Pier Paolo Pasolini
Il Ferrobedo
Tratto da Ragazzi di vita
Pubblicato la prima volta nel 1955 da Garzanti
Ragazzi di vita, di Pier Paolo Pasolini
Sommario
- I. - Il Ferrobedo - pag. 1
- II. - Il Riccetto - pag. 25
- III. - Nottata a Villa Borghese - pag. 57
- IV. - Ragazzi di vita - pag. 80
- V. - Le notti calde - pag. 107
- VI. - Il bagno sullíAniene - pag. 150
- VII. - Dentro Roma - pag. 177
- VIII. - La comare secca - pag. 220
- Glossario - pag. 246
- Appendice - pag. 251
Pasolini in visita a una borgata con Ninetto Davoli intorno al 1968. |
I PERSONAGGI DE ‘RAGAZZI DI VITA
IL RICCETTO: è il protagonista che funge da filo conduttore.
AGNOLO: amico d'infanzia del Riccetto.
MARCELLO: amico d'infanzia di Riccetto.
ALDUCCIO: è cugino del Riccetto.
IL BEGALONE: è amico del Riccetto e di Alduccio.
IL CACIOTTA: è amico del Riccetto.
AMERIGO: vecchio amico del Caciotta.
IL LENZETTA: amico del protagonista, identico nei tratti fisionomici (riccio, piccolo, con una faccetta gonfia da delinquente).
GENESIO-BORGO ANTICO-MARIUCCIO: sono i "tre moschettieri".
PIATOLETTA: è una specie di nanerottolo deforme e rachitico, porta in capo un inseparabile berretto per coprire il cranio spelacchiato.
SOR ANTONIO: personaggio che conduce il Riccetto ed il Lanzetta a rubare i cavolfiori...
SORA ADELE: madre del Riccetto
NADIA: prostituta che viene condotta ad Ostia dal Riccetto...
NADIA: figlia maggiore del sor Antonio
LUCIANA: figlia del sor Antonio
3a FIGLIA DEL SOR ANTONIO: ragazza del Riccetto
SORA ADRIANA: moglie del sor Antonio.
Edizione di riferimento: Einaudi, Torino 1972,
ed. ampliata con l'aggiunta di due scritti di Pier Paolo Pasolini:
Il metodo di lavoro e
I parlanti.
Immagine tratta dal film, "Sotto il sole di Roma" - 1948
Il periodo a cui la vicenda si riferisce è l'inizio degli anni '50.L’opera è ad episodi e si sviluppa in un arco narrativo che mostra l'evoluzione di Riccetto (il protagonista), che da ragazzino sensibile e impulsivo che salva una rondine che sta annegando, diventa un uomo integrato e praticamente intrappolato (privo di passioni), nel ruolo imposto dalla società.
I dialoghi dei personaggi, che si esprimono nel gergo delle borgate romane, rendono la narrazione molto appassionante e realistica. In fondo al romanzo Pasolini inserisce un piccolo glossario del dialetto romanesco.
Di seguito alcuni stralci tratti dal primo episodio,
Il Ferrobedo
E sotto er monumento de Mazzini...Canzone popolare
Immagine tratta dal film, "Sotto il sole di Roma" - 1948 |
Immagine tratta dal film, "Sotto il sole di Roma" - 1948 |
Il Ferrobedò lì sotto era come un immenso cortile, una prateria recintata, infossata in una valletta, della grandezza di una piazza o d'un mercato di bestiame: lungo il recinto rettangolare s'aprivano delle porte: da una parte erano collocate delle casette regolari di legno, dall'altra i magazzini. Il Riccetto col branco di gente attraversò il Ferrobedò quant'era lungo, in mezzo alla folla urlante, e giunse davanti a una delle casette. Ma lì c'erano quattro Tedeschi che non lasciavano passare. Accosto la porta c'era un tavolino rovesciato: il Riccetto se l'incollò e corse verso l'uscita. Appena fuori incontrò un giovanotto che gli disse: «Che stai a fa?» «Me lo porto a casa, me lo porto,» rispose il Riccetto. «Vie' con me, a fesso, che s'annamo a prenne la robba più mejo.»
«Mo vengo,» disse il Riccetto. Buttò il tavolino e un altro che passava di lì se lo prese.
Immagine tratta dal film, "Sotto il sole di Roma" - 1948 |
Ma venne un Tedesco e li cacciò via.
Immagine tratta dal film, "Sotto il sole di Roma" - 1948 |
Agnolo chiese: «Addò sta er Riccetto?»
«È ito a fasse 'a comunione, è ito,» gridò Marcello.
«L'animaccia sua!» disse Agnolo.
«Mo starà a pranzo dar compare suo,» aggiunse Marcello.
Lì su alla vasca del Buon Pastore non si sapeva ancora niente. Il sole batteva in silenzio sulla Madonna del Riposo, Casaletto e, dietro, Primavalle. Quando tornarono dal bagno passarono per il Prato, dove c'era un campo tedesco.
Immagine tratta dal film, "Sotto il sole di Roma" - 1948 |
«Perché?» chiese Agnolo, «che c'è da fà?» «Annate ar Ferrobedò, si volete vede quarcosa.» Quelli c'andarono di fretta e appena arrivati si diressero subito in mezzo alla caciara verso l'officina meccanica. «Smontamo er motore,» gridò Agnolo. Marcello invece uscì dall'officina meccanica e si trovò solo in mezzo alla baraonda, davanti alla buca del catrame. Stava per caderci dentro, e affogarci come un indiano nelle sabbie mobili, quando fu fermato da uno strillo: «A Marcè, bada, a Marcè!» Era quel fijo de na mignotta del Riccetto con degli altri amici. Così andò in giro con loro. Entrarono in un magazzino e fecero man bassa di barattoli di grasso, di cinghie di torni e di ferraccio. Marcello ne portò a casa mezzo quintale e gettò la merce in un cortiletto, dove la madre non la potesse vedere subito. Era dal mattino che non rincasava: la madre lo menò. «Addò sei ito, disgrazziato», gli gridava crocchiandolo. «So' ito a famme er bagno, so' ito,» diceva Marcello ch'era un po' storcinato, e magro come un grillo, cercando di parare i colpi. Poi venne il fratello più grosso e vide nel cortiletto il deposito. «Fregnone,» gli gridò, «sta a rubbà sta mercanzia, sto fijo de na mignotta.» Così Marcello ridiscese al Ferrobedò col fratello, e questa volta portarono via da un vagone copertoni di automobile. Scendeva già la sera e il sole era più caldo che mai: già il Ferrobedò era più affollato d'una fiera, non ci si poteva più muovere. Ogni tanto qualcuno gridava: «Fuggi, fuggi, ce stanno li Tedeschi», per fare scappare gli altri e rubare tutto da solo.
Immagine tratta dal film, "Sotto il sole di Roma" - 1948 |
Ai Mercati Generali non c'era niente, manco un torso di cavolo. La folla si mise a girare pei magazzini, sotto le tettoie, negli spacci, ché non si voleva rassegnare a restare a mani vuote. Finalmente un gruppo di giovanotti scoprì una cantina che pareva piena: dalle inferriate si vedevano dei mucchi di copertoni e di tubolari, tele incerate, teloni, e, nelle scansie, delle forme di formaggio. La voce si sparse subito: cinque o seicento persone si scagliarono dietro il gruppo dei primi. La porta fu sfondata, e tutti si buttarono dentro, schiacciandosi. Il Riccetto e Marcello erano in mezzo. Vennero ingoiati per il risucchio della folla, quasi senza toccar terra coi piedi, attraverso la porta. Si scendeva giù per una scala a chiocciola: la folla di dietro spingeva, e delle donne urlavano mezze soffocate. La scaletta a chiocciola straboccava di gente. Una ringhiera di ferro, sottile, cedette, si spaccò, e una donna cadde giù urlando e sbatté la testa in fondo contro uno scalino. Quelli rimasti fuori continuavano a spingere. «È morta,» gridò un uomo in fondo alla cantina. «È morta,» si misero a strillare spaventate delle donne; non era possibile né entrare né uscire. Marcello continuava a scendere gli scalini. In fondo fece un salto scavalcando il cadavere, si precipitò dentro la cantina e riempì di copertoni la sporta insieme agli altri giovani che prendevano tutto quello che potevano. Il Riccetto era scomparso, forse era riuscito fuori. La folla si era dispersa. Marcello tornò a scavalcare la donna morta e corse verso casa.
Immagine tratta dal film, "Sotto il sole di Roma" - 1948 |
Dietro il Ponte Bianco non c'erano case ma tutta una immensa area da costruzione, in fondo alla quale, attorno al solco del viale dei Quattro Venti, profondo come un torrente, si stendeva calcinante Monteverde. Il Riccetto e Marcello si sedettero sotto il sole su un prato lì presso, nero e spelato, a guardare gli Apai che fregavano la gente. Dopo un po' però giunse al Ponte il gruppo dei giovanotti coi sacchi pieni di formaggi. Gli Apai fecero per fermarli, ma quelli li presero di petto, cominciarono a litigare di brutto con certe facce che gli Apai pensarono ch'era meglio lasciar perdere: lasciarono ai giovanotti la roba loro, e restituirono pure a Marcello e agli altri che s'erano accostati di brutto quello che gli avevano fregato. Saltando dalla soddisfazione e facendo i calcoli di quello che c'avrebbero guadagnato il Riccetto e Marcello presero la strada di Donna Olimpia, e pure tutti gli altri si dispersero. Al Ponte Bianco, con gli Apai, restò solo l'odore della zozzeria riscaldata dal sole.
[...]
Il Riccetto se ne stava ignudo, lungo sull’erbaccia, con le mani sotto la nuca guardando in aria.
Immagine tratta dal film, "Sotto il sole di Roma" - 1948 |
Immagine tratta dal film, "Sotto il sole di Roma" - 1948 |
Lanciavano pure intere manciate di ghiaia, gridando e divertendosi: i sassolini cadevano dappertutto intorno sulle fratte. Ma d’un tratto sentirono un grido, come se qualcuno li chiamasse. Si voltarono e nell’aria già un po’ scura, poco lontano, videro un negro, in ginocchioni sull’erba. Il Riccetto e Marcello, che avevano subito capito la situazione, tagliarono, ma appena che furono a una certa distanza, presero un’altra manciata di ghiaia e la gettarono verso quei cespugli.
Allora con le zinne mezze fuori, incazzata nera, si alzò in piedi la mignotta, e si mise a urlare contro di loro.
– E statte zitta, – gridò sardonico il Riccetto con le mani a imbuto, – che perdi come le papere, a brutta zozzona! – Ma il negro in quel momento s’alzò come una bestia, e reggendosi con una mano i calzoni e con l’altra un coltello, si mise a corrergli dietro. Il Riccetto e Marcello se la squagliarono gridando aiuto, in mezzo alle fratte, verso l’argine, su per l’erta: arrivati in cima, ebbero la forza di guardarsi per un momento indietro e videro in fondo il negro che agitava il coltello in aria e urlava. Il Riccetto e Marcello scesero ancora giú di corsa, e guardandosi in faccia non la finivano piú di ridere; il Riccetto, addirittura si mise a rotolarsi per terra, sulla polvere; sghignazzando guardava Marcello e gridava: – Ahioddio, che t’ha preso na paralisi, a Marcè?
Con quel fugge, erano sboccati sul lungotevere proprio in direzione della facciata di San Paolo che ancora brillava debolmente al sole.
[...]
Immagine tratta dal film, "Sotto il sole di Roma" - 1948 |
– Er primo l’urtimo ! – gridò, a quelli che stavano sbragati intorno, un moretto piccolo e peloso, alzandosi in piedi: ma gli diede retta solo il Nicchiola che partí con la sua schiena curva e storcinata, e si lasciò cadere nell’acqua gialla con le gambe e le braccia larghe sbattendo con le chiappe. Gli altri, facendo schioccare la lingua con aria di disprezzo, dissero al moretto: – E lèvate! –, poi, dopo un po’, ciondolando pieni di fiacca, s’alzarono e come un branco di pecore si spostarono, su verso lo spiazzo di sabbia sotto la cannofiena, davanti al galleggiante, a guardarsi il Monnezza, che coi piedi sulla sabbia rovente, e rosso per lo sforzo sotto le due sfere, stava sollevando il peso da cinquanta chili in mezzo a un reggimento di ragazzini. Al trampolino se ne restarono solo il Riccetto, Marcello, Agnolo e pochi altri, con il cane, ch’era il beniamino di tutti. – Be? – fece Agnolo con aria minacciosa agli altri due. – Li mortacci tua, – disse il Riccetto, – che, c’hai prescia? – Ma li mortacci tua, – disse Agnolo, – e che semo venuti a ffà? – Mo se famo er bagno, – disse il Riccetto, e se ne andò in pizzo al trampolino a guardare l’acqua.
Immagine tratta dal film, "Sotto il sole di Roma" - 1948 |
– Te voi fà er caposotto, eh? – disse il Riccetto. Lo prese per il pelo e lo spinse sull’orlo: ma il cane si tirava indietro. – Tenghi paura, – disse il Riccetto, – be, nun te lo faccio fà er caposotto, va! – Il cane continuava a guardarlo tutto trepidante. – Ma che voi da me? – continuò il Riccetto con aria di protezione, chinandosi, – brutto sciammannato d’uno spinone! – Lo accarezzava, gli grattava il collo, gli metteva la mano tra i denti, lo tirava. – A brutto, a brutto! – gli gridava affettuosamente. Il cane però sentendosi tirare aveva un po’ di paura e saltava indietro.
– None, – gli disse allora il Riccetto, – nun te ce butto a fiume! – Te lo fai sto caposotto, a Riccè? – gli gridò ironico Agnolo. – Famme fà prima na pisciata, – rispose il Riccetto e corse a pisciare contro il muraglione: il cane gli venne dietro e stette a guardarlo con gli occhi lucidi e la coda irrequieta.
Agnolo allora prese la rincorsa e si tuffò. – Li mortacci tua! – gridò Marcello vedendolo cadere tutto di sguincio con la pancia. – Ammazzeme, – gridò Agnolo risortendo col capo in mezzo al fiume, – che panzata! – Mo je faccio vede io come ce se tuffa! – gridò il Riccetto, e si gettò in acqua. – Come l’ho fatto? – gridò riemergendo a Marcello. – Co ’e gambe larghe, – disse Marcello. – Mo ce riprovo, fece il Riccetto e si arrampicò su per la riva.
[...]
Agnolo allora prese la rincorsa e si tuffò. – Li mortacci tua! – gridò Marcello vedendolo cadere tutto di sguincio con la pancia. – Ammazzeme, – gridò Agnolo risortendo col capo in mezzo al fiume, – che panzata! – Mo je faccio vede io come ce se tuffa! – gridò il Riccetto, e si gettò in acqua. – Come l’ho fatto? – gridò riemergendo a Marcello. – Co ’e gambe larghe, – disse Marcello. – Mo ce riprovo, fece il Riccetto e si arrampicò su per la riva.
Immagine tratta dal film, "Sotto il sole di Roma" - 1948 |
– Ma li mortacci loro, – borbottava intanto in disparte il Riccetto – Mbè, che stamo a ffà? – disse Agnolo duro. L’unico dei tre che sapeva remare era Marcello: toccava a lui incominciare la manovra. S’andarono a sedere sul mucchio dei vecchi sandolini scassati. – A Marcè, – fece Agnolo, – noi t’aspettamo, daje –. Marcello s’alzò e andò a girellare intorno al Guaione, che se ne stava mezzo ubbriaco in fondo al galleggiante facendo un lavoro col coltellino. – Quanto costa na barca? – gli chiese a bruciapelo. – Na piotta e mezza, – rispose il Guaione senza alzare gl’occhi. – Ce ’a date, che? – disse Marcello. – Mo quanno torna. È fora. – Ce vole tanto, a Guaiò? – chiese dopo un po’ Marcello. – Ma li mortacci tua, – disse il Guaione alzando gli occhi bianchi da ubbriaco, – che c... ne so io! Quanno torna –. Poi diede un’occhiata al fiume verso Ponte Sisto. – Ecchela, – fece. – Se paga subbito o dopo? – Subbito, mejo. – Vado a prenne li sordi, – gridò Marcello. Ma non aveva calcolato Giggetto. Questo era un buon bagnino coi grandi: ma coi piccoletti, se si fossero tutti affogati c’avrebbe fatto la firma. Marcello stette lí un pezzetto cercando di farsi dar retta, ma quello non lo filò per niente. Se ne tornò su sconcertato al mucchio dei sandolini. – Come c... se fa a prenne li sordi, – disse. – Va dar bagnino, no, a stronzo! – Ce so’ ito, – spiegò Marcello, – ma nun me dà retta nun me dà! – Ma quanto sei stronzo, – scattò incollerito Agnolo. – An vedi questo, – gli rispose vibrante Marcello, stendendo verso di lui la mano aperta, come aveva fatto poco prima Giggetto con loro, – perché nun ce vai te? – Mo fate a cazzotti, – filosofò il Riccetto. – Je lo darebbe sí un cazzotto, a quer stronzo llí! – disse Agnolo. – Ma già te ’o detto, ma perché nun ce provi te, a fijo de na paragula! – Agnolo se ne andò a affrontare Giggetto e subito dopo difatti tornò con la piotta e mezza e una azionale accesa tra le labbra. Andarono a aspettare la barca presso la ringhiera, e appena che la barca approdò e furono scesi gli altri ragazzi, i tre si imbarcarono. Era la prima volta che il Riccetto e Agnolo navigavano.
Immagine tratta dal film, "Sotto il sole di Roma" - 1948 |
Il Tevere trascinava la barca verso Ponte Garibaldi come una delle cassette di legno o delle carcasse che filavano sul pelo della corrente; e sotto Ponte Garibaldi si vedeva l’acqua spumeggiare e vorticare tra le secche e gli scogli dell’Isola Tiberina. Il Guaione se n’era accorto, e continuava a strillare con la sua vociaccia arrugginita dallo zatterone: la barchetta ormai era giunta all’altezza del gallinaro dove, dentro il recinto di pali...
[...]
– Chi t’ha imparato a remà? Ma nun lo vedi che fai ride pure li muri?
– Chi m’ha imparato a remàaa? – ribatté Agnolo. – Sto c... !
– Te lo metti ar ... ! – fecero pronti quelli. – Vostro! – strillò Agnolo rosso come un peperoncino.
– A stronzo! – gridarono i ragazzini. – A fiji de na bocch...! – gridò Agnolo. Intanto continuava a sderenarsi a remare senza che la barca andasse avanti di un centimetro. Sull’altro pilone, a sinistra, c’erano degli altri fiji de na bona donna: stavano distesi tra le scanellature della pietra, come lucertoloni a prendersi il sole mezzi appennicati. Le grida dei ragazzini li risvegliarono. S’alzarono in piedi tutti bianchi di polvere, e si radunarono sull’orlo del pilone verso la barca. – A barcaroliii, – uno gridava, – aspettatece! – Mo che vole quello? – fece insospettito il Riccetto. Un secondo s’arrampicò per gli anelli fino a metà pilone, e con un urlo, fece il caposotto: gli altri si tuffarono da dove si trovavano, e tutti cominciarono a attraversare nuotando a mezzobraccetto il fiume. Dopo pochi minuti erano lí coi capelli sugli occhi, le facce paragule, e le mani strette ai bordi della barca. – Che volete? – fece Marcello. – Vení in barca, fecero quelli, – perché, nun ce vorresti? – Erano tutti piú grossi, e gli altri si dovettero tenere la cica. Salirono, e senza perder tempo uno disse a Agnolo: – Da’ – e gli prese i remi. – Annamo de là der ponte, – aggiunse, guardando fisso Agnolo negli occhi come per dirgli: «Te va bbene?» – Annamo de là der ponte, – disse Agnolo. Subito quello si mise a remare a tutta callara: ma sotto il pilone la corrente era forte, e la barca era carica. Per fare quei pochi metri ci volle piú d’un quarto d’ora.
Borgo antico dai tetti grigi sotto il cielo opaco io t’invoco...
cantavano i quattro di vicolo del Bologna, sbragati sulla barca, a voce piú alta che potevano per farsi sentire dai passanti di Ponte Sisto e dei lungoteveri. La barca, troppo piena, andava avanti affondando nell’acqua fino all’orlo.
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Immagine tratta dal film, "Sotto il sole di Roma" - 1948 |