"Le pagine corsare "
dedicate a Pier Paolo Pasolini
Eretico e Corsaro
IL CANTO CIVILE DI
PASOLINI
di Carlo Felice
Casula
Nei primi giorni di novembre del 1975. fresco di laurea
e di movimento studentesco, ma già assistente all'Università di Roma, ero a
Bari, invitato a un convegno su TogIiatti e il Mezzogiorno
che si ,teneva alla Fiera del levante con la presenza di
molti noti storici e leader politici, tutti, però quasi oscurati dalla presenza,
anche fisica di Giorgio Amendola, con la sua mole, la sua verve ,la sua Storia.
Non ero, anche per stile generazionale, assiduo spettatore di telegiornali, o
forse nella splendida casa di campagna dell'entroterra barese di Enzo Modugno,
che proprio allora stava dando vita a Marxiana.
la rivista più raffinata e prestigiosa dell'ultra Sinistra.
dove ero ospite con altri amici più semplicemente la televisione non c'era.
Fatto Sta che, quando la mattina del 2 novembre comprammo i quotidiani (di
questi eravamo invece voraci consumatori e per di più, dovevamo premunirci
contro la possibile noia di una lunga mattinata di relazioni e interventi),
fummo presi e sconvolti dai titoloni in prima pagina sulla tragica morte di Pier
Paolo Pasolini. Non ricordo se e come nel convegno si reagì a questa
notizia-evento; ricordo invece, come se fosse oggi, che per me l'impatto fu
molto forte e coinvolgente, anche perché il modo in cui l'intensa vita di
Pasolini si era conclusa (una morte atroce, dopo un incontro di sesso
mercenario, per mano di un "ragazzo di vita", un "marchettaro", nel crudo gergo
romanesco, scoperto, amato e rilanciato da Pasolini in alcuni dei suoi più noti
romanzi, Ragazzi di vita, appunto, e
Una vita violenta) non ci sembrò, pur
essendo in generale così sensibili alle tesi complottiste, né strana né
sospetta, ma emblematica e quasi preannunciata dal cupio
dissolvi che traspariva dall' ultimo e certo non più bello
dei suoi film, Salò o le
120 giornate di Sodoma.Lo scandalo
della sua vita di uomo e di intellettuale-poeta attento e quasi preveggente,
sensibile e impegnato fino a un sofferto coinvolgimento personale (la sua
produzione vasta e variegata di scrittore, regista, sceneggiatore,
saggista-opinionista è tutta riconducibile a questa sua dimensione, trovava
nella sua morte orribile una emblematica conclusione-conferma. Scandalo nel
significato che San Paolo attribuisce alla vita e alla morte in croce di Gesù
(non sembri il paragone blasfemo o irriverente.), come eccezione clamorosa
rispetto alla normalità, ma anche come realtà e testimonianza con cui tutti si
debbono misurare e confrontare.
Nel mio sgomento e sconforto era presente anche il
ricordo di un personale incontro. Nella primavera del 1968. In tutta Italia era
esplosa la protesta studentesca che, a partire dall'università aveva coinvolto e
travolto il mondo giovanile. Sono fatti fin troppo noti, anche perché, nel
tempo, il Sessantotto è diventato quasi una epopea ripetutamente rievocata nei
media da protagonisti e dai testimoni e osservatori. Pasolini, dopo la
manifestazione di Valle Giulia che si ebbe a Roma nel mese di marzo, con
centinaia di feriti tra giovani, ma anche per la prima volta tra gli ancora
sprovveduti poliziotti, decine di arresti e moltissimi fermati, (compreso chi
scrive), scrisse di getto per l' eIitaria rivista Nuovi
Argomenti una lunga poesia, Il PCI ai
giovani, che suscita clamore, stupore e scandalo, anche
perché fu pubblicata in contemporanea, "proditoriamente"(secondo l'esplicita
affermazione di Pasolini) dal Settimanale L'Espresso,
all'interno di un ampio reportage, con il provocatorio
titolo Vi odio cari studenti!
L'intellettuale impegnato, di sinistra, comunista, nello
scontro che aveva visto contrapposti in un campo di battaglia, non più solo
metaforico, giovani studenti e giovani poliziotti, scriveva di preferire
decisamente questi ultimi, sia per la loro estrazione sociale, popolare e
meridionale, sia, ancor più, per la loro "innocenza". Il Movimento studentesco
reagì sdegnato e offeso e così pure non pochi uomini di cultura, come Fortini, e
politici in carriera come Achille Ochetto, che intervenne con un articolo
sprezzante su Rinascita. Sotto accusa per lutti era la presunta incapacità di
Pasolini di cogliere le ragioni dello scontro in atto e di comprendere il ruolo
di repressione svolto dalle forze di polizia in difesa del vecchio ordine.
Facevo allora parte del "collettivo fuorisede", composto da giovani studenti
universitari, anch'essi per lo più' poveri e meridionali. Nei confronti di
Pasolini e, in particolare, del suo cinema, avevamo una vera e propria passione
e, anche per questo, si sviluppò al nostro interno una discussione accesa e
prolungata su queste sue affermazioni. A differenza, tutta via, dei nostri
compagni del Movimento studentesco e, in particolare, di quella componente che
chiamavamo i "pariolini", quasi istintivamente, riuscimmo a cogliere la "verità
interna" contenuta nella poesia incriminata. Ci ragionammo molto insieme, in
seguito. quando Pasolini ritornò sull’'argomento sul settimanale
Tempo, a distanza di un anno, il 17
maggio del 1969. Pur senza nulla, ritrattare Pasolini. esprimendo anzi rammarico
e sconcerto per la sostanziale incomprensione della verità, precisava a scanso
di ulteriori equivoci:
."... Nella mia poesia dicevo. in due versi. di
simpatizzare per i poliziotti fìgli di poveri, piuttosto che per i signorini
della facoltà di Architettura di Roma [...] non era che una boutade una piccola
furberia oratoria paradossale per richiamare l'attenzione del lettore e
dirigerla su ciò che veniva dopo in una dozzina di versi. dove i poliziotti
erano visti come oggetti di un odio razziale a rovescia. in quanto il potere
oltre che additare all'odio razziale i poveri - gli spossessati del mondo -ha la
possibilità anche di fare di questi poveri deglì strumenti (...): le caserme dei
poliziotti vi erano dunque viste come ghetti particolari. in cui Ia qualità'
della vita è in giusta, più gravemente ingiusta ancora che nelle università". La
nostra cultura non era così raffinata da saper cogliere nella poesia di Pasolini
(e Pasolini è, al di là forse dei suoi stessi intenti, poeta che si esprime con
la scrittura e con le immagini-suono-ritmo del cinema, e non sociologo,
antropologo, né tanto meno commentatore politico) la funzione centrale, oltre
che della metafora, anche della "sineddoché", dell"'ossimoro", del "paradosso",
ossia del suo frequente ricorrere, per esprimere un concetto, a enfatizzare un
aspetto, quasi sottacendo il resto e tralasciando il contesto. Proprio in quei
mesi avevamo, invece, fatto una singolare convergente esperienza sul campo. In
centinaia, per protestare contro le disfunzioni della mensa universitaria, per
diversi giorni portavamo i tavolini per strada e mangiavamo all'aperto,
bloccando così il traffico. La polizia non tardò ad arrivare, ma non fu da noi
accolta con gli usuali fischi e improperi. Con il megafono, a più voci,
parlammo-dialogammo con passione con i poliziotti in tutti i dialetti del
Meridione; l'ufficiale che li comandava già pronto a ordinare la carica, con
tanto di fascia e di trombettiere a fianco, percepì, anch'egli, come noi, tra i
suoi ragazzi in divisa, una stupefacente onda di vera e propria
commozione-simpatia nei confronti di quegli studenti che provenivano dagli
stessi paesi e forse anche dalle stesse famiglie. L'episodio fu riportato nella
cronaca cittadina dei giornali della Capitale; Pasolini; sempre attento a questo
tipo di avvenimenti, per vie traverse ci comunicò che era curioso e contento di
incontrarci. Tra l'altro la via dove questa nostra originale manifestazione si
era svolta era non distante dal Tiburtino, nella periferia est di Roma, dove
Pasolini aveva conosciuto alcuni dei suoi amici-interlocutori più cari, come
Franco e Sergio Citti, ispiratori, personaggi e attori di suoi importanti libri
e film (Una vita violenta, Ragazzi di vita, Accattone, Mamma
Roma). Ci andammo in tre, i "leader", con grande
riservatezza, perché avevamo il timore di comprometterci con gli altri
collettivi del Movimento studentesco. Aggressivi e indifesi, come tanti suoi
giovani personaggi, parlammo e ascoltammo a lungo con grande emozione, anche
quando il discorso dalla politica passò ad altro e anche a quello, per noi
ragazzi meridionali, più difficile e imbarazzante-pruriginoso, della sessualità.
Su cui, pur tuttavia, ci eravamo, preventivamente; documentati, per non
presentarci sprovveduti, con la proiezione del suo bellissimo film documentario
Comizi d'amore del 1964, di cui egli
stesso ci aveva prestato una copia. Per quanto concerne questo specifico tema,
così presente e centrale negli Scritti, nei film e nella vita stessa di
Pasolini, non può non essere giudicata' strumentale e irriguardosa l'operazione
che in taluni ambienti cattolici è stata compiuta tentando di arruolarlo,
postmortem, nello schieramento antidivorzista e antiabortista. La questione vera
che egli sollevava e "scandalosamente" viveva era quella dell'autonomo,
positivo, valore della sessualità, anche di fuori della specifica finalità
creativa. Non si può negare-disprezzare-perseguitare la sessualità non
procreativa e al contempo essere favorevoli all'aborto: è questo un tipico
ossimoro-paradosso pasoliniano.Ma ritorno al ricordo dell'incontro del
Collettivo fuorisede con, Pasolini: ci diede una 'grossa somma di denaro per le
nostre iniziative e al meno "politicizzato" di noi tre promise di farlo lavorare
in uno dei suoi film. Cosa che poi puntualmente avvenne, con grande gioia
dell'interessato e molto orgoglio da parte nostra. Nel Canto
civile, del dicembre 1969. ci parve di cogliere, a
posteriori. ma a ridosso, quasi un'eco di questo nostro incontro, nel verso "Chi
farebbe la rivoluzione - se mai la si dovesse fare - se noni loro? Diteglielo:
sono pronti. tutti allo stesso modo, così come abbracciano e baciano e con lo
stesso odore nelle' guance ". I due versi finali, solo apparentemente,
mostravano un esito pessimistico: "Ma non sarà la loro fiducia nel mondo a
trionfare./ Essa deve essere trascurata dal mondo". Era sufficiente, per
capovolgerne il senso, far ricorso alle più semplici categorie sapienziali del
Vangelo. Forse Pier Paolo Pasolini in
questo unico intenso (per noi sicuramente, probabilmente anche per lui)
incontro, aveva visto dei giovani capaci di rendersi conto, individuando cause e
responsabilità, che nell'Italia industrializzata e secolarizzata, ma non per
questo più ricca per usare una sua notissima metafora ,
ai bordi delle strade "erano improvvisamente scomparse le
lucciole".
Fonte: http://www.informagiovani.it/30anni68/30PasCasu.htm
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Curatore, Bruno Esposito
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