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Biografia, lavori in corso - a breve anche il 1974 e il 1975

martedì 8 dicembre 2020

Pasolini - PORNO-TEO-KOLOSSAL - IL VIDEO.

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro



'Porno Teo Kolossal': 

il film mancato di Pasolini con Eduardo

Trattamento di Pier Paolo Pasolini e Sergio Citti (1975)




In un nastro registrato poco prima di morire l' intellettuale racconta il film che non riusci' a realizzare L' ultimo Pasolini: cerco il Messia in un mondo malato 

Pochi giorni prima della sua morte, Pasolini incise su un nastro per raccontare il film che voleva realizzare dopo "Salo". Il titolo doveva essere "Porno - Teo - Kolossal". Protagonista, Eduardo De Filippo, nei panni di un moderno remagio napoletano che segue la stella cometa e con il servitore Ninetto Davoli cerca il Messia tornato sulla Terra.

La voce registrata dell' autore spiega la pellicola che progettava dopo "Salo", tra re magi e dissoluzione Il remagio De Filippo visita cosi' Sodoma (la Roma degli anni ' 50), Gomorra (la Milano del neocapitalismo), Numanzia (Parigi assediata dai nazi - fascisti).
La Roma del dopoguerra, moderna Sodoma in cui l' unico amore consentito e' quello omosessuale (a capo dei governanti, una donna: Pasolini pensava a Silvana Mangano). La Milano degli anni Settanta e delle bombe e' Gomorra, che proibisce l' omosessualita' ; popolata da maschi scatenati che violentano le donne e assaltano banche e negozi. Infine, gli abitanti di Parigi (ribattezzata Numanzia, la citta' - martire della Spagna che resisteva ai Romani), stremati dall' assedio nazista, decideranno di suicidarsi. 

Settantacinque pagine di trattamento spedite a Eduardo, l´impegno solenne per un percorso comune da intraprendere, spezzato però dall´omicidio di Ostia, nella notte tra sabato 1 e domenica 2 novembre. Eduardo va in tv e definisce Pasolini un amico 

«angelico». 

Di lui dice di aver amato 

«la sincerità, la libertà assoluta del suo pensiero, la lucidità nell´analisi sociale, la ribellione all´ipocrisia e alla falsità». 

Si becca lettere anonime di protesta, eppure poco dopo invia a "Paese Sera" una delicata poesia, un ultimo omaggio, com´era sua abitudine per la scomparsa di ogni persona cara. 


La spalliera di Cristo

Pier Paolo
di Eduardo De Filippo

Non li toccate
quei diciotto sassi...
che fanno aiuola
con a capo issata
la ‹‹spalliera›› di Cristo.
I fiori,
sì,
quando saranno secchi,
quelli toglieteli,
ma la ‹‹spalliera››,
povera e sovrana,
e quei diciotto irregolari sassi,
messi a difesa
di una voce altissima,
non li togliete più!
Penserà il vento
a levigarli,
per addolcirne
gli angoli pungenti;
penserà il sole
a renderli cocenti,
arroventati
come il suo pensiero;
cadrà la pioggia
e li farà lucenti,
come la luce
delle sue parole;
penserà la ‹‹spalliera››
a darci ancora
la fede e la speranza
in Cristo povero.

[1975]

«Pasolini vedeva nell´attore la maschera vivente di Napoli». Un calco vivente dell´ultima città dialettale, la sola a resistere all´omologazione linguistica che la televisione stava imponendo. È lui Epifanio, il re magio che parte per l´Oriente seguendo una cometa apparsa su Napoli. "Porno-Teo-Kolossal" comincia così, o meglio così sarebbe cominciato, con Ninetto Davoli nel ruolo di Nunzio, compagno di viaggio di Eduardo. Un viaggio allegorico e surreale, visionario come un quadro di Bosch, l´altra faccia del tragitto compiuto da Totò in Uccellacci e uccellini: la fine del marxismo, e ora la venuta del Salvatore. 

Ma nelle 75 pagine inviate da Pasolini a Eduardo, c´era spazio anche per la sua vis comica, a cui erano affidati alcuni momenti pensati per alleggerire l´andamento drammatico del film. Canzoni, smorfie mimate, battute con un altro personaggio napoletano, misterioso e onnipresente, ambulante a Sodoma, mercante d´armi a Gomorra, cuoco fascista a Numanzia, autista a Ur: un uomo che offre più volte la sua protezione al dolce Epifanio, ma che si rivela alla fine il ladro del presepe d´oro. 
Con Eduardo, Pasolini aveva già lavorato nel ´61, chiedendo agli attori della compagnia De Filippo di doppiare i napoletani di Accattone. Una seconda volta non c´è stata mai.





@Eretico e Corsaro - Le Pagine Corsare

Curatore, Bruno Esposito

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Pasolini - PORNO-TEO-KOLOSSAL - UR

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro




'Porno Teo Kolossal': 

il film mancato di Pasolini con Eduardo

Trattamento di Pier Paolo Pasolini e Sergio Citti (1975)



UR

Il finale è un “adagio” che si articola in tre fasi, sempre più leggere, sempre più fantomatiche, sempre più deliranti. Cambia di conseguenza anche il ritmo del racconto, tanto più comico quanto più misterioso e surreale. Viene previsto un commento musicale continuo (mentre prima la musica era sempre “vera”) ecc.




I
I nostri due viaggiatori son ora in un Jumbo, che vola verso il purpureo Oriente. Il Jumbo è gremito di faccie buffe e indecifrabili, pieno di panini e pedalini.
Epifanio e Nunzio sono seduti tra due vietnamiti e una fila di indiani, stretti stretti. Epifanio si tiene al petto come una creatura il suo eterno fagotto misterioso, da cui penzola il bigliettino del “bagaglio a mano”, destinazione UR. E gli occhi di Nunzio, forse per la curiosità suscitata da quel bigliettino, per la prima volta si fissano a lungo, intenti, sul pacco gelosamente abbracciato da Epifanio. Ed ecco che quegli occhi (gli occhi di Epifanio son chiusi in un sonno malandato) hanno un guizzo -- ironia? pietà? partito preso? preciso calcolo? -- a cui segue scattante la domanda -- carico di una curiosità accumulata durante tutto il lungo viaggio – 

“A Sor Epifa’, ma che ce tenete dentro a quel pacco?”.

Epifanio sussulta, e apre gli occhi. Dire a uno a uno tutti i sentimenti che passano come un turbine in quelle pupille, sarebbe impossibile. Benché fulminei ci mettono un mezzo minuto buono ad esaurirsi.
Finché il sentimento che alla fine resta fisso è una pacioccona bonomia, una lieta concessione a qualcosa che ci si può finalmente concedere: ed Epifanio mormora misterioso: 

“U dono a ‘u Bambino”.

II Jumbo sta atterrando su una grande città, informe, tra bracci di mare fumigante, e montagne nere a pan di zucchero. Nell’aeroporto, pieno di gente misteriosa che corre da tutte le parti, bisogna far presto, per prendere la coincidenza col DC8 che, fermo all’altro capo della pista, è là che aspetta.
Tenendosi stretto il suo pacco, Epifanio è tuttavia molto preoccupato per le altre valigie. Eccole là che compaiono un istante uscendo dalla pancia del Jumbo; eccole là che compaiono ancora un istante nella distesa di asfalto per poi scomparire dentro i misteriosi meandri dell’aerostazione; eccole là ancora che ricompaiono su un carrello velocissimo, attraverso uno stanzone pieno di suore con un bambino negro e due sick grassi e neri che sembra ballino un tango; eccole ancora riaffiorare, tra enormi pacchi di colli, per essere subito ingoiate in un nero corridoio...E i nostri due viaggiatori, di corsa, dietro... Finche la corsa diviene un vero e proprio “raid”, per raggiungere il DC8 coi motori accesi sotto il sole ardente: è una gara di velocità, vinta da un giapponese. I nostri due arrivano ultimi, Epifanio boccheggiante, sostenuto, col suo pacco, da Nunzio. Appena saliti in cima alla scaletta, l’aereo parte, seguendo la Cometa. Da un oblò Epifanio fa appena in tempo a vedere le due valigie caricate sul dorso di un asinello che, guidato da un vecchio arabo, se ne va ciondolando per un sentiero lungo la pista. Epifanio si stringe più forte al petto il suo dono.
Ora è la volta di una cittadina bianca sulle rive di un lago salato tutto secco e bianco. Dentro la sala d’attesa quasi deserta dell’aeroporto, davanti a cui c’è un solo aeroplano, un vecchio Dakota, Epifanio e Nunzio stanno dormendo distesi sulle due panche. Epifanio tiene selvaggiamente stretto a sé il suo pacco: addirittura lo ha addentato e lo stringe nella bocca come in una morsa. Cosa che non gli impedisce di ronfare.
Ecco che entrano due giovani arabi in blu-jeans e con atavica abilità, cominciano a spogliare i due addormentati: a spogliarli, intendiamo dire, letteralmente...
All’ora in cui, con un boato dell’altoparlante, viene annunciata la partenza del Dakota, infatti, i nostri due viaggiatori sono in mutande. Ma il pacco, Epifanio se lo tiene stretto ancora con le unghie e coi denti.
Svegliati di colpo dall’annunzio esotico della partenza, i due corrono -- in mutande -- privi come sono di qualsiasi alternativa -- verso il Dakota, e vi salgono. Del resto anche gli altri passeggeri, eccettuate le donne che sono tutte coperte di veli -- non hanno altro abbigliamento che un asciugamano che gli fascia i fianchi e un fazzoletto bianco e rosso in testa.
Il luogo dove atterra il Dakota sembra in modo impressionante la fine del mondo. È una semplice pista, in mezzo a un deserto, con un po’ di palme spelacchiate in fondo e una baracca di legno.
Il bigliettaio è seduto su una cassetta di coca-cola, e intorno ci sono cinque o sei soldati, tutti sui tredici quattordici anni, con un basco unto e grandi scarpe alla Charlot .
In più, c’è una vecchia Landrover scassata, con una pomposa scritta vermiglia che annuncia: “Hotel Continental”. Accanto sta l’autista, nero e sudato; e anche sul suo berrettino rosso c’è scritto “Hotel Continental”. Epifanio e Nunzio sono gli unici due passeggeri che scendono -- in mutande e col loro
“bagaglio a mano” -- a quel capolinea. L‘ autista dell’ “Hotel Continental” si avvicina loro offrendo i propri servigi. Ebbene, c’è da non crederlo, è un napoletano!!
A quaranta gradi all’ombra, avviene la nuova agnizione, e, benché allo stremo delle forze, Epifanio ha ancora l’energia di eseguirne l’intero cerimoniale. Poi, protetti dal nuovo amico, i due pellegrini montano sulla Landrover e vanno verso il nulla infuocato.
Ci vogliono un giorno e una notte per arrivare a Ur, a questo famoso “Hotel Continental” e, come scende la sera e fa buio, i tre si dispongono a dormire, sotto una palma, in bivacco. Fanno in tempo a mangiare una pizza e canticchiare un po’ “0 sole mio”, che cadono addormentati di colpo: Epifanio col suo pacco stretto tra le braccia.
Ma il nuovo napoletano non dorme: ha un occhio aperto. Come, con quell’occhio, vede Epifanio perduto in un sonno duro come la morte, piano piano si muove, con abilità che nemmeno i due consumati predoni arabi hanno dimostrato di possedere, libera Epifanio dal suo fardello, e, con gli occhi come carboni ardenti di speranza, balza sulla Landrover: in misterioso silenzio la mette in moto, e scompare tra le dune appena illuminate da una sottile falce di luna.
Ben presto è lontano, irraggiungibile, in un posto fuori dal mondo, dove si sentono solo urlare le jene.
Impazzito dall’impazienza, comincia febbrilmente a disfare il pacco dalla refurtiva: pacco confezionato alla perfezione, quasi corazzato. Piano piano riesce ad aprirlo, e, ai suoi occhi esterrefatti, tutto d’oro -- con la sua grotticella, i.suoi pastori, la sua mangiatoia, la sua vacca, il suo asino, il suo San Giuseppe, la sua Madonna, il suo Bambino -- compare un presepio: preziosa opera che si direbbe di un Bambocciante del Seicento, ma a quanto pare assai modernamente attrezzata.
Infatti, davanti c’è una manovella, girata la quale tutto si anima, a suon di musica. La musica è per la precisione una tarantella, e i pastori la ballano in mezzo al prato d’oro con le pecorelle d’oro, che ticchete tacchete, brucano l’erba d’oro.
È inquadrato solo il Presepio: che è dunque grande come lo schermo, e la Scena pare vera, a grandezza naturale. Al suono della tarantella, il Bambino apre e chiude – zac zac -- le braccine, e la Madonna va su e giù con la testa, mentre San Giuseppe, due piallate, e un sorriso, due piallate e un sorriso. Poi la tarantella dissolve, e viene sostituita dalle note di una musica sacra, sublime. Da dietro un monticello (d’oro) compaiono i Re Magi coi loro doni, e umili e solenni avanzano verso il Bambino e si inginocchiano davanti a Lui rendendogli omaggio.



II
Epifanio si sveglia, sotto la palma, e si rende conto che il suo pacco è sparito. Nunzio è già sveglio, ed è lì che lo guarda, come a godersi pensoso lo spettacolo. Certamente Epifanio è lì lì per morire dal dolore. Ma non dice niente, abbassa la testa, senza muovere un muscolo. Poi si tira su in piedi e fa: 

“Andiamo”. 

Infatti si vede Ur, in fondo all’orizzonte tra aridi montarozzi biancastri.
Non ha voluto dar soddisfazione a Nunzio né al destino: e cammina in mutande e a mani vuote verso Ur. Perché è là che la Cometa si è fermata.
Ma dopo un po’, però, non resiste al suo stoicismo, e scoppia in un pianto disperato di bambino.
Nunzio lo guarda misteriosamente, di sottecchi. Sono ora a Ur, e chiedono alla gente informazioni di una grotta così e cosi, dove deve essere nato un Messia così e così... (Epifanio fa anche dei disegnini sulla polvere -- una faccia con la barba e l’aureola -- per farsi capire). Gli arabi, ai tavolini dei loro caffè o davanti alle loro zozze bancarelle, danno indicazioni assai vaghe. Finalmente, più morti che vivi per la stanchezza, i due giungono dall’altra parte della città, più o meno dove si trovano gli immondezzai. Qui la Cometa, alta nel cielo, ha come un guizzo, scende giù, e va a splendere, rifulgente come non mai, addirittura accecante, sopra una piccola spelonca polverosa.
È verso là, dunque, che Epifanio muove i suoi passi, piangente e ridente. 

“Nun aggio niente ‘e regalà a ‘u Messia” 

dice disperato, nella felicità di aver raggiunto la meta. E Nunzio lo consola: 

“E che cazzo ve frega!”.

Giungono infine davanti alla grotta. Niente e nessuno. Polvere, sassi, le tracce di un fuoco di beduini, qualche cagata secca. Ecco tutto quello che c’è, illuminato dalla luce violentissima della Cometa.
Epifanio cade boccheggiante a terra, come colpito da un fulmine.
Ma ecco che si sente una vocetta strillare gioiosamente. È un ragazzino arabo che viene su di corsa per il sentiero sassoso, e ben presto arriva, tutto sudato. Ha un pacchetto pieno di roba: cianfrusaglie, medagliette, “souvenirs”. 

“Mille lire 

-- dice in un buffo italiano -- 

medalietta di Messia!”. 

Epifanio disperatamente lo interroga. E riesce ad appurare dall’arabetto che sì, il Messia è nato, ma è passato tanto tempo, è anche morto e dimenticato. Il viaggio di Epifanio è stato troppo lungo, egli ha perso troppo tempo con tutte le cose che gli sono capitate: ed è arrivato tardi, irrimediabilmente tardi.
Disperato, Epifanio tira un ultimo sospiro, e muore.
Ma qui si ha un colpo di scena. Ecco che dal corpo di Nunzio si stacca la figura di un altro Nunzio: un Angelo, un vero e proprio Angelo del Signore. Raggiante, egli si avvicina al cadavere di Epifanio, e lo prende per mano. Anche dalla figura morta di Epifanio si stacca la figura di un altro Epifanio, la sua Anima. È elegantissimo, tutto in bianco, con la paglietta, la bagolina e il fiore all’occhiello.
Nunzio gli fa l’occhietto e tenendolo sempre per mano, gli fa: 

“Namo, omo de bona volontà!” 

e, cantando e ballando, lo guida su, per la strada dei Cieli.




III
I due, sempre più felici, salgono di buona lena su su, per gli spazi cosmici (gli stessi in cui era cominciato il nostro poema).

Dissolvenza.

I due continuano a salire, a salire; ma si sono un po’ stancati, e Epifanio si solleva un po’ sulla fronte la paglietta, e, col fazzoletto di seta, si asciuga il sudore.

Dissolvenza.

I due salgono ancora, ma il loro passo è decisamente stanco, incerto, e i loro visi cominciano a mostrare visibilmente un certo fatale scoraggiamento.
Nunzio si guarda inquietamente intorno, nelle altezze vertiginose del cosmo, come cercando di orizzontarsi. 

“Eppure stava qua”, fa. “Che? ‘U Paradiso?”, 

chiede Epifanio: ma ha già capito tutto.

Dissolvenza.

I due salgono salgono, su per i Cieli; ma niente, intorno solo silenzio e vuoto. Ai loro piedi, laggiù, c’è la Terra, che gira, una palla colorata, infinitamente lontano. Stremato, Epifanio, esclama: 

“Non gliela faccio più!” 

e si mette a sedere, levandosi le scarpe e stringendosi i piedi martoriati. Nunzio, confuso, costernato, si siede accanto a lui.
Epifanio si mette una mano a imbuto all’orecchia e si concentra ad ascoltare. Dal mappamondo, laggiù, viene un confuso brusio di voci, grida, canti. Epifanio ascolta, poi fa un sospiro, si alza, e pudicamente voltando le spalle, si mette a pisciare. Si sente lo scroscio della pisciata negli spazi.
Pisciando faticosamente e poi abbottonandosi pazientemente la patta, Epifanio commenta dolorosamente, ma col distacco della filosofia, il suo grande viaggio, a fior di voce, come parlasse a se stesso o al nulla: è stata una illusione quella che l’ha guidato attraverso il mondo --ma è stata quell’illusione che, del mondo, gli ha fatto conoscere la realtà...
Risiedendosi sospiroso accanto a Nunzio, guarda la Terra con simpatia. Da laggiù arrivano confusi tra le voci e i rumori della vita quotidiana -- canti di povera gente, sciocchi canti di moda, e, infine, canti rivoluzionari.

“Eppure... 

-- mormora Epifanio -- 

Come tutte le Comete, anche la Cometa che ho seguito io è stata una stronzata. Ma senza quella stronzata, Terra, non ti avrei conosciuto...”, 

e si asciuga gli occhi inumiditi da certe misteriose lacrime di gratitudine... I canti -- i canti rivoluzionari -- laggiù si fanno sempre più nitidi. Epifanio si riscuote un po’ dalla sua commozione, e facendo un vivace gesto interrogativo alla napoletana, fa!
“Maaaaaa… e mo’ ?”.

Nunzio si è, chissà perché, un po’ riconsolato:

“Embè, sor Epifà 

-- risponde -- 

Nun esiste la fine. Aspettamo. Qualche cosa succederà”.



NOTE
[l] Frase napoletana da inventare (magari da Il mare non bagna Napoli di A.M. Ortese).
[2] Forse Eduardo fa questa seconda sortita con Ninetto perché i suoi libri gli avevano detto che egli
avrebbe dovuto chiamare la Cometa con la prima parola che fosse venuta in mente a un napoletano
con una verruca sul naso. E questo napoletano -- finalmente trovato -- pronuncia come prima parola
“Zoccola”, oppure “Purchiaccio” , ecc.
[3] Da inventare. Cfr. Lettera a Eduardo.
[4] Qui altra piccola gag: tutte le cartoline sono fotografie colorate, con cuori, fiori e colombe,
rappresentanti coppie di uomini e donne.
[5]Via del Governo Vecchio, per esempio.
[6] La circostanza è da stabilire.
[7] Uno degli “urli” della festa, sul modello di “Hip, hip, hip, urrah!” è, per gli uomini, “Fica, fica,
fica, vaffanculo!”, e, per le donne, “Cazzo, cazzo, cazzo, vaffanculo!”.
[8] L‘ideologia di Sodoma è tratta in gran parte da Corpo d’amore di Norman Brown.
[9] Aldo Fabrizi ?
[10] Che, è ora di dirlo, si chiamano nel nostro poema, rispettivamente, Epifanio e Nunzio.
[11] Chiamiamolo Gennaro.
[12] È chiara l’analogia con la scoperta di Sodoma, dal tram.
[13] Come analogamente a Sodoma.
[14] Confrontare il mio libro Scritti corsari.
[15] Anche qui notare la scoperta analogia con quanto è accaduto ai nostri due “Picari” a Sodoma.
[16] La modalità è da inventare.
[17] Va detto che tutte le reazioni di Eduardo e di Ninetto -- qui appena accennate -- costituiscono un
lungo corpo di
“gags” comiche: la spina dorsale del film.
[18] La violenza neocapitalistica che rende i giovani o estremisti o criminali.
[19] Appunto come durante la peste manzoniana.
[20] Ricordarsi che si tratta di un “kolossal”.
[21] In questo consiste la “continuità” del personaggio di Eduardo in tutto il film.
[22] La realizzazione del socialismo è l’Utopia simboleggiata in Numanzia.

Fonte:
http://anello-mancante.blogspot.it/2013/11/5-porno-teo-kolossal-il-film-mancato-di.html#!/2013/11/5-porno-teo-kolossal-il-film-mancato-di.html



Curatore, Bruno Esposito

Collaborano alla creazione di queste pagine corsare:

Carlo Picca
Mario Pozzi
Alessandro Barbato
Maria Vittoria Chiarelli
Giovanna Caterina Salice
Simona Zecchi

Pasolini - PORNO-TEO-KOLOSSAL - NUMANZIA

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro




'Porno Teo Kolossal': 

il film mancato di Pasolini con Eduardo

Trattamento di Pier Paolo Pasolini e Sergio Citti (1975)




NUMANZIA

È l’alba, e il treno arriva verso la periferia di quella che è una grandissima città, un’enorme metropoli che sembra occupare l’intera terra e l’intero cielo. È Parigi, ma, nella nostra favola, essa è annunciata con il nome mitico di “Numanzia”.
Siamo dunque alle porte di un’altra Città-Utopia. Ma non appena la città è apparsa -- vista dalla sua estrema periferia, dai villaggi che la circondano -- dalle sponde dei laghetti e dei boschi dell’ultima campagna -- il treno viene fermato da un reparto militare motorizzato...
Numanzia è infatti circondata da un grande esercito che l’assedia: l’assedia dislocando i suoi accampamenti in un enorme cerchio tutt’intorno alla città. Si tratta di un esercito fascista, che è sul punto di occupare Numanzia, città, invece, socialista [22].
I passeggeri del treno vengono fatti scendere e vengono subito trattati esattamente come la polizia nazista trattava la gente: vengono contabilizzati, divisi e incolonnati come bestie, e portati brutalmente verso il posto di polizia -- dove dovranno essere controllati i loro documenti, le loro valigie, ecc. ecc.
Certamente la loro destinazione finale -- ne potrebbe essere altrimenti -- è un campo di concentramento.
Dunque Eduardo e Ninetto si trovano così in mezzo alle file di un esercito fascista. nelle mani , praticamente, di crudeli, stupidi, fanatici miliziani. Ma, ancora una volta! , la buona stella napoletana viene loro in aiuto. In mezzo al gruppo dei miliziani -- o “poliziotti” -- o SS -- c’è anche un gruppo di civili, e, tra questi civili, c’è il solito angelo napoletano.
Costui si accorge subito -- da alcune parole, per quanto pronunciate a mezza voce, di Eduardo e di Ninetto, di fronte a quello che sta loro accadendo -- che si tratta di suoi concittadini.
È preso, segretamente, dal solito spirito di fraternità: ma se lo tiene dentro, ricorrendo, per farsi capire, all’espressione degli occhi e a qualche gesto, il minimo necessario. Il dialoghetto mimico tra lui e Eduardo è un capolavoro di sottigliezza, di detto e non detto, di comprensione, totale e sviscerata, impalpabile lieve come un velo. Alla fine, con accento inequivocabile, al maresciallo che sta appunto per smistare i due verso un campo di concentramento, Totonno dice: -- Un momento, marescià! Aggio bisogno di due sguatteri. -- Totonno è infatti il cuoco del Capo dell’esercito fascista, e, come tale, ha diritto di scegliersi, tra i profughi, i due aiutanti di cui ha bisogno. Sceglie i due napoletani, dice loro di andargli appresso, con aria sostenuta e vagamente pomposa. Appena però i tre sono un po’ fuori dalla vista dei poliziotti, ecco la solita vociante e un po’ scomposta ritualità del riconoscimento.
Eduardo e Ninetto dunque vanno a fare gli sguatteri nella tenda attigua a quella -- in vista di Numanzia -- del Capo Fascista. E cominciano il loro umile lavoro pieni di buona volontà.
(La Cometa scintilla alta nel cielo, sopra l’accampamento).
Subito, naturalmente, come sempre, si svolgono, “come viste” dai due sguatteri, le prime scene che rivelano il mondo in cui ci troviamo; che è un mondo tipicamente clericale e fascista: proprio nel senso classico della parola.
La violenza, la disciplina, il fanatismo: tutte le forme di uno spaventoso ritorno di neo-nazismo -- anche se tecnicizzato -- anche se, naturalmente, più moderno che venti, trenta anni fa.
Viene la notte, i due sono nelle loro brandine, ma Eduardo non può dormire. Si svolge una scenetta tra i due, in cui Ninetto, come al solito, non dà nessuna soddisfazione al suo padrone, e dice: 

“ A sor maè, so’ cazzi vostri! 
Sete voi che avete voluto annà appresso a stà Cometa! 
A me che me ne importa, fate un po’ voi!”.  

Eduardo esce brontolando, inquieto fuori dalla tenda; ed ecco che in maniera inaspettata la Stella Cometa, che brilla nel cielo, sopra il campo dei fascisti, comincia a muoversi. Non c’è un momento da perdere.
Eduardo e Ninetto, senza nemmeno far le valigie, stavolta, infilandosi soltanto sulle mutande i pantaloni, mettendosi le scarpe senza nemmeno allacciarle -- e arraffando solo il misterioso fagotto -- escono dalla tenda, e a naso in alto incominciano a seguire la Cometa!
La Cometa va, esattamente, oltre le trincee fasciste, proprio verso il centro della città di Numanzia.
C’è dunque da attraversare le linee... Ma i nostri due personaggi -- sia attraverso le loro personali trovate per sfuggire alla sorveglianza, sia aiutati dalla fortuna che aiuta sempre i personaggi comici (candidi in mezzo ai cattivi) -- riescono a andare al di là del campo fascista e a internarsi nel territorio nemico...
Attraversata la zona franca, completamente disabitata, che li separa da Numanzia, ecco che si imbattono ora nei cavalli di Frisia, nei trinceramenti, nelle barricate, che gli abitanti di Numanzia hanno eretto contro l’esercito fascista. Ed ecco che si imbattono anche nei soldati di Numanzia che naturalmente li fermano: anche per loro vige la legge ferrea della guerra, benché essi siano i “buoni”.
In una triste strada della più lontana periferia, i nostri due eroi vengono fermati, interrogati e risulta subito, naturalmente, che non solo non hanno documenti, ma che non sanno neppure come giustificare la loro presenza lì (se non balbettando deliranti frasi sulla nascita di un Messia...). Basta.
Scusandosi, i militari di Numanzia come o abbiamo detto, -- li mettono in guardina.
Dentro la camera di sicurezza, Ninetto, in uno dei suoi rari e inspiegabili guizzi di affetto, cerca di consolare Eduardo; anzi questa volta lo fa ancora con più tenerezza e festosità. Gli recita una scenetta allegra, gli dice che tanto il giorno dopo sicuramente li lasceranno passare e così via; finché, quasi cullandolo come un bambino, lo fa dormire sul tavolaccio. Qui comincia la solita parentesi, il solito episodio del sonno di Eduardo.
In un ambiente intellettuale -- un caffè, o un circolo, o una sede di partito -- un poeta è chiuso nel suo silenzio mentre intorno a lui si svolgono le più accese discussioni in merito ai problemi politici e strategici della città di Numanzia assediata.
Ad un certo punto il poeta interrompe tutti, comunicando che ha una proposta da fare.
Si sente immediatamente che si tratta di una proposta importante, essenziale: e lo si sente per quel tono particolare che ha sempre la verità.
Si fa intorno un silenzio carico d‘ attesa. La proposta del poeta è la seguente:

Non ci sono più speranze per noi, i fascisti sono infinitamente più forti, abbiamo perduto tutte le battaglie, abbiamo perduto anche l’ultima battaglia, che ha fatto sì che noi ci dovessimo chiudere dentro la nostra città.
Ormai tutto è perduto. L‘unica cosa che ci resta da fare è non cadere vivi nelle mani dei fascisti. Ciò che io dunque propongo è il suicidio collettivo di tutta la popolazione di Numanzia. Così che quando l’esercito dei fascisti entrerà nella nostra città, troverà una città di morti. Meglio la morte che la schiavitù sotto i fascisti.

Gli altri capiscono, appunto, che questa è la Verità. Molti dei suoi colleghi intellettuali sono subito dalla sua parte, altri però si oppongono. Infatti è loro opinione che imporre dall’alto qualcosa -- qualsiasi cosa -- alla città non è democratico. Il suicidio collettivo può essere sentito con tanta forza da un intellettuale, da un poeta, da un cittadino privilegiato; ma la massa del popolo, i ceti medi potrebbero anche, in fondo, rassegnarsi a vivere sotto il fascismo; non si può obbligarli a morire. La discussione su questo punto è drammatica.
Però tutti sono d’accordo sul fatto che il poeta debba scrivere la sua proposta e pubblicarla.
Il giorno dopo la proposta del poeta, sotto forma di articolo, esce sul più importante giornale parigino (su “Le Monde”, che è diventato socialista: tutta la città è comunque democratica; gli stessi fascisti numantini sono stati tolti di mezzo, non con la violenza, ma con la persuasione... E sapremo tutto ciò
man mano che entreremo nel vivo della storia).
Appare dunque l’articolo del poeta su “Le Monde”, e tutti gli altri giornali lo discutono così come avevano discusso in privato gli intellettuali col poeta. Si accendono polemiche (non più d’élite), finché il partito cui appartiene il Poeta, che è, diciamo così, il Partito di estrema sinistra, fa sua la proposta del poeta e la presenta in Parlamento.
Nasce ora la discussione in Parlamento. E in Parlamento, dopo un acceso dibattito, si decide di indire un referendum tra la popolazione di Numanzia per scegliere nel modo più democratico tra il suicidio collettivo e la resa.
Vota “sì” chi è per il suicidio collettivo, vota “no” chi è per la resa.
Comincia la campagna elettorale nella città assediata. Siccome il tempo stringe, ci sono solo pochi giorni per poter prendere una decisione: travolgente, vorticosa, è quindi la serie di comizi per informare la popolazione e per spiegare ideologicamente e politicamente il senso del referendum. I comunisti di estrema sinistra (diciamo tipo il “Manifesto”) a cui appartiene il poeta -- sono assolutamente per il suicidio collettivo. Anche i socialisti lo sono, in fondo (benché i socialisti di destra siano dissenzienti). I partiti, diciamo così, della destra, sia pur democratica, sono invece incerti o contrari.
Infuriano dunque i comizi. La città essendo da tempo profondamente politicizzata, la folla partecipa, naturalmente, con tutta la più disperata passione (è il caso di dirlo), finché si arriva alla votazione e allo scrutinio dei voti (tutto, naturalmente, in rapidissimi scorci).
La maggioranza del popolo di Numanzia risulta essere per la morte collettiva, per il rifiuto di cadere, vivi, sotto la schiavitù fascista.
L‘esito della votazione, secondo la legge del Parlamento, deve avere esecuzione immediata. La decisione presa collettivamente e democraticamente dal popolo di Numanzia dovrà essere messa subito in pratica: il giorno dopo tutti dovranno collettivamente uccidersi, nella stessa ora.




Dissolvenza.

Eduardo si risveglia (questa volta però non è passata una sola notte, ma varie notti trascorse tutte in quella tetra camera di sicurezza): Eduardo si risveglia e, per prima cosa, i suoi occhi si posano su Ninetto, che sta fischiettando tutto giulivo: inaspettatamente e stranamente giulivo.
Eduardo si guarda perplesso intorno, e si accorge che non ci sono più le guardie, e che addirittura la porta della cella è spalancata.
Tutto felice allora egli esce dalla cella, seguito da Ninetto, sempre giulivo e fischiettante.
Appena fuori, guarda in alto e vede la sua Stella, che si sta muovendo verso il centro della città.
Seguendola di buona lena, i due attraversano tutta la periferia di Numanzia, completamente deserta, e cominciano ad addentrarsi nella vera e propria città.
Qui li aspetta uno spettacolo assolutamente unico tra i tanti spettacoli straordinari del loro viaggio, il più straordinario.
II suicidio collettivo, democraticamente stabilito, è stato infatti attuato: e cosi Numanzia altro non è che un’immensa città di morti.
Ma lo straordinario consiste soprattutto nel fatto che i numantini si sono uccisi fissando per l’ eternità l’atto che più hanno avuto caro nella vita.
Camminando nel profondo silenzio delle strade di Numanzia, Eduardo e Ninetto vedono infatti tutta una serie di cittadini che si sono dati la morte nel modo che essi più desideravano.
Nelle panchine dei giardinetti ci sono dei giovanissimi morti abbracciati teneramente.
Sulle rive della Senna ci sono dei pescatori morti con la lenza sul fiume.
Lungo le bancarelle di libri ci sono dei letterati morti sui libri che più amavano.
Preso dalla curiosità, Ninetto apre piano piano la porta di una casa e vede moglie e marito morti nell’atto di fare l’amore.
Dentro un’altra casa c’è un vecchio pensionato morto solo con il suo cane.
In un’altra, un omosessuale morto, con accanto un mazzo di rose, abbracciato al suo ragazzo.
Altri si sono uccisi tutti insieme: ai Champs Elisées, per esempio, ci sono alcune Autorità che si sono uccise con il loro vestito da cerimonia, sotto l’arco di Trionfo, con intorno le bande dei militari, morti stringendo le loro trombe.
Sempre nei “Champs Elisées”, in un “cinema d’essai”, tutti gli spettatori si sono uccisi insieme mentre stavano vedendo il film di Charlot: “Il grande dittatore”: sullo schermo, per l’eternità, c’è l’immagine immobile di Chaplin che dà un colpo col sedere al mappamondo.
Piano piano, però, il silenzio di questa città di morti comincia a diventare tragico, quasi intollerabile.
Ninetto comincia allora a fischiettare, un po’ per fare allegria al suo costernato padrone e un po’ anche per onorare i morti; e intona lo “Ca ira” (o “Bandiera rossa”). È l’umile celebrazione dell’ eroica morte dei cittadini di Numanzia.
Dai “Champs Elisées ” al Pont Royal, dal Pont Royal a Saint Germain des Près, tra i morti.
Ed ecco, a Saint Germain des Près, lo stesso caffè in cui il poeta aveva lanciato l’idea del suicidio collettivo.
È silenzio profondo, tutti i caffè -- con i loro vecchi clienti che si sono uccisi alloro tavolino, davanti a un bicchiere di birra o di vino -- sono immersi in una pace ormai agghiacciante, dacché Ninetto ha smesso di cantare.
Ed ecco che improvvisamente si sente un rumore: un tintinnio appena percettibile: si tratta di un cucchiaino che mescola del ghiaccio dentro un bicchiere.
Ninetto si avvicina incuriosito, e anche un po’ spaventato, e, fra gli intellettuali morti, vede che l’unico rimasto vivo è proprio il poeta che aveva lanciato l’idea della morte collettiva: egli è l’unico, in tutta la città, che non ha avuto il coraggio di morire, e ora tutto solo, si sta preparando un whisky con ghiaccio. La vita è stata più forte di ogni altra cosa.
A questo punto un rombo terribile si alza nella città: sono i fascisti che la stanno invadendo.
Si vedono i carri armati spuntare dai Champs Eliseés e stringersi intorno al caffè dove sono, vivi, il poeta, Nunzio ed Epifanio, i quali, all’arrivo dei carri armati fingono, naturalmente, d’essere morti, tra gli altri.




Dissolvenza.

Siamo nuovamente nella tenda del Capo dei fascisti che, in questo momento, sono vincitori.
Si sta svolgendo una festa cui partecipano generali, diplomatici, gerarchi, tutte le autorità insomma; e tutti in alta uniforme, allegri, trionfanti, con accanto le loro signore elegantissime, ridenti e crudeli. Ci sono naturalmente anche i politici: ed è stato invitato anche il poeta, quale ospite d’onore. Il grande poeta di fama internazionale che, per di più, è ora in un certo senso, passato dalla loro parte, tradendo la sua città. Egli è seduto proprio di fronte al Capo dei fascisti.
E si giunge, tra liete conversazioni, al brindisi. II Capo, che si picca di essere un intellettuale, chiede a questo punto al poeta di recitare una poesia d’occasione. Dopo un attimo di strana ed enigmatica concentrazione, ecco che, remissivo, il poeta inizia a recitare una poesia di O. Mandel’stam, che finisce esattamente con questi versi: “Bevo, ma non ho ancora deciso quale dei due vini devo scegliere -- se l’allegro Asti spumante o lo Chateau Neuf du Pape”. (Naturalmente tutta la festa, fino alla recita finale del poeta, è vista anche da Ninetto ed Eduardo, che, promossi per l’occasione da sguatteri a camerieri, servono a tavola i fascisti).
Appena è terminato l’ultimo verso della poesia, il Capo batte le mani e ordina a un cameriere di portare immediatamente dell’ Asti Spumante.
Stappata solennemente la bottiglia, il poeta viene servito, e i due, il Capo fascista e il poeta, brindano, alzando il bicchiere, e sorseggiano il vino. Ed ecco l’imprevedibile. Il poeta bevuto il primo sorso, esclama, senza esitazione: -- Ma questo non è Asti, è Chateau Neuf du Pape!
Il Capo fascista, con ancor meno esitazione, sostiene subito che si tratta proprio d’ Asti Spumante. Il poeta ribadisce la sua convinzione, dando così inizio ad un ostinato alterco in cui nessuno dei due vuole rinunciare a nessun costo alla propria convinzione.
La cosa giunge fino a un punto di tensione evidentemente sproporzionato all’argomento (sotto cova infatti tutto il resto): tanto che alla fine il Capo dei fascisti, gettata la maschera, con la sua sadica prepotenza, ordina urlando al poeta: 

-- “O tu ammetti che si tratta di Asti Spumante come dico io, o ti faccio fucilare”. 

Ma il poeta si rifiuta di obbedire, ribadendo che si tratta di Chateau Neuf du Pape, e basta.
Di conseguenza egli viene su due piedi condannato alla fucilazione.
È trascinato fuori, dai miliziani, sullo spiazzo centrale del campo: e la festa si trasforma, così, in una cerimonia funebre.
Le signore, gli ufficiali e i politici escono sullo spiazzo, mentre si sta preparando il plotone d’esecuzione, (sempre “come visto” dagli occhi di Ninetto e Eduardo).
Il poeta viene spinto contro un muro e fucilato, su due piedi, ma prima di morire egli grida, alzando il pugno chiuso: “Viva la rivoluzione!”.
A questo punto Eduardo alza al cielo lo sguardo e rivede la Stella che, nel blu della notte, riprende a muoversi: verso Oriente.





Curatore, Bruno Esposito

Collaborano alla creazione di queste pagine corsare:

Carlo Picca
Mario Pozzi
Alessandro Barbato
Maria Vittoria Chiarelli
Giovanna Caterina Salice
Simona Zecchi

Pasolini - PORNO-TEO-KOLOSSAL - GOMORRA

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro




'Porno Teo Kolossal': 

il film mancato di Pasolini con Eduardo

Trattamento di Pier Paolo Pasolini e Sergio Citti (1975)




GOMORRA

Questa nuova Città-Utopia si chiama Gomorra e corrisponde, in natura, a Milano.
Nunzio ed Epifanio smettono di cantare -- mentre gli altri, di là, sono perduti ancora nel loro sonno mortuario -- e cominciano a guardare curiosi fuori del finestrino.
È una città molto moderna, Gomorra (Milano, appunto): con le sconfinate distese di fabbriche bianche e asettiche, posate su verdi prati o incastrate tra vecchi quartieri di periferia, nella nebbiolina.
Ma gli occhi di Epifanio e Nunzio si spalancano soprattutto su alcune apparizioni curiose -- lasciate subito indietro dalla corsa del treno... Sotto la scarpata della ferrovia -- ammassati nei cortili di qualche scuola -- o nella piazzetta di qualche vecchio paese circondato dalle fabbriche -- ci sono interi reggimenti, si può dire, di giovani: tutti nudi. Se ne stanno fermi, nei loro cortili, nelle loro aule, nelle loro piazzette, come in attesa di qualcosa -- qualcosa di misterioso. Un mistero, però “civile”: o istituzionale o religioso, è chiaro.
Il treno ormai sta imboccando il terrapieno che lo porta alla stazione Centrale, e sta rallentando.
Epifanio e Nunzio fanno per svegliare i loro compagni di viaggio, quando, improvvisamente, uno scoppio -- un boato terribile -- e il treno sbanda, deraglia, si rovescia.
Rumore di ferraglie, frastuoni, grida di terrore, lamenti. Per fortuna il treno andava già piano: ed Epifanio e Nunzio si trovano, vivi, con le loro valigie in mezzo ai rottami, lungo il bordo della strada ferrata. Se ne stanno lì, storditi, nel fumo della bomba che è scoppiata sotto il locomotore; poi il fumo pian piano si dirada e compare, come un immenso spettro, la tettoia della Stazione della città di Gomorra.
Allora i due -- spaventati, frastornati -- si avviano a piedi verso la pensilina, verso l’uscita, insieme agli altri sparuti gruppi di viaggiatori. Anche Lot e le sue figlie assonnati e storditi vengono con loro.
Ma come i passeggeri arrivano sotto la pensilina della stazione di Gomorra -- dove ci sono poliziotti, militari, puttane -- ecco che succede qualcosa di assolutamente imprevedibile, anzi di inaudito.
Dei gruppi di giovanotti -- o meglio di teppisti -- che stavano lì a oziare -- si buttano, improvvisamente, brutalmente, addosso alle donne che arrivano dal treno, alzano loro le sottane, cominciano a palpare loro i seni, il sesso, il culo -- insomma ad impadronirsi dei loro corpi...
La stessa sorte tocca anche alle figlie di Lot, benché Lot cerchi isperatamente, da povero vecchio, di difenderle --ancora mezzo ubriaco e rincoglionito. Un gruppo di giovani si libera di lui con un calcio, si impossessa delle figlie gridando loro: “Su, voltatevi”, con la chiara intenzione di possederle -- come
si suol dire -- “alla pecorina”.
Le donne disperatamente si difendono, urlando che non possono voltarsi, che è un ordine di Dio.
Naturalmente, equivocando, i giovani non sentono ragione, e con la più brutale prepotenza, le obbligano a voltarsi.
Come le tre donne, sono “voltate” verso Sud, ecco che, di colpo, restano immobili; impietrite come statue, in quella loro positura ridicola o indecente. Un giovanotto le tocca curioso con il dito, e poi si lecca il dito con la lingua. “Sono di sale”... sentenzia, con una bestemmia.
Su questa visione, Nunzio ed Epifanio escono dalla stazione, scendono le scalinate e arrivano sotto le grandi tettoie del piazzale antistante.
Qui c’è il caos: una coda indescrivibile di gente sta aspettando il taxi (come avviene del resto in realtà): soltanto qui tutto è portato, s’intende, all’esasperazione della metafora, quindi esasperata violenza, esasperata prepotenza, esasperata ferocia. Anche in quest’occasione i giovani, ammassati nella coda che aspetta il taxi, toccano le donne. Le toccano di dietro, davanti, mettono loro le mani sotto le sottane. Evidentemente -- come dalla cappa di piombo del suo cielo -- Gomorra è dominata da un furibondo e pazzesco amore per la carne femminile.
Mentre Eduardo e Nunzio stanno, scombussolati, anzi, sconvolti, ad aspettare il taxi per andare nel centro della Città -- in mezzo al cui cielo si è fermata la Cometa -- si avvicina a loro un ometto che non sembra affatto un “milanese”.
Facendo infatti l’occhietto con la arcaica aria della “borsa nera” si rivolge ad Eduardo dicendo che egli ha della “roba buona”, se vuole dare un’occhiata... Eduardo crede che si tratti delle solite sigarette; ma non è così, e non si tratta neppure di altra merce da mercato nero o di contrabbando...
L‘ometto li porta, con ostentata aria clandestina, dietro una colonna: e qui gli mostra una scatola piena di pistole e bombe. A questo punto, all’esclamazione napoletana di Eduardo, l’ometto smette di colpo di parlare il finto milanese con cui ha parlato fino ad ora e, illuminandosi, rivela la sua verace razza napoletana. Nuova agnizione, quindi, nuovo commosso incontro tra Epifanio e questo nuovo napoletano: agnizione e commozione a cui seguono, al solito, confidenze, proteste di amore, di aiuto, di alleanze...
Il venditore di armi spiega intanto a Eduardo come, per carità, a Gomorra non ci si può avventurare se non si è armati, perché quello che succede lì è indescrivibile.
Lui si è adattato, ma, per carità, non facciano capire che è napoletano. (E lancia intanto intorno occhiate di terrore, di clandestinità e di congiura). A questo punto, naturalmente, si offre di portare lui stesso i due a un buon albergo dove alloggiare. In quattro e quattr’otto, sempre con l’aria, appunto, del vecchio napoletano che si arrangia, procura un taxi abusivo. I tre montano, e il taxi parte verso il centro di Gomorra.
Come son dentro al taxi, tuttavia, per prima cosa, il napoletano si rivolge ad Epifanio e facendo un significativo segno con le mani: con i due indici che si uniscono ripetutamente fra di loro, con l’aria interrogativa, egli fa capire ad Epifanio che vorrebbe sapere se per caso -- non si sa mai -- tra lui e Nunzio ci fosse un rapporto, come dire…
Di questo naturalmente Epifanio si scandalizza, ride e dice: -- Nu ne parlammo proprio. Ciò tranquillizza subito il loro nuovo amico [11], che spiega subito le ragioni della sua indiscrezione: la cosa più tremenda che possa succedere a Gomorra è quella di essere ‘ricchioni ‘: quella di amarsi tra uomini. È una cosa che gli abitanti di Gomorra non tollerano in nessun modo, come del resto, non tollerano nessuna diversità, nessuna minoranza, nessuna eccezione.
Alla luce di queste notizie, Epifanio e Nunzio guardano dal finestrino, piuttosto impressionati, la città che passa davanti ai loro occhi [12]. Ecco che intravedono appena, a tutta velocità, le prime enigmatiche scene... Anche qui --come già a Sodoma -- Epifanio vede ma non crede ai suoi occhi.
Forse non ha nemmeno visto... Le prime immagini di quella che è la città di Gomorra, sono più o meno le seguenti: un assalto ad una banca, con un morto in una pozza di sangue davanti alla porta; un comizio di giovani estremisti con cariche della polizia (e lì altri feriti, altri morti); una fila di macchine bruciate da un gruppo di piromani (che sfasciano a colpi di crik le macchine che non riescono a bruciare): e così via.
Tutto questo è scandito da apparizioni continue di donne, mezze nude -- e lo sono in un modo indecente -- che mostrano tutto quello che possono mostrare, comportandosi come “alleate”, anzi, “camerate” dei maschi. Si ha dunque anche una serie di continui rapporti violentissimi quasi bestiali, tra maschi e femmine che si svolgono ora dentro un portone, ora dietro un cespuglio, ora vicino a un monumento ai caduti, e così via.
Con questa serie di immagini della Città, vista attraverso gli occhi di Eduardo, giungiamo al Centro, nei pressi della Piazza del Duomo. E anche qui abbiamo delle spiegazioni [13] -- molto rozze, molto popolari -- da parte di Gennaro, intorno alla qualità di vita della città di Gomorra: spiegazioni chiarite e commentate dalla “verve” filosofica di Epifanio. Gomorra -- nella nostra storia -- è la tipica città italiana (o forse europea, se non addirittura mondiale) degli anni ‘75- 76; con la violenza di una generazione che ha perduto completamente i suoi antichi valori, che vive una falsa tolleranza (per cui in realtà viene tollerata soltanto la libertà della maggioranza, e non certo quella delle minoranze) ecc. ecc. [14]. Il giorno seguente -- si affretta ad annunciare Gennaro -- evidentemente è questo il pensiero dominante del momento -- ci sarà una grande festa, la grande Festa annuale della Città... [15] Epifanio intuisce subito tutto, e da vecchio napoletano tollerante, ne è costernato. Arrivano all’albergo: dove ci sono subito le solite -- comiche -- difficoltà (perché naturalmente anche all’albergo gli impiegati -- fanatici eterosessuali -- sono insospettiti dalla coppia di un vecchio e un giovanotto). Superate -- comicamente -- tutte le difficoltà, i due finalmente entrano, sfiniti, nella loro stanza.
Epifanio non gliela fa più, a causa di tutte le fatiche di quella giornata, e il suo servo (per la seconda volta brilla nei suoi occhi un lampo di affetto e di gentilezza) lo aiuta a coricarsi. Anche stavolta, negli istanti che precedono il sonno di Eduardo -- si sente l’atmosfera eccitata della città, l’atmosfera tipica della vigilia di una festa: di quella festa annunciata con tanta strana apprensione dall’amico Gennaro.
Sono canti, suoni, risa e urli lontani. Epifanio dolcemente si addormenta e comincia a ronfare.
Anche questa volta comincia “il racconto del sonno di Epifanio”. Ma il filo che ci conduce al luogo dove tale racconto si svolge non è una dolce, vecchia musica come “ Johnny Guitar” o “Luna Rossa”, o “Sono carcerato e mamma more”, ma è la cretina, aggressiva, assordante canzone di un urlatore.
Abbandonato Epifanio al suo sonno cieco, ricerchiamo la fonte di tale musica -- finché arriviamo ad una grande arena all’aperto. Qui, davanti alla platea bestialmente eccitata, viene proiettato -- su uno schermo panoramico, enorme, da cinerama -- un film che normalmente si proietta in sedici millimetri su piccolissimi schermi: cioè un film pornografico. Esso è di produzione volgarissima, probabilmente tedesca, e rappresenta, in ogni suo dettaglio, un coito, durante il quale i due partners fanno di tutto per essere il più possibile volgari, osceni, offensivi.
C’è una lunga inquadratura consistente in uno zoom che pare entrare, lentamente -- attraverso le cosce schifosamente allargate -- dentro il sesso della donna, in dettaglio: il sesso reso enorme dallo schermo-gigante.
Ora, tra gli spettatori della platea c’è un uomo di media età, con l’aspetto di un operaio, e un ragazzino bellissimo, che sembrerebbe invece uno studente.
L ‘operaio guarda lo studentello, lo studentello sente su di se lo sguardo dell’operaio, e lo ricambia.
Ed ecco che, all’incrociarsi di quegli sguardi, succede qualcosa di analogo a quello che era successo nella sala da ballo della città di Sodoma: cioè, senza nessuna ragione, e fulmineamente, in questo mondo dove trionfa l’amore eterosessuale, qualcosa di misterioso -- qualcosa di evidentemente voluto da Dio -- spinge quest’uomo e questo ragazzo a provare un sentimento di amore l’uno per l’altro. Col sudore freddo sulla fronte e spaventato da quello che sta facendo -- e contro cui non può fare nulla come contro una forza invincibile -- l’uomo si avvicina al ragazzino, si mette a sedere accanto a lui, comincia a toccarlo col ginocchio sul ginocchio... Il ragazzino in principio è atterrito, però anche lui, affascinato irresistibilmente da questo nuovo rapporto che nasce (forse il ragazzino è davvero molto giovane, un adolescente non ancora entrato del tutto nel mondo della violenza sessuale dei più adulti, della loro ossessione per il sesso femminile: non per niente infatti è andato li, da solo, a vedere un film pornografico): fatto sta, insomma, che anch’egli è subito trascinato nella “colpa”. L’uomo lo tocca -- dopo mille, atterrite incertezze -- sulla coscia, poi pian piano, ormai deciso a perdersi, comincia a toccargli il membro; poi prende la mano del ragazzo e la porta sul proprio... Insomma i due scoprono a vicenda, i loro sessi “uguali” (così come il ragazzino e la ragazzina di Sodoma avevano scoperto i due sessi diversi).
Presi dalla voglia improvvisa, misteriosa, terribile -- i due decidono ingenuamente di andare nel cesso del cinema. Vanno, chiudono la porta alle loro spalle e si gettano l’uno nelle braccia dell’altro per cominciare il loro amore... Ma anch’essi vengono scoperti [16], come il ragazzetto e la ragazzetta della città di Sodoma.
La maschera del cinema che li aveva notati, subito insospettita, era andata a chiamare altre maschere e quindi la polizia.
Ed ecco, che, spaventosi, arrivano, i poliziotti, abbattono la porta e colgono i due in flagrante. Quello che succede nell’arena è indescrivibile. L ‘uomo e il ragazzo vengono trascinati fuori con una brutalità bestiale. La gente che non ha capito bene di che si tratta, lo intuisce all’ultimo momento (se lo avesse intuito prima li avrebbe evidentemente linciati sul posto) e mentre i due vengono trascinati fuori, fanno appena in tempo a sputare loro addosso, gridandogli i più atroci insulti. I due vengono in tutta fretta caricati sulla macchina della polizia, che li porta verso il terrificante tribunale, dove verranno giudicati. 




Dissolvenza.

Ci ritroviamo nella camera d’albergo di Eduardo, che dà sulla Piazza del Duomo.
Eduardo dorme ancora, sfinito dalle avventure del giorno prima, e Ninetto -- come per un suo misterioso calcolo --accende la televisione. Si sentono subito le voci degli “speakers” che annunciano la trasmissione per diretta della Grande Festa della giornata, la Festa dell’Iniziazione. Al boato di quelle voci odiose Eduardo si sveglia di soprassalto, e i suoi occhi si fissano meccanicamente sul video.
Come visto da Eduardo esterrefatto [17] -- vediamo nel teleschermo apparire il Capo del Governo della Città, un uomo “serio”, moralistico, profondamente antipatico, che a un intervistatore, illustra in che cosa consiste la grande Festa dell’ Iniziazione di Gomorra.
Finita la breve intervista ufficiale e ideologica, ecco che -- commentate dalle voci oggettive, metalliche degli annunciatori -- vediamo più o meno le seguenti sequenze “in diretta”: dalle caserme, dalle scuole, dalle piazzette dei paesi, dai magazzini in cui erano stati tenuti chiusi, evidentemente da alcuni giorni (proprio come si usa fare nei cosiddetti “tre giorni” del servizio di leva), centinaia, migliaia di giovani nudi, vengono liberati e scatenati nella città.
Li avevamo visti il giorno prima, ammassati in silenzio: adesso li vediamo ancora per qualche istante nei loro cortili, nelle loro aule, nelle loro aie, in silenzio.
Ma ecco che, appunto, a un certo misterioso ordine come nei riti -- si aprono di colpo i portoni e i giovani nudi cominciano a dilagare fuori nella città, come mandrie di animali, come orde di barbari, nudi. Assistiamo ad una specie di invasione di Gomorra da parte di questi giovani diciottenni; i quali rappresentano evidentemente una scena mitica, una scena simbolica. Essi son coloro che -- in un rito di iniziazione che li libera -- prendono i loro posti nella città, impossessandosene. Tutto questo avviene attraverso la più spaventosa, la più cieca delle violenze. Anche se ciò è incompatibile, nella nostra logica, con una trasmissione televisiva... È la logica della favola, della nostra favola, infatti, che giustifica, anzi pretende quella violenza.
Gomorra è l’Utopia della Città della Violenza [18].
I giovani nudi dilagano nelle strade -- invadono le piazze -- a caso. Trovano delle donne -- le violentano -- le stuprano lì dove si trovano -- in mezzo alla strada -- dentro le loro stesse case -- davanti agli occhi dei loro figli.
Poi escono -- rapinano i negozi di armi – assaltano le banche -- si impadroniscono dei soldi -- entrano nei supermarket -- li saccheggiano -- li devastano. Escono -- ma non sono più nudi -- si sono vestiti secondo l’ultima moda -- e la loro baraonda nella città continua in questo nuovo costume.
La sequenza è molto complessa e abbraccia tutto quello che i giovani della nuova generazione usano fare; è il simbolo e la sintesi delle loro giornate “vere”.
Angoscia, cecità, malvagità, nevrosi, presunzione, prepotenza, conformismo, odio: di tutto ciò è fatto il “raptus” che li trascina a devastare la città e a impossessarsene. E non importa se lo sguardo che li osserva è lo sguardo di Eduardo, uno sguardo “comico”. Resta la loro terribile realtà. Quando questo esercito di giovani è giunto al massimo della sua violenza barbarica -- non priva però di una certa moderna raffinatezza consumistica -- l’annunciatore della televisione (dentro il cui schermo saremo entrati e lì avremo visto tutto “oggettivamente”) annuncia che la festa si concluderà con l’esecuzione capitale di due persone che hanno infranto la regola di Gomorra; che si sono, cioè, macchiati della spaventosa, innominabile colpa del rapporto omosessuale.
Tale esecuzione capitale si svolgerà nella Piazza del Duomo. A questo annuncio Eduardo e Ninetto voltano le spalle alla televisione e corrono a schiacciare i nasi contro i vetri delle finestre.
D’ora in poi tutto quello che avviene è, in parte, raccontato “come visto” da Eduardo e Ninetto dalla finestrella del loro albergo, e, in parte, raccontato “oggettivamente”, sempre attraverso la televisione; così che i punti di vista sono due e la visione è, insieme, “divisa” e “totale”.
La Piazza di Milano vista nel suo insieme da Eduardo e da Ninetto -- e vista nei suoi dettagli nello schermo della televisione -- si riempie, subito rigurgitando delle masnade ululanti dei giovinastri, dei teppisti, degli estremisti (che non si capisce, come nella realtà, se siano fascisti o comunisti): insomma tutto quello di peggio che sono i giovani dell’ultima generazione. Seguiti dalle donne da loro stuprate, ma diventate subito loro complici -- dalle folle degli anziani che adulano i giovani e si mettono al loro livello -- affluiscono trionfalmente, da padroni, nella Piazza. Che è subito completamente gremita di una folla orribile, ripugnante, in fondo barbarica -- ripeto -- a causa della rozzezza “culturale” del neocapitalismo. E comincia l’esecuzione capitale.
Dal fondo della piazza vengono fatti passare, in mezzo alla folla che li insulta, li copre di sputi, gli piscia addosso --le due vittime atterrite, prese da un panico di bestia portata al macello.
L‘operaio e lo studentino passano attraverso le ali di folla urlante, e vengono portati nel mezzo della piazza dove è lasciato un riquadro vuoto per il supplizio.
Qui vengono spogliati nudi, torturati -- costretti a subire tutto quello di più atroce che è possibile immaginare. Finche viene l’ora della morte.
II ragazzo viene sepolto vivo davanti al Duomo, dal cui selciato alcuni blocchi di marmo erano stati scalzati. Viene spinto urlante, dentro la buca e ricoperto di blocchi. A questo punto scende un elicottero sopra lo spiazzo dentro cui è sepolto vivo l’adolescente -- e l’uomo nudo viene legato al carrello. L’ elicottero subito si alza. E appena si è alzato in volo -- sospeso a pochi metri di altezza -- uno dei carnefici spara un colpo di pistola che fora la gola dell’operaio.
L ‘elicottero si alza ancora, sopra la folla (volando passa quasi sotto il naso di Eduardo che guarda disperato dalla finestra del suo albergo) mentre dalla gola squarciata della vittima cola il sangue sulla folla sottostante.
La folla, urlando e insultando, accoglie nei palmi delle mani il sangue, lo lecca, se ne sporca gli abiti, se ne lorda il viso, in una sorta di atroce scena di cannibalismo rituale.
Eduardo (le cui reazioni, tra comiche e drammatiche, non stiamo qui a descrivere) si copre gli occhi, e, con gesto naturale, alza la testa al cielo come a chiedere pietà.
Si toglie le mani dagli occhi e vede che, nel mezzo del cielo di Gomorra, la Cometa comincia lentamente a muoversi. Segno che Eduardo deve andare via immediatamente da quella città, e seguirla.
Si ripete così la stessa scena che era avvenuta qualche giorno prima a Sodoma; Epifanio e il suo servo Nunzio riempiono i fagotti di pedalini, di mutande: Epifanio arranfa il suo “fagotto misterioso” e i due corrono giù, in strada, seguendo la Cometa.
A dare il via alla distruzione di Gomorra -- come già a Sodoma -- è un terribile fulmine a ciel sereno.
E la distruzione ha subito inizio: a cancellare per sempre Gomorra dalla faccia della terra. Non è però il fuoco che la distrugge. È la peste. Una peste che si abbatte di colpo sulla città, contagia di colpo tutti, porta di colpo sofferenze indescrivibili, semina di colpo la morte.
Alle spalle di Ninetto ed Eduardo che si allontanano, verso porta Ticinese, la peste dilaga. Tutti i cittadini sono colti da sintomi spaventosi: chi vomita; chi, preso da una diarrea interminabile, defeca nelle strade, morendo sulla propria merda; chi muore sul proprio vomito, pustole orrende invadono i corpi -- cadono gli occhi marci dalle occhiaie -- cadono i capelli irti -- tutti gli abitanti di Gomorra diventano spettri purulenti, che pian piano si decompongono e muoiono uno sull’altro, ammucchiandosi in cataste immense [19]. Tutto questo, ripeto, alle spalle di Eduardo e Ninetto che si allontanano a passo veloce dalla città, quasi che alle loro spalle si spalancasse lo spazio magico entro cui avviene, come in un quadro surrealista, la vendetta divina [20].
Ed eccoci di nuovo dentro un treno che corre attraverso la campagna, nella trasparente malinconia del crepuscolo. In cielo la Cometa scintilla, puntando verso il nord, verso le nitide sagome delle Alpi.
Ninetto ed Eduardo sono dentro uno scompartimento, e qui si ha la solita canzone napoletana che fa da intermezzo al nostro lungo viaggio.
Ricordare -- durante questa pausa -- che mai per un solo istante, durante tutta la storia, davanti alla serie degli avvenimenti straordinari che sono capitati, Eduardo ha dimenticato quello che la Cometa significa per lui: cioè la speranza di una nuova vita -- il segnale di una parola rivelatrice e redentrice.
Egli ha tenuto sempre vivo in se questo pensiero, e non ha perso occasione per ripeterlo, per ripeterselo [21].
Forse questa “entracte” -- mentre Ninetto canta la sua canzone -- è uno dei momenti in cui più forte viene fuori in Eduardo il sentimento di Speranza “detto” dalla Cometa, che lo sta trascinando sempre più lontano...

Fonte:
http://anello-mancante.blogspot.it/2013/11/5-porno-teo-kolossal-il-film-mancato-di.html#!/2013/11/5-porno-teo-kolossal-il-film-mancato-di.html



Curatore, Bruno Esposito

Collaborano alla creazione di queste pagine corsare:

Carlo Picca
Mario Pozzi
Alessandro Barbato
Maria Vittoria Chiarelli
Giovanna Caterina Salice
Simona Zecchi