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venerdì 30 maggio 2025

Pasolini, UMANITÀ TIPO 2 - Tempo, 25 ottobre 1969, pag. 27

"Le pagine corsare " 

dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro



 Pasolini
UMANITÀ TIPO 2

Tempo

25 ottobre 1969

pag. 27

( © Questa trascrizione da cartaceo, è stata curata da Bruno Esposito )


Leggo con straordinario interesse nell’«Express» (6-12 ottobre 1969) un’intervista a Henry Ford (molto fotogenico). L’intervistatore ottempera a tutti i suoi obblighi: l’obbligo a essere distaccato, l’obbligo a essere dotato di humour, l’obbligo, soprattutto, a essere intelligente. Ma se questi obblighi, esercitati su un povero diavolo o su un artista, o comunque su un comune mortale che vive onestamente e prosaicamente i problemi del suo tempo, sono ingiusti e offensivi, esercitati su Henry Ford sembrano avere, per una volta, il tono giusto. Non che io voglia ingloriosamente infierire su Ford: egli è, come spesso succede, un uomo innocente e simpatico (i suoi delitti capitalistici sono involontari,

Pasolini, Avrei voluto urlare, e ero muto: la mia religione era un profumo.

"Le pagine corsare " 

dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro





Pasolini, Avrei voluto urlare, e ero muto:  la mia religione era un profumo.
La religione del mio tempo
Pier Paolo Pasolini
"Rileggendo 'La religione del mio tempo' l'impressione è quella di un grande poeta che abbia posto il tema dei limiti della poesia verso la vita, in un mondo che non sa più che farsene né della poesia né dei poeti. Pasolini, scegliendo la compromissione con la realtà, si è tenuto al corpo vivo della propria singolarità, narrandone l'urto con la storia. Ha rifiutato il privilegio lirico, mettendosi in discussione come singolo anonimo e comune, prendendo su di sé, insieme alla grazia e a una squisitezza che possedeva d'elezione, tutta la nostra storica miseria individuale e di popolo. Ha deluso, è andato in una direzione contraria alla politica e alla cultura istituite e d'opposizione" 
(dalla Prefazione di Gianni D'Elia).



Se – non vedendoli da soli due giorni,
ora, alla finestra, nel rivederli, un breve
istante, laggiù, ignorati e disadorni,
mentre salgono in un sole bianco come neve,
a stento trattengo un infantile pianto –
cosa farò, quando, esausto ogni mio debito,
quaggiù, si sarà perso l’ultimo rantolo
ormai da mille anni, dall’eterno?
Due giornate di febbre! Tanto
da non poter più sopportare l’esterno,
se appena un po’ rinnovato dalle nubi
calde, di ottobre, e così moderno
ormai – che mi pare di non poterlo più
capire – in quei due che salgono la strada,
là in fondo, all’alba della gioventù...
Disadorni, ignorati: eppure fradici
sono i loro capelli d’una beata crosta
di brillantina – rubata nell’armadio
dei fratelli maggiori; oppure losca
di millenari soli cittadini
la tela dei calzoni al sole d’Ostia
e al vento scoloriti; eppure fini
i lavori incalliti del pettine
sul ciuffo a strisce bionde e sulla scrima.