Nell’autunno del 1944 a 22 anni Pier Paolo Pasolini, con
l’aiuto dell’amatissima madre Susanna, apre a Versuta in Friuli una scuola per
una decina di ragazzi che all’epoca, causa l’imperversare della seconda guerra
mondiale, non potevano frequentare le scuole pubbliche. Pasolini ci butta tutto
il suo impegno di giovane intellettuale solitario e ad un tempo esercita la sua
vena di poeta forse ingenuo ma con il lucido obiettivo di instillare in quei
pochi alunni il suo coinvolgente amore per la natura di quei splendidi luoghi.
Un piccolo esempio la sua poesia titolata “ Il sole e le viole “:
Che calduccio stare al
sole
presso l’uscio di campagna
pare che odorino le viole
lungo i cigli della via.
La via è bianca e azzurro il
cielo
e verdina la pianura
c’è nell’aria come un velo
che avvolge campi e mura
Una voce molle,molle,
una voce roca,roca
par che nasca dalle zolle
e trapunga l’aria fioca
E’un fanciullo che ripete
la poesia sotto il sole.
Sulle guance rosse e liete
Gli occhi son due
viole.
Negli anni a venire quel poeta di
delicata sensibilità assumerà nuovi imprevedibili volti. Sarà l’intellettuale
raffinato e controcorrente che nel 1956 fonderà, assieme ad altri giovani
innovatori quali Leonetti e Roversi , la rivista letteraria “ L’Officina “
ponendo mano a una dura battaglia per la revisione del novecentismo letterario
ed incentivando in tal modo il superamento di quel neorealismo e di
quell’ermetismo, che avevano rappresentato fino ad allora le linee guida per i
poeti e i letterati del nostro paese. Nasce tra gli anni quaranta e cinquanta in
Italia un poeta dotato di un’autonoma ed originale scrittura. I suoi versi
saranno nella prima fase nella tanto amata lingua friulana e in una secondo
momento in lingua italiana. Copiosa la sua produzione, di cui non si possono
dimenticare le raccolte di poesie inserite nelle “ Ceneri di Gramsci “ e nell’ “
Usignolo della Chiesa cattolica “. Alla poesia Pasolini dona tutta la sua
passione civile, mutuata solo in parte dalla teoria marxista, ma in cui si
sottende uno scarto tra sensibilità individuale e ragioni storiche. Dalla
lettura di quelle poesie esce fuori la complessità, a volte la
contraddittorietà, del personaggio Pasolini. L’ artista si dibatte in un dilemma
che attraverserà la sua esistenza fino alla tragica morte. Egli ama la vita con
disperata vitalità. Ne è prova la molteplicità di temi e interessi che sviluppa
con una vis ed una qualità che ricorda certi artisti del Rinascimento italiano.
Una vitalità che si esprime anche ponendo sotto gli occhi di tutti – a volte
facendone una bandiera- le sue scelte omosessuali, per cui pagherà prezzi
incalcolabili. Infine su tale onda si batte con coraggio e in assoluta
buonafede- spesso in splendido isolamento- contro le tante ingiustizie sociali e
le discriminazioni che attraversano quel periodo storico. In contraddizione
quest’uomo così vitale è attanagliato fin dalla gioventù dalla consapevolezza
della caducità del vivere e da funesti presagi di morte. L’uomo e l’artista sono
imbevuti da questo tormento che trova una parziale attenuazione, almeno fino
agli anni sessanta, in una concezione religiosa della sacralità della
vita.
Nonostante questi limiti Pasolini “ inventa “ nei
primi anni del 1950 un nuovo modo di creare arte, Nasce il romanziere con
l’opera del 1954 “ Ragazzi di vita “. L’artista, che si è trasferito a Roma nel
1950, cala il suo romanzo nella triste e degradata realtà delle borgate romane.
In quegli anni- ma il fenomeno continuerà fino alle soglie degli anni novanta-
un gran numero di persone poverissime, spesso senza lavoro, trascinano la loro
esistenza cercando con ogni mezzo, anche illegale, di sopravvivere. Esse si
ammucchiano nelle periferie di Roma, vivono in case fatiscenti o,peggio, in
primitive baracche di legno tra vicoli maleodoranti e sevizi inesistenti. I
giovani sono le prime vittime di quel degrado, la sopravvivenza a qualsiasi
costo è il loro credo. Essi coprono i loro problemi sfoggiando una maschera di
indolente sufficienza o di cinica indifferenza verso gli altri. Pasolini scopre
quel mondo- descrivendolo come un inferno sulla terra- aiutato nelle sue
peregrinazioni nelle periferie dall’amico borgataro Sergio Citti. Nel romanzo
adotta, sempre su indicazioni del Citti, il linguaggio aspro e scurrile di quei
luoghi, nell’obiettivo di una presa di coscienza collettiva di quella realtà e
dell’umanità che la soffre ma anche di porre in rilievo una diversità sociale,
quasi antropologica. Alcuni critici letterari di grosso nome e parte dei lettori
si rivoltano contro quel modo di scrivere, non accettando la cruda descrizione
di un sottobosco umano che forse è meglio ignorare. Lo scrittore non demorde, la
sua è una scelta di vita, le sue lunghe peregrinazioni, anche notturne,
nella periferia poverissima di Roma segnano anche la sua vita privata, spesso
percorsa da pulsioni omosex incontrollabili, ma fanno emergere altresì le sue
qualità di letterato schierato sul fronte del riscatto sociale degli emarginati.
Il 1959 è l’anno in cui pubblica il suo secondo romanzo “ Una vita violenta “.
L’ambientazione è sempre quella delle borgate romane, il protagonista è Tommaso
Puzzilli, un giovane di 17-18 anni che subisce tutti i condizionamenti di quel
contesto. I suoi comportamenti sono violenti, il suo modo di esprimersi volgare,
pare perdersi, eppure in quel giovane vivono elementi di altruismo e solidarietà
umana. Non esiterà a soccorrere i suoi vicini baraccati sotto l’infuriare di
una tempesta e questo gesto gli costerà la vita. Il romanzo, pur potendosi
definire contraddittorio come il suo autore, coglie nel segno allorquando
disegna con crudo realismo la vita di persone ai margini della cosiddetta
società civile ma ad un tempo delinea la voglia di alcuni di essi di riscattarsi
moralmente sia pure nei limiti del loro vissuto. I nemici di sempre continuano
ad attaccarlo, a partire da alcune gerarchie del Vaticano e da intellettuali di
quel Partito comunista italiano, cui egli faceva da sempre riferimento senza
esservi peraltro iscritto. A volte l’intellettuale, che pure può vantare
l’amicizia sincera di colleghi come Alberto Moravia, Elsa Morante e Carlo Emilio
Gadda, è soggetta a persecuzioni astiose e crudeli. Subisce processi, viene
accusato perfino di rapina in una discutibile e farisaica identificazione tra lo
scrittore e i personaggi dei suoi romanzi. Tutto finisce nel nulla ma Pasolini
per parte dell’opinione pubblica di quel periodo- sviata da un certo tipo di
giornali scandalistici- è un uomo da condannare senza pietà, al di là delle sue
effettive colpe.
Già a metà degli anni cinquanta Pasolini sente
l’esigenza di parlare più direttamente al pubblico, di trasmettere visivamente
attraverso il mezzo cinematografico tutto quel magma di idee, di riflessioni che
gli turbinano dentro e gli danno vitalità e disperazione.
Inizia brillantemente come sceneggiatore del regista Mauro
Bolognini cui “ impone “, sia pure in parte, le sue tematiche preferite nei
film “ La notte brava “ e il “ Bell’Antonio “. Cura i
dialoghi romaneschi del capolavoro di Federico Fellini “ Le notti di Cabiria
“.Il grande regista romagnolo stringe amicizia con l’artista geniale e con sana
ironia lo definisce “ possiede saggezza da padre priore e estro da folletto
lunare “ Nel 1961 ecco il gran passo di Pasolini alla regia cinematografica.
Con originali intuizioni figurative la trama tratteggia la figura di uno
sfruttatore di prostitute, Accattone. Egli trascina la vita in una misera
borgata romana ben conscio della “infamità “ della sua esistenza, ma circondato
da amici cinici e scanzonati che tirano la vita commettendo furti. Ad un tratto
Accattone ,che pure ha abbandonato la moglie e un figlio, incontra un’ingenua
ragazza Stella e cerca con abili maneggi di trascinarla verso la prostituzione.
L’imprevisto è che quest’uomo,in apparenza perduto, si innamora di Stella. La
sua vita ne viene sconvolta, tenta di lavorare onestamente ma la fatica è troppa
per lui che ha vissuto sempre nell’ozio. Non c’è che ricorrere agli amici di
sempre e improvvisare qualche furto. La fortuna non l’aiuta, perderà la vita
mentre fugge per non essere catturato dalla polizia e nello spirare pronuncia la
frase: “ Mò sto bene “. Accattone è un personaggio mirabilmente descritto da
Pasolini, un reietto della società ma che pure ha l’esigenza insopprimibile di
provare sentimenti sinceri verso un’innocente. L’ambiente che lo circonda e lo
condiziona è spietato e nel momento dell’inizio di un suo riscatto non può che
trascinarlo verso la morte che pure per Accattone rappresenta la liberazione.
Film dai molti risvolti ma girato con una semplicità che stupisce, con attori
presi dalla vita ma dai volti di una realtà sconvolgente, con una colonna sonora
originalissima composta da raffinate musiche di Back in netto contrasto con la
volutamente squallido habitat. Il film, per tanti un capolavoro, divide il
pubblico ma riesce a ridare vitalità al cinema italiano impegnato dopo i
successi del neo realismo negli anni quaranta e cinquanta.Ormai è un regista
affermato e l’anno dopo gira “ Mamma Roma”, storia di una matura prostituta che
abbandona il mestiere per dedicarsi al figlio adolescente e un po’ sbandato.
Tanta la voglia della madre di aiutare il giovane ma il cupo mondo della borgata
attira nelle sue spire quel giovane fino a fargli perdere la vita . Il volto
sofferente della madre nell’apprendere la ferale notizia resterà impresso nella
mente dello spettatore come simbolo di un dolore che non può trovare
consolazione. Straordinaria è l’interpretazione di Anna Magnani nel ruolo della
madre ma il film, pur inferiore al precedente “ Accattone “, svolge un discorso
coerente sulla difficoltà di un riscatto da parte di chi, sia pure in un
contesto difficile, ha sbagliato. La carriera di Pisolini nel modo del cinema
prosegue sempre ad un livello alto come quando nel 1964 dirige “ Il vangelo
secondo Matteo “. L’apostolo Matteo racconta in modo semplice ed efficace la
vita di Gesù Cristo e questo attira l’ ” arrabbiato “ Pasolini. L’esposizione di
Matteo non viene tradita nel film, piuttosto i toni sono più forti, il figlio di
Dio nel suo messaggio di amore verso l’umanità appare nella visuale del regista
come un rivoluzionario che vuole cambiare nel profondo e ad ogni costo uomini e
cose. La chiesa, che non dimentichiamo è quella del Concilio, per grande parte
condivide sostanzialmente l’impostazione data al film da Pasolini, gli sono
vicini in primo luogo i frati francescani di Assisi. Nel film inaspettatamente
di intravede il senso religioso che attraversa l’esistenza di quest’uomo non
facilmente classificabile. Pasolini tenta altre vie in un’ansia di rinnovamento
nel modo di inventare cinema. Nel 1965 dirige una favola surreale sul tramonto
del marxismo “ Uccellacci e uccellini “. I toni sono ironici ma in realtà il
regista mostra la sua delusione per i suoi ideali politici forse traditi. Al
protagonista, un borghese squallidamente perbenista, presta la sua inimitabile
maschera Totò, che con maestria riesce a mescolare toni farseschi a espressioni
di una crudeltà inaspettata. Il film non viene apprezzato dal pubblico che lo
ritiene astratto e poco comprensibile ma va analizzato storicamente come uno dei
primi approfondimenti di un intellettuale di sinistra degli anni 60 sulle
inadeguatezze delle teorie marxiste. La strada del regista prosegue con film che
si rifanno ai miti antichi e quindi alle grandi tragedie greche come “ Edipo re
“ e “ Medea “. L’ indubbia inventiva porta il regista ad ambientare tali
tragedie rifacendosi a luoghi e tradizioni del sud del nostro paese. Ritorna su
temi favolistici e religiosi che toccano il tema della difficoltà del vivere
mantenendo l’innocenza con l’ottimo film “ Teorema “. Proseguirà con altri
tentativi, non sempre riusciti, sempre rispolverando testi classici quali “ Il
Decamerone “ e “ I racconti di Canterbury “ Forse il regista va oltre le righe
non sottraendosi dal girare scene fin troppo esplicite di nudo o di rapporti
sessuali. Il suo fiuto coglie peraltro il momento storico. Siamo negli anni 70 e
battono alle porte i problemi della liberazione sessuale, dell’emancipazione
femminile mentre il movimento femminista si impone all’attenzione generale.
Purtroppo quel che di valido Pasolini esprime con questi film battendosi contro
una censura non aliena da ottusità viene rovinato da pessimi imitatori che danno
il via a pellicole di bassissimo livello in cui imperano le “ Ubalde tutte nude
e tutte calde “ e via continuando. Alle soglie della morte Pasolini all’inizio
del 1975 dirige “ Salò “ in cui vengono descritte, con sequenze agghiaccianti,
le torture inflitte dalla canaglia fascista ai partigiani nel periodo della
repubblica di Salò. L’artista pare sempre più ossessionato dai suoi demoni, la
speranza nel futuro dell’uomo si è affievolita, l’Italia gli appare sempre più
stretta nelle angustie del conformismo e dell’inadeguatezza, un tanfo di morte
ammorba la visione di quel film. Un the end funesto per un regista che
complessivamente ha segnato la storia del cinema italiano.
Nasce, tra la fine degli anni sessanta e l’inizio
degli anni settanta, il Pasolini giornalista- polemista. In quegli anni quasi
ogni giorno sulla prima pagina del Corriere della Sera appare un suo editoriale
che, come ogni prodotto dell’artista, provoca calorosi consensi e forti
dissensi. Pasolini affronta i temi più scottanti che segnano la società di quei
tempi, come al solito senza fare sconti a chicchessia. Tra i suoi “ nemici ”
preferiti “ c’è la Democrazia Cristiana, un partito che lui ritiene
sclerotizzato dall’esercizio del potere da oltre 20 anni , arcaico difensore
della borghesia italiana egoista e perbenista e con i suoi uomini più
rappresentativi inquinati da fondati sospetti di corruzione.Le sue battaglie
giornalistiche sono tante e incisive. Va ricordata la sua coraggiosa denuncia
dei nefasti effetti di un consumismo naturalmente portato col passare del tempo
a introdurre nell’uomo bisogni sempre più superflui, affievolendo principi e
ideali. Una profezia che ha un triste riscontro pure ai nostri giorni facendoci
rimpiangere- come per l’appunto scrisse Pasolini- il costume e la società
degli anni trenta e quaranta, quel mondo arcaico in cui erano intatti certi
valori di fondo e in cui nelle sere d’estate le campagne erano ancora illuminate
dalle lucciole. Una provocazione certo ma che attirò su Pasolini gli strali dei
tanti con interessi contrapposti e anche dello stesso partito Comunista
italiano, timoroso di un rimpianto di un passato che riteneva non lo
riguardasse.Nel 1968 durante gli scontri all’università di Roma tra studenti e
polizia a Valle Giulia Pasolini prende, contro ogni previsione, le parti dei
poliziotti “ figli del popolo “ e condanna gli studenti viziati e prepotenti.
Ribalta in tal modo tutto un modo di pensare di quegli anni del mondo della
sinistra attirandosi esplosioni di odio esagerate anche perché lui non condanna
la protesta giovanile in sè ma le distorsioni di essa.
Ormai Pasolini nei primi anni del 1970 è un
personaggio di primo piano della cultura nazionale e internazionale, uno dei
maitre a penser del costume Accanto ai tanti ammiratori e seguaci vi sono
gruppi di opinione che non cessano di contestarlo duramente, anche sul piano
strettamente personale, con il chiaro intento di togliere dalla scena un uomo
che, sia pur talvolta sbagliando, ha tirato fuori dagli armadi i tanti scheletri
di una società politico-culturale che si rifiuta di riconoscere i suoi errori.
Se l’intellettuale continua ad operare con la consueta alacrità, l’uomo Pasolini
è profondamente deluso e pessimista. Capta attorno a sé questo alone di odio, ne
è turbato, forse prostrato. In questo clima avvelenato va posto il crudele
omicidio dell’artista. Il 2 novembre 1975, nell’ambiente degradato
dell’Idroscalo di Ostia, nel cuore della notte, Pasolini si apparta con il “
ragazzo di vita “ Pino Pelosi e ne viene barbaramente ucciso a seguito di un
litigio. Il giovane delinquente confessa subito dopo l’omicidio e la sua
versione, pur non convincente in più punti, viene accolta prima dagli inquirenti
e poi dai giudici. La sentenza di condanna è mite ma i dubbi restano anche se
sono trascorsi trent’anni. Ai primi di quest’anno Pelosi in una trasmissione
televisiva ha svelato che contro l’intellettuale fu architettato un agguato da
più persone, consapevoli che Pasolini, causa le sue tendenze omosessuali, era
uso a frequentazioni notturne con giovani sbandati. Il vero movente,ove fosse
veritiera tale ultima versione, Pelosi non ha potuto o voluto svelarlo. Al di là
di ogni illazione il far tacere la voce di Pasolini ha ferito la cultura di
questo paese che sente in qualche modo la mancanza di un intellettuale di grande
qualità, libero, non condizionato da nessuno e che ha pagato, più del dovuto ,
le sue incertezze e i suoi errori.
Ci siamo avvicinati in piena modestia al personaggio
Pasolini. Il nostro è stato un racconto non esaustivo ma solo per
flash.
In conclusione, per controbattere a certe tesi- forse
superficiali- sulla creatività di questo intellettuale che sarebbe dovuta ,
quasi esclusivamente, al suo status di omosessuale riteniamo equo riportare
quello che Pasolini testualmente disse al riguardo nell’ottobre 1975 alle soglie
della sua morte:
“ Sono vent’anni che la stampa italiana,e in primo luogo la
stampa scritta, ha contribuito a fare della mia persona un controtipo morale, un
proscritto. Non c’è dubbio che a questa messa al bando da parte dell’opinione
pubblica abbia contribuito l’omofilia, che mi è stata imputata per tutta la vita
come un marchio di ignominia particolarmente emblematico nel caso che
rappresento. Il suggello stesso di un abominio umano da cui sarei segnato, e che
condannerebbe tutto ciò che io sono, la mia sensibilità, la mia immaginazione,
il mio lavoro, la totalità delle mie emozioni, dei miei sentimenti e delle mie
azioni a non essere altro se non un camuffamento di questo peccato fondamentale,
di un peccato e di una dannazione……………Vorrei mi spiegassero perché in trent’anni
che scrivo nell’ambito della letteratura, e di questa stampa, praticamente
nessuno si è avveduto di quanto fosse contraddittorio sostenere che tutto ciò
che creavo fosse contemporaneamente il frutto di un’immaginazione astratta,
irrealistica, e quello di un’esperienza abietta e obbrobriosa. Come mai non
hanno capito che il diritto dello scrittore a dire tutto presuppone il dovere di
inventare tutto, in altre parole di cogliere la verità, tutte le verità, senza
per questo compromettersi nell’esperienza dell’abiezione “.
Oggi a trent’anni dalla morte occorre un riflessione
su ciò che Pasolini ha rappresentato nel 1900 per la cultura italiana
sfrondando, per quanto possibile, le vicissitudini della sua vita tormentata.
Fonte: