"Le pagine corsare " dedicate a Pier Paolo Pasolini
Eretico e Corsaro
Pasolini nei miei libri c'è la storia della mia vita.
Pier Paolo Pasolini 1968 di Carlo Di Carlo
Un filmato di Carlo Di Carlo che fece parte del programma televisivo Pier Paolo Pasolini: Primo piano. Personaggi e problemi dell'Italia d'oggi (1968)
(Trascrizione dal sonoro curata da Bruno Esposito)
La storia della mia vita è la storia dei miei libri, i miei libri eccoli qua, quindi, qui, in questo divano, c'è tutta la mia vita, praticamente. II primo mio libro è uscito nel '42, è un libro di poesie in dialetto friulano che è il dialetto di mia madre, le ho scritte verso i 18 anni e le ho pubblicate esattamente a 20 anni, nel '42 avevo 20 anni. Perché ho scritto in friulano? Allora non me ne sono reso ben conto, me ne sono reso conto immediatamente appena è uscito il libro; appena è uscito il libro alcuni critici avrebbero voluto recensirlo non l'hanno potuto recensire perchè le riviste di allora, erano gli ultimi anni del fascismo, non volevano che si parlasse di dialetti, non volevano che esistesse una letteratura dialettale; questo perche? Perché l'Italia di allora, l'Italia ufficiale di allora, era un'Italia completamente stereotipa e falsa, praticamente al di fuori di ogni forma di realismo, anche se completamente poetico, come era questo; cioè non si voleva che in Italia si parlasse di dialetto. praticamente non si voleva che in Italia ci fossero dei contadini e degli operai. Comunque in questo libro non c'è niente di quello che è stato chiamato poi "impegno". E' un libro completamente poetico, di un amore un po' romanzato e fantastico, mio, per 1a terra di mia madre. per i contadini friulani, ecc. ecc..
Dopo poco, nel '45, durante 1a guerra, avevo fondato, nel paese di mia madre, Casarsa nel Friuli, una specie di accademia che chiamavo piccola accademia di lingue friulana. In sede di questa accademia, a nostre spese, io e degli altri miei anici, pubblicammo dei libricini. Questo dunque, è il secondo libricino che è uscito, si chiama "Diario", questo però in lingua italiana. Ancora poesie, diciamo cosi, anteguerra, di atmosfera culturale ancora simbolista o surrealista, o in certo senso neoclassica, con qualche rapporto con l'ermetismo, ma comunque già qui ci sono degli elementi della mia poesia futura, cioè già qui parlo, per esempio, della morte del mio fratello partigiano, ecco, è già un tema nuovo nella mia poesia, evidentemente. In questi anni ho continuato a scrivere sia in friulano che in lingua, le poesie friulane le ho raccolte soltanto dopo una decina d' anni, in un volume che si chiama "La migliore gioventù", le poesie italiane sono qui, "L'usignolo della chiesa cattolica" che ho pubblicato pochissimo tempo fa. Fino a quel punto io credevo di essere letteralmente quello che in un senso tecnico si definisce poeta ma a un certo punto ho cominciato a vedere dei film. E vivevo allora, benché abbia studiato a Bologna, all'università di Bologna, però ho passato la mia giovinezza in gran parte appunto nel paese di mia madre nel Friuli, dove ero fuori da ogni contatto culturale. La cultura italiana del tempo mi è arrivata attraverso il cinema, e ho visto i primi film del neorealismo italiano. Sono stati i primi film del neorealismo italiano che mi hanno fatto venire in mente l'idea di poter scrivere anche dei racconti. o delle novelle o dei romanzi. Ho fatto dei tentativi che sono rimasti nel cassetto, e di cui uno soltanto ha visto la luce due o tre anni fa, si chiama "Il sogno di una cosa". Ma arrivato a Roma, dove sono arrivato nel '50, immediatamente cambiando
ambiente, cambiando costumi, cambiando abitudini, cambiando conoscenze, ecc., mi sono propriamente arricchito di questa dimensione narrativa che prima non avevo ed ho cominciato, appena arrivato a Roma, a scrivere, a scrivere dei racconti di ambiente romano, che poi ho radunato insieme, gli ho dato una certa unità, li ho raccolti nel volume "Ragazzi di vita" che è uscito nel '55. Con "Ragazzi di vita" è cominciato quello che posso definire il mio successo, letterario ma anche la serie dei miei guai perché con "Ragazzi di vita" ho subito il mio primo processo. Un processo allora trionfalmente vinto perché il pubblico Ministero stesso ha chiesto l'assoluzione in quanto si trattava di un'opera di poesia, di un'opera d'arte, almeno nelle intenzioni e quindi non era imputabile di accuse di scurrilità e di oscenità di cui era stato accusato. Prima di scrivere il secondo romanzo ho continuato a scrivere dei versi e sono usciti quindi tre volumi. II primo: "Le ceneri di Gramsci", il secondo uscito subito dopo nel '59: "La religione del mio temo" e l'ultimo uscito due o tre anni fa: "La poesia in forma di rosa". E' qui contenuta quella che io considero la parte più solida di quel che ho ratto finora. I romanzi sono stati un po' un'avventura per me, non mi considero ancora un romanziere. Sono arrivato al romanzo verso 30 anni, ho fatto due o tre esperimenti, in parte riusciti in parte no, non lo so, hanno avuto un certo peso nella cultura degli anni '50, credo, ma io continuo a considerarmi uno scrittore di versi. Ed ecco infatti l'altro romanzo che prosegue i temi, i
personaggi, l'ambiente, ecc., ecc. , dei "Ragazzi di vita", si chiama "Una vita violenta". Racconta la storia di un giovane che passa da una fase di piena incoscienza civile e politica, attraverso varie esperienze, Fino ad acquisire una coscienza di classe benchè lui poi non appartenga a nessuna Classe, appartenga in pieno a un sottoproletariato urbano, ondeggiante, che è stato fascista e che quindi è privo di questa coscienza. Durante questi anni, appunto gli anni dell'impegno, è stata molto intensa anche la mia attività saggistica e critica. Ho raccolto tutti questi miei saggi in un volume che si chiama "Passione e ideologia" e soprattutto sono stato direttore con Leonetti e Roversi, di una rivista letteraria e politica che si chiama "L'officina". Questa mia attività ha avuto delle varie interruzioni, è stata ripresa recentemente, quando mi sono deciso a dirigere insieme a Carocci e Moravia, una nuova serie della rivista «novi argomenti".
Da che cosa stata caratterizzata tutta questa mia produzione in maniera assolutamente schematica e semplicistica? E' stata caratterizzata, prima di tutto, da un istintivo e profondo odio per lo stato in cui vivo, dico proprio stato, intendo dire stato di cose e stato nel senso proprio politico della parola. Lo stato capitalistico piccolo borghese che ho io cominciato a odiare fin dall'infanzia.
Naturalmente, con l'odio non si fa nulla, infatti, non sono riuscito a scrivere mai una sola parola che descrivesse o si occupasse o denunciasse il tipo umano piccolo borghese italiano; il mio senso di repulsione è cosi forte che non riesco a scriverne. Quindi ho scritto nei miei romanzi soltanto di ragazzi appartenenti al popolo; io vivo cioè con la piccola borghesia italiana. Ho rapporti o con il popolo o con intellettuali. La piccola borghesia si, però, è riuscita ad avere rapporti con me! E li ha avuti attraverso i mezzi che ha in mano cioè attraverso la magistratura e la polizia ed ha intentato una serie di processi alla mia opera, la quale è caratterizzata, naturalmente, non solo dall'odio contro la polizia ma da una visione marxista delle cose, da un'analisi marxista della mia società.
Questi processi sono cominciati con "Ragazzi di vita" e sono arrivati fino a temo fa, con il processo contro il mio Film "Ricotta" per vilipendio alla religione; perché nel frattempo sono passato ai film, ho abbandonato in parte la letteratura, o perlomeno ho abbandonato il romanzo non la poesia, per dedicarmi quasi esclusivamente al cinema. Questo è accaduto negli anni '60 e non senza ragione perché gli anni '60 sono gli anni di una profonda crisi della cultura italiana. L'Italia sta passando da una fase di paleocapitalismo verso una forma di neocapitalismo. Questo ha implicato una crisi di tutte le ideologie esistenti allora in Italia, soprattutto dell'ideologia marxista e dell'impegno, sicché si è parlato di crisi del romanzo, son sorti i movimenti avanguardistici che rompevano le tradizioni e le forme chiuse e classiche di narrativa e di poesia, si è parlato di antiromanzo, ecc.. ecc.. Io non ho potuto inserirmi in questo movimento perché ornai la mia formazione era fatta, II carattere letterario era definito, non potevo tradirlo, tornarmene indietro. E son passato istintivamente al cinema, ho sostituito cioè, il racconto romanzesco col racconto cinematografico. E in principio ho creduto che si trattasse di una nuova tecnica ,In realtà ni sono accorto che si tratta di una scelta vera e propria perché il cinema è una vera e propria lingua, secondo me forse realizzando con questo il mio avventuroso, un po' scapestrato desiderio di abbandonare la nazionalità italiana. Scrivendo con la lingua del cinema mi esprimo in un'altra lingua che non è più l'italiano, è una lingua internazionale. E cosi ho fatto il mio primo Film <<Accattone>>. Ecco qui la sceneggiatura. Subito dopo "Mamma Roma", poi quell'episodio della Ricotta, di cui ho nominato prima, accusato di vilipendio alla religione e subito dopo, con grande stupore di coloro che mi hanno condannato per vilipendio alla religione, il "Vangelo secondo Matteo" che è caduto negli anni del pontificato di Giovanni XXIII ed è stato una specie di concreto atto di dialogo e di rapporto tra
L'ultimo film mio è "Uccellacci e uccellini" in cui in maniera favolosa, cosi, aneddotica e simbolica, racconto la crisi di cui dicevo poco fa, cioè la crisi dell'ideologia dell'impegno degli anni '50 e l'avvento di un nuovo orizzonte ideologico intorno a noi, nella società italiana. per il futuro chi vivrà vedrà.
Io sono una forza del Passato.
Solo nella tradizione è il mio amore.
Vengo dai ruderi, dalle chiese,
dalle pale d'altare, dai borghi
abbandonati sugli Appennini o le Prealpi,
dove sono vissuti i fratelli.
Giro per la Tuscolana come un pazzo,
per l'Appia come un cane senza padrone.
su Roma, sulla Ciociaria, sul mondo,
come i primi atti della Dopostoria,
cui io assisto, per privilegio d'anagrafe,
dall'orlo estremo di qualche età
sepolta. Mostruoso è chi è nato
dalle viscere di una donna morta.
E io, feto adulto, mi aggiro
più moderno di ogni moderno
a cercare fratelli che non sono più.