio delle loro opere, le interviste e le dichiarazioni, Pier Paolo Pasolini e Giorgio Gaber sono sopravvissuti all’assassinio e al cancro...

Io per me, se c’avessi la forza e l’arroganza
direi che non è più tempo di fare mischiamenti
che è il momento di prender le distanze, che non voglio inventarmi
più amori
che non voglio più avervi come amici, come interlocutori.
Sono diverso e certamente solo.
Sono diverso perché non sopporto il buon senso comune
ma neanche la retorica del pazzo
non ho nessuna voglia di assurde compressioni
ma nemmeno di liberarmi a cazzo
non voglio velleitarie mescolanze con nessuno
nemmeno più con voi
ma non sopporto neanche la legge dilagante del “fatti i cazzi
tuoi!”
Sono diverso, sono polemico e violento
non ho nessun rispetto per la democrazia
e parlo molto male di prostitute e detenuti
da quanto mi fa schifo chi ne fa dei miti
di quelli che mi diranno che sono qualunquista, non me ne frega
niente
non sono più compagno, né femministaiolo militante
mi fanno schifo le vostre animazioni, le ricerche popolari e le
altre cazzate
e, finalmente, non sopporto le vostre donne liberate
con cui voi discutete democraticamente
sono diverso perché quando è merda è merda
non ha importanza la specificazione...
autisti di piazza, studenti, barbieri, santoni, artisti, operai, gramsciani
cattolici, nani, datori di luci, baristi, troie, ruffiani, paracadutisti,
ufologi...
Quando è moda è moda, quando è moda è moda.

Giorgio Gaber, “Polli d’allevamento”, 1978



L’italiano di allora, come quello di ora, è un essere confuso, che crede di contare per la propria società, ma in realtà è manipolato dal consumismo e dalla televisione: il popolo italiano è affetto da una forma cronica di “cancro sociale”; dove ogni uomo non è più uomo, ma il suo sfacelo.

Un accostamento ardito quello tra Gaber e Pasolini? Non più di tanto, perché i testi svelano inediti punti di connessione tra queste due ’menti’ superbe, che hanno esaltato l’analisi socio-culturale e politica del nostro Paese, trasformandola in lucida e schietta invettiva: Gaber negli anni ce le ha cantate in tutti i modi, Pasolini non è stato da meno, ed ha usato le ’armi’ dell’inchiostro e del video. Entrambi hanno fiutato il pericolo della deriva consumistica e della omologazione culturale che avrebbe modificato in modo irreversibile il dna degli italiani. A metà degli anni ’70 Pier Paolo Pasolini pubblica i leggendari Scritti corsari, una raccolta di articoli e riflessioni sulla trasformazione dell’Italia di quegli anni. In più di una intervista Gaber commenta “sviluppo senza progresso … mi sembra la sintesi più appropriata della nostra epoca”.

Paolo Di Stefano
(Corriere della Sera, dicembre 2010 )

E in fondo la «libertà obbligatoria» su cui scherza (ma sul serio) il duo Gaber-Luporini del ’76 è la stessa dell’editorialista che se la prende con il conformismo dei capelloni. L’obiettivo comune è il conformismo ideologico - e alla fine piccolo-borghese - scambiato per ribellione e persino per rivoluzione dei costumi. L’obiettivo comune sono i polli d’allevamento che danno il titolo a un album di Gaber datato 1978. Stessa formula presente in uno scritto uscito sul «Corriere» il 1° marzo 1975 in cui Pasolini rispondeva all’accusa di sentimentalismo irrazionalistico rivoltagli da Calvino: «L’omologazione culturale ha cancellato dall’orizzonte le “piccole patrie”, le cui luci brillano ormai nel rimpianto, memorie sempre più labili di stelle scomparse. Come polli d’allevamento, gli italiani hanno indi accettato la nuova sacralità, non nominata, della merce e del suo consumo: è questa la nuova società nella quale oggi ci muoviamo, testimoni e vittime dei lutti culturali». 
Gaber non fa nessun accenno di rimpianto per le piccole patrie, ma certo non ha simpatie per «la nuova sacralità» della merce. Si veda, nello stesso album, la parabola degli «Oggetti» che prendono possesso della nostra vita: «Nel frattempo gli oggetti erano andati al potere. La loro prima vittoria era stata il superamento del concetto di utilità. Piano piano avevano occupato anche gli spazi più nascosti delle nostre case e da lì ci spiavano».
Si potrebbe continuare con altre coincidenze lessicali, come la parallela metafora cancerogena (la «metastasi» in Pasolini, il «cancro» in Gaber) che divora le coscienze. Si potrebbe, come farà lo spettacolo di Gallione, mettere a contatto il «Voto comunista perché» dichiarato dal poeta dalle colonne dell’«Unità» nel ’75 con la litania anaforica di «Qualcuno era comunista», scritta quindici anni dopo da Gaber, quasi una valutazione postuma della speranza pasoliniana.
Si potrebbero evocare le simmetrie di un anticlericalismo mai celato nell’uno e nell’altro caso. Si potrebbe anche evocare la critica dell’uomo-massa, rispetto al quale Pasolini pronuncia i suoi violenti anatemi, mentre Gaber finge un’improbabile identificazione per riuscire meglio a metterne alla berlina alienazione e psicosi.
Si dovrebbe anche per contrapposizione, affiancare il corpo comicamente flessuoso e mobile con cui Gaber si propone sulla scena a quello statuario e tragico con cui Pasolini si propose al mondo.



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lunedì 29 ottobre 2012

Pasolini sulla questione linguistica.

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro



Pier Paolo Pasolini,
sulla questione linguistica


Sulle questioni linguistiche Pier Paolo Pasolini scrive soprattutto in Empirismo eretico (1964-72), ma anche in saggi sparsi. La sua tesi è che sino all'avvento del neocapitalismo, cioè sino ai primi anni '60, in Italia non esisteva una lingua nazionale, unica per tutte le classi sociali, ma un "italiano medio" come lingua della sola classe dominante borghese, che si ispirava evidentemente alla lingua letteraria. Il popolo, da parte sua, aveva tanti linguaggi particolari, quante erano le realtà locali in cui si esprimeva. Dagli anni '60 in poi, come elemento unificatore di tutte le classi sociali, attraverso i mass-media, soprattutto la televisione, si fa strada una vera e propria lingua nazionale basata sul frasario tecnologico, anti-espressivo e quindi solo comunicativo cioè strumentale. Si tratta di una "comunicazione segnaletica" che trasforma antropologicamente gli uomini in automi, a causa di desideri inautentici inculcati loro dal potere consumistico ai fini della produzione.

Le realtà dialettali sono divenute delle "sopravvivenze" da tutelare come le opere d'arte in un museo. Non sono più il linguaggio vivo e colorito del popolo. La cultura tecnica ha inoltre soppiantato quella umanistica, non consona alla logica del consumo di beni superflui. Mentre in passato alla guida della lingua era la letteratura (sia pure fatta da borghesi), adesso sono le aziende. Tutto questo egli lo vede sul nascere, mentre noi ci siamo già dentro.

Cosa possono fare i letterati? Pasolini li invita a non rimuovere la questione, ad appropriarsi del nuovo linguaggio tecnologico per far valere, magari  attraverso un uso ironico-distorcente di esso, il fine dell'espressività cioè della libertà contro la meccanizzazione dell'uomo. Infatti il nuovo sistema sociale e linguistico è comunicativo sì, ma non razionale, quindi è pericolosamente irrazionale. Riporta gli individui a condizioni preistoriche, improntate a licenza e caos, in cui i rapporti umani diventano mercificati (ad esempio, si cambia partner come se fosse un'automobile).

E' il fallimento del sogno degli intellettuali marxisti che con e dopo la Resistenza hanno combattuto perché in Italia si potesse creare una lingua nazionale "attraverso un democratico arricchimento linguistico, ottenuto con contributi paritetici da tutti i livelli culturali, regionali e classisti."

Verrà criticato sia da sinistra che da destra. Da sinistra gli verrà detto (soprattutto da Moravia) che ha contrabbandato per analisi oggettive le sue nuove esigenze di poetica; la neoavanguardia rivendicherà di essere stata lei stessa la scopritrice della lingua nazionale tecnocratica; i linguisti lo accuseranno, al solito, di superficialità. I conservatori, dal canto loro, di aver trascurato la letteratura in nome della propria "infatuazione tecnocratica", cioè l'esatto contrario della verità: Pasolini non "amava" la lingua tecnocratica, si limitava a vederla nascere e anzi prevedeva che essa, attraverso l'industria culturale, avrebbe reso marginali la cultura umanistica e le tradizioni, che lui in realtà amava.


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Pier Paolo Pasolini e la letteratura: brevi note su letterati suoi contemporanei

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro




Pier Paolo Pasolini e la letteratura
Brevi note di Pasolini su letterati suoi contemporanei


Nella sua critica letteraria, Pier Paolo Pasolini si pone subito contro la resistenza solo passiva al fascismo da parte dei poeti ermetici; quindi dopo la guerra approderà al marxismo come ideologia che consente un approccio attivo alla realtà, al fine di  trasformarla. Tuttavia egli resta sopra ogni ideologia, anche quella marxista, perché la realtà è così complessa e imprevedibile che è appunto irriducibile a qualsiasi gabbia ideologica. Maestri di riferimento sono Gramsci e Contini. Nella critica militante degli ultimi anni giocherà la sua partita più essenziale: il tentativo, nel tempo della fredda comunicatività propria dell'era consumistica, di promuovere l'uomo espressivo come "oltreuomo" (cioè non più sopravvivenza dell'era umanistica e contadina ma fine evolutivo dell'essere umano che ha l'umiltà e il coraggio di affrontare la crisi a cui, in modi diversi, la realtà stessa lo sollecita). L'evoluzione quindi non la promuove certo la neoavanguardia, solo a parole antiborghese, ma in realtà composta da letterati che hanno comportamenti borghesi: così gli avanguardisti, distruggendo il linguaggio, distruggono se stessi divenendo insignificanti, chiusi nei loro gruppi.

Anche gli estremisti di sinistra vengono visti da Pasolini come apparentemente rivoluzionari, ma in realtà assetati di potere e avversi all'individuo problematico e veramente rivoluzionario: così i diversi sono "scandalo per gli integrati, stoltezza per i dissenzienti".

Quanto al lavoro dei critici letterari integrati che scrivono sui giornali nel tempo dell'industria culturale, dice:

"I libri di cui si parla sono scelti casualmente - come appunto dei prodotti - un po' secondo le regole del lancio industriale, un po' secondo le regole del sottogoverno. Affastellati tutti insieme, e scelti senza il minimo rigore, tutto interessa in essi fuori che il loro valore e la loro autenticità. Interessa ciò che essi socialmente rappresentano, ecco tutto. Di un libro si parla perché la moda, la casa editrice, il direttore del giornale, la comune posizione letteraria o ideologica (ma in un senso puramente pratico e personale) vogliono che se ne parli. Verso un libro non si sente più non solo amore (l'amore disinteressato per la poesia), ma neppure interesse culturale."

In cosa consiste invece una vera critica militante? Descrivere secondo una visuale, insieme oggettiva e soggettiva, razionale e irrazionale, le descrizioni della realtà date dalle opere letterarie (di qui il titolo del suo saggio Descrizioni di descrizioni).

Veniamo ora alla brevissima analisi di ciò che Pasolini pensava di autori a lui (salvo eccezioni) contemporanei, qui di seguito indicati in ordine alfabetico.



Anna BANTI: il suo amore per lo stile, ne fa un prodotto che l'industria culturale non può lanciare al consumo né mistificare: l'unica protesta contro l'industrializzazione dello stile... è lo stile.




Giorgio BASSANI: aveva il rimpianto per l'occasione perduta della Grazia, quindi viveva nell'attesa della ripresentazione (non certa) della Grazia stessa; escluso e perseguitato al tempo del fascismo in quanto ebreo, si limitò in principio a una protesta di tipo ermetico per approdare, dopo la guerra, al realismo.




Dario BELLEZZA: moralista verso se stesso per l'omosessualità vissuta con senso di colpa, quindi autolesionista, e pure poeta (il migliore della generazione successiva a quella di Pasolini) e intellettuale coraggioso.



Attilio BERTOLUCCI: amante dei piccoli piaceri della vita borghese, il suo epicureismo nasce dalla coscienza di qualcosa che è peggiore della morte stessa, come se dopo la morte ci fosse un'altra morte; così Bertolucci si "vendica" gustandosi i momenti di riposo dall'attività di poeta amabile proprio perché condivide un dolore che gli è estraneo, forse (congetturo) il dolore dei non poeti o non ancora poeti: condivisione come dovere e atto di amore.



Italo CALVINO: strano rapporto, di amicizia ma anche di contesa; in Descrizioni di descrizioni Pasolini cita una sua frase che lo ha impressionato e vale la pena riportare integralmente: "L'inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n'è uno, è quello che è già qui, l'inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme.  Due modi ci sono per non soffrirne.
Il primo riesce facile a molti: accettare l'inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio."


Giorgio CAPRONI: ha un atteggiamento vitale e patetico di fronte al mondo, nel quale vive, come uno dei letterati più liberi del novecento, sia pure pervaso da una forza illogica.







Giosuè CARDUCCI: fintamente vitale, in realtà coltivava sentimenti inautentici e retorici; la sua cultura era provinciale ed accademica.








Carlo CASSOLA: come conservatore e conformista, difende la normalità; esaltando la gretta provincia (che lo protegge con la sua reticenza), ha mancato nell'opera fondamentale dell'uomo, che è quella della autochiarificazione, che lo avrebbe portato, se l'avesse affrontata, a riconoscere anche in sé le origini della sua nevrosi, e cioè il complesso edipico, con la conseguente tentazione omosessuale, che lui non riconosce finendo per cristallizzare le figure femminili in una eterosessualità convenzionale.



Giovanni COMISSO: nel romanzo I due compagni narra il destino diverso di due giovani artisti amici, che dopo la prima guerra mondiale faranno scelte di vita di segno contrario (uno si imborghesirà, l’altro, più geniale ma anche più fragile, finirà in manicomio): secondo Pasolini, essi rappresentano in realtà due aspetti di un unico personaggio (l’autore stesso), lacerato da un conflitto interiore.




Gabriele D'ANNUNZIO: attratto dai corpi atletici di giovani maschi, fu conquistato dal virilismo fascista (anche per lui si può parlare di omosessualità inconscia).



DANTE: nella Commedia mantiene rigorosamente l'equidistanza tra sé e gli infiniti aspetti particolari del suo mondo; i sentimenti che prova Dante nei confronti dei personaggi dell'opera non sono suoi in quanto uomo ma in quanto personaggio. Il suo plurilinguismo comprende tutto, dall'alto al basso della società del Trecento, attraverso una mimesi linguistica che lo rende l'unico poeta realistico italiano (gli altri si pongono sulla linea petrarchesca dell'unilinguismo selettivo e accademico - ideologicamente reazionario, a difesa della classe dominante. Oppure sulla linea pseudo-dantesca plurilinguistica, affetta da iperstilismo, non avente una visione ideologica ma pratica della realtà, con rischio quindi di evasione estetica; oppure, infine, sulla linea del realismo minore, che riproduce l'esistenza quotidiana e sensuale).


Massimo FERRETTI: odiando la letteratura, perché essa col suo prestigio e l'erudizione onnisciente, manda avanti l'atroce macchina del mondo, afferma la possibilità di una lingua non letteraria, ma - osserva Pasolini - Ferretti, nella sua distruzione del mondo (cioè delle istituzioni), non elimina la parte più arcaica e atrocemente reale del mondo stesso, e quindi la sua stessa (di Ferretti) psicologia piccolo-borghese.



Carlo Emilio GADDA: barocco realistico e dantesco plurilinguismo. La società, oltraggiando il letterato libero (come appunto Gadda) lo martirizza, non perdonandogli il fatto che egli la pone di fronte alla cattiveria che la contraddistingue.






Francesco LEONETTI: scrittore orgoglioso e al tempo stesso pronto al sacrificio per il recupero dell'autenticità, pronto (ma per questo anche criticato dal nostro) ad ogni nuova esperienza letteraria e politica (il marxismo-leninismo). Come fa Leonetti - osserva Pasolini - col suo candore e il linguaggio del letterato colto, a fare esperienza totale, di vita, del pragmatismo proprio dei gruppi estremisti di sinistra, il cui linguaggio si pone agli antipodi di quello colto ed espressivo?



Giacomo LEOPARDI: è repressiva l'opera di alcuni biografi del poeta recanatese, i quali tacciono dei suoi difetti (narcisismo, egocentrismo, megalomania, impotenza, inibizioni linguistiche, manie e allergie). Dare di un poeta l'immagine di perfezione morale equivale a disconoscere la complessità della realtà umana, che ha pure i suoi aspetti demoniaci.



Mario LUZI: poeta autenticamente religioso, anche se Pasolini, essendo ateo, non ne condivide le posizioni.








Alessandro MANZONI: tutti i rapporti tra i personaggi dei Promessi sposi sono contraddistinti da una strana intensità omoerotica di fraternità oppure odio, che del resto ritroviamo in tutti i grandi romanzieri. Anche per lui la diagnosi è di omosessualità latente.






Dacia MARAINI: pur essendo amica, la critica per il suo femminismo che non tiene conto della realtà mutata italiana, la quale non vede più la donna sottomessa all'uomo (se non in casi eccezionali), ma sono proprio le ragazze, secondo Pasolini, a farsi garanti della trasmissione ai maschi dei falsi valori consumistici, mentre in passato, prima della mutazione antropologica, i ragazzi stavano tra loro e si iniziavano ai valori popolari estranei a quelli della classe dominante borghese.



Eugenio MONTALE: nel 1971 ci fu una polemica tra Pasolini e Montale. Secondo il nostro, Montale nega l'idea di "tempo" e quindi di "progresso" e in linea con la scienza contemporanea dice che tutto è fermo o ritorna; per questo è contrario al marxismo in quanto ideologia fondata sull'idea di "progresso".
Pasolini accusa Montale, a causa del suo pessimismo metafisico, di accettare il potere borghese come fatto naturale, e lo è infatti; fatto sta però che anche l'ideologia liberale-borghese si fonda sull'illusione del tempo come progresso. Perciò, in ultima analisi, lo accusa di malafede, perché non usa lo stesso metro per l'illusione marxista e per quella borghese.


Elsa MORANTE: la scrittrice era molto amata da Pasolini, per il suo coraggio, l'umile amore, l'adorabile ingenuità.








Alberto MORAVIA: il primo giudizio, del '47, non è tanto buono: lo vede come scrittore semplice e meccanicamente facile; poi diventerà suo amico e ne apprezzerà l'impegno letterario come irrisione della realtà borghese, che è bizzarra e meschina al tempo stesso; sarà tuttavia sempre una irrisione non crudele ma basata su una compassione canzonatoria; linguisticamente Moravia è per una lotta contro le frasi fatte, che nascono da sentimenti inautentici e costringono gli esseri umani a una vita alienata.



Ottiero OTTIERI: autoironico nel parlare della sua depressione, con proprietà di termini tecnici propri della psicoanalisi, dalla lettura piacevole e chiara, a metà tra l'improvvisazione più folle e lo speciale spirito ludico della conversazione mondana. Se avesse avuto meno timore del giudizio degli altri, si sarebbe adempiuto perfettamente.





Alessandro PANAGULIS: il rivoluzionario greco (contro il regime dei colonnelli) è stato trasformato in poeta autentico dalla esperienza della tortura sopportata con coraggio.







Giovanni PASCOLI: oggetto della sua tesi di laurea, Pasolini ne era colpito per la solitudine interiore a contatto col mistero della realtà, mistero tradotto e rivelato dalla poesia; stilisticamente complesso, perché da una parte ha uno stile "fisso", dall'altra sperimenta le tendenze stilistiche più disparate, grazie alle quali si pone come il diretto antenato dei poeti del novecento italiano.




Sandro PENNA: molto amato da Pasolini perché poeta coraggioso, grato alla vita; solo apparentemente amorale, un autoescluso dalla vita normale, un santo anarchico (la santità del nulla), precursore di ogni contestazione passiva e assoluta (non ha considerato nemmeno esistente l'abietto potere fascista, e quindi non poteva inventare un peggiore insulto contro di esso).




Ezra POUND: aderì al fascismo piuttosto che al comunismo per motivi folli e irrazionali, perché il fascismo faceva dichiarazioni di idealismo e difesa del mondo antico, in cui egli si rifugiava contro l'alienante mondo industriale: di qui l'elogio della società contadina, greco-antica o cinese del confucianesimo, o appunto dell'Italia fascista.





Leonardo SCIASCIA: il suo notevole successo non lo ha portato ad avere una autorità, poiché egli è un uomo solo, che giudica l'ambiente in cui vive (la Sicilia e i siciliani) non sulla base del moralismo cattolico ma sulla base di una morale più arcaica, che è quella dell'onore, per cui se è vero che il "buono" è colui che non accetta l'ingiustizia dei cattivi, il "cattivo" altri però non è che un buono a cui non è saltata in mente l'idea dell'ingiustizia del potere, invece accettato, per cui il mondo è contraddistinto da una gerarchia piramidale in cui ognuno ha il suo posto; chi ne è fuori, il "buono", giudica e a volte lotta contro di essa, ma senza moralismo e probabilmente senza speranza di vittoria, perché la mafia è praticamente imbattibile, oltre che inesprimibile, rappresentando "ab aeterno" il fondo irrazionale della mentalità di ogni siciliano.


Enzo SICILIANO: scrittore profondamente sincero (riconoscendo pulsioni anche imbarazzanti nella sua psiche trasfigurandoli nei suoi personaggi); come critico si pone a metà strada tra anima e storia (la quale ultima richiede impegno e quindi anche integrazione), sempre però in uno status di contraddizione o opposizione.





Mario SOLDATI: rinunciando a qualsiasi autorità paterna verso il lettore, vuole esserne fratello, con l'ironia di chi scherza sulla propria voluta mancanza di autorità.







Johan August STRINDBERG: a causa di una educazione repressiva, omosessuale inconscio, che amava fisicamente le donne per poi fuggirle sistematicamente.



Giuseppe UNGARETTI: poeta profondamente religioso, alla ricerca di Dio come ricerca dell'Essenziale, a motivo del quale Ungaretti domanda a Dio di liberarlo dai desideri illusori, cioè i desideri senza amore.







Paolo VOLPONI: uno degli amici più vicini, sarà amato da Pasolini anche per la sua ricerca di un umanesimo industriale, cioè di una industria a misura d'uomo, che tenesse in considerazione la salvaguardia dell'ambiente, soprattutto contro il rischio di una guerra nucleare.
Nel poeta e scrittore urbinate Pasolini nota due tendenze opposte, specie nel romanzo Corporale: la tendenza al ritiro dal mondo, all'eremo urbinate; la tendenza opposta alla contestazione attiva, politicamente impegnata, contro il sistema del mondo alienato.
Volponi, in quanto uomo buono, ama anche i personaggi cattivi, essendo loro grato di farsi garanti (al pari dei personaggi buoni) della continuità e inesauribile possibilità conoscitiva del mondo.


Andrea ZANZOTTO: psicologicamente isolato, per scelta e destino: poeta che intervalla (ne La beltà) parole comiche a parole sublimi, giungendo così all'abolizione di ogni possibile delimitazione di campo semantico, con l'esito di una ambiguità totale. Egli vede la "normalità" come momento negativo dell'uomo, mentre la "malattia" o "devianza" è positiva in quanto permette di esplorare l'infinito.





@Eretico e Corsaro - Le Pagine Corsare

Curatore, Bruno Esposito

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