"Le pagine corsare "
dedicate a Pier Paolo Pasolini
Eretico e Corsaro
Pasolini passione
Vita senza fine di un artista trasparente, Roma, Ediesse, 2005
Italo Moscati
Tra i diversi aspetti che possono stupire in Pier Paolo Pasolini, uno è quello della sua grande capacità di lavoro. Non direi che, ricordandolo per i trent’anni trascorsi dalla morte, siano stati molti quelli che - scrivendone, commemorando, talvolta pontificando - abbiano valutato la produzione sterminata del suo fare di artista. Walter Siti, il curatore dei dieci volumi pubblicati dai Meridiani di Mondadori, ha contato ben ventisettemila pagine solo di testi letterari: poesie, romanzi, sceneggiature, scritti teatrali, scritti corsari, scritti vari, eccetera. Per ora nessuno si è messo a contare i chilometri di pellicola (i suoi film, i suoi documentari), la lunghezza dei nastri radiofonici e televisivi. Nessuno ha per ora deciso di quantificare i suoi interventi in convegni, conferenze, lezioni universitarie. E così via. Quando accadrà, potremmo provare, noi tutti che crediamo di averlo letto e capito anche se in parte, una sorte di smarrimento senza paracadute. Lo smarrimento che prende di fronte alla smisurata produzione di Pasolini l'ho provata fino in fondo, quando ho cercato di mettervi rimedio con un primo libro Pasolini e il teorema del sesso, pubblicato dal Saggiatore (1995), e poi con secondo Pasolini passione, edito da Ediesse (2005), che riprende e approfondisce l'indagine sul poeta-regista-corsaro che ho intenzione di continuare. Mi sono lasciato cadere nella sua produzione anch'io senza paracadute, insieme ad altri che lo studiano, per cogliere, tentare di cogliere i segreti della sua potenza creativa.
Ho scoperto, anzi riscoperto che forse una delle chiavi per entrare nella complessiva vicenda pasoliniana sia quella di seguire il poeta-regista-opinionista passo passo nel suo mobile luogo di ideazione e costruzione di parole e immagini. Ho avuto una strana sensazione, nel fare questo viaggio. Mi è parso, e mi pare ogni volta che mi inoltro nei territori del poeta, di ascoltarne la voce.
Sarà una mia deformazione professionale. Abituato come sono a scrivere e a considerare, nel mondo audiovisivo, i testi che accompagnano le storie dei film o dei programmi a cui lavoro, occupandomi di Pasolini, mi sembra di sentirne la voce, una voce che racconta di una persona, lui, ma soprattutto del Novecento, il secolo da cui veniamo.
E’ una voce senza volto, anche se il volto di Pier Paolo non è mai stato nascosto, anzi, sovrasta la bara in mezzo alla folla a Campo de’ Fiori, nel giorno del suo pubblico funerale; una voce sottile e metallica di un cronista speciale che riesce comunque ad essere affascinante e deduttiva perché di un’eco di sé fa la sponda ineludibile, per noi spettatori di un servizio funebre che dura ancora dopo trent’anni, aggiornato da colpi di scena sulla sua uccisione che poi svaniscono nel nulla.
E’ una voce che fa paura perché spiazza, irrita, provoca, esorta, pare a tratti persino pedagogica e poi si fa ispida, violenta, carica di rancore, minacciosa soprattutto perché allaga i suoi detrattori con una valanga di parole come un uragano. Leggere e vedere per sapere.
Il lavoro creativo-manuale alla macchina da scrivere o alla penna incollata alle dita viene da un’avidità che si trasforma in metodo di elaborazione. Walter Siti, il già citato curatore dei Meridiani, sostiene che Pasolini fosse preso totalmente da una specie di "bulimia" ostentata fra temi, pensieri, invettive ideologiche, sfondi religiosi o semplicemente umanisticamente laici.
La sua opera è un ambizioso tentativo di comprendere tutto e tutto chiudere, lavorandoci dentro, in uno spazio d’immaginazione tradotta in testi e atti. La sua è una sorta di appassionata, vivace bibbia delle scommesse esistenziali, a cui non si può chiedere mai una risposta definitiva. Mettere le mani (e le idee) negli strumenti, nelle forme di racconto o in quelle di opinione (gli scritti corsari) significava per Pasolini calarsi nel processo esaltante di un lavoro da compiere fino in fondo, con il meglio di sé, e comunque con tutto quanto costituiva il suo essere d’autore.
Siti, letterato e scrittore di romanzi, nel tirare le conclusioni di una lunga fatica, comincia paradossalmente parlando dell’ "inconcepibile pressappochismo" di Pasolini, delle citazioni a memoria spesso sbagliate; continua annotando che l’autore di "Una vita violenta" si rifà a passi trovati virgolettati in una rivista e fa credere di avere letto tutto il libro, osserva "che egli esibisce con sicurezza testi che ha soltanto orecchiati… dissemina riferimenti alla linguistica, all’antropologia, alla sociologia rubacchiati in pubblicazioni specialistiche… non dichiara le sue fonti, nemmeno in nota, ai limiti del plagio". E così via.
Siti è uno studioso serio, non un nemico di Pasolini; anzi, al contrario, era un amico, lo conosceva bene e gli ha dedicato scrupolosamente anni di attenzione e di passione; parla di una febbrile inquietudine e avidità, persino di "cialtroneria" che chiama "bulimia intellettuale", una voracità dovuta al disprezzo dell’artista per "l’erudizione da culi di pietra, per insofferenza e odio dell’accademia (con relativo complesso di inferiorità)".
Lo capisco. Sbalordimento. Siti si è trovato di fronte a una produzione letteraria caratterizzata da una mobilità irrefrenabile, un terremoto costante, movimenti creativi continui, tracce ovunque: una poesia si muta in pagina di prosa, diventa soggetto per un film, poi testo teatrale, poi ancora s’infila in un saggio appassionato.
Lo studioso Siti commenta: "Detenere la poesie vuol dire poter considerare il mondo come un set… Se esprimere è un modo di viaggiare, le diverse forme espressive non sono che i diversi mezzi di trasporto… Tutta l’opera pasoliniana è schiacciata sull’autobiografia, ma i veri e propri testi autobiografici sono sporadici, ironici e marginali. Proprio per questo spreme ogni minuto della sua vita in una cosa di carta ma non definitivamente...".
Ovvero, Pasolini scrittore veloce, affamato, "insoddisfatto della propria vita di carta deve tornare a spremerla", incurante delle opinioni dei nemici o dei malevoli ma anche di chi gli vuol bene e lo esorta a non abbandonarsi al desiderio di intervenire su tutto, amici come Franco Fortini o come Italo Calvino che lo invita "a mordersi la lingua".
Vien da domandarsi se fosse possibile per Pasolini "mordersi la lingua" senza perdere il ritmo, l’intensità, la vivacità di un lavoro che non si poteva fermare, se non fosse venuta dal buio una mano omicida.
Pasolini, per fortuna, è un autore, un personaggio controverso. "E’ un paradosso, ma Pasolini sembra destinato a confliggere anche a trent’anni dalla morte, persino dentro la sua opera omnia, persino nel suo monumento".
Queste ultime sono alcune righe tratte da un articolo che Carla Benedetti, un critico di valore, giovane, ha scritto per l’Unità il 29 aprile 2005, in polemica con Siti, colpevole di essersi sovrapposto a Pasolini con i propri commenti e di aver voluto pubblicare nei Meridiani, terra di lavoro sul lavoro, tutto ma proprio tutto, proponendo persino gli inediti che erano e sono gli scarti fatti dal poeta. "Perché tanta acrimonia da fratello minore mentre vesti i panni dell’esperto, del filologo? Perché questo cimento risentito con il tuo grande predecessore, troppo grande, che ti sovrasta… che devi far fuori?… Ai letterati d’Italia egli è sempre risultato intollerabile, e lo è ancora per te, che sei il suo curatore postumo. In questo tu non sei un Io, ma un Noi: anche tu spiazzato dalla sua esorbitanza, anche tu indotto a vendicarti, quasi per un automatismo antropologico, da letterato, da professore".
Pasolini, mente e braccio, poeta e uomo che divide. Eppure, ritengo che spiare Pier Paolo nel suo laboratorio, frugarci dentro, curiosare, sia una delle cose da fare (oltre che indagare sulla verità del delitto compiuto all’idroscalo di Ostia), insieme a molte altre, fra cui approfittare degli studi esistenti per approfondirne la personalità, i linguaggi, i contenuti, i temi pasoliniani.
Ma il passo decisivo è indagare da lettori e da spettatori, e soprattutto da specialisti e addetti ai lavori, sulla costruzione dell’edificio dai molti appartamenti alzato dal poeta-regista.
E’ esemplare l’approdo di Pasolini alla regia, dopo essere stato uno spettatore appassionato: tra i film che amò c’era quel Gilda con Rita Hayworth che scoprì da giovane in una sala buia, ossia in quelle sale che oggi non ci sono quasi più e che comunque hanno perduto il fascino di un tempo, quel fascino che Giuseppe Tornatore è riuscito a rievocare con grande sensibilità nel suo film Nuovo Cinema Paradiso.
Poi. Molti ignorano che Pasolini aveva un’attenzione speciale per un’attrice come Marilyn Monroe. Lo provano questi versi di una canzone interpretata da Laura Betti, dopo la morte misteriosa della diva:
"Ora i fratelli maggiori finalmente si voltano,/ smettono per un momento i loro maledetti giochi,/ escono dalla loro inesorabile distrazione,/ e si chiedono: «E’ possibile che Marilyn,/ la piccola Marilyn ci abbia indicato la strada?»/ Ora sei tu, la prima, tu la sorella più piccola,/ quella che non conta più nulla, poverina, col suo sorriso,/ sei tu la prima oltre le porte del mondo/ abbandonato al suo destino di morte".
Si dirà: in che misura questa canzone e questa diva ci avvicinano a un metodo di attenzione, studio e rielaborazione della realtà?
La risposta è semplice. Un artista non nasce nel nulla, ha alle spalle un passato e dalla tradizione (sono "una forza del passato" scriveva Pier Paolo), esiste, guarda, assorbe, capta e restituisce con il suo stile. Emozioni e capacità di raccontare.
In Pasolini, il processo delle idee comincia non tanto da ciò che si impone per le vie del potere o per l’abitudine o perché viene dai luoghi comuni, quanto da una ricerca che crea un corto circuito tra le scelte e i gusti di un individuo dotato, com’era Pasolini, e i sentimenti collettivi. La forza del passato e del presente, e forse del futuro, in questo poeta-regista sta nel suo tessere quotidiano, in certi casi apparentemente maniacale, in sintonia con qualcosa che riguarda tutti.
L’autore degli Scritti corsari, il saggista, l’interventista senza posa sui fatti e sui personaggi dei vari momenti nella nostra storia degli anni Sessanta e Settanta - una pratica cominciata prestissimo nella "carriera" del corsaro della penna e della cinepresa - non avrebbe potuto denunciare quella che lui stesso ha chiamato "rivoluzione antropologica", se non avesse sentito e operato nel senso di una partecipazione profonda a quanto stava avvenendo. Infatti, ad esempio, Pasolini ha sentito e visto che tutti, in prima fila i giovani, stavano per cadere nella grande, invitante trappola del consumismo e della omologazione, l’uno intrecciata con l’altra. Ma è l’omologazione il bersaglio principale di una battaglia pasoliniana che partiva da una sensibilità forgiata per le idee in età di adolescenza e affinata con le esperienze dolorose venute dopo (i guai con la giustizia in Friuli per l’omosessualità, l’espulsione dal Partito comunista, la necessità di lasciare Casarsa della Delizia per scegliere di vivere e di cambiare nella Roma di Cinecittà).
Questa sensibilità ha trovato la strada giusta per emergere nella qualità del lavoro artistico e politico dell’artista. Chi ha collaborato con lui nel cinema e nel teatro - forme che hanno bisogno di diversi impegni messi in comune - sa bene la sua capacità di ascolto per i consigli ad esempio dei cosiddetti tecnici. Lo stesso Pasolini riconosceva che, senza una profonda intesa con i direttori della fotografia, i suoi film non sarebbero stati possibili. E ciò valeva per i costumisti, gli scenografi, gli arredatori, i macchinisti, gli elettricisti. Analogamente per il teatro dove la manualità della scena si fonde con la preparazione degli attori e dei movimenti sul palcoscenico.
Del resto, la prova di quanto vado dicendo la si trova nei manifesti programmatici e nelle dichiarazioni di principio che accompagnavano la realizzazione delle pellicole, degli spettacoli, dei romanzi. Non era, non è teoria, non è astrazione quella proposta da Pasolini ma l’indicazione di una strada da trovare e da intraprendere. Un po’ come fanno gli ingegneri quando devono costruire un ponte o un edificio.
Studiando Pasolini in due libri, già citati (prima per Pasolini e il teorema del sesso e poi per Pasolini passione) mi sono reso conto che non mi bastava guardare o leggere, ma dovevo varcare una soglia, la soglia nascosta che sta tra ciò che viene stampato o proiettato e ciò che le mani di un autore fanno d’accordo con le emozioni e il progetto che ha in testa.
Dovevo adempiere quel che chiede, con umiltà e orgoglio, lo stesso Pasolini:
"… io , se sono vivo,/ lo sono in questa terra,/ lo sono per la gioia/ di conoscerla, e darmi/ ad essa per averla". Per conoscere, insomma, bisogna "darsi", lavorare.
http://drammaturgia.fupress.net/saggi/saggio.php?id=2763