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Biografia, lavori in corso - a breve anche il 1974 e il 1975

giovedì 7 agosto 2014

Pier Paolo Pasolini - APPENDICE A «TEOREMA» TEORIA DEI DUE PARADISI

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro

 
 
 

APPENDICE A «TEOREMA» TEORIA DEI DUE PARADISI
Pier Paolo Pasolini

Il primo paradiso era quello del padre.
C'era un'alleanza dei sensi
dovuta all'adorazione unica di qualcosa di eretto,
in quel mondo
che aveva un lineamento solo, come il deserto
in un colore leonino, caldo di un sesso sconosciuto
come una stella di cui sia rimasta la sola luce
- era era la stagione del sole.
In quella luce arancione e senza fine,
nel cerchio del deserto come un grembo potente,
all'oscuro delle erezioni paterne ma nel loro calore
(quasi di toro ingenuo, di uomo tosato come i giovani),
il bambino godeva il paradiso: la protezione
aveva un sorriso di coscritto, la pazienza di un re,
ed Egli stava lontano, o arrivava forse con un viso
lievemente ironico, com'è sempre chi protegge
il debole, il tenerino - ch'è quasi una donna.
L'odio sorse improvviso, e senza ragione.
Il bambino odiò forse quell'uomo
per la sua troppa innocenza.
Il grembo ch'era come un sole coperto da nuvole
dolci e potenti, il grembo di quell'uomo lontano,
divenne un oscuro fondo di calzoni,
forse s'immiserì, perdette l'innocenza equina,
non fu che umano. E il bambino obbedì.
Venne il giorno che cade fuori dalle lontananze
arancione del deserto,
si vedono i primi palmizi,
la prima pista che si perde muta fra le dune.
E il bambino perdette il paradiso.
Il padre lo cacciò, punendolo
per il suo desiderio di essere punito:
obbedì anch'egli dell'obbedienza del figlio
(anch'egli aveva un padre?).
Quel primo paradiso restò così nel deserto
di una verde regione,
o di una piccola città di provincia -
- nelle case dalle tende bianche di una nonna paterna,
ed altezze impossibili, dove per sempre fu perso
il calore della fecondità del padre ragazzo.
Il bambino cadde a capofitto sulla terra,
perdette il nome di Lucifero e prese, insieme,
quello di Abele e quello di Caino (così fu almeno
nelle terre
tra l'ultimo biancheggiare del mare
e il primo rosa dei deserti africani).
Era il nuovo paradiso, e in mezzo
a primule e viole
c'era la madre con la sua pelliccia povera
odorata di precoce primavera.
Com'era terrestre, dolcemente terrestre
la sua dolcezza di bambina, che non ha
orizzonte diverso da quello
che i genitori, o i fratelli, o il marito le assegnano:
e rassegnata, ma piena di fantasia,
sogna, oltre quell'orizzonte, terre solo più felici,
ed eroiche,
senza osare desiderarle per sé,
ma desiderandole solo per quel figlietto al suo fianco,
anche lui tutto imperlato del fresco delle primule.
Scorreva un fiume, in quel paradiso,
e ognuno può dargli il nome che vuole,
ognuno ha il suo, che è sempre lo stesso;
perché la casa dove la madre e il nuovo padre alloggiano
dopo il matrimonio, è sempre nei dintorni di un fiume.
Esso può scorrere tra una campagna potentemente verde
oppure tra le dune delle rive del mare:
o può essere pargolo
tra rocce sparse a caso al sole.
Non importa. Intorno a quel fiume profondo e verde,
oppure magro d'acqua tra i sassi asciutti,
crescono da soli i frutti, e hanno nomi di paradiso,
mele, uva, ciliegie. E i fiori, gli inutili fiori,
non montano meno di loro: e anche i loro nomi
sono meravigliosi, primule, appunto, o girasoli,
o le rose di macchia, con quei petali che si sfanno
tra le spine, o i bucaneve, o i fiori dei tigli...
Anche il sole è una creatura amica,
addolcita dall'indifesa idea che la madre
comunica al piccolo figlio coraggioso al suo fianco;
e come nasce al mattino, muore alla sera,
e lascia il posto a quelle stelle che il bambino
deve appena vedere, e lasciare ai loro silenzi.
Ma non tutte le madri sono innocenti!
E anche la più innocente delle madri
- e non si sa come possa averlo fatto -
è sottostata a ciò che per il figlio
è spaventoso scandalo.
Un usignolo cantava disperato
anche quando nessuno l'udiva
ai margini del paradiso.
E lo stesso odio senza ragione,
nato da solo, come un frutto o un fiore
del paradiso terrestre - rinacque.
La nostra vita è un folle identificarsi
con coloro che qualcosa di immensamente nostro
ci mette accanto.
Fummo, così, la madre che pecca davanti al frutto
del pianto senza perdono, al frutto
ignoto a noi, terrorizzati dal suo mistero
che resuscitava i giorni del padre
- anteriori a quelli del paradiso terrestre.
Risplendette di nuovo il sole del deserto
su quel piccolo pomo umano, meta di povera gola.
Ma era terrificante,
come appunto, il sole di un altro tempo,
di un altro mondo:
il solito sole di ogni giorno se ne stava
in disparte, segregato come in un improvviso dicembre,
e l'altro fiammeggiava; solleone e peste;
a creare un profondo silenzio,
e la mamma, ch'era il suo bambino,
addentò con materna innocenza e figliale malizia
quel frutto estivo.
Subito il nuovo padre - che in confronto all'antico
era come questo gramo sole d'inverno in confronto
a quello che fiammeggiava su lui, delle Prime Estati -
seguì il suo esempio, umile uomo della terra,
facilmente tentato e facilmente corrotto.
Anche con lui ci eravamo identificati
perché, in quanto noi stessi, non potevamo esistere:
potevamo esistere solo se eravamo il padre, la madre.
Peccammo con le loro bocche, con le loro mani.
E il Primo Padre ci cacciò.
Perdemmo così anche il secondo paradiso.
Due sono dunque i paradisi che noi abbiamo perduto!
Stretti per mano alla madre
prendemmo le strade del mondo.
Lucifero si staccò da Abele
e seguì il suo destino
finendo nel buio più profondo.
Abele morì
ucciso da se stesso col forne di Caino.
Insomma non restò che un figlio,
un figlio solo.
Questo almeno è avvenuto nelle terre
dove dodicimila anni fa si ebbe la prima seminagione,
e, dopo un millennio da questo avvenimento,
fu nominato un re padrone degli uomini moltiplicati,
tra l'ultimo biancheggiare del mare e il primo
rosa del deserto. Quanto vasellame colorato!
Dovemmo guadagnarci la vita:
questo ci tolse a noi, e fu ed è il primo inferno
È questo, questo, che tu visiti e ricordi.
Ma sotto all'inferno c'è un altro inferno,
come prima del paradiso c'era un altro paradiso.
E come non puoi avere che un'ombra di memoria
di quel paradiso, così non puoi avere che un vago
sospetto di questo secondo inferno: che vivi
e non sai,
e tolto a te stesso, povero figlio
con una falsa idea di sé,
con un insignificante ricordo
di genitori invecchiati o morti,
con una vita quotidiana dove il lavoro
(tranne i rari casi in cui è un ornamento del sesso)
è una necessità della vita che annienta la vita.

 
Poesia tratta da Romanzi e racconti, Tomo II 1962-1975, Meridiani Mondadori, Milano, 1998.


Fonte:
http://www.sagarana.net/anteprima.php?quale=361
 
 



@Eretico e Corsaro - Le Pagine Corsare

Curatore, Bruno Esposito

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Pasolini e Calvino - Conclusioni

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro

 

QUADERNI DEL LICEO SCIENTIFICO STATALE
“GALILEO GALILEI”ALILEO GALILEI”
numero 2
Sentieri letterari del Novecento
Relazioni su temi di Letteratura italiana
a cura di
Lina D’Andrea
PROVINCIA DI PERUGIA

Conclusioni

Il senso di religiosità della parola e dell’immagine.

Per Pasolini la riproduzione audiovisiva è diventata una forma decisiva di rappresentazione e di interpretazione della realtà: il passaggio dalla letteratura al cinema non è un cambiamento di tecnica letteraria, ma è utilizzo di un’altra lingua, di un altro sistema di segni che non usa simboli come le parole, ma la realtà stessa. In questa operazione la musica supporta il sistema di segni integrati adottato dal regista e diventa poesia, cinema-poesia, l’unico sistema capace di esprimere la disperazione della solitudine di una “creatura” che conosce il suo dramma interiore e che chiede aiuto ad una umanità
sorda e piena di pregiudizio.
Anche Calvino usa religiosamente la facoltà immaginativa, il mito della parola, ma per penetrare la realtà attraverso la parola stessa e riprodurre l’universo indagato dal suo animo di scienziato; per raggiungere questo obiettivo si serve di uno “schermo vuoto” da riempire con la visibilità delle parole. Per Starobinski il motivo del vuoto occupa un posto considerevole in Calvino:

il vuoto è certamente necessario perché vi si produca la caduta degli atomi di cui sono composti tutti i corpi immaginabili; ma dato che il vuoto se fosse lasciato spalancato, sarebbe angosciante, occorre allora coprirlo,mascherarlo, popolarlo, farne lo schermo su cui proiettare le immagini, perché “il dentro assoluto è intollerabile senza un fuori e il fuori assoluto è irrespirabile senza un dentro.
E’ necessario quindi creare passaggi e vie di comunicazione tra il fuori e il dentro.
Il che significa ricorrere alle parole. La gratitudine che si prova nei confronti di Calvino è dovuta al modo con cui andava oltre la realtà, il che gli richiedeva coraggio, agilità e intelligenza.(32)

Lo stesso coraggio, la stessa intelligenza e la stessa agilità che usa Pasolini nella poesia, nella narrativa e alla fine nei suoi film quando lascia cadere nel suo “schermo vuoto” le sue immagini-imago.
I due autori, in conclusione, riescono ad emozionarci attraverso modalità diverse, ma parallele, convergendo sull’attenzione centrata sull’essere e sulla sua sacralità. Le storie di carne pasoliniane ci emozionano nel rappresentare il mistero della realtà attraverso le immagini poetiche, cinematografiche e musicali; le storie d’inchiostro calviniane ci fanno volare sulle parole con la leggerezza dell’ippogrifo per rappresentare analogamente il mistero dell’uomo e dell’universo



32 J. Starobinski, Calvino e la melanconia, Meridiani, Mondadori, 2001

Nota bibliografica

I. CALVINO
Opere di I. Calvino
I. CALVINO, Romanzi e racconti, 3 voll, Meridiani Mondadori, 1991, 2001
I. CALVINO, Fiabe italiane; prefazione di M. Lavagetto, Einaudi, 1988
M. BARENGHI, (a cura di), Saggi (1945-1985), tomi 2
Lettere (1940-1985), 3 voll, Meridiani Mondadori, 2000
L. BARANELLI e E. FERRERO, (a cura di), Album Calvino, Meridiani Mondadori
Opere di I. Calvino in I ediz. Oscar Mondadori, 1995
I. CALVINO, Perché leggere i classici, Mondadori, 2002
I. CALVINO Una pietra sopra. Discorsi di letteratura e società, Torino, Einaudi, 1980, Collana Gli Struzzi
I. CALVINO, Lezioni americane, Mondadori, Milano, 1993
P. PASOLINI, Lettere 1955-1975, a cura di N. Naldini, Einaudi, Torino, 1988
C. BENEDETTI, Pasolini contro Calvino, Bollati Boringhieri, 1998
A. ASOR ROSA, Letteratura italiana del Novecento- Bilancio di un secolo, Einaudi, 2000
P. PASOLINI, Empirismo eretico, Garzanti, Milano
P. PASOLINI, Vie Nuove n. 51 del 28 dicembre 1961
F. FORTINI, Il Manifesto, 7 novembre 1975
A. BERTINI, Teoria e tecnica del film in Pasolini, Bulzoni Editore, 1979
vedi contributi di A. Molteni in www.pasolini.net
Quaderni di filmcritica - Con Pier Paolo Pasolini, Bulzoni, Roma, 1977
Quaderni rossi del ’46, in Nico Naldini, Pasolini, una vita, Einaudi, Torino, 1989
P. P. PASOLINI, Le belle bandiere, Editori Riuniti, Roma
P. P. PASOLINI, Sette poesie e due lettere, a cura di Rienzo Colla, La Locusta, 1985
Saggi critici su I. Calvino
J. STAROBINSKI in La relation critique, Gallimard, 1970
J. STAROBINSKI, Calvino e la melanconia, in Calvino, Romanzi, Meridiani, Mondadori
R. LUPERINI - P. CATALDI - L. MARCHIANI - F. MARCHESE, LA scrittura e l’interpretazione, G. B. Palumbo, 1999, 3, III
E. GIOANOLA, Il Novecento, Colonna Edizioni, Milano, 1999
G. BONURA, Invito alla lettura di Italo Calvino, Mursia, Milano, 1972 (nuova ed. aggiornata, ivi 1985)
G. BARONI, Italo Calvino. Introduzione e guida allo studio dell’opera calviniana, Le Monnier, Firenze, 1988
G. C. FERRETTI, Le capre di Bikini. Calvino giornalista e saggista 1945-1985, Editori Riuniti, Roma, 1989
Calvino in Le idee e le immagini, Palumbo, 2001 (videocassette)
C. BENUSSI, Introduzione a Calvino, Laterza, Roma-Bari, 1989
C. MILANINI, L’utopia discontinua. Saggio su Italo Calvino, Garzanti, Milano, 1990
M. BELPOLITI, L’occhio di Calvino, Einaudi, Torino, 1996
M. BELPOLITI, Storie del visibile. Lettura di Italo Calvino, Luisè, Rimini, 1990
G. BERTONE, Italo Calvino. Il castello della scrittura, Einaudi, Torino, 1994
S. PERRELLA, Calvino, Laterza, Bari, 1999
V. MUSARRA-SCHROEDER, Il labirinto e la rete. Percorsi moderni e postmoderni nell’opera di Italo Calvino, Bulzoni, Roma, 1996
L. DE FEDERICIS, La giornata d’uno scrutatore di Italo Calvino, Loescher, Torino, 1989
PONTI, Come leggere Il sentiero dei nidi di ragno, Mursia, Milano, 1991
F. SERRA, Calvino e il pulviscolo di Palomar, Le Lettere, Firenze, 1996

Siti internet

www.italocalvino.net
web.tiscali.it/italocalvinowebsite
www.bdp.it/~boir0001/calvino2/ (ipertesto)
P. PASOLINI
Opere di Pasolini
P.P. PASOLINI, Poesia in forma di rosa, Garzanti, 2001
P.P. PASOLINI, L’odore dell’India, Longanesi, Milano, 1962
P.P. PASOLINI, Passione e ideologia, Garzanti, Milano, 1960
P.P. PASOLINI, Petrolio, Einaudi, Torino, 1992-93
P.P. PASOLINI, Il teatro, Garzanti, Milano
P.P. PASOLINI, San Paolo, Einaudi, Torino, 1977
P.P. PASOLINI, Scritti corsari, Garzanti, Milano, 1975
P.P. PASOLINI, Teorema, Garzanti, Milano, 1968
P.P. PASOLINI, Una vita violenta, Garzanti, Milano, 1975
P.P. PASOLINI, Bestemmia. Tutte le poesie, voll. 1-2, Garzanti, Milano, 1993
P.P. PASOLINI (a cura di), Canzoniere italiano, voll. 1-2, Garzanti, Milano, 1992
P.P. PASOLINI, Risposta a un insoddisfatto, Vie Nuove, 22/11/1962
P.P. PASOLINI, Alì dagli occhi azzurri, Garzanti, Milano, 1965
P.P. PASOLINI, Descrizioni di descrizioni (1972-75), Einaudi, Torino, 1979
P.P. PASOLINI, Empirismo eretico, Garzanti, 1972-1991
P.P. PASOLINI, Il Friuli, Rai Radio-Televisione-Italiana
P.P. PASOLINI, Il sogno di una cosa, Garzanti, Milano, 1962
P.P. PASOLINI, Il portico della morte, Garzanti, Milano, 1988
P.P. PASOLINI, La croce uncinata, Vie Nuove, 29/10/1960
P.P. PASOLINI, Le belle bandiere. Dialoghi 1960-1965, Editori Riuniti, Roma, 1996
P.P. PASOLINI, Lettere luterane, Einaudi, Torino, 1976

Saggi critici e scritti vari su Pasolini

A. ASOR ROSA, Letteratura italiana del Novecento. Bilancio di un secolo, Einaudi, 2000
Pasolini, da Rai Educational per Einaudi, 2002
G. IORI, Pasolini, Einaudi, 2002
C. BENEDETTI, Pasolini contro Calvino, Bollati Boringhieri, 1998
AA.VV., Dedicato a Pier Paolo Pasolini, Gammalibri, Milano, 1976
AA.VV., Omicidio nella persona di Pasolini Pier Paolo, Kaos Edizioni, Milano, 1992
AA.VV., Pasolini, cronaca giudiziaria, persecuzione, morte, Garzanti, Milano, 1977
AA.VV., Pasolini, una vita futura, Ass. Fondo Pasolini, Garzanti, Milano, 1985
AA.VV., Pier Paolo Pasolini. “… Avec les armes de la poésie…”, Associazione Fondo Pasolini -
Garzanti, Milano, 1984
AA.VV., Quaderni di filmcritica - Con Pier Paolo Pasolini, Bulzoni, Roma, 1977
A. ASOR ROSA, Scrittori e popolo, il populismo nella letteratura italiana contemporanea, Einaudi,
Torino, 1965
N. ASPESI, Dialogo armato con Pasolini, Il Giorno, 31/1/1973
A. BERTINI, Teoria e tecnica del film in Pasolini, Bulzoni Editore, Roma, 1979
E. BIAGI, L’innocenza di Pasolini, La Stampa, 4/1/1971
G. BOCCACCIO, Tutte le opere, Mursia, Milano, 1966
G. BORGESE, Allarme per l’archivio Pasolini: rischia di finire all’estero, Il Corriere della Sera, 1/7/1997
M. CAPANNA, Formidabili quegli anni, Rizzoli, Milano, 1988
R. COLLA, Sette poesie e due lettere, La Locusta, 1985
F. COLOMBO, Siamo tutti in pericolo, Tuttolibri, 8/11/1975
M. CONSOLI, Killer aids, Kaos Edizioni, Milano, 1993
F. DE GREGORI, Mi manca la sua lucidità, L’Unità, 28/10/1995
F. DE MELIS, Bestemmia - Deliri piccolo-borghesi e volontà dantesca in fusione nell’opera in Il Manifesto 10/2/1994
G. DELLA PERGOLA, Contro l’omologazione, Il Manifesto 16/4/1988 (per gentile concessione)
C. DI CARLO, Testimonianza,A. BERTINI, Teoria e tecnica del film in Pasolini, Bulzoni Editore, Roma, 1979
J. DUFLOT (a cura di), Pier Paolo Pasolini. Il sogno del centauro, Roma, 1983
O. FALLACI, Lettera a Pier Paolo Pasolini, in Europeo, 14 novembre, 1975
G. C. FERRETTI, “Officina”. Cultura, letteratura e politica negli anni Cinquanta, Einaudi, Torino
F. FORTINI, Attraverso Pasolini, Einaudi, Torino, 1993
G. GALLI, Storia del Pci. Livorno 1921-Rimini 1991, Kaos Edizioni, Milano, 1993
M. GULINUCCI, Pasolini, dialoghi di formazione, Il Manifesto 20/3/1987
S. MICELI, Morricone, la musica, il cinema, Ricordi-Mucchi, Modena, 1994
A. MOLTENI, Johann Sebastian Bach. La vita, le opere, Kaos Edizioni, Milano, 1990 (per gentile concessione)
A. MORAVIA, Un poeta e narratore che ha segnato un’epoca in Ragazzi di vita e Una vita violenta,
Garzanti, Milano, 1976
S. MURRI, Pier Paolo Pasolini, Editrice Il Castoro - l’Unità 1995, Milano
N. NALDINI (a cura di), Lettere (1940-1954). Con una cronologia della vita e delle opere, Einaudi, Torino, 1986
N. NALDINI (a cura di), Lettere (1955-1975). Con una cronologia della vita e delle opere, Einaudi, Torino, 1988
N. NALDINI, Pasolini, una vita, Einaudi, Torino, 1989
F. PANZERI, Guida alla lettura di Pasolini - Mondadori, 1988
R. ROSSANDA, In morte di Pasolini, Il Manifesto, 4/11/1975
L. SERRA, Lettere agli amici, Milano, 1976
M. SERRA, Pasolini, il caso è chiuso, Cuore, 9/9/1995
E. SICILIANO, Vita di Pasolini, Giunti Gruppo Editoriale, Firenze, 1995
E. SICILIANO, Il poeta delle ceneri in Nuovi Argomenti n. 67-68, Roma, luglio-dicembre 1980
M. L. STRANIERO, Cento canti politici & sociali, Gammalibri, Milano, 1984
G. TRENTIN, La commare secca, Zibetti, Milano, 1962
P. VOLPONI, Pasolini maestro e amico, in AA.VV., Perché Pasolini, Firenze, 1978
G. ZIGAINA-C. STEINLE, Pier Paolo Pasolini. Organizzar il trasumanar, Marsilio, Venezia, 1995

Fonti filmografiche

Accattone, produttore A. BINI per Arco Film/Cino Del Duca, 1961
Decameron, produttore F. ROSSELLINI per PEA/Artemis, 1970-71
I racconti di Canterbury, produttore A. GRIMALDI per PEA, 1971-72
Il Vangelo secondo Matteo, produttore A. BINI per Arco Film/Lux Compagnie Cinématographique de France, 1964
Mamma Roma, produttore A. BINI per Arco Film, 1962
Salò, produttore A. GRIMALDI per PEA/ Les Productions Artistes Associés, 1975
Uccellacci e uccellini, produttore A. BINI per Arco Film, 1965

Siti internet

www.pasolini.net
www.rai.it Rai- Radio-Televisione-Italiana, Teche-Rai



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Pasolini e Calvino - La facoltà immaginativa: gli approcci alla musica e alle arti figurative

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro



QUADERNI DEL LICEO SCIENTIFICO STATALE
“GALILEO GALILEI”ALILEO GALILEI”
numero 2
Sentieri letterari del Novecento
Relazioni su temi di Letteratura italiana
a cura di
Lina D’Andrea
PROVINCIA DI PERUGIA


La facoltà immaginativa: gli approcci alla musica e alle arti figurative

Durante la seconda guerra mondiale Pasolini conosce a Casarsa la violinista slovena Pina Kalc, rifugiata in casa di parenti, e prende da lei lezioni di violino; nel 1944 scriverà uno studio sulle sonate di Bach con molti riferimenti a versi poetici. Funzionale all’aderenza alla realtà del nuovo filone neorealista, Pasolini da Accattone a Salò propende spesso per attori non professionisti, come i ragazzi di strada di Accattone o alcuni personaggi del Decameron. Questa scelta è determinata, come afferma M. Valente, dalla concezione di cinema di poesia che ispirò Pasolini, un cinema, come si è detto, che molto attinge dalla propensione poetica e che si fonda sulla soppressione delle regole decodificate e sulla trasgressione stilistica nell’intento di esprimere la facoltà immaginativa in forme espressive assolutamente libere, poeticamente libere; si superano gli schemi classici dei film popolari a favore di un cinema dove l’autore sia l’unico protagonista e dove il poeta-regista tende ad un linguaggio iconico fortemente caratterizzato da inquadrature e sequenze brevi e dal ritmo molto rapido dove la recitazione risulti polverizzata ricorrendo a brevi battute e alla mimica per valorizzare uno stato d’animo; successivamente il regista poeta polverizza ulteriormente le inquadrature con un’ulteriore frammentazione delle sequenze. A Bologna nel 1941 Pasolini aveva seguìto i corsi di Storia dell’Arte medievale e moderna di R. Longhi e anche questo contribuirà a costruire con grande gusto figurativo le inquadrature dei suoi film e ad orientarlo in alcune soluzioni come quelle di rappresentare apostoli e santi soprattutto nella loro appartenenza a ceti popolari. Sui propositi figurativi scrive A. Bertini:

All’uso semplificato e rigoroso degli obiettivi 50 e 75, impiegati in Accattone,Pasolini aggiunge il pancinor o zum. Si tratta di un obiettivo, come si sa, che permette di passare (senza soluzione di continuità) dall’inquadratura di un dettaglio o di un primo piano fino a un totale o a un campo lungo. [...] Sembra quasi ci sia la volontà - da parte del regista - di togliere all’immagine filmica l’impressione di tridimensionalità, di profondità di campo (dovuta soprattutto all’immagine in movimento, al movimento all’interno dell’inquadratura) per ricondurla in un ambito figurativo e pittorico.
Il richiamo a Masaccio (che ritorna spesso nelle dichiarazioni della sua tecnica)non è casuale. L’obiettivo viene paragonato a un pennello nelle mani di un pittore, un pennello leggero e agile che, tuttavia, ha la forza di rendere greve, massiccia la materia, con una forte accentuazione del chiaroscuro.(20)

L’attenzione ad un’immagine che sia altamente e poeticamente evocativa ha una valenza fortissima nel cinema-poesia e viene fortemente potenziata all’uso della musica.
Frequentemente usate le musiche di Bach, ben note all’autore e da lui particolarmente amate: utilizza le musiche de La Passione secondo Matteo in Accattone, prima opera, e ne Il Vangelo secondo Matteo.
L’incontro con Bach è un incontro felice per elementi particolari introdotti dal compositore nelle Passioni, sviluppatesi dal XV secolo, nelle quali inserisce l’azione di tre personaggi: Cristo, un Diacono e un Evangelista; con il coro si rappresentava “il popolo”, talvolta con spunti polifonici. Per la prima volta nella storia della creazione artistica musicale, Bach riunì nelle Passioni elementi eterogenei, e tenne conto al tempo stesso di tutto quanto storicamente gli era noto sulla musica, compiendone una mirabile sintesi.
Ne La Passione secondo Matteo, l’opera più vasta che Bach abbia scritto, anche per il ricco complesso vocale e strumentale previsto, piuttosto che ripercorrere il calvario di Cristo, il compositore preferì evocarne e meditarne la morte.
La caratteristica che contraddistingue la Passione secondo Matteo è l’impiego di un doppio coro, non come mezzo impiegato per ottenere efficaci artifici sonori, ma come uno strumento indispensabile per rendere più incisivo l’elemento dialogico che è l’aspetto prevalente nella Passione secondo Matteo, nonché un modo efficacissimo per esprimere e per far percepire una intensa emozione.(21)
Quando nel 1961 Pasolini inizia la lavorazione della prima pellicola cinematografica con un soggetto da lui scritto e diretto, Accattone, “ha idee ben chiare per quanto riguarda la musica che avrebbe adoperato. E’ convinto - come regola generale a cui rimarrà sostanzialmente fedele, sia pure con qualche eccezione - che è preferibile usare musica di repertorio (cioè brani classici o leggeri di autori noti) piuttosto che farla espressamente comporre. Questo perché, secondo Pasolini, è più efficace una buona musica già collaudata piuttosto che una mediocre partitura che, il più delle volte, è un cattivo rifacimento di temi e motivi già noti.”(22)
Elsa Morante, sua cara amica con la sua ricca collezione di dischi, sarà da allora in poi una preziosa risorsa cui Pasolini farà ricorso per realizzare il commento musicale dei suoi film. In Accattone il commento musicale in gran parte è affidato a brani di Bach e a l’utilizzo di canzoni popolari e di stornelli con testi parodiati: c’è una scena in cui domina il bellissimo blues di William Primrose St James Infirmary.
“La Passione secondo Matteo di Bach - come scrive Pasolini - nel momento della rissa di Accattone, assume questa funzione estetica. Si produce una sorta di contaminazione fra la bruttezza, la  violenza della situazione, e il sublime musicale. È l’amalgama (il magma) del sublime e del comico di cui parla Auerbach.(23) [...] La musica si rivolge allo spettatore e lo mette in guardia, gli fa capire che non si trova di fronte a una rissa di stile neorealista, folklorica, bensì a una lotta epica che sbocca nel sacro, nel religioso. [...]
Io sentivo, sapevo, che dentro questa degradazione c’era qualcosa di sacro, qualcosa di religioso in senso vago e generale della parola, e allora questo aggettivo, ‘sacro’, l’ho aggiunto con la musica. Ho detto cioè che la degradazione di Accattone è, sì, una degradazione, ma una degradazione in qualche modo sacra, e Bach mi è servito a far capire ai vasti pubblici queste mie intenzioni”.(24)
Il Coro finale della Passione secondo Matteo viene inserito dal regista sia nella scena sopra ricordata sia nelle ultime inquadrature del film, quando si compie il tragico destino di Accattone e sopravviene la morte, unica vera libertà concessa dalla società a uomini “privi di dignità” che ignorano (come Accattone) o rifiutano (come Pasolini) le leggi della “ragione dominante”.
Sempre in Accattone, il secondo movimento del Concerto brandeburghese n. 2 di Bach viene utilizzato per creare forte contrasto nei confronti delle immagini che frattanto scorrono sullo schermo, quelle cioè in cui la prostituta Maddalena viene malmenata nella radura dell’Acqua Santa dai ragazzi di vita amici del suo sfruttatore. E Pasolini chiarisce:

“ [...] Questo aver contaminato una musica coltissima, raffinata come quella di Bach con queste immagini, corrisponde nei romanzi all’unire insieme il dialetto, il gergo della borgata, con un linguaggio letterario che per me è di derivazione proustiana o joissiana. È l’ultimo elemento di questa contaminazione che rimane così un po’ esteriore nel film. Quanto alla scelta, è una scelta molto irrazionale, perché prima ancora di pensare ad Accattone quando pensavo genericamente di fare un film, pensavo che non avrei potuto commentarlo altrimenti che con la musica di Bach: un po’ perché è l’autore che amo di più; e un po’ perché per me la musica di Bach è la musica a sé, la musica in assoluto.[...] Quando pensavo ad un commento musicale, pensavo sempre a Bach, irrazionalmente, e così ho mantenuto, un po’ irrazionalmente, questa predilezione iniziale.”(25)

Anche la formazione pittorica di Pasolini entra in gioco, a partire da Accattone:
“Come modello formale pensa alla grande tradizione pittorica italiana del Tre-Quattrocento, a Giotto, a Masaccio e quindi all’esigenza di rappresentare i suoi personaggi frontalmente, fortemente chiaroscurati, statuari”. E, riguardo al luogo prescelto per le ultime inquadrature del film, Pasolini scriverà: “[...] era soprattutto su Olevano [una località del sud del Lazio] che puntavo, come luogo dipinto da Corot. Ricordavo le sue montagne leggere e sfumate, campite come tanti riquadri di sublime, aerea garza contro un cielo del loro stesso colore.”(26)
Tra il 1962 e il 1964 l’autore elabora una successione di progetti. Casualmente rilegge il Vangelo di San Matteo durante un convegno ad Assisi nel 1962 e scopre quanto del contesto contadino dell’età di Cristo emerga dalle pagine dell’evangelista Matteo da lui considerato “il più rivoluzionario perché il più realista”. Pasolini racconta di aver letto il Vangelo per la prima volta nel 1942 e, quando ebbe l’idea di un film sul Vangelo sceglie non a caso la versione di San Matteo perché quella che più d’ogni altra esalta l’umanità del Cristo, il suo essere uomo tra gli uomini. Pasolini non è un cattolico, “non sono nemmeno cresimato” dirà rispondendo alle critiche provenienti da ambienti marxisti, ribadendo il suo ateismo. Questo suo distacco, questa mancanza di “resistenze interne” lo convincerà a terminare questo ambizioso e rischioso progetto. Il Vangelo è anche il risultato di una crisi personale di Pasolini e, più in generale, di una crisi della cultura italiana:

“... Tutto il razionalismo ideologico elaborato negli anni cinquanta, non solo in me ma in tutta la letteratura, è in crisi, le avanguardie, il silenzio di molti scrittori, le incertezze ideologiche di scrittori come Cassola o Bassani, c’è aria di crisi dappertutto e evidentemente c’era anche in me. In me ha assunto questa specie di regressione a certi temi religiosi che erano stati costanti, però, in tutta la mia produzione. Non mi sembra ci si debba meravigliare davanti al Vangelo quando leggendo tutto quello che ho prodotto una tendenza al Vangelo era sempre implicata, fin dalla mia prima poesia del ’42. [...]
Quindi un tema lontanissimo nella mia vita che ho ripreso, e l’ho ripreso in un momento di regressione irrazionalistica in cui quello che avevo fatto fino a quel punto non m’accontentava, mi sembrava in crisi e mi sono attaccato a questo fatto concreto di fare il Vangelo”.(27)

Le musiche sono di Bach, Mozart, Prokofiev e Webern. Le musiche originali di Luis E. Bacalov. Come nelle opere cinematografiche precedenti non a caso Pasolini affida a un linguaggio sonoro raffinato tutte le vicende più significative narrate nel film non perché la musica debba essere al servizio del cinema e viceversa, ma perché sono entrambe espressioni artistiche che utilizzano linguaggi non verbali e che tuttavia sono assolutamente differenti e agiscono in modo diverso e indipendente sulla percezione e, inoltre, come puntualizza lo stesso Pasolini, “I valori che essa [la musica] aggiunge ai valori ritmici del montaggio sono in realtà indefinibili, perché essi trascendono il cinema, e riconducono il cinema alla realtà, dove la fonte dei suoni ha appunto una profondità reale, e non illusoria come nello schermo”.(28)
Per il suo Vangelo il ricorso alla Passione secondo Matteo di Bach è quasi d’obbligo.
Ma, in particolare, alla morte di Gesù, egli associa la Musica funebre massonica, che è a sua volta una delle più alte creazioni di Mozart, che in essa ha anche espresso la propria immagine della morte non come titanica lotta contro il destino ineluttabile, ma come “cara amica”; nella musica stessa si percepisce il dolore per la separazione, a cui Mozart si lascia andare senza esserne tuttavia sopraffatto.
Vi è un momento isolato della lunga sequenza della crocefissione e della morte in cui il racconto non è affidato al solo indivisibile binomio “immagine-musica”: è quello in cui Cristo pronuncia queste ultime parole: “Voi udrete con le orecchie ma non intenderete e vedrete con gli occhi ma non comprenderete, poiché il cuore di questo popolo si è fatto insensibile e hanno indurito le orecchie e hanno chiuso gli occhi per non vedere con gli occhi e non sentire con le orecchie…”
Nelle ultime immagini del film si può ascoltare un canto che richiama in modo significativo il Gloria di una messa cantata congolese con il testo in latino e la musica ricca di tutti gli accenti, gli strumenti e i ritmi del folclore africano, quasi a sottolineare l’universalità di un profondo sentimento religioso. Suggestiva anche la scena in cui Maria, interpretata non a caso dalla stessa madre di Pasolini, si reca con le altre donne alla tomba del figlio. In altre occasioni lo scrittore ha espresso il suo religioso sentimento filiale in un rapporto struggente madre-figlio che molto si ritrova nel film. La sublimazione di questa relazione con tutte le implicazioni di Passione che possono essere facilmente intese, si ritrova in forma poetica nella Supplica a mia madre da Poesia in forma di rosa del 1964:

Tu sei la sola al mondo che sa, del mio cuore,
ciò che è stato sempre, prima d’ogni altro amore.
Per questo devo dirti ciò ch’è orrendo conoscere:
è dentro la tua grazia che nasce la mia angoscia.
Sei insostituibile. Per questo è dannata
Alla solitudine la vita che mi hai data.

Alla Madre-Maria Pasolini affianca in Affabulazione un Padre al quale rivolge non una supplica come quella precedente, ma una preghiera ugualmente disperata:

Padre nostro che sei nei cieli:
ecco un tuo figlio che, in terra è padre…
E’ a terra, non si difende più…
Se tu lo interroghi, egli è pronto a risponderti
……………………………………………….
chiacchiererò con la mancanza di pudore
della gente inferiore, che ti è tanto cara.
Sei contento? Ti confido il mio dolore;
e sto qui ad aspettare la tua risposta
come un miserabile e buon gatto aspetta
gli avanzi, sotto il tavolo: Ti guardo, Ti guardo fisso,
come un bambino imbambolato e senza dignità.

Un senso di forte religiosità laica pervade i due testi nei quali diventa religioso anche il sentimento filiale, quasi di omerica memoria. Difficile conciliare in quei tempi così segnati ideologicamente ateismo e religione. Lo stesso Pasolini, nel tentativo di chiarire il suo rapporto di ateo con la religione, intravede, paradossalmente, nell’ateismo comunista una qualche religiosità in quanto “si possono sempre ritrovare quei momenti di idealismo, di disperazione, di violenza psicologica, di volontà conoscitiva, di fede - che sono elementi, sia pur disgregati, di religione”.(29)
La critica del tempo non sembra comunque cogliere il senso del film e, come spesso accade, coglie l’occasione per polemizzare su e contro Pasolini che chiarirà come non vi sia nel film una ricostruzione storica, ma “... una specie di ricostruzioni per analogie.
Cioè ho sostituito il paesaggio con un paesaggio analogo, le regge dei potenti con regge e ambienti analoghi, le facce del tempo con delle facce analoghe; insomma è presieduto alla mia operazione questo tema dell’analogia che sostituisce la ricostruzione”.(30)
Non quindi, un film storico, non una ricerca illustrativa, ma un film che vuole dare il senso della poesia che c’è nel Vangelo: “La mia idea è questa: seguire punto per punto il Vangelo secondo Matteo, senza farne una sceneggiatura o riduzione. Tradurlo fedelmente in immagini, seguendone senza una omissione o un’aggiunta il racconto. Anche i dialoghi dovrebbero essere rigorosamente quelli di San Matteo, senza nemmeno una frase di spiegazione o di raccordo: perché nessuna immagine o nessuna parola inserita potrà mai essere all’altezza poetica del testo. E’ quest’altezza poetica che così ansiosamente mi ispira. Ed è un’opera di poesia che io voglio fare. Non un’opera religiosa nel senso corrente del termine, né un’opera in qualche modo ideologica. In parole molto semplici e povere: io non credo che Cristo sia figlio di Dio, perché non sono credente, almeno nella coscienza. Ma credo che Cristo sia divino: credo cioè che in lui l’umanità sia così alta, rigorosa, ideale da andare al di là dei comuni termini dell’umanità. Per questo dico ‘poesia’: strumento irrazionale per esprimere questo mio sentimento irrazionale per Cristo”.(31)
Pasolini, non cattolico, seguace di Matteo, riesce a raccontare nel suo Vangelo, la sua religiosità di filialità e di genitorialità non praticata, ma comunque vissuta per i suoi ragazzi di vita. Annuncia nel suo Vangelo la più alta aderenza al messaggio cristiano grazie alla sua distaccata non omologazione all’ortodossia comunista e alla sua totale libertà da schematismi precostituiti. E così la storia di Cristo dopo due millenni di interpretazione cristiana supera la realtà storica per accedere all’immaginario mitico in cui questo mito fosse un’idea centrale per un film e in cui la facoltà immaginativa potesse esprimersi nella visibilità.



20 A. Bertini, Teoria e tecnica del film in Pasolini, Bulzoni Editore, 1979
21 Vedi contributi di M. Valente e di A. Molteni in www.pasolini.net
22 A. Bertini, op. cit.
23 Pasolini si riferisce a un passo di Mimesis, Il realismo nella letteratura occidentale (1946)
24 Quaderni di filmcritica - Con Pier Paolo Pasolini, Bulzoni, Roma, 1977
25 Ibidem
26 “Quaderni rossi del ’46”, in Nico Naldini, Pasolini, una vita, Einaudi, Torino, 1989
27 Quaderni di Filmcritica. Con Pier Paolo Pasolini, op. cit.
28 A. Bertini, op.cit.
29 Pier Paolo Pasolini, Le belle bandiere, Editori Riuniti, Roma
30 Quaderni di Filmcritica. Con Pier Paolo Pasolini, op. cit.
31 Pier Paolo Pasolini, Sette poesie e due lettere, a cura di Rienzo Colla, La Locusta, 1985



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numero 2
Sentieri letterari del Novecento
Relazioni su temi di Letteratura italiana
a cura di
Lina D’Andrea
PROVINCIA DI PERUGIA


Pasolini e la immagine imago

Anche per Pasolini la risposta all’affermazione che lo vede autore di “storie di carne e di sangue” risiede nell’uso dell’immagine evocatrice di immagini, sul comune terreno di immaginazione e linguaggio che condivide per la parola con Calvino. L’immagine è nel cinema di Pasolini religiosamente poetica soprattutto quando si rivolge alla trattazione di opere classiche e attinge alla perizia poetica dell’autore. Ma il cinema pasoliniano spesso soccombe sotto il peso dello scandalo e la battaglia più faticosa che deve fare un insegnante oggi per parlare di Pasolini alle nuove generazioni è sgombrare il campo dal pregiudizio scandalistico. Anche in questo caso alcune riflessioni dell’autore e di altri autori aiutano nell’operazione di riabilitazione. Nei due passi seguenti, a conferma dell’alone profetico che lo circonda, l’autore parla della morte e dello scandalo, invitando gli amici a non lasciarsi toccare dal contagio scandalistico.

E’ dunque assolutamente necessario morire, perché finché siamo vivi manchiamo di senso, e il linguaggio della nostra vita (con cui ci esprimiamo, e a cui dunque attribuiamo la massima importanza) è intraducibile: un caos di possibilità, una ricerca di relazioni e di significati senza soluzione di continuità. La morte compie un fulmineo montaggio della nostra vita: ossia sceglie i suoi momenti veramente significativi (e non più ormai modificabili da altri possibili momenti contrari o incoerenti), e li mette in successione, facendo del nostro presente, infinito, instabile e incerto, e dunque linguisticamente non descrivibile, un passato chiaro, stabile, certo, e dunque linguisticamente ben descrivibile (nell’ambito appunto di una Semiologia generale). Solo grazie alla morte, la nostra vita ci serve ad esprimerci.(17)

Non rinuncerò mai a nulla per la reputazione. Io spero che coloro che mi sono amici, o personali, o in quanto lettori, o come compagni di lotta (e nei cui occhi, lo so,cala un’ombra, ogni volta che la mia reputazione è in gioco: un’ombra che mi dà un dolore terribile) siano così critici, così rigorosi, così puri, da non lasciarsi intaccare dal contagio scandalistico: se così fosse, gli sconfitti sarebbero loro; se solo cedessero per un attimo e dessero un minimo valore alla campagna dei nemici, essi farebbero il gioco dei nemici. Non si lotta solo nelle piazze, nelle strade, nelle officine, o con i discorsi, con gli scritti, con i versi: la lotta più dura è quella che si svolge nell’intimo delle coscienze, nelle suture più delicate dei sentimenti.(18)

Franco Fortini risponderà a questo invito, dopo lunghi anni di contatti interrotti,
esprimendosi con parole molto convincenti: “Meno commozione per Pasolini, più
amore e intelligenza per quello che egli ci ha detto”.

Il solo modo di parlare di Pasolini, in mezzo al vocio autopunitivo di questi giorni, è leggerlo.[…] Per questo non ho nulla da dire per la morte di Pasolini che non sia stato detto in questi giorni, anche egregiamente, dai miei colleghi in letteratura; fuor del consiglio di prendere i suoi libri di versi e capirli. Gli sono stato amico per molti anni; avverso per altri; sempre ho cercato di intenderlo e amarlo. Ho in comune con lui la divisione, la duplicità, di cui si fa, quando si fa, la poesia. Nel testo autentico, d’altronde, come nell’attimo della morte, coincidono elezione e destino, scelta e inevitabilità.
Meno commozione per Pasolini, più amore e intelligenza per quello che egli ci ha detto.(19)

Accogliendo l’invito di Fortini, indaghiamo questo Pasolini della poesia e del cinema, ambiti dove al meglio si è espressa la sua facoltà immaginativa legata all’immagine poetica e all’immagine filmica.



17 P. Pasolini, Empirismo eretico, Garzanti, Milano
18 P. Pasolini, Vie Nuove n. 51 del 28 dicembre 1961
19 F. Fortini, Il Manifesto, 7 novembre 1975



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Pasolini e Calvino - Calvino e la parola-imago

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Calvino e la parola-imago

Sono due le posizioni critiche che Calvino assume nel suo iter di formazione letteraria. La prima è riassumibile nella presentazione di Una pietra sopra del 1980 cui espone il suo progetto per una letteratura utile alla “ricostruzione”:

In questo volume ho messo insieme scritti che contengono dichiarazioni di poetica, tracciati di rotta da seguire, bilanci critici, sistemazioni complessive del passato e presente e futuro, quali sono andato successivamente elaborando e mettendo da parte durante gli ultimi venticinque anni. […] L’ambizione giovanile da cui ho preso le mosse è stata quella del progetto di costruzione d’una nuova letteratura che a sua volta servisse alla costruzione d’una nuova società. […] Certo il mondo che ho oggi sotto gli
occhi non potrebbe essere più opposto all’immagine che quelle buone intenzioni costruttive proiettavano sul futuro. La società si manifesta come collasso, come frana, come cancrena. […](11)

Subentra, nel successivo processo di delusione, disillusione e disincanto un atteggiamento di distacco dall’attualità, come affermato nella lettera a Pasolini e come già annuncia in questa presentazione. Il discorso sembrerebbe concluso con l’atteggiamento di aristocratico e addolorato ritiro nella torre eburnea della scrittura se non ci fosse un testamento morale di fedeltà alla letteratura, unica e privilegiata depositaria di valori utili per il nuovo millennio.

La mia fiducia nella Letteratura consiste nel sapere che ci sono cose che solo la Letteratura può dare coi suoi mezzi specifici. Vorrei dunque dedicare queste mie conferenze ad alcuni valori o qualità o specificità della letteratura che mi stanno particolarmente a cuore, cercando di situarle nella prospettiva del secondo millennio.(12)

Questa premessa allude ai six memos, ai sei “appunti” - categorie di valori, rappresentati da classici individuati all’interno delle sei categorie. Perché si esprime attraverso i classici rivisitati e non attraverso un romanzo? Ce lo spiega lo stesso autore in

Perché leggere i classici:(13)

I classici sono quei libri di cui si sente dire di solito: “Sto rileggendo...” e mai “Sto leggendo...” […] I classici sono quei libri che ci arrivano portando su di sé la traccia delle letture che hanno preceduto la nostra e dietro di sé la traccia che hanno lasciato nella cultura o nelle culture che hanno attraversato (o più semplicemente nel linguaggio o nel costume). [...] Un classico è un’opera che provoca incessantemente un pulviscolo di discorsi critici su di sé, ma continuamente se li scrolla di dosso. [...] Chiamasi classico un libro che si configura come equivalente dell’universo, al pari degli antichi talismani. [...] Il “tuo” classico è quello che non può esserti indifferente e che ti serve per definire te stesso in rapporto e magari in contrasto con lui. [...] Un classico è un libro che viene prima di altri classici, ma chi ha letto prima gli altri e poi legge quello, riconosce subito il suo posto nella genealogia. [...] E’ classico ciò che tende a relegare l’attualità al rango di rumore di fondo, ma nello stesso tempo di questo rumore di fondo non può fare a meno. [...] E’ classico ciò che persiste come rumore di fondo anche là dove l’attualità più incompatibile fa da padrona.

Cambio di rotta? Maturazione della persona-autore in anni di formazione anche esperenziale? La risposta possiamo trovarla in una formula indicata dallo stesso Calvino già nel 1959: mimesi attiva della negatività che risponde in questo modo alla sfida dei mutamenti sociali, negativamente manifestatisi, con l’imitazione della stessa negatività in forma attiva e con la conseguente tensione all’attenzione costante per immaginazione e linguaggio. Calvino risponde con la crisi personale alla crisi etica della società che ai suoi occhi si manifestava come collasso, come frana, come cancrena e alla quale negli ultimi anni oppone la letteratura, intesa soprattutto come letteratura di valori trasmessi, attraverso i classici di ogni tempo, dalla forza immaginativa della parola-imago nell’intento di comunicazione immediata che la scrittura stabilisce quando evoca nella nostra mente immagini visive secondo la vocazione propria del linguaggio scritto. Ecco allora apparire la fiducia anche nell’uomo non solo destinatario, ma soprattutto decodificatore in comunicazione con la letteratura come universo dei segni. La parola acquista il suo senso enfatico-religioso nella comunicazione cosmica e nella possibilità combinatoria di questi segni, sia all’interno della parola stessa, sia nella combinazione di una espressione scritta. Quando leggiamo la nostra mente avvia un processo di successione di immagini che ci mettono in sintonia con l’autore e questo processo, apparentemente così scontato, avviene per la forza rappresentativa della parola scritta nella sua funzione di imago, di immagine che utilizza e sviluppa la nostra facoltà immaginativa. Le due immagini, quella scritta e quella immaginata entrano magicamente in sintonia e si attiva quello che Calvino chiama cinema mentale dell’immaginazione. Nel capitolo dedicato alla Visibilità si chiede anche quale sia l’origine di queste immagini che cadono nella nostra fantasia, anzi, come ricorda sempre Calvino, Dante per riferirsi a questo meccanismo, usa l’espressione, essa stessa di forte impatto immaginativo, Poi piovve dentro a l’alta fantasia.
Il nostro autore, nel descrivere il suo percorso ideativo, conclude che il processo in vari modi spiegato si riferisce comunque ad un processo intangibile legato alla ispirazione divina, all’inconscio individuale o collettivo e che quindi l’immaginazione è o strumento di conoscenza o identificazione con l’anima del mondo. La sua razionalità non può escludere la prima ipotesi, ma è forte la tentazione per la seconda ipotesi alla fine così rielaborata nelle conclusioni per una spiegazione della parte visuale dell’immaginazione letteraria.

Diciamo che diversi elementi concorrono a formare la parte visuale dell’immaginazione letteraria: l’osservazione diretta del mondo reale, la trasfigurazione fantasmatica e onirica, il mondo figurativo trasmesso dalla cultura ai suoi vari livelli, e un processo d’astrazione, condensazione e interiorizzazione dell’esperienza sensibile, d’importanza decisiva tanto nella visualizzazione quanto nella verbalizzazione del pensiero.(14)

Alla fine di tutto rimane il pensiero che appartiene all’uomo anche oltre l’uomo come vorrebbe Asor Rosa nel suo interessante saggio Calvino e la narrativa strutturale(15) in cui afferma che oltre le strutture mentali Calvino scopre la contemplazione dell’essere: quello che sta prima (o dopo) che l’uomo con la sua infaticabile e inesauribile attività disgiuntiva e associativa, lo abbia sistemato, catalogato, neutralizzato in sistemi logici ed espressivi. […]Oltre il pensiero c’è l’essere e con l’essere c’è la fine dell’essere e con la fine dell’essere c’è la fine del pensiero, della parola, del segno, delle forme, ecc...; ossia la contemplazione, lucida e disincantata, del limite insuperabile di ogni conoscenza umana, anche la più raffinata e profonda. Ma siamo sicuri che la via della conoscenza sia limitata dalla morte? Se si vuole davvero credere nella forza e nella potenza della parola evocatrice di immagini possiamo anche credere che esista un meccanismo di sovrapposizione di immagini che va oltre le singole vite e costituisca, come afferma Starobinski ne L’impero dell’immaginario(16), l’anima del mondo che viene guardato dall’alto come fa il Barone rampante.
A quest’anima in senso laicamente religioso, è affidata la sopravvivenza della parola-imago, una parola che non nasce e non muore, ma che si è radicata in questa anima cosmica e vive sempre con tutti e per tutti. Calvino credeva in questa eternità della parola scritta, aveva almeno questa di inconsapevole e scomoda credenza che testimoniava in qualche modo l’eternità almeno di un’anima, quella cosmica. Negare tutto questo avrebbe determinato togliere la vita alla parola scritta, ad un sistema di segni che si combina in un numero infinito di soluzioni: per questo la conoscenza non può essere limitata alla vita del singolo, ma si alimenta della continuità delle conoscenze in una catena infinita.
Alla fine Calvino avrebbe potuto affermare, se solo lo avesse voluto: “Io credo nella parola di chi scrive Storie di carta e d’inchiostro perché mi fa credere nell’eternità”.



11 I. Calvino Una pietra sopra. Discorsi di letteratura e società, Torino, Einaudi, 1980, Collana “Gli Struzzi”.
12 I. Calvino, Lezioni americane, Introduzione, Mondadori Milano, 1993
13 I. Calvino Perché leggere i classici, con prefazione di Esther Calvino, Milano, Arnoldo Mondadori, 1991, pp. 5-13
14 I. Calvino, Lezioni americane, op. cit., p. 106
15 A. Asor Rosa, op. cit., pp. 471-472
16 J. Starobinski in La relation critique, Gallimard, 1970



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Pasolini e Calvino - Forma e costruzione contro vita e passione?

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numero 2
Sentieri letterari del Novecento
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Forma e costruzione contro vita e passione?

A ragione A. Asor Rosa afferma che il Novecento che vedevamo diviso si è oggi tutto riunificato alle nostre spalle e le battaglie anche di poetica ipotizzabili oggi sono irreversibilmente compiute senza alcuna possibilità di interventi riparatori con possibilità di  interpretare e comprendere un secolo che non è più il nostro futuro, ma un passato compiuto. La contemporaneistica è duplice, la prospettiva storica è monastica: noi siamo allo stesso tempo gli storici e i contemporanei di noi stessi. (10) Questa premessa ci autorizza a scoprire in un Novecento riunificato nella prospettiva letteraria il terreno di confronto - conflitto con i processi di modernizzazione tendenti a travolgere e annullare ogni opportunità di produrre immagini con parole originali e sensate. L’antinomia Forma - Costruzione contro Vita - Passione può essere superata, come individuato da Asor Rosa, nel comune terreno di Immaginazione e Linguaggio e risolta, aggiungeremo, con l’esito di un utilizzo di linguaggi diversamente espressivi della facoltà immaginativa: linguaggio iconico-verbale nella produzione filmica di Pasolini e linguaggio di parola scritta in Calvino, particolarmente negli ultimi anni. Restringendo ancora di più il campo di osservazione al rapporto dei due autori con i classici si potrà scoprire nella religiosità dell’essere la chiave ermeneutica che entrambi utilizzano per interpretare la realtà attraverso i classici della letteratura di tutti i tempi.


 
10 A. Asor Rosa, Letteratura italiana del Novecento - Bilancio di un secolo, Einaudi, 2000, pp. 5-6


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Pasolini e Calvino - Storie di carta e d'inchiostro e storie di carne e di sangue

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Calvino-Pasolini: storie di carta e d’inchiostro e storie di carne e di sangue

Caro Pierpaolo, l’ho letto tutto. E’ bellissimo.(3) Con uno stacco netto su tutti gli altri nostri libri. E’ il tipo di libro che bisognava scrivere. Tutte (o quasi) le cose che io voglio ci siano in un libro ci sono. E’ un libro come avrei voluto scrivere io (con tutte quelle cose dentro, poi diversissimo) e forse mai scriverò, ma sono contento che sia stato scritto cioè che la letteratura oggi non sia tanto diversa da come la vorrei. C’è il salto qualitativo da “Ragazzi di vita”, perché in Ragazzi di vita (pur bellissimo come poema lirico) mancava la tensione individuale, l’attrito col mondo, e l’umanità era marmellata.(4)

L’entusiasmo della lettera testimonia un rapporto fra i due autori molto autentico nella sua dialetticità, un rapporto documentato nelle raccolte di Lettere di entrambi (5) nelle quali molto frequentemente si definisce il ruolo della letteratura attraverso l’ispirazione del momento di due intellettuali italiani spesso contrapposti. La lettera riportata è significativa per l’affermazione della stima di Calvino per un collega che ha fatto una scelta di “impegno” diversa dalla sua. Queste scelte diversificate fanno scrivere a Pasolini nel 1973:

"Poi Calvino ha cessato di sentirsi vicino a me.” (6)

E Calvino nella sua accorata risposta fornisce la risposta anche all’interrogativo che anima da anni un dibattito critico tra i più accesi. Quale la funzione della letteratura e dell’intellettuale nella società: passionale impegno o eburneo disimpegno?

Caro Pier Paolo, solo ieri ho letto il tuo articolo bellissimo(7) e sono felice che ancora lo scrivere mi riservi la sorpresa di un dialogo come questo, un discorso come il tuo tutto di rapporto diretto e intelligenza vitale, fuori da ogni prevedibile meccanismo del discorso critico. […] Una parola sul nostro”aver cessato di sentirci vicini” negli ultimi dieci anni o giù di lì. Sei tu che sei andato molto lontano, vuoi dire: non solo nel cinema che è quello che più di lontano ci può essere dal ritmo mentale di un topo di biblioteca quale io nel frattempo sono diventato, ma perché anche il tuo uso della parola s’è adeguato a comunicare traumaticamente una presenza come proiettandola su grandi schermi: un modo di rapido intervento sull’attualità che io ho scartato in partenza.[…] l’essere presente per dire la tua sull’attualità secondo l’ottica dei giornali, col metro dell’attualità dei giornali e in presa diretta sull’‘‘opinione pubblica” dà certo una grande sensazione di vita, ma è vita nel mondo degli effetti, non in quello delle lente ragioni. E’ dunque il tuo “modo di aver scelto l’attualità” che ci ha diviso: non il mio, che non esiste; nell’attualità ho capito spesso di non aver posto e sono rimasto da parte, magari rodendomi il fegato, ma restando in silenzio, come tu dici del resto, tanto anche se avessi parlato non c’era nessuno disposto a starmi a sentire e a rispondermi.[…] Quello che tu dici della mia immagine che ha cominciato a ingiallire e a scolorire corrisponde bene alle mie intenzioni. I morti, a non essere più in un mondo in cui troppe cose non gli appartengono più, devono provare un misto di dispetto e di sollievo, non diverso dal mio stato d’animo. Non per niente sono andato a vivere in una grande città dove non conosco nessuno e nessuno sa che esisto: e così ho potuto realizzare un tipo di vita che era almeno una delle tante vite che ho sempre sognato: passo dodici ore al giorno a leggere, la maggior parte dei giorni dell’anno. Cercherò di leggerti sempre su “Tempo”. Abbiti i miei ringraziamenti e saluti con la mia vecchia amicizia.(8)

Questa lettera esprime una sintetica, ma acuta e sentita analisi dell’essere intellettuali in quegli anni così ideologicamente segnati e con assunti relativi alla figura dell’intellettuale in età post-moderna... Lo scoiattolo della penna, come Pavese definì Calvino, con la sua incisiva leggerezza nel dominio assoluto di forma e costruzione spiega la distanza, o meglio, il non sentirsi vicini intuito e denunciato da Pasolini, intellettuale inserito nei mass-media con la dominanza della categoria della visibilità e della vita e passione. Non appartiene a Calvino questa categoria, questo modo di aver scelto l’attualità: preferisce, e lo dichiara, il nascondimento isolato nelle sue storie di carta e d’inchiostro alla impegnata visibilità di un Pasolini, dedito alle storie di carne e di sangue (9), che non accetta di scomparire dietro il testo, dietro le maschere della narrazione e le frantumazioni dell’identità.



3 In questa lettera Calvino fa riferimento a Una vita violenta di Pasolini edita da Garzanti nel 1959. Anche a P.Citati in una lettera dell’8 giugno esprime giudizio analogamente positivo: Il Pasolini è un bellissimo libro.Bellissimo. Uno dei più bei libri italiani del dopoguerra, uno dei più bei libri degli ultimi anni in senso assoluto.(I. Calvino, Lettere 1940-1985, Meridiani, Mondadori, 2000, p. 598)
4 I. Calvino, Lettere 1940-1985, Meridiani, Mondadori, 2000, p. 596
5 Vedi P. Pasolini, Lettere 1955-1975, a cura di N. Naldini, Einaudi, Torino, 1988
6 P. Pasolini, Lettere 1955-1975, op. cit., pp. CXLVI-CXLVIII
7 Riferimento alla recensione delle Città invisibili sul settimanale Tempo del 28 gennaio 1973
8 I. Calvino, Lettere 1940-85, op. cit., pp. 1196-1198
9 C. Benedetti, Pasolini contro Calvino, Bollati Boringhieri, 1998



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