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Biografia, lavori in corso - a breve anche il 1974 e il 1975

venerdì 22 gennaio 2021

La canta delle marane 1961 - Commento di Pasolini - Video

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro



La canta delle marane
1961

Di seguito:

- La scheda del cortometraggio
- Il testo di Pier Paolo Pasolini
- Il video completo
- Biografia di Cecilia Mangini 

Cortometraggio
Regia di Cecilia Mangini
Produzione: Giorgio Patara
Soggetto: da un capitolo di «Ragazzi di vita» di Pier Paolo Pasolini
Commento: Pier Paolo Pasolini

TRAMA:


In una calda giornata estiva, un gruppo di ragazzini delle periferie romane giocano e scherzano in uno dei tanti fiumiciattoli che circondano la città. La macchina da presa li scruta, si avvicina a loro, ne rivela i gesti e gli sguardi, li avvolge in una sorta di danza visiva, mentre le parole del commento (affidate alla sensibilità poetica di Pier Paolo Pasolini) ne raccontano le storie, i desideri, i sogni, il futuro.



Fotografia
Giuseppe De Mitri

Organizzazione
Giovanni Canaletti

Aiuto operatore
Enrico Pagliaro

Montaggio
Renato May

Musica originale
Egisto Macchi
diretta dall'Autore
Edizioni musicali "Rete"


Il testo di Pier paolo Pasolini: 


Che banda che eravamo! 
Avevamo fatto una banda, proprio una banda de spaccateste„ i caposotti, le panzate, i pennelli, le capriole. Eravamo io, er Ramancino, er Moretto, er Chiolla Chiolla, er Candeletta. Insomma, eravamo tanti che mo manco me li ricordo più. Partivamo la mattina presto da casa, senza manco fà colazione, scarzi, tutti rattoppati e poi giù a scapicollasse dentro la marana. 
Dove andavamo noi erano dolori, pure a li cani facevamo piagne. Er Chiolla Chiolla ancora me lo ricordo come fosse adesso, con quella faccia malandra, liscio come una serpe. Era figlio del popolo, non c'aveva né padre né madre. A madre era morto sotto i bombardamenti, er padre na sera si era imbriacato come a 'na cocuzza, s'era messo a prende un po' d'aria in finestra e patapunfete: è cascato dal terzo piano.„eccolo li. 
E lui se lo presero quelli del vicinato, un po' questo, un po' quello e siccome da quelle bande erano tutti ladroni, era diventato ladrone pure lui. Mo è a Regina Coeli. 
Che fame a quei tempi! 
C'avevamo sempre fame, più magnavamo e più c'avevamo fame, non si salvavano manco i pesci e le ranocchie. per noi la marana era come il Mississipi. 
Eravamo tutti amici, però se stavamo un po' senza fare a botte ci sentivamo male. Mi ricordo due che erano più amici di tutti fra di loro, faceva un passo uno, faceva un passo pure quell'altro, c'avevano una cicca se la fumavano in due, però non passava giorno che non si davano un sacco di botte. Le botte che se davano! 
Se pistavano come l'unto, se facevano neri di cazzotti, tutti i giorni era una stira, peggio che a boxe. Erano er Zuzzoletto e il Capinera, mo uno fa il gratta e l'altro fa la guardia. 
Er fuggi che pigliavamo quando che arrivavano le guardie! 
Pigliavamo i panni in mano e via! 
Tela! 
Im mezzo a quei pulcicarelli, a quell'ortica, non sentivamo niente. 
Che soddisfazione sentirsi di "Qui il bagno non lo dovete fare" e invece noi no, invece di uno ce ne facevamo cento, alla faccia di tutti! Facevamo tutto quello che non dovevamo fare, c'avevamo proprio la passione di far disperare il mondo. 
Eppure erano bei tempi, i tempi delle marane. Quando ci ripenso, mi pare che è passato un giorno, invece sono passati un sacco di anni e manco me ne sono accorto e mo, quando vedo i ragazzini che a noi grandi ci considerano tutti una massa di mammalucchi, un giorno mi viene voglia di dargli un sacco di botte, un altro giorno di tornare con loro. 
Il mondo da un bel pezzo li ha mollati in marana, se ne ricorda solo per curiosità, qualche volta per paura. Così loro se ne fregano del mondo come è oggi, impuniti, liberi, testardi.
Li affari loro hanno imparato a farseli da soli, soli e inguattati tra le marane e l'erba. 
Per questo devono esservi nemici. 
Pier Paolo Pasolini
(Trascrizione da video di Bruno Esposito).




La canta delle marane (1961) from Big Sur, immagini e visioni on Vimeo.


Biografia di Cecilia Mangini

Cecilia Mangini nasce a Mola di Bari il 31 luglio 1927, da padre meridionale e madre toscana. Nel 1933 la sua famiglia si trasferisce a Firenze. Qui la regista ha la possibilità di compiere i primi passi nel cinema, già durante gli ultimi anni del regime, attraverso l'esperienza dei CineGUF. È alla fine della guerra, però, che la caduta del regime consente un vero e proprio aggiornamento sugli sviluppi del cinema mondiale, e Cecilia Mangini inizia il suo apprendistato come fotografa, critica e saggista per importanti riviste di settore come «Cinema Nuovo», «Cinema '60», «L'Eco del cinema», e organizzatrice all'interno del Circolo del Cinema «Controcampo».
Trasferitasi a Roma, la Mangini condivide, fin dal suo esordio, lo spirito che animava gran parte degli intellettuali italiani che, ormai ad un decennio dalla fine della dittatura, contribuirono a dare in un certo senso continuità a quella grande esplorazione e ripensamento del rapporto fra cinema e realtà che, per la Mangini, determina un interesse per le problematiche sociali unito ad un sentimento di partecipazione politica e umana alle vicende degli ultimi, riuscendo a tracciare, negli anni del nascente boom economico, un ritratto inedito del nostro Paese. Nasce così la collaborazione con Pier Paolo Pasolini, con cui realizza due documentari che raccontano le grandi periferie della capitale, Ignoti alla città (1958), La canta dellemarane (1962) e Stendalì - Suonano ancora (1960). In particolare Stendalì è il risultato di un altro incontro determinante per la regista pugliese, quello con l'antropologo Ernesto De Martino e i suoi studi sulla cultura popolare delle classi contadine meridionali (con il marito Lino Del Fra, Cecilia realizzerà altri due documentari ispirati alle ricerche di De Martino, L'inceppata e La passione del grano). Il documentario, girato in un piccolo paese di lingua grika del Salento, Martano, ricostruisce uno degli ultimi esempi di lamentazione funebre.
Quella demartinana rimane una sorta di "impronta", fatta di grande capacità narrativa, vicinanza con i propri soggetti in un'ottica di compartecipazione delle stesse lotte di liberazione e di interesse per il Meridione, che è possibile riconoscere anche in tutti i successivi lavori della regista. Negli anni successivi l'interesse della regista si allarga alla fabbrica, la condizione femminile e giovanile, nel tentativo di svelare i meccanismi dell'allora nascente capitalismo italiano e quei drammi sociali che si nascondevano dietro il boom economico. Cecilia Mangini ha descritto così la condizione delle lavoratrici di Essere donne, mediometraggio del 1965: tabacchine, braccianti, emigranti che vedevano nella fabbrica un salto di qualità per la propria esistenza; con Brindisi '65 (1965), l'impatto del grande petrolchimico Monteshell sulla città di Brindisi e la nascita di una classe operaia, accompagnando nelle sue lunghe fughe in motorino, Tommaso (1965), giovane brindisino con il sogno di entrare nella grande fabbrica appena impiantata; il mito della boxe, occasione per uscire da una condizione di marginalità, in Domani vincerò (1969) fino a Comizi d'amore '80, lunga inchiesta in cui riprendendo lo spunto pasoliniano, si traccia uno straordinario affresco dei cambiamenti di mentalità in materie come l'amore e la sessualità. Nella sua lunga carriera Cecilia Mangini ha diretto oltre 40 documentari, realizzato reportage fotografici, firmato alcune sceneggiature fra cui quella de La villeggiatura (1972) di Marco Leto e Antonio Gramsci - I giorni del carcere (1977) di Lino Del Fra.

Associazione Angelus Novus - Bari


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Ignoti alla città

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Cecilia Mangini 
"Ignoti alla città" 
1958


Adalgisa Carella
14 giugno 1958



"Oltre la città nasce una nuova città, nascono nuove leggi dove la legge è nemica, nasce nuova dignità dove non c’è più dignità, nascono gerarchie e convenzioni spietate nelle distese di lotti, nelle zone sconfinate dove credi finisca la città, che ricomincia, invece, ricomincia nemica per migliaia di volte, in polverosi labirinti, in fronti di case che coprono interi orizzonti.
Essere poveri, essere umili, dormire in una cameretta in dieci, avere un padre con abiti di dieci anni, avere una madre che urla per la casa come i maschi, avere fratelli con cui parlare solo per litigare e bastonarsi, non sapere che il proprio rione, non avere che quattro sbandati amici, non riconoscere nessuna fede.
Non avere due soldi per il tram, strisciare i piedi sui selciati, sedersi sull’erba sporca e i cocci, consolarsi con l’essere spietati.
Essere caduti dal seno della madre sul fango e sulla polvere di un deserto che li vuole liberi e soli, essere cresciuti in una foresta dove i figli lottano coi figli per educarsi alla vita dei grandi, essere ragazzi in una città fatta per la pietà e la ricchezza, senza sapere altro che la propria fame.
Il lavoro: cento lire alla madre e cento lire per divertirsi. Non c’è altro che la voglia di divertirsi in cuore. La città è una sola tentazione.
Al ragazzetto di vita che sgobba per guadagnarsi qualche lira, non va di lavorare: è nato stanco.
Nessuno sa dei ragazzi di vita che anima leggera e allegra hanno. Essi sono cinici, troppo esperti, pronti a tutto, ma basta una maglietta e un paio di scarpini, perché si scopra che anche il più bullo trema.
Qualche furto, qualche rapina. Così finiscono qualche volta a Porta Portese, nella loro prigione. Là dentro si sfiatano dal fumare. I compagni fuori lo sanno che farebbero qualsiasi cosa per un pacchetto di sigarette".


P.P.Pasolini


Regia di Cecilia Mangini

Produzione: A. Carella
Soggetto: Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa


Sceneggiatura: Cecilia Mangini

Commento: Pier Paolo Pasolini
Fotografia: Mario Volpi
Musica: Massimo Pradella



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