"Le pagine corsare "
dedicate a Pier Paolo Pasolini
Eretico e Corsaro
Pasolini Mediterraneo.
A colloquio con Italo Moscati
L’immagine di Pier Paolo Pasolini cineasta e documentarista è quanto Italo Moscati presenta con una personale in occasione del Laboratorio Internazionale del Teatro dedicato al Mediterraneo.
Chiediamo al curatore di illustrarci il rapporto che l’artista aveva instaurato tra teatro e cinema.
Pasolini amava tutte le forme creative. Dipingeva anche e frequentava la musica (scrivendo testi e conoscendo bene il melodramma). Gli piaceva scrivere per il teatro e andare in scena, ma il suo amore era scisso tra letteratura e cinema, e i suoi romanzi e i suoi film ne sono la più sincera testimonianza. Pasolini si definiva un pasticheur, ovvero un artista guidato dal desiderio, anzi dalla passione, di combinare le forme per inventarne delle nuove, sue personali: le sole che – sulla pagina o sugli schermi – rappresentano risultati di cui tenere conto, come dimostra il continuo interesse che suscita il suo lavoro. Naturalmente, i rapporti fra cinema e teatro, cinema e musica, cinema e letteratura – e viceversa – sono stati parte in questo lavoro come balza con chiarezza soprattutto nei film.
Pasolini era interessato a tutto, compresa la tv (i documentari), e ogni volta tentava di mettere alla prova se stesso di fronte alle forme artistiche. Le forme artistiche nel laboratorio pasoliniano non hanno mai ceduto alle forme della comunicazione, anche se si può considerare il poeta-regista-scrittore-documentarista un grande comunicatore. Voglio dire che nel laboratorio si verificava un intreccio, senza forzate armonizzazioni, tra le arti. Con la finalità di raccontare l’uomo, le persone, la realtà con puntiglio ma senza pretendere la parola definitiva. Teatro, cinema, documentari sono un lungo itinerario di illusioni e di disillusioni, soprattutto disillusioni. Pasolini non “montava” che la sua tensione e “smontava” le strade spicce per rivestire la realtà secondo vulgate ideologiche schematiche, prive di profondità.
In questo contesto, che ruolo assume il teatro nel Pasolini “intellettuale organico”?
Intanto, non credo che Pasolini fosse un “intellettuale organico”. Era e votava comunista ma viveva e ragionava con la sua testa. Viveva a suo modo fino al punto di essere espulso dal partito per vicende giudiziarie, un partito che comunque non era tenero con gli omosessuali soprattutto se davano scandalo.
Ragionava con la sua testa prendendo posizione spesso in modo autonomo sui temi squisitamente politici o artistici e culturali. Era uomo di sinistra, una sinistra che non somigliava a nessun’altra.
Si considerava un uomo del passato e della tradizione (la forza rivoluzionaria del passato, diceva), ma si lanciava con convinzione nel tentare di armonizzare le forme, senza inseguire ad esempio nel teatro le tendenze della avanguardia, un’avanguardia che peraltro non lo amava. Pasolini rivendicava al teatro la forma e la forza della letteratura e della parola. L’avanguardia giocava sull’ immagine e sulla scrittura scenica. Pasolini lanciava un suo manifesto per sostenere un teatro di parola e di invenzione. Negli stessi anni la rivista Sipario pubblicava manifesto e ipotesi della neoavanguardia sulla scia del Living Theatre o di Carmelo Bene. Pasolini volle in un suo film proprio Carmelo Bene.
Capiva e sapeva intendere personaggi dell’avanguardia e imparava “anche” da loro ma poi sceglieva sulla pagina e sulla scena in modo personale e originale. Quindi nessuna “organicità” ma un atteggiamento coraggioso e anticonformista. Il che non significava che avesse sempre ragione o che i suoi testi e spettacoli teatrali fossero sempre riusciti.
Quale rapporto intercorre fra il tema del Mediterraneo e l’interesse documentaristico di Pasolini?
Come ho tentato di illustrare nella personale pasoliniana alla Casa del Cinema di Venezia, dedicata proprio al Mediterraneo e al cinema (finzione o documentario) di Pasolini, il poeta-regista-scrittore-documentarista aveva una doppia tensione.
Da una parte i film come “Edipo” o “Medea” sono la concreta rappresentazione di come Pasolini si sia nutrito della cultura classica mediterranea, e l’ha trasformata nel suo mare di ispirazione. Dall’altra i suoi documentari girati in Tunisia, Marocco, Yemen, nei suoi sopralluoghi filmati in Palestina, sono la faccia altrettanto concreta per Pasolini di misurarsi con i volti, gli ambienti, le idee dietro o impressi nei volti e negli ambienti. Ancora una volta, anche qui, i rapporti sono per Pasolini soprattutto, anzi esclusivamente improntati a una passione di ricerca sul campo. Il regista voleva sapere e si mobilitava con le ipotesi, mobilitava la macchina da presa, per esplorare. Agiva come agivano i grandi registi incapaci o insofferenti nel girare negli studi chiusi o i grandi documentaristi classici (Flaherty) che mettevano in scena gli spazi aperti, le persone raggiunte nei loro luoghi e costumi di vita. Lavorando senza sosta, Pasolini non navigava sulla superficie del Mediterraneo, lo rovesciava, e lo mostrava nel calore e nella polvere della storia. La storia di un mare che resta immenso, specie se si pensa che nella notte dei tempi arrivava fino al Caucaso.
Per concludere: ha qualche ricordo personale su Pasolini?
Ho conosciuto e frequentato Pasolini. Non molto, non come avrei voluto. Era una persona di carisma, sensibile, coltissimo e curioso. Avevamo amici in comune come Alberto Moravia, Dacia Maraini, Dario Bellezza, Bernardo Bertolucci, Liliana Cavani, e gli incontri erano appuntamenti di grande qualità ed esito, lasciavano tracce. Come incidevano le sue prese di posizione (la rivoluzione, la contestazione, il sesso, la religiosità, l’ideologia, la diversità…) e i suoi instancabili, densi, interventi sulla stampa. Un mucchio di carta. Un mucchio di idee e di stimoli. Un mucchio di desideri. A chi vuole saperne di più mi permetto di segnalare il mio libro pubblicato da Ediesse intitolato “Pasolini passione”. Lì c’è molto di quanto ho ricavato, abbiamo ricavato noi giovani a quei tempi. Nel ribollire,nel fuoco, nella appassionata e appassionante creatività aristica. Una sorta di romanzo di fatti e soprattutto dei molti drammi personali e non che hanno fatto e fanno di Pasolini un personaggio unico. Altri personaggi in quegli anni, e anche dopo, sono stati presenti, non sono mancati e sono stati al centro di attenzioni vere. Ma persino i detrattori, gli antipasoliniani (che magari hanno serie ragioni) riconoscono l’unicità di una storia e di un protagonista.
Fonte:
Collaborano alla creazione di queste pagine corsare:
Carlo Picca
Mario Pozzi
Alessandro Barbato
Maria Vittoria Chiarelli
Giovanna Caterina Salice
Simona Zecchi