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Biografia, lavori in corso - a breve anche il 1974 e il 1975

martedì 20 maggio 2014

Pier Paolo Pasolini - L'ideologia - 1975. Scritti corsari. 1975. Processare la Dc. Adesione / opposizione al Pci

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro




Pier Paolo Pasolini
L'ideologia

.
1975. Scritti corsari.
1975. Processare la Dc.
Adesione / opposizione al Pci 

di Angela Molteni e Massimiliano Valente
.



Scritti corsari

Accogliendo la proposta di collaborazione del "Corriere della Sera", Pasolini inizia nel gennaio 1973 a fornire i suoi interventi per la rubrica "Tribuna libera": sarà una lunga serie di scritti che, fino al febbraio 1975 incentreranno l'attenzione di Pasolini su temi d'attualità, politici e di costume. Tali articoli saranno poi raccolti in volume sotto il titolo di Scritti corsari. Toccano fatti che Pasolini affronta in termini di denuncia: 

"Forse il lettore troverà che dico delle cose banali. Ma chi è scandalizzato è sempre banale. E io, purtroppo, sono scandalizzato."

Di lui disse lo scrittore Paolo Volponi, che fu suo amico per tutta la vita:
"La sua era una provocazione politica ben chiara e intenzionale. Egli si lamentava poeticamente che non ci fossero più le lucciole, ma insieme accusava la nostra classe dirigente di aver promosso un certo modello di sviluppo, di aver organizzato in un certo modo la nostra vita, di avere inquinato le nostre campagne e le nostre città. E insieme vedeva la sparizione di tanti altri fatti sociali, popolari: certe culture, certe possibilità di intervento democratico, la vita dei paesi e delle province brutalmente violentata dai modelli del centro.
Questi erano i motivi della sua polemica politica, che egli sentiva profondamente proprio perché si considerava sempre dalla parte esterna del cerchio del potere. Non è mai diventato un uomo di potere, pur avendo avuto dieci anni di successo durante i quali era lusingato da tutti e avrebbe potuto ottenere tutto. Invece durante questi anni non ha cambiato amici, non ha cambiato modo di vita, non ha ceduto nulla al potere.
Qualcosa, forse, nel fare i film ha concesso alla macchina dell'industria cinematografica. Ha cercato successo nel cinema. Ha cercato anche di guadagnare. Ma non è che gli piacesse il denaro, perché non ne aveva nessuna coscienza. Le cose che possedeva non diventavano tesori e simboli, ma strumenti per il suo lavoro e per la sua ricerca".

Processare la DC

"Andreotti, Fanfani, Rumor, e almeno una dozzina di altri potenti democristiani, dovrebbero essere trascinati sul banco degli imputati. E quivi accusati di una quantità sterminata di reati: indegnità, disprezzo per i cittadini, manipolazione del denaro pubblico, intrallazzo con i petrolieri, con gli industriali, con i banchieri, collaborazione con la Cia, uso illegale di enti come il Sid, responsabilità nelle stragi di Milano, Brescia e Bologna (almeno in quanto colpevole incapacità di colpirne gli esecutori), distruzione paesaggistica e urbanistica dell'Italia, responsabilità della degradazione antropologica degli italiani, responsabilità dell'esplosione "selvaggia" della cultura di massa e dei mass-media, corresponsabilità della stupidità delittuosa della televisione.
Senza un simile processo penale, è inutile sperare che ci sia qualcosa da fare per il nostro paese. E' chiaro infatti che la rispettabilità di alcuni democristiani (Moro, Zaccagnini) o la moralità dei comunisti non servono a nulla".

Cosi' il 28 agosto 1975 Pasolini chiedeva un pubblico processo per i potenti democristiani. E' il risultato di una critica serrata e senza sosta al potere in quanto tale più che ai potenti democristiani; contro quella "anarchia del potere" crudamente rappresentata in Salò. La Democrazia cristiana non ha fatto altro che celare le vecchie retoriche fasciste in chiave ipocritamente democratica, assumendo però a protezione del proprio potere le stesse istituizioni create durante il fascismo: la scuola pubblica, l'esercito, la magistratura. "La Democrazia cristiana è vissuta nella più spaventosa assenza di cultura, ossia nella più totale, degradante ignoranza". E' un attacco alla borghesia, di cui la DC è espressione; una borghesia ignorante e inetta che nel consumismo ha il suo più saldo strumento di potere.
In un celebre articolo sul "Corriere della Sera" del primo febbraio 1975 Pasolini sferra un durissimo attacco polemico alla Dc servendosi della metofora della "scomparsa delle lucciole": 

"[...] Nei primi anni sessanta, a causa dell'inquinamento dell'aria, e, soprattutto, in campagna, a causa dell'inquinamento dell'acqua (gli azzurri fiumi e le rogge trasparenti) sono cominciate a scomparire le lucciole. Il fenomeno è stato fulminante e folgorante. Dopo pochi anni le lucciole non c'erano più.
[...] Prima della scomparsa delle lucciole. La continuità tra fascismo fascista e fascismo democristiano è completo e assoluto. [....] La democrazia che gli antifascisti democristiani opponevano alla dittatura fascista, era spudoratamente formale.
Si fondava su una maggioranza assoluta ottenuta attraverso i voti di enormi strati di ceti medi e di enormi masse contadine, gestiti dal Vaticano.
[...] Durante la scomparsa delle lucciole. In questo periodo la distinzione tra fascismo e fascimo operata dal "Politecnico" poteva anche funzionare.
[...] Dopo la scomparsa delle lucciole. I "valori", nazionalizzati e quindi falsificati, nel vecchio universo agricolo e paleocapitalistico, di colpo non contano più.
[....] Gli uomin di potere democristiani sono passati dalla "fase delle lucciole" alla "fase della scomparsa delle lucciole" senza accorgersene.
[...] Essi si sono illusi che nel loro regime tutto sostanzialmente sarebbe stato uguale: che, per esempio, avrebbero potuto contare in eterno sul Vaticano: senza accorgersi che il potere, che essi stessi continuavano a detenere e a gestire, non sapeva più che farsene del Vaticano quale centro di vita contadina, retrograda, povera. Essi si erano illusi di poter contare in eterno su un esercito nazionalista (come appunto i loro predecessori fasciti): e non vedevano che il potere, che essi stessi continuavano a detenere e a gestire, già manovrava per gettare la base di eserciti nuovi in quanto transnazionali, quasi polizie tecnocratiche. E lo stesso si dica per la famiglia, costretta, senza soluzione di continuità dai dai tempi del fascismo, al risparmio, alla moralità: ora il potere dei consumi imponeva ad essa cambiamenti radicali, fino ad accettare il divorzio, e ormai, potenzialmente, tutto il resto senza più limiti.
[....] Gli uomini del potere democristiano hanno subìto tutto questo, credendo di amministrarselo. Non si sono accorti che esso era "altro": incommensurabile non solo a loro ma a tutta una forma di civiltà.

Adesione / opposizione al Pci

I rapporti di Pasolini con il Partito comunista italiano sono sempre stati "incerti", ostili in alcuni momenti
"Io mi sono sempre opposto al PCI con dedizione, aspettandomi una risposta alle mie obiezioni. Così da procedere dialetticamente! Questa risposta non è mai venuta: una polemica fraterna è stata scambiata per una polemica blasfema".
In un'intervista a Enzo Biagi, che gli chiedeva quali fossero le obiezioni da rivolgere ai comunisti, Pasolini rispose:
"Le ho sempre fatte: un eccesso di burocrazia, e l'avere permesso, all'interno del partito, atteggiamenti che sono borghesi: un certo perbenismo, un certo moralismo. Però continuo a votare per loro".
oppure di incondizionato appoggio, soprattutto nei momenti in cui le sue dichiarazioni si incrociavano con imminenti elezioni. In uno dei suoi ultimi "messaggi" in questo senso Pasolini dice:
"Il mio atteggiamento è di adesione al Pci, perché voto comunista da quando ero ragazzo, dal tempo dei partigiani, sono stato dalla loro parte, benché non iscritto, sono un indipendente di sinistra e la mia posizione adesso è una posizione abbastanza personale, devo dire, perché non sono decisamente nel Partito comunista, benché lo appoggi nei momenti, insomma, di lotta, di emergenza sia sempre con loro. Non sono nemmeno con gli estremisti, benché invece con alcuni estremisti vada molto d'accordo, ma non potrei dirmi un estremista, non sono un extraparlamentare, per me il parlamento, insomma, è sacrosanto […]"
Il 1° novembre 1975, alle quattro del pomeriggio, a casa sua, Pasolini rilasciò a Furio Colombo quella che sarebbe stata la sua ultima intervista, in cui, rispondendo alle domande del giornalista, riassumeva le sue argomentazioni su una serie di temi che l'avevano coinvolto e appassionato per tutta la vita.
"Prima tragedia: una educazione comune, obbligatoria e sbagliata che ci spinge tutti dentro l'arena dell'avere a tutti i costi […] L'educazione ricevuta è stata: avere, possedere, distruggere."
"Ho nostalgia della gente povera e vera che si batteva per abbattere il padrone senza diventare quel padrone. Poiché erano esclusi da tutto, nessuno li aveva colonizzati."
"Il potere è un sistema di educazione che ci divide in soggiogati e soggiogatori. Ma attento. Uno stesso sistema educativo che ci forma tutti, dalle cosiddette classi dirigenti, giù fino ai poveri. Ecco perché tutti vogliono le stesse cose e si comportano nello stesso modo. Se ho tra le mani un consiglio di amministrazione o una manovra in Borsa uso quella. Altrimenti una spranga."
"Non ci sono più esseri umani, ci sono strane macchine che sbattono l'una contro l'altra. E noi, gli intellettuali, prendiamo l'orario ferroviario dell'anno scorso, o di dieci anni prima e poi diciamo: ma strano, ma questi due treni non passano lì, e come mai sono andati a fracassarsi in quel modo? O il macchinista è impazzito o è un criminale isolato o c'è un complotto. Soprattutto il complotto ci fa delirare. Ci libera da tutto il peso di confrontarci da soli con la verità."
____________________
Le citazioni riportate, oltre che dalle fonti già citate nel testo, sono state tratte da:
  • Natalia Aspesi, Dialogo armato con Pasolini, intervista in "Il Giorno", 31 gennaio 1973
  • Enzo Biagi, L'innocenza di Pasolini, intervista in "La Stampa", 4 gennaio 1971
  • Mario Capanna, Formidabili quegli anni, Rizzoli, Milano 1988
  • Furio Colombo, Siamo tutti in pericolo, intervista in "Tuttolibri", 8 novembre 1975
  • Jean Duflot (a cura di), Pier Paolo Pasolini. Il sogno del centauro, Roma 1983
  • Franco Fortini, Attraverso Pasolini, Einaudi, Torino 1993
  • Giorgio Galli, Storia del Pci. Livorno 1921-Rimini 1991, Kaos edizioni, Milano 1993
  • Nico Naldini, Pasolini, una vita, Einaudi, Torino 1989
  • Pier Paolo Pasolini, Bestemmia. Tutte le poesie, 2 voll., Garzanti, Milano 1993
  • Pier Paolo Pasolini, Scritti corsari, Garzanti, Milano 1975
  • Pier Paolo Pasolini, Empirismo eretico, Garzanti, Milano, 1972-1991
  • Enzo Siciliano, Vita di Pasolini, Giunti Gruppo Editoriale, Firenze 1995

Tratto da Pagine Corsare di Angela Molteni.

Curatore, Bruno Esposito

Collaborano alla creazione di queste pagine corsare:

Carlo Picca
Mario Pozzi
Alessandro Barbato
Maria Vittoria Chiarelli
Giovanna Caterina Salice
Simona Zecchi

Pier Paolo Pasolini - L'ideologia - Verrà qualcun altro a prendere la mia bandiera. I giovani di oggi non si rendono conto di quanto sia repellente un piccolo-borghese.

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro




Pier Paolo Pasolini
L'ideologia

.
Verrà qualcun altro a prendere la mia bandiera.
I giovani di oggi non si rendono conto di
quanto sia repellente un piccolo-borghese.
Collaborazione al “Caos”

di Angela Molteni e Massimiliano Valente


Verrà qualcun altro a prendere la mia bandiera

Anche il film successivo al Vangelo solleva polemiche. Quando Uccellacci e uccellini esce nelle sale di proiezione, Pasolini scrive una lettera aperta ai critici nella quale, tra l'altro dichiara:
    "Mai mi sono così esposto come in questo film. Mai ho assunto a tema di un film un tema esplicitamente così difficile. La crisi del marxismo, della Resistenza e degli anni Cinquanta […] patita e vista da un marxista, dall'interno; niente affatto però disposto a credere che il marxismo sia finito (dice il buon corvo: 'Non piango sulla fine delle mie idee, che certamente verrà qualcun altro a prendere la mia bandiera e a portarla avanti! Piango su di me…'). Non è finito naturalmente nella misura che sappia accettare molte nuove realtà (adombrate nel film: lo scandalo del Terzo Mondo, i Cinesi e, soprattutto, l'immensità della storia umana e la fine del mondo, con l'implicità religiosa, che sono l'altro tema del film).
In una delle interviste rilasciate a Jean Duflot (Pier Paolo Pasolini. Il sogno del centauro), lo stesso Pasolini fa una brevissima sintesi dei suoi rapporti con il Pci fino al 1965:
    "Se sono marxista, questo marxismo è stato sempre estremamente critico nei confronti dei comunisti ufficiali, e specie nei confronti del Pci; ho sempre fatto parte di una minoranza situata al di fuori del partito, sin dalla mia prima opera poetica, Le ceneri di Gramsci. Non ci sono mai stati grandi mutamenti nella mia polemica con loro. Eppure, fino a quel momento ero sempre stato un compagno di strada relativamente ortodosso".
Nel corso di un'intervista nella quale Giorgio Bocca gli chiede: "Lei si proclama arrabbiato, uno dei rari arrabbiati italiani, perseguitato per amore della rabbia. Eppure va a finire regolarmente che la sua rabbia si risolve in voglia di vita, in opere utili agli altri, in ricerche rischiose fatte anche per gli altri. Che effetto ha avuto per esempio il suo ultimo film? Pasolini risponde:
    "Come sempre ambiguo. Io conduco una guerra su due fronti, contro la piccola borghesia e contro quel suo specchio che è certo conformismo di sinistra. E così scontento tutti, mi inimico tutti, sono costretto a tenere relazioni complicatissime, fatte di spiegazioni continue".
I giovani di oggi non si rendono conto di quanto sia repellente un piccolo-borghese

In pieno Sessantotto, quando scoppia la contestazione studentesca, che tenta di saldarsi - nelle punte che più avversavano gli aspetti socio-politici di una società italiana che stava degenerando in modelli sempre più piccolo-borghesi - anche con le lotte operaie che in quegli anni strapperanno al padronato molte delle conquiste ancora attuali ai giorni nostri, Pasolini scrive l'ormai famoso Il Pci ai giovani! (Appunti in versi per una poesia in prosa seguiti da un Apologo) che scatenò discussioni e polemiche durissime.
In effetti, vi erano, all'interno del movimento degli studenti, ispirazioni ideologiche disparate che andavano dal marxismo allo stalinismo, dall'acritica assunzione dei principi della rivoluzione cinese alle idee portanti della terza Internazionale. Ciò produceva un frazionismo esasperato: sia all'interno dei vari gruppi extraparlamentari, che si costituirono in quegli anni, sia tra i diversi gruppi, il grado di conflittualità, a volte anche solo verbale, era sempre elevato. E vi erano certamente anche alcuni di coloro ai quali Pasolini si rivolge
    Siete paurosi, incerti, disperati
    (benissimo!) ma sapete anche come essere
    prepotenti, ricattatori e sicuri:
    prerogative piccolo-borghesi, amici.
    […]
    "Inoltre i giovani di oggi (che si sbrighino poi ad abbandonare l'orrenda denominazione classista di studenti, e a diventare dei giovani intellettuali) non si rendono conto di quanto sia repellente un piccolo-borghese […]"

    ( dall'apologo )
ma nei confronti dei quali, probabilmente, dovevano essere evitate sempre pericolose generalizzazioni.
Il Sessantotto è senza dubbio un avvenimento storico complesso e, come tale, "incappa in due griglie interpretative divergenti, se non opposte. Ci sono i sostenitori della palingenesi e gli assertori del tutto negativo, tutto sbagliato", scrive Mario Capanna (Formidabili quegli anni) che di quelle lotte fu tra i protagonisti. E continua dicendo che una delle chiavi per giubilare il Sessantotto è stata la sua idealizzazione.
    "Come se l'antagonismo non fosse vero e concreto. Ogni giorno, ogni ora, ogni minuto la questione del potere era posta da milioni di persone qui e ora: come potere di pensare, di dire, di decidere, di cambiare, di costruire. Nel concreto del rapporto tra studente e docente, fra operaio e padrone, tra individuo e moltitudine e Stato. Ed era un concreto così concreto che De Gaulle pensò, per contrastarlo, a un colpo di Stato e in Italia si è fatto ricorso alla politica della strage di Stato. […] Con l'aberrazione del terrorismo, poi, la giubilazione ha ritenuto di poter celebrare esequie definitive. Sul presupposto della falsa equazione: Sessantotto uguale terrorismo. […] Il corto circuito di pochi, nascosti dietro l'angolo dell'agguato, opposto al flusso di grandi movimenti operanti alla luce del giorno. […] Proprio la vicenda della sinistra italiana costituisce la riprova che il Sessantotto ha fornito, tra l'altro, un insegnamento di valore strategico. Il centro della società si sposta, culturalmente e politicamente, a sinistra quando è in presenza di una progettualità alternativa forte di alto profilo e persuasiva, che poggi sulle gambe di grandi movimenti di massa trasformatori. E questa è anche l'unica strada per strappare riforme. Non a caso lo Statuto dei diritti dei lavoratori è del 1970. Al contrario quando la sinistra cade preda di quel mal sottile che è l'ammucchiata al centro, allora questo resta bloccato e prevalgono le forze moderate e conservatrici".
Fin qui Capanna. Ciò che invece scrisse allora Pasolini sollevò, come si è già ricordato, una marea di critiche e di polemiche [si veda, anche recentemente, gli interventi di Giuliano Ferrara ed Enzo Siciliano]. Per la destra, fautrice di "ordine" fu facile la strumentalizzazione e l'utilizzo dei concetti espressi da Pasolini contro le lotte studentesche. Su questo spinoso argomento, rimandiamo comunque anche alle argomentazioni di Franco Fortini, che furono altrettanto "forti" e convinte.
Nell'ottobre del 1968, infine, Pasolini scrisse nella rubrica "Il Caos":
    "Non è stato, questo, un anno glorioso per la nostra vita nazionale, e neanche internazionale. Per un viaggio sulla luna, quanti regressi sulla terra. È stato un anno di restaurazione. Ciò che è più doloroso constatare è stata la fine del Movimento Studentesco, se di fine si può parlare (ma spero di no). In realtà la novità che gli studenti hanno portato nel mondo l'anno scorso (i nuovi aspetti del potere e la sostanziale e drammatica attualità della lotta di classe) ha continuato a operare dentro di noi, uomini maturi, non solo per quest'anno, ma, credo, ormai, per tutto il resto della nostra vita. Le ingiuste e fanatiche accuse di integrazione rivolte a noi dagli studenti, in fondo, erano giuste e oggettive. E – male, naturalmente con tutto il peso dei vecchi peccati – cercheremo di non dimenticarcelo più".
Della femminista, infine, rappresentante di un altro combattivo fenomeno originatosi con le lotte del '68, Pasolini disse, rispondendo a Natalia Aspesi che gli chiedeva cosa fosse per lui: "Un'estremista con tutti i difetti degli estremisti, con cui devo entrare in polemica critica".



La polemica con Franco Fortini
sugli studenti.


"Il Caos"

Nel 1968, a Pasolini viene affidata una rubrica intitolata "Il Caos" sul settimanale "Tempo illustrato". Davide Lajolo, dirigente del Pci, gli scrive: "Un colloquio nessuno lo può tenere meglio di te proprio perché sono in molti da ogni parte che ce l'hanno con te".
La rubrica deve costituire "un fronte di piccole battaglie quotidiane" da impegnare contro i terrorismi di destra e di sinistra e contro la borghesia, intesa da Pasolini "come una vera e propria malattia".
Commenta Nico Naldini nel suo Pasolini, una vita:
"Mentre 'Il Caos' espone in pubblico ogni sorta di polemiche, e qualche volta è costretto a rispondere alle moltissime proteste dei lettori del settimanale, allo stesso tempo tende a rinchiudersi in se stesso nella forma di un diario privato in cui cessa l'obbligo della chiarezza didascalica, del 'messaggio', si accentuano le idiosincrasie, si approfondiscono le contraddizioni, e il giudizio, lungi dal volerle conciliare, punta su quel 'canone sospeso' e in quella forma di 'grido di disperazione' che contraddistinguono le sue opere creative".
Nel marzo 1970 il direttore di "Tempo" gli comunicò la propria decisione di chiudere la rubrica "Il Caos" per le "reazioni sfavorevoli" dei lettori del settimanale.

Tratto da Pagine Corsare di Angela Molteni


 

Curatore, Bruno Esposito

Collaborano alla creazione di queste pagine corsare:

Carlo Picca
Mario Pozzi
Alessandro Barbato
Maria Vittoria Chiarelli
Giovanna Caterina Salice
Simona Zecchi

Pier Paolo Pasolini - L'ideologia - Una forza del passato. L'idea di una nuova preistoria. Discredito, denigrazione e diffamazione.

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro




Pier Paolo Pasolini
L'ideologia

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Una forza del passato.
L'idea di una nuova preistoria.
Discredito, denigrazione e diffamazione.
1964. Dopo Il Vangelo secondo Matteo 

di Angela Molteni e Massimiliano Valente
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Una forza del passato

Pasolini fa dire nell'episodio La ricotta del film RoGoPaG, a un regista marxista impersonato da Orson Welles:
"Io sono una forza del Passato.
Solo nella tradizione è il mio amore.
Vengo dai ruderi, dalle Chiese,
dalle pale d'altare, dai borghi
dimenticati sugli Appennini o le Prealpi,
dove sono vissuti i fratelli.
Giro per la Tuscolana come un pazzo,
per l'Appia come un cane senza padrone.
O guardo i crepuscoli, le mattine
su Roma, sulla Ciociaria, sul mondo,
come i primi atti della Dopostoria,
cui io sussisto, per privilegio d'anagrafe,
dall'orlo estremo di qualche età
sepolta. Mostruoso è chi è nato
dalle viscere di una donna morta.
E io, feto adulto, mi aggiro
più moderno d'ogni moderno
a cercare i fratelli che non sono più".
In questi versi c'è la più consapevole e disperata dichiarazione di poetica di Pasolini: il suo sentirsi estraneo a un presente sempre più omologato e a un futuro le cui premesse descrivono come un deserto culturale.

"E' un'idea sbagliata - dovuta come sempre alla mistificazione giornalistica - quella che io sia un... 'modernista'. Anche i miei più seri sperimentalismi non prescindono mai da un determinante amore per la grande tradizione italiana e europea. Bisogna strappare ai tradizionalisti il Monopolio della tradizione, non le pare? Solo la rivoluzione può salvare la tradizione: solo i marxisti amano il passato: i borghesi non amano nulla, le loro affermazioni retoriche di amore per il passato sono semplicemente ciniche e sacrileghe: comunque, nel migliore dei casi, tale amore è decorativo, o 'monumentale', come diceva Schopenhauer, non certo storicistico, cioè reale e capace di nuova storia".


[Articolo apparso sul numero 42 
di "Vie Nuove" il 18 ottobre 1962] 

"Tradizione e marxismo. Sì, insisto: solo il marxismo salva la tradizione. Oh, ma capiscimi bene! Per tradizione intendo la grande tradizione: la storia degli stili. Per amare questa tradizione occorre un grande amore per la vita. La borghesia non ama la vita: la possiede. E' ciò implica cinismo, volgarità, mancanza reale di rispetto per una tradizione intesa come tradizione di privilegio e come blasone. Il marxismo, nel fatto stesso di essere critico e rivoluzionario, implica amore per la vita, e, con questo, la revisione rigenerante, energica, amorosa della storia dell'uomo, del suo passato.

[Articolo su "Vie Nuove" del 22 novembre 1962 
intitolato "Risposta ad un insoddisfatto"] 

L'idea di una nuova preistoria

Nel 1963, quasi contemporaneamente alla lavorazione de La ricotta gli viene proposto l'allestimento di un film-montaggio sugli avvenimenti dell'ultimo decennio, La rabbia, tratto da sequenze di cinegiornali. Parlando di quest'ultimo film, Pasolini afferma che con esso intendeva dire "una cosa un po' confusa in me, un'idea irrazionale ancora, non ben definita, non determinata […] È l'idea di una nuova preistoria. E cioè i miei sottoproletari vivono ancora nell'antica preistoria, mentre il mondo borghese, il mondo della tecnologia, il mondo neocapitalistico va verso una nuova preistoria. […] Quando il mondo classico sarà esaurito, quando saranno morti tutti i contadini e tutti gli artigiani, quando l'industria avrà reso inarrestabile il ciclo della produzione, allora la nostra storia sarà finita".
Con i suoi ultimi lavori, e in particolare con le poesie che formeranno la raccolta Trasumanar e organizzar Pasolini compie il "primo goffo tentativo individualistico e in parte anarcoide" di lottare contro quella che continua a definire "la nuova preistoria". Commenta Naldini: "Di fronte all'accelerazione artificiale della nuova società industriale che vuol distruggere il passato per instaurare solo il presente, oppone la nostalgia del sacro, degli antichi valori, il rimpianto del passato, accettato anche come sentimento conservatore".
È in questa chiave che va anche letto il crescente interesse di Pasolini per il Terzo Mondo, nel quale ritrova ritmi di vita "umani", e un rispetto delle tradizioni "ripetute indefinitamente".


Discredito, denigrazione e diffamazione

Agli attacchi si affiancano sempre più spesso denigrazioni e critiche astiose e mistificanti che vengono dalla stampa di tutte le parti politiche. Nella sua rubrica su "Vie Nuove", Pasolini denuncia questi atteggiamenti e traccia un quadro generale della situazione socio-politica e della sua in particolare, come scrittore i cui contenuti e messaggi vengono sempre più spesso stravolti; rivolgendosi al "lettore" della rivista, scrive:

"Io patisco ciò che di peggio può patire uno scrittore. La mistificazione della mia opera: una mistificazione totale, completa, irrimediabile. Una vera e propria operazione industriale. Tutto quanto io dico e scrivo subisce, attraverso l'interpretazione calcolata della stampa 'libera', una metamorfosi implacabile: discredito, denigrazione e diffamazione, che, un po' alla volta, finiscono di essere dei puri e semplici strumenti teppistici, e diventano una realtà, che trasforma sociologicamente il mio stile. Lei sa che il testo non vive nella solitudine di un'anima, ma vive in una cerchia sociale. Esiste in quanto ha in sé la possibilità di un rapporto con la comunità. Ora, se questa comunità - attraverso un'apposita operazione di chi ha il potere e i mezzi di diffusione ideologica - comprende il testo di uno scrittore in modo diverso da quello che è, accade pian piano una cosa ineluttabile: che il testo - almeno per la durata della generazione - costituisce la cerchia sociale di esso, diventa realmente qualcosa di diverso da quello che esso è.

"Mi rendo conto proprio in questi mesi di quanto grande sia la mia tragedia di scrittore nel mondo che lei dice libero e democratico. I miei romanzi e le mie poesie perdono a vista d'occhio il loro 'significato', per aggiunte e falsificazioni continue, diuturne, dilaganti: per una interpretazione denigratoria portata a un grado di intensità e di ferocia mai viste. I miei testi deperiscono effettivamente, i significati delle mie parole hanno una reale depressione espressiva fino a essere quelli che la gente (intesa come massa guidata dal potere industriale e dal susseguente conformismo statale) vuole che siano.
"Piano piano anche ad alto livello questa mistificazione acquista peso e quasi ragione d'essere. Ormai anche i critici attendibili e altamente qualificati non possono non tener conto dell'aggiunta di significato data ai miei testi dalla denigrazione borghese, cioè dalla mia cerchia sociologica, cioè dalla mia nazione. E il loro giudizio comincia ad essere meno libero e sicuro.

"Noi ci troviamo alle origini di quella che sarà probabilmente la più brutta epoca della storia dell'uomo: l'epoca dell'alienazione industriale. Lei ne è già una vittima, in quanto il suo giudizio non è libero proprio nell'atto in cui crede di meglio attuare la propria libertà; io sono un'altra vittima in quanto la mia libera espressione viene fatta passare per 'altra da quella che essa è'. Il mondo si incammina per una strada orribile: il neocapitalismo illuminato e socialdemocratico, in realtà più duro e feroce che mai".


1964. Dopo Il Vangelo secondo Matteo

Anche dopo la presentazione del Vangelo secondo Matteo "l'atteggiamento nei suoi confronti della sinistra", dice Naldini nel suo già citato Pasolini, una vita, "alla quale egli non ha mai smesso di appartenenere ideologicamente e di condividerne le lotte con passione", non finiva di tormentarlo.
Rivolgendosi a Mario Alicata, un dirigente del Pci, Pasolini polemicamente così si esprime:

"[…] ti ricordo la frase 'Dite sì se è sì, no se è no: tutto il resto viene dal Maligno'. Devi dirmi con coraggio se tu e la tua cerchia, a me, dite sì o no. Non perché questo possa contare sulla mia reale e profonda ideologia e fede comunista, ma perché possa aiutarmi nella mia chiarezza e nei miei atteggiamenti pratici. […] Ora, capisco che l'ambiguità dell'Unità e del Paese Sera, se è dettata da ragioni pratiche di condotta, è dettata anche da più profondi motivi magari in parte inconsci, per esempio una inconscia avversione moralistica e piccolo-borghese nei miei riguardi".

E, ancora dopo il Vangelo, Pasolini scrive ai lettori di "Vie Nuove":

"I marxisti fragili temono di 'essere distrutti' da un dialogo con la Chiesa, e si attaccano alle vecchie posizioni come rassicuranti. Altri marxisti, invece, non provano scandalo, rispetto alle proprie convinzioni, non si disorientano, non provano il capogiro, davanti all'idea di una chiesa che divida le proprie responsabilità da quelle dei fascisti e anche con la classe nemica dei 'poveri'". 

Tratto da Pagine Corsare di Angela Molteni


 

Curatore, Bruno Esposito

Collaborano alla creazione di queste pagine corsare:

Carlo Picca
Mario Pozzi
Alessandro Barbato
Maria Vittoria Chiarelli
Giovanna Caterina Salice
Simona Zecchi

Pier Paolo Pasolini - L'ideologia - Le polemiche continuano. 1960. I morti di Reggio Emilia. La collaborazione con “Vie Nuove”. Le contestazioni dell'estrema destra

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro





Pier Paolo Pasolini
L'ideologia

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Le polemiche continuano. 

1960. I morti di Reggio Emilia.
La collaborazione con “Vie Nuove”.
Le contestazioni dell'estrema destra 

di Angela Molteni e Massimiliano Valente
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Le polemiche continuano

Italo Calvino, scrivendo a "Il contemporaneo", si dichiara "contro" Ragazzi di vita "per ragioni di poetica" che ritiene "sbagliata e senza sviluppi" e definisce comunque Pasolini "poeta e critico: uno dei più forti della nuova generazione e del campo della sinistra".
Altrettante polemiche vi saranno su Una vita violenta, del quale Pasolini aveva detto: "La mia intenzione era di scrivere un romanzo socialista".
Sulla rivista del Pci, "Rinascita", il senatore Mario Montagnana, cognato di Togliatti, indirizzerà una lettera al direttore: "Pasolini riserva le volgarità e le oscenità, le parolacce al mondo della povera gente. […] Si ha la sensazione che Pasolini non ami la povera gente, disprezzi in genere gli abitanti delle borgate romane e, ancor più, disprezzi (non trovo altra parola) il nostro partito […] Non è forse abbastanza per farti indignare?".
Nel numero successivo di "Rinascita", la risposta giunse da un altro esponente comunista, Edoardo D'Onofrio: "Io credo che uno dei motivi che spinge alcuni nostri compagni a non valutare giustamente il romanzo Una vita violenta di Pasolini dipenda in gran parte dal fatto che essi non conoscono l'importanza politica e sociale della presenza a Roma di un numeroso sottoproletariato […] Pasolini non nasconde la verità per carità di partito; dice le cose così come furono; né pretende che un momento dello sviluppo del partito nelle borgate sia lo sviluppo stesso o il risultato dello sviluppo".
Pasolini fu poi nuovamente attaccato da parte comunista quando, nel dicembre 1961, pubblicò sull'"Avanti!" la poesia Nenni:
    […]
    Dal quarantotto siamo all'opposizione:
    dodici anni di una vita: da Lei
    tutta dedicata a questa lotta – da me,
    in gran parte, seppure in privato
    […]
    Se non possiamo realizzare tutto, non sarà
    giusto accontentarsi a realizzare poco?
    La lotta senza vittoria inaridisce. (Una lettera, di solito, ha uno scopo.
    Questa che io Le scrivo non ne ha.
    Chiude con tre interrogativi ed una clausola.
    Ma se fosse qui confermata la necessità
    di qualche ambiguità della Sua lotta,
    la sua complicazione ed il suo rischio,
    sarei contento di avergliela scritta.
    Senza ombre la vittoria non dà luce.)

      1960 (P.P. Pasolini, Bestemmia, Poesie disperse, Garzanti, Milano 1993

La poesia venne inviata all'"Avanti!" con una "lettera" accompagnatoria in cui il poeta diceva tra l'altro:
    "[…] ho scritto questi versi proprio un anno fa in questi giorni. Li ho sempre tenuti, come si dice, nel cassetto, perché me ne vergognavo […] Avevo paura che questa 'lettera a Nenni' suonasse come una rinuncia a certe mie posizioni estreme, le uniche in cui posso vivere. E infatti, alla base dell'ispirazione di quei versi, c'era un profondo scoraggiamento […] L'importante è che lo scoraggiamento duri lo spazio di una poesia…"
1960. I morti di Reggio Emilia

Il giugno-luglio 1960 è segnato da una grave crisi politica che scuote l'Italia: Fernando Tambroni, democristiano, forma un governo monocolore sostenuto dal Msi. È l'"anticamera" di un colpo di stato di destra nel nostro paese.
Il 28 giugno '60 si tiene a Genova una imponente manifestazione popolare antifascista; il 30 un nuovo corteo cittadino viene affrontato dalla polizia, e negli incidenti rimangono feriti 83 manifestanti.
La proposta antifascista si diffonde in altre città e il governo Tambroni sceglie la linea dura per fronteggiare e reprimere il dilagare delle manifestazioni di piazza.
Il 6 luglio 1960 a Roma, a Porta San Paolo, la polizia reprime un corteo antifascista, ferendo alcuni deputati socialisti e comunisti; ma i fatti più gravi accadono a Reggio Emilia: nel corso di una delle manifestazioni seguite ai fatti di Roma la polizia uccide cinque manifestanti comunisti: Ovidio Franchi, Lauro Farioli, Emilio Reverberi, Marino Serri, Afro Tondelli.
La Cgil proclama, da sola, uno sciopero generale. La tensione sociopolitica nata a Genova e dilagata nel paese porterà alle dimissioni di Tambroni il 19 luglio 1960.

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Canti politici e sociali: Per i morti di Reggio Emilia.


Le vicende private e giudiziarie di Pasolini si intrecciano in questi anni insindibilmente con quelle politiche. Seppure non iscritto al Pci Pasolini, quale simpatizzante e dichiaratamente elettore di quel partito, è un letterato scomodo per il Pci a causa della sua omosessualità. Così scive una nota dell'agenzia Fert il 14 luglio 1960:
"La Fert apprende che l'on. Togliatti ha rivolto ai dirigenti dei settori culturali e stampa del partito l'invito ad andare cauti con il considerare Pasolini un fiancheggiatore del partito e nel prenderne le difese. L'iniziativa di Togliatti che riscontra molte contrarietà, parte da due considerazioni. Togliatti non ritiene, a suo giudizio personale, Pasolini un grande scrittore, ed anzi il suo giudizio in proposito è piuttosto duro. Infine, egli giudica una cattiva propaganda per il PCI, specialmente per la base, il considerare Pasolini un comunista, dopo che l'attenzione del pubblico, più che sui romanzi dello scrittore, è polarizzata su talune scabrose situazioni in cui egli si è venuto a trovare fino a provocare l'intervento del magistrato (...) I difensori del reprobo in seno al Pci sono tuttavia parecchi, e sembra che gli stessi deputati Alicata e Ingrao siano del parere di conservare Pasolini al Pci".
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    La croce uncinata Da molte notti, ogni notte,
    passo sotto questo tempio, tardi,
    nel silenzio dell'aria
    del Tevere, tra rovine scomposte.
    Non c'è più intorno nessuno, allo scirocco
    che spira e cade, fioco tra le pietre:
    forse ancora una donna, laggiù, e dietro
    il bar di Ponte Garibaldi, due tre poveri
    ladri, in cerca di dormire, chissà dove.
    Ma qui, nessuno: passo veloce,
    rotto da una notte tutta ansia e amore:
    non ho più niente nel cuore
    e non ho più sguardo negli occhi.
    Eppure, quest'immagine, col passare delle notti,
    si fa sempre più grande, più vicina:
    ecco lo spigolo, liberty, contro la turchina
    distesa del Tevere: ed ecco i poliziotti
    che piantonano il tempio, tozzi e assorti.
    Li vedo appena, coi loro cappotti
    grigiastri, contro un albero secco,
    contro i bui scorci del ghetto:
    e colgo una breve luce, negli occhi
    umiliati dal loro goffo sonno di giovinotti:
    una accecata stanchezza che vede nemici
    in ognuno, un veleno di dolori antichi,
    un odio di servi: restano indietro,
    soli come lo scirocco che vortica tra le pietre.
    Una vergogna, triste come la notte
    che regna su Roma, regna sul mondo.
    Il cuore non vi resiste: risponde
    con una lacrima, che subito ringhiotte.
    Troppe lacrime, ancora non piante, lottano,
    oltre questi umilianti quindici anni,
    dentro le nostre dimentiche anime:
    il dolore è ormai troppo simile al rancore,
    neanche la sua purezza ci consola.
    Troppe lacrime: a coloro che verranno
    al mondo, per molto tempo ancora
    questa vergogna farà arido il cuore.

      [Aprile 1960]

“LE RADICI DEL LUGLIO. 

Sotto questa poesia, ho voluto apporre, ben chiara e circostanziata, la data – aprile 1960 –: cosa che di solito non faccio mai: anche perché le mie poesie restano in laboratorio tanto tempo, che in realtà finiscono con l'essere scritte e riscritte varie volte, e la loro data di solito abbraccia un'annata o due di lavoro. […] In questo caso la data l'ho messa bene in vista solo per dare alla poesia una giustificazione politica: volevo cioè ricordare al lettore che aprile non è luglio, che la formazione del governo Tambroni non è la cacciata del governo Tambroni, e che la spocchia dei neofascisti non è la sconfitta dei neofascisti. L'indignazione politica contenuta in questi versi può sembrare un poco pessimista e dolorosa: ma lo credo! Niente, in quel momento in cui li ho scritti – lo scorso aprile – autorizzava ad avere una specifica: la speranza di un sollievo immediato almeno dalla vergogna del "revival" fascista. Se riscrivessi ora sullo stesso argomento non potrei non tenere conto, certamente, del significato di questa estate politica: del fatto cioè che quella mia indignazione, che io credevo ristretta a pochi memori, è invece condivisa da una grande maggioranza di italiani, tra cui soprattutto, i giovani: quelli di Genova, quelli di Reggio, quelli di Roma, quelli di Palermo. Ciò non significa che mi abbandonerei a un facile ottimismo: questo mai. Né credo potrei mai cancellare in me l'impressione che quello che hanno fatto i fascisti e i nazisti nel mondo è stato così disumano, da presentarsi come una piaga di non facile guarigione nel corpo dell'intera umanità. […]”

[Pasolini in “Vie Nuove”, Roma, 29 ottobre 1960]

La collaborazione con "Vie Nuove"

Maria Antonietta Macciocchi, direttrice di "Vie Nuove", propose a Pasolini una collaborazione con la rivista, cosa che avvenne a partire dal maggio 1960; dice del poeta: "Pasolini era l'intellettuale più dolce, più delicato, più disponibile che avessi conosciuto. Era più facile 'dirigere' lui che il redattore più qualificato con la tessera del Pci. Oltre la rubrica personale, scriveva gli articoli che gli chiedevo sui soggetti più disparati […]".
La Macciocchi scrive a Pasolini il 4 agosto: "Le invio il disco di 'Vie Nuove' sui fatti di Reggio Emilia, e la lettera di un lettore che si riferisce ad esso […] Io ebbi a Reggio Emilia questo nastro da un commesso di un negozio di tessuti, che si era portato là il registratore per registrare il comizio; e, invece, finì con il registrare l'agghiacciante sparatoria che lei udrà, non una guerra, ma una fredda carneficina". Pasolini rispose al lettore, nella rubrica su "Vie Nuove":
    "I critici stilistici dicono che ogni opera ha la sua "integrazione figurale": ossia ogni opera, nell'atto di essere scritta o letta, brano per brano, pagina per pagina, parola per parola, si integra in una sua totalità immanente ad essa, in una sua ideale conclusione che le dà continuamente senso e unità. Così – per questo disco – è atroce dirlo – la integrazione figurale, che gli dà quasi una dignità estetica, è la morte dei giovani lavoratori di Reggio, è la calcolata brutalità della polizia […] Quello che colpisce soprattutto […] è la freddezza organizzata e quasi meccanica con cui la polizia ha sparato: i colpi si succedono ai colpi, le raffiche alle raffiche, senza che niente le possa arrestare, come un gioco, quasi con la voluttà distratta di un divertimento […]
Pasolini instaura con i lettori di "Vie Nuove", per lo più comunisti, un discorso molto ampio che abbraccia tutte le problematiche dei primi anni sessanta. Sulle pagine di "Vie Nuove" si inserisce la polemica con Salinari, considerato la voce ufficiale del Pci in ambito letterario. Con estrema semplicità Pasolini svolge sulle pagine del giornale il proprio marxismo, e quella "contraddizione" tra l'essere con Gramsci o nelle "buie viscere" che segna un momento fondamentale della sua poetica. Così Pasolini in un articolo del 3 maggio 1962 intitolato "Cultura contro nevrosi":
    "Essere marxisti, oggi, in un paese borghese, significa essere ancora in parte borghesi. Fin che i marxisti non si renderanno conto di questo, non potranno mai essere del tutto sinceri con se stessi. La loro infanzia, la loro formazione, le loro condizioni di vita, il loro rapporti con la società, sono ancora oggettivamente borghesi. La loro 'esistenza' è borghese, anche se la loro 'coscienza' è marxista"
L'accettazione del marxismo va di pari passo alla puntuale indicazione dei fattori di crisi del movimento marxista, che è soprattutto crisi dei partiti di ispirazione marxista (da un articolo su "Vie Nuove" del 15 luglio 1965 intitolato "Due crisi"):
    "Quello del capitalismo è un violento sviluppo, che, come dicevo in altre lettere precedenti, si presenta addirittura, al limite, come 'rivoluzione interna', che viene a modificare addirittura certe strutture del capitalismo classico: c'è per esempio nei paesi capitalistici molto evoluti un superamento delle strutture familiari e confessionali.. La crisi del marxismo è proprio dovuta a questo sviluppo in qualche modo rivoluzionario del neo-capitalismo. [....]
    Il bersaglio contro cui il marxismo ha sparato, metaforicamente e realmente, in tutti questi decenni, sta cambiando, pone delle alternative in certo modo impreviste. Di qui la crisi dei partiti marxisti. Di qui la necessità di prenderne coscienza, fin che il marxismo resta la vera grande alternativa dell'umanità".
Da alcuni versi del poemetto Una disperata vitalita', tratto da Poesia in forma di rosa:
    "Secondo lei allora - fa, reticente,
    mordicchiando la biro - qual è
    la funzione del marxista?" E si accinge a notare. "Con... delicatezza da batteriologo... direi [balbetto,
    preso da impeti di morte]
    spostare masse di eserciti napoleonici, staliniani...
    con miliardi di annessi...
    in modo che...
    la massa che si dice conservatrice
    [del passato] lo perda:
    la massa rivoluzionaria, lo acquisti
    riedificandolo nell'atto di vincerlo...
    E' per l'istinto di Conservazione
    che sono comunista!
    Uno spostamento
    da cui dipende vita e morte: nei secoli dei secoli.
    Farlo pian piano, come quando
    un capitano del genio svita
    la sicura di una bomba inesplosa, e,
    per un attimo, può restare al mondo
    (coi suoi moderni caseggiati, intorno, al sole)
    o esserne cancellato per sempre:
    una sproporzione inconcepibile
    tra i due corni!
    Uno spostamento
    da fare piano piano, tirando il collo,
    chinandosi, raggricciandosi sul ventre,
    mordendosi le labbra o stringendo gli occhi
    come un giocatore di bocce
    che, dimenandosi, cerca di dominare
    il corso del suo tiro, di rettificarlo
    verso una soluzione
    che imposterà la vita nei secoli"
Il marxismo di Pasolini non è, come del resto l'intera sua produzione, esente da critiche che Alberto Asor Rosa così articola nel suo saggio Scrittori e popolo, il populismo nella letteratura italiana contemporanea edito da Einaudi:
"Il marxismo di Pasolini è, ad esempio, quanto di più curioso ed artefatto si sia potuto incontrare in questo campo, negli anni ancora molto a noi vicini del progressismo letterario. D'altra parte non c'è dubbio che lo scrittore abbia preteso ad una qualificazione ideologica di questo genere, se, concludendo le risposte ad una intervista del 1959 - lo stesso anno di Una vita violenta - lo scrittore quasi divertito afferma: "[...] io credo soltanto nel romanzo 'storico' e 'nazionale', nel senso di 'oggettivo' e 'tipico'. Non vedo come possano esisterne d'altro genere, dato che 'destini e vicende puramente individuali e fuori dal tempo storico' per me non esistono: che marxista sarei?": dove terminologia di tipo gramsciano e riferimenti di tipo lukacsiano si confondono insieme in un facile e sorprendentemente futile coacervo. La stessa disinvoltura è reperibile del resto in quei luoghi in cui Pasolini passa a delineare il contenuto di un esperimento letterario collegato a questa sua recente ma appassionata fede socialista. Si constata allora che il marxismo è per lui tutto ciò che non è possibile definire come irrazionale o decadente: "[...] del 'realismo socialista' come formula ancora ideale, da precisarsi nella teoria, da realizzarsi - penso che sia l'unica possibile ipotesi di lavoro. Per una ragione molto semplice: il socialismo è l'unico metodo di sonoscenza [sic] che consenta di porsi in un rapporto oggettivo e razionale col mondo". La verità è che, di tutte le possibili varianti marxiste, Pasolini ha colto, magari attraverso la mediazione degli interpreti ufficiali comunisti, unicamente il tema gramsciano del nazional-popolare, che è infatti il solo a contare qualcosa nella sua opera narrativa".
Le contestazioni dell'estrema destra
In quei primi anni Sessanta Pasolini inizia a girare film interamente da lui ideati. Da subito diviene "rituale" la contestazione violenta dei neofascisti alle proiezioni dei film che il regista presenta.
Aggressioni avvengono nel 1961, a Roma, quando Accattone viene proiettato per la prima volta, dopo due mesi di attesa del visto della censura: gruppi di neofascisti provocano tafferugli, aggredendo gli spettatori. Il commento di Pasolini in questo caso è: "La pubblica opinione si è ribellata contro di me per una sorta di indefinibile odio razzistico, che come tutti i razzismi, era irrazionale. Non poteva accettare Accattone e tutti i personaggi sottoproletari."
Le stesse gazzarre vengono inscenate l'anno successivo per la prima proiezione di Mamma Roma a Venezia. A Roma, poi, gruppi di giovani appartenenti a "Avanguardia nazionale" e alla "Giovane Italia" inscenano tumulti e risse alle prime visioni del film, incitati e difesi dai loro giornali.

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Una "nota segnaletica" su Pasolini
apparsa sul quotidiano del Msi)


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Il '63 è la volta de La ricotta a subire contestazioni, questa volta con l'accusa di "vilipendio alla religione di Stato". Ma più che quest'ultimo motivo, ciò che scontentò tutti fu la "filosofia" che vi si esprimeva. Pasolini dichiarava in quei giorni: "L'Italia sta marcendo in un benessere che è egoismo, stupidità, incultura, pettegolezzo, moralismo, coazione, conformismo: prestarsi in qualche modo a contribuire a questa marcescenza è, ora, il fascismo".E tale filosofia veniva sostenuta, nel film, da Orson Welles che, impersonando il regista del "film nel film" che Pasolini girava, denunciava: "L'Italia ha il popolo più analfabeta e la borghesia più ignorante d'Europa. ("Ed ecco scontentati così i partiti di sinistra come quelli di destra", fu il commento di Alberto Moravia) […] L'uomo medio è un pericoloso delinquente, un mostro. Esso è razzista, colonialista, schiavista, qualunquista ("Ed ecco scontentati tutti quanti", concluse lo stesso Moravia). 

Tratto da Pagine Corsare di Angela Molteni



Curatore, Bruno Esposito

Collaborano alla creazione di queste pagine corsare:

Carlo Picca
Mario Pozzi
Alessandro Barbato
Maria Vittoria Chiarelli
Giovanna Caterina Salice
Simona Zecchi

Pier Paolo Pasolini - L'ideologia - 1950. A Roma. Le prime opere letterarie, le prime critiche politiche.

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro



Pier Paolo Pasolini
L'ideologia

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1950. A Roma. Le prime opere letterarie,
le prime critiche politiche.
1956. Il XX Congresso del Pcus

di Angela Molteni e Massimiliano Valente
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1950. A Roma. Le prime opere letterarie, le prime critiche politiche

Nel gennaio successivo Pasolini partirà con la madre per Roma e nella capitale, dapprima con fatica e sacrificio, riuscirà a lavorare, iniziando con un modesto incarico di insegnante in una scuola privata, e man mano ad affermarsi come scrittore e regista.
Del 1955 è Ragazzi di vita che segna l'inizio della sua notorietà e che solleva le critiche, tra l'altro, di una parte dei commentatori della stampa comunista. In più di un caso, tali critiche coincisero con altre, analoghe, provenienti da organi di informazione di segno politico opposto.
"Pasolini sceglie apparentemente come argomento il mondo del sottoproletariato romano, ma ha come contenuto reale del suo interesse il gusto morboso dello sporco, dell'abbietto, dello scomposto e del torbido", scrive tra l'altro Carlo Salinari. E Giovanni Berlinguer: "Tutto trasuda disprezzo e disamore per gli uomini, conoscenza superficiale e deformata della realtà, morboso compiacimento degli aspetti più torbidi di una verità complessa e multiforme".
Inizia con queste prime "scaramucce" una polemica, anche ideologica, tra Pasolini e alcuni esponenti culturali del Pci che proseguirà senza tregua negli anni futuri.


1956. Il XX Congresso del Pcus

Nel 1956 vi è una forte crisi ideologica e politica che coinvolge tutto il movimento comunista, determinata dal "rapporto Kruscev" al XX Congresso del Partito comunista sovietico.
Le critiche a Stalin e al suo sistema di potere che sono espresse dal "rapporto" avranno effetti psicologici enormi e imporranno nuove prospettive e strategie ai comunisti in tutto il mondo. Per contrasto, fecero inoltre seguito, quasi subito, i fatti di Ungheria e di Polonia.
Pasolini, ragionando in particolare sulla sua attività letteraria dopo tali avvenimenti, scriverà: "Era un'epoca della mia vita in cui io, come scrittore, non potevo non tenere costantemente presente quella prospettiva e quindi questa non poteva non far parte immanente e continua della mia ispirazione. Non c'è dubbio che dopo il XX Congresso del Pcus io mi sono sentito sempre meno dubbioso, sempre più sicuro, sereno e deciso sul piano ideologico".
In Una polemica in versi, uno dei poemetti che compongono Le ceneri di Gramsci, Pasolini rivolge un duro attacco al Pci e al suo crescente burocratismo:

    "L'ora è confusa, e noi come perduti
    la viviamo…", mi mormoravi, amaro,
    disilluso di ciò che hai avuto
    per dieci anni dentro, così chiaro
    che tra mondo e mente quasi era un idillio:
    e ha la tua stanchezza – un po' volgare –

    una smorfia di vecchio figlio
    di immigrati meridionali
    affamati e vili dietro il cipiglio

    di poveri arrivati, d'ingenui dottrinari.
    Hai voluto che la tua vita fosse
    una lotta. Ed eccola ora sui binari

    morti, ecco cascare le rosse
    bandiere, senza vento.
    […]
    Poi il canto, che s'era levato
    gioioso, disperato, cessa, e il vecchio

    lascia cadere la bandiera, e lento,
    con le lacrime agli occhi,
    si ricalca in capo il suo berretto.

    Su questa baraonda della Villa, il buio
    che sommerge la disperata allegria,
    è, forse, più l'ombra del dubbio

    che la precoce notte. È la nostalgia
    dei vecchi tempi, la paura, pur bandita,
    dell'errore, che spira tanta malinconia

    – non l'aria d'autunno, o una sopita
    pioggia – sulla sfiorita festa.
    Ma in questa malinconia è la vita.


    (P.P. Pasolini, Una polemica in versi, da Le ceneri di Gramsci, Einaudi, Torino 1981) 



Tratto da Pagine Corsare di Angela Molteni




Curatore, Bruno Esposito

Collaborano alla creazione di queste pagine corsare:

Carlo Picca
Mario Pozzi
Alessandro Barbato
Maria Vittoria Chiarelli
Giovanna Caterina Salice
Simona Zecchi

Pier Paolo Pasolini - L'ideologia - La collaborazione al "Setaccio". L'adesione al Partito comunista italiano

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro




Pier Paolo Pasolini
L'ideologia

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Poeta delle ceneri.
La collaborazione al "Setaccio".
L'adesione al Partito comunista italiano

di Angela Molteni e Massimiliano Valente

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Poeta delle ceneri

Come sono diventato marxista?
Ebbene… andavo tra fiorellini candidi e azzurrini di primavera,
quelli che nascono subito dopo le primule,
– e poco prima che le acacie si carichino di fiori,
odorosi come carne umana, che si decompone al calore sublime
della più bella stagione –
e scrivevo sulle rive di piccoli stagni
che laggiù, nel paese di mia madre, con uno di quei nomi
intraducibili si dicono “fonde”,
coi ragazzi figli dei contadini
che facevano il loro bagno innocente
(perché erano impassibili di fronte alla loro vita
mentre io li credevo consapevoli di ciò che erano)
scrivevo le poesie dell'”Usignolo della Chiesa Cattolica”;
questo avveniva nel '43:
nel '45 “fu tutt'un'altra cosa”.
Quei figli di contadini, divenuto un poco più grandi,
si erano messi un giorno un fazzoletto rosso al collo
ed erano marciati
verso il centro mandamentale, con le sue porte
e i suoi palazzetti veneziani.
Fu così che io seppi ch'erano braccianti,
e che dunque c'erano i padroni.
Fui dalla parte dei braccianti, e lessi Marx.
[…]
(Da Pier Paolo Pasolini, 
Poeta delle Ceneri in Bestemmia - 
Poesie disperse II
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1942. La collaborazione al "Setaccio"

Già quando aveva vent'anni, nel 1942, Pasolini collaborò alla redazione della rivista "Il Setaccio", nata nell'ambito della "Gil" dell'Università di Bologna (durante il regime fascista, l'associazione studentesca allora istituita nelle università), vi sono i primi segni di un antifascismo sia pure naïf e volto per il momento solamente agli aspetti culturali di una opposizione al potere costituito (se i "moderni" sostenitori di un'assurda appartenenza del poeta a una ideologia di destra non confidassero, per le loro asserzioni, fondamentalmente su una diffusa "ignoranza" dei più - com'è d'altronde costume di chi fa dell'inganno e dello stravolgimento della storia la propria bandiera -, probabilmente non avremmo mai letto certe loro dichiarazioni tanto lontane dalla verità).
I primi scritti di Pasolini che apparvero sul "Setaccio" furono una poesia in dialetto friulano e un articolo, I giovani, l'attesa, nel quale, partendo dalle proprie esperienze, Pasolini rivendicava quale diritto dei giovani poeti, uno dei quali lui era, la massima libertà di espressione. Vi era poi un ulteriore motivo di "trasgressione", costituito dall'uso di un dialetto, nei confronti di un regime che osteggiava proprio l'uso delle "lingue barbare" esclusivamente in favore di una "lingua nazionale": fin dal primo numero, infatti, Pasolini pubblicò poesie in friulano; la prima era intitolata Fantasie di mia madre:


    Fì, cumò l'è domènie,
    l'è dut un susurâ:
    ma il mè vis 'a l'è còme
    silènsi tal sigâ. Par lis fràs-cis lontànis
    'i sint Cenci ciantâ:
    quànt che ic 'a era vif
    – in tal dì dai afàns.
    Ah, nini, tal mè vis,
    'a s'ingrùmin i agns.
    (Figlio, oggi è domenica, / è tutto un sussurrare: / ma, il mio viso, è come / il silenzio nelle grida.Per le frasche lontane, / sento Cenci cantare: / quando egli era vivo / – nel giorno degli affanni.Ah, fanciullo, nel mio viso / si raggrumano gli anni.)


    (P.P. Pasolini, Bestemmia, Poesie disperse I, Garzanti, Milano 1993)

Il suo amico casarsese Cesare Bortotto, anch'egli collaboratore al "Setaccio", ha scritto di Pasolini: "Il suo antifascismo viscerale e culturale era una nota ricorrente nei suoi discorsi; a volte era il tono caricaturale e grottesco (riferito agli aspetti esteriori del gerarchismo fascista) comune a molta gioventù studentesca".
Dopo la deposizione di Mussolini e la caduta del fascismo, Pasolini scrive all'amico-poeta Luciano Serra:
"L'Italia ha bisogno di rifarsi completamente, ab imo, e per questo ha bisogno, ma estremo, di noi, che nella spaventosa ineducazione di tutta la gioventù ex-fascista, siamo una minoranza discretamente preparata. E io, in questo, ti accuso […] perché, nella tua lettera, non un accenno di sapore politico, non un commento di dolore o di gioia per l'avvento della libertà. E pensare che per me, invece, anche per la mia singolare ed intimissima esperienza poetica, questi giorni sono di una portata immensa. La libertà è un nuovo orizzonte, che fantasticavo, desideravo sì, ma che ora, nella sua acerbissima attuazione, rivela aspetti così impensati e commoventi, che io mi sento come ridivenuto fanciullo. Ho sentito in me qualcosa di nuovo sorgere e affermarsi, con un'imprevista importanza: l'uomo politico che il fascismo aveva abusivamente soffocato, senza che io ne avessi la coscienza".


L'adesione al Partito comunista italiano

Al Nord Italia, dopo l'8 settembre 1943, vi erano ancora i tedeschi e proseguiva la lotta di Resistenza. Guido Pasolini, fratello di Pier Paolo, si era unito ai partigiani, nella zona del Friuli al confine con la Slovenia, e aveva aderito al Partito d'Azione.
Guido morirà il 12 febbraio 1945, ucciso da partigiani garibaldini passati sotto il comando di partigiani sloveni, che intendevano annettersi i territori friulani. La notizia della sua morte arriverà a Pier Paolo Pasolini solo nel maggio del '45.
In Pasolini - nella sua situazione di intellettuale che si sta formando su Gramsci, e soprattutto per la sua "vicinanza" al mondo contadino che conosceva così bene - matura l'idea di aderire al Partito comunista italiano. Non costituisce per lui motivo di ripensamento il ricordo della morte del fratello poiché è convinto che tale morte sia stata un evento eccezionale: e d'altronde il comunismo gli appare l'unico "in grado di fornire una nuova cultura 'vera', una cultura che sia moralità e interpretazione intera dell'esistenza".
Si iscriverà al Pci nel 1948; diventerà segretario della sezione comunista di San Giovanni. E in quello stesso anno sarà anche insegnante alla scuola media di Valvasone.
L'estate del 1949 trascorre "tra una bruttezza estrema (padre paranoico, madre straziante, vita stenta in una scuola, vita di gente stupida e perfida, odio politico e congiura del silenzio) e un'estrema felicità" - come lo stesso Pasolini scrive.
È un periodo nel quale il poeta riceve, pur senza dargli alcun peso, vaghe minacce e ricatti provenienti dall'ambiente politico della Democrazia cristiana. Narra tra l'altro il cugino, Nico Naldini, nel suo Pasolini, una vita: "Nota bene che già tre mesi prima dell'accaduto, un prelato molto importante di Udine aveva fatto dire a Pier Paolo che se non avesse smesso la sua attività politica, avrebbe fatto di tutto per rovinarlo, intenzioni poi confermateci da un deputato democristiano mio amico.[…] Non potete immaginare la propaganda che si è fatta in Friuli e il dolore di tutti noi".
L'"accaduto", in breve, è questo: nell'ottobre di quell'anno, Pasolini viene denunciato per corruzione di minorenni e atti osceni in luogo pubblico (nel dicembre del 1950 verrà assolto). Il 28 ottobre i giornali pubblicano la notizia (su indicazioni della Dc di Udine) e il giorno dopo l'"Unità" esce con un trafiletto inviato dalla Federazione del Pci di Udine, che nel frattempo ha decretato l'espulsione di Pasolini dal partito: "Prendiamo spunto dai fatti che hanno determinato un grave provvedimento disciplinare a carico del poeta Pasolini per denunciare ancora una volta le deleterie influenze di certe correnti ideologiche e filosofiche dei vari Gide, Sartre, di altrettanto decadenti poeti e letterati, che si vogliono atteggiare a progressisti, ma che in realtà raccolgono i più deleteri aspetti della degenerazione borghese".
Pasolini scrive tra l'altro alla Federazione di Udine: "Malgrado voi, resto e resterò comunista, nel senso più autentico di questa parola".




Tratto da Pagine Corsare di Angela Molteni



Curatore, Bruno Esposito

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