"Le pagine corsare "
dedicate a Pier Paolo Pasolini
Eretico e Corsaro
PASOLINI E... LA FORMA DELLA CITTÀ
di Roberto Chiesi
(Ringrazio Roberto Chiesi, per il cortese consenso alla pubblicazione)
Negli anni Settanta, nonostante il servile conformismo che già allora la caratterizzava, la RAI produceva ancora qualche programma culturale di valore. La serie Io e..., curata da Anna Zanoli, un’ex allieva di Roberto Longhi, era senz’altro una delle trasmissioni più intelligenti e riuscite. Un intellettuale, uno scrittore o un artista italiano veniva sollecitato a parlare di un’opera d’arte prediletta: si susseguirono, fra gli altri, gli interventi di Eugenio Montale, Cesare Zavattini, Andrea Zanzotto, Tommaso Landolfi, Mario Luzi, Federico Fellini, e altri. Ogni programma durava circa un quarto d’ora ed era diretto da registi diversi, come Luciano Emmer e Paolo Brunatto.
Nell’inverno del 1973-‘74, quando gli proposero di partecipare ad una trasmissione, Pier Paolo Pasolini sulle prime disse che avrebbe parlato, non di un quadro o di un libro, ma dei vecchi casolari di campagna. Poi mutò idea e si orientò su un’anonima fontana di Roma, priva di valore artistico, ma caratterizzata da un’identità sociale particolare come luogo di ritrovo di prostitute e lenoni. Scartata anche questa soluzione, decise di parlare di Orte e Sabaudia, due città che amava molto e che appartenevano alla sua vita, perché da qualche anno possedeva un’antica torre e un’abitazione nel bosco del fiume Chia, vicino a Orte, e la sua casa al mare si trovava proprio a Sabaudia.
In realtà, la scelta di quei due luoghi, così legati all’esistenza di Pasolini, divennero il pretesto per denunciare la speculazione edilizia, che stava devastando il paesaggio di Orte, ossia l’armonia fra le colline e la natura circostante e l’antica cittadina medievale. Un’armonia che aveva resistito per secoli, ma che venne deturpata nell’arco di pochi anni da alcune recenti abitazioni, costruite nel modo più arbitrario e senza rispettare il disegno del paesaggio. Fu lo stesso Pasolini a dirigere la mdp per mostrare lo scempio mentre la sua voce dolorosa e assorta, esprimeva un’indignazione profonda. Il poeta-regista introdusse, poi, l’inserimento di alcuni frammenti di Le mura di Sana’a, un bellissimo cortometraggio che aveva girato a Sana’a, la capitale dello Yemen del nord, al termine delle riprese che aveva effettuato in quei luoghi de Il Decameron. Era una città stupenda e antichissima che la modernità stava minacciando di distruzione. Ritornando a commentare le immagini di Orte, Pasolini precisò che “mentre per Orte si può parlare soltanto di un lieve danneggiamento, di un difetto, per quello che riguarda, invece, la situazione dell’Italia, delle forme delle città nella nazione italiana, la situazione è decisamente irrimediabile e catastrofica”. Il poeta esaltò, poi, la bellezza umile di un’antica stradina di Orte e insistette 81sull’importanza di difendere e preservare un patrimonio artistico di urbanistica e edilizia popolare che aveva una grazia estetica mai più ripetuta.
Sabaudia è percorsa dallo sguardo di Pasolini in una “grigia luce lagunare” e le forme massicce degli edifici costruiti in piena epoca fascista sono descritte con parole inattese dal poeta-regista, ricordando l’ironia che gli intellettuali, lui compreso, hanno riservato all’architettura del regime. “Il passare degli anni ha fatto sì che quest’architettura di carattere littorio, assuma un carattere, diciamo così, tra metafisico e realistico. (...) Come ci spieghiamo un fatto simile, che ha del miracoloso? Una città ridicola, fascista, improvvisamente ci sembra così incantevole...”. Arrestatosi su una spiaggia di Sabaudia, battuta dal vento invernale, Pasolini si rivolge direttamente alla mdp e concludendo il cortometraggio, ecco che lo trasforma in uno “scritto corsaro” in forma di immagini, condensando alcuni degli argomenti della sua geniale polemica contro l’omologazione che aveva intrapreso da pochi mesi sulle pagine del “Corriere della sera”. Il paesaggio urbano di Sabaudia rivela oggi una sua grazia perché, in realtà, il fascismo non è riuscito a distruggere l’Italia popolare, rustica e contadina, mentre il potere della società dei consumi, con le armi della televisione e il cancro dell’omologazione, sta distruggendo il paese nel profondo della sua identità.
Trasmessa per la prima volta il 7 febbraio 1974 dalla RAI, La forma della città è firmata da Paolo Brunatto, ma costituisce uno di quei casi “impuri”, tutt’altro che rari nel cinema, in cui l’apporto di chi è filmato assume un rilievo così forte da assorbirne, in un certo senso, la paternità: infatti, in questo cortometraggio, Pasolini, oltre ad assegnare al film il respiro della propria dialettica, scelse e decise numerose inquadrature. Non a caso, inserì nella versione definitiva di Le mura di Sana’a alcune sequenze girate a Orte in quell’occasione e, in un’intervista a Gideon Bachmann (La perdita della realtà e il cinema inintegrabile, 13 settembre 1974), lo attribuì a se stesso.
Libero, la rivista del documentarioPIER PAOLO PASOLINI n. 2 settembre-novembre 2005 © Fondazione Libero Bizzarri Edizioni & Autore
PASOLINI (con una telecamera e rivolto a Ninetto) :
Io ho scelto una città, la città di Orte, cioè praticamente ho scelto come tema la forma di una città, il profilo di una città. Ecco, quello che vorrei dire è questo: io ho fatto un'inquadratura che prima faceva vedere soltanto la città di Orte nella sua perfezione stilistica, cioè come forma perfetta, assoluta, ed è più o meno un'inquadratura così... Basta che io muova questo affare qui nella macchina da presa, ed ecco che la forma della città, il profilo della città, la massa architettonica della città è incrinata, è rovinata, è deturpata da qualcosa di estraneo. C'è quella casa che si vede là a sinistra, la vedi? Ecco, questo è un problema di cui io parlo con te, perché non sono capace di parlare in astratto, rivolto al vuoto, al pubblico televisivo che non so dov'è, dove si trova. Parlo con te che mi hai seguito in tutto il mio lavoro e mi hai visto molte volte alle prese con questo problema. Tante volte sono andato a girare fuori dall'Italia, in Marocco, in Persia, in Eritrea, e tante volte avevo il problema di girare una scena in cui si vedesse una città nella sua completezza, nella sua interezza, e quante volte mi hai visto soffrire, smaniare, bestemmiare perché questo disegno, questa purezza assoluta della forma della città era rovinata da qualcosa di moderno, da qualche corpo estraneo che non c'entrava con questa forma della città, con questo profilo della città, così severo.
Siamo adesso di fronte a Orte da un altro punto di vista. C'è la solita bruma azzurro-bruna della grande pittura nordica rinascimentale. Se la inquadro, vedo un totale ancora più perfetto di quello di prima. Cioè la forma della città è proprio nella sua perfezione massima. Ma se panoramico da sinistra a destra, quello che ti dicevo prima risulta in modo ancora molto più grave. Infatti la città, dal nostro punto di vista all'estrema destra, finisce con uno stupendo acquedotto su quel terreno bruno. E immediatamente attaccate all'acquedotto ci sono altre case moderne, dall'aspetto non dico orribile, ma estremamente mediocre, povero, senza fantasia, senza invenzione; insomma case popolari, che sono assolutamente necessarie, non dico di no, ma che lì sono un altro elemento disturbatore della perfezione della forma della città di Orte, come la casa che abbiamo visto prima. Ora cos'è che mi dà tanto fastidio, anzi direi quasi una specie di dolore, di offesa, di rabbia, nella presenza di quelle povere case popolari, che comunque devono esserci? Il problema era semmai quello di costruirle da un'altra parte, insomma, di prevedere di poterle costruire da un'altra parte. Dunque, che cos'è che mi offende in loro? E il fatto che appartengono a un altro mondo, hanno caratteri stilistici completamente diversi da quelli dell'antica città di Orte e la mescolanza delle due cose infastidisce, è un'incrinatura, un turbamento della forma, dello stile.
Questo io forse lo soffro in modo particolare, non soltanto perché ho un senso estetico forse esagerato, eccessivo, da anima bella, ma anche perché ho tanto lavorato su dei film storici, in cui questo problema era proprio un problema pratico. Perché questo non è un difetto solo italiano, ma è un difetto di tutto il mondo ormai, soprattutto del Terzo Mondo. Non so, per esempio in Persia, dove c'è un regime completamente diverso dal nostro, dove c'è una specie di imperatore, lo Scià, lì succedono le stesse cose, forse ancora peggiori. Per esempio, mi viene in mente una stupenda città che si chiama Yazd, sul Golfo Persico vicino al deserto, una città meravigliosa perché tutte le città avevano un sistema di ventilazione antico, di due, tremila anni fa, che era rimasto intatto: delle colonnine che raccoglievano il vento e lo facevano entrare dentro la città. Quindi il panorama della città era dominato da questa specie di ventilatori che sembravano un po' dei tempietti greci arcaici o egiziani, insomma, una cosa stupenda. Beh, questa città, quando sono arrivato lì io, era distrutta, come se ci fosse stato un bombardamento a tappeto. Lo Scià la faceva distruggere per dimostrare ai suoi sudditi, al suo popolo, che la Persia era un paese moderno, che avanzava, eccetera eccetera. Ma questo succede anche in paesi che sono esattamente il contrario della Persia, cioè in paesi comunisti: lo stato dell'Aden del Sud, lo stato di Aden, dove c'è al governo addirittura un gruppo di comunisti estremisti. Bene, lì, c'era un'antica città sul mare che si chiama Al Mukalla. Questa città di Al Mukalla aveva verso la terraferma una stupenda porta, gigantesca, di granito, bianca come tutto il resto della città. Ora siccome anche ad Al Mukalla un pochino il traffico è aumentato, dopo la liberazione dello stato di Aden dagli emiri eccetera eccetera, c'era qualche furgone in più e la porta era stretta, cosa hanno fatto? L'hanno fatta saltare, ed erano fieri di aver fatto saltare questa stupenda porta. Dicevano addirittura con grande fierezza «la rivoluzione ha liberato Al Mukalla da questo ingombro del passato». Senza parlare di Sana'a, ti ricordi? Quella stupenda città dello Yemen del Nord posata sul deserto come una specie di rustica Venezia, che stanno già distruggendo, hanno già praticamente finito di distruggere tutte le mura che la circondavano e quindi davano la sua forma, quella assolutezza meravigliosa delle città antiche.
Oppure nel Nepal, che è effettivamente ancora molto intatto, soprattutto la città di Bhatgaon, è ancora quasi com'era tremila anni fa, però Katmandou è già praticamente distrutta in quanto forma, rimangono i monumenti, ma non è dei monumenti che si tratta, non son quelli il problema, quelli è facile salvarli, è l'intera forma della città che è difficile salvare. Dunque questo è un problema che si pone in tutti i paesi del mondo, ma naturalmente ciò che mi turba e mi ferisce di più è che questo avvenga in Italia.
Una fotografia recente della città di Orte. In primo piano, l'acquedotto, seminascosto dagli alberi.
Ora, a proposito della città di Orte, vorrei aggiungere una cosa: avendo io scelto come tema del mio argomento la forma della città, vorrei precisare che la forma della città si manifesta, appare, si rivela se confrontata con un fondale naturale. Perciò la forma della città di Orte appare in quanto tale perché è sulla cima di questo colle bruno, divorato dall'autunno, con questa curvatura davanti e contro il cielo grigio. Ora, quelle case che ti ho citato prima, quelle case popolari, che cosa vengono a turbare? Vengono a turbare, soprattutto, il rapporto fra la forma della città e la natura. Ora il problema della forma della città e il problema della salvezza della natura che circonda la città, sono un problema unico. Ma sempre si pone il problema di rispettare il confine naturale tra la forma della città e la natura circostante. Ora il caso della città di Orte è un caso ancora bellissimo. Ecco, il panorama è ancora praticamente perfetto, a parte questo difetto sia pur doloroso che ti ho detto. Ma mentre per Orte si può parlare soltanto di lieve danneggiamento, di difetto, per quel che riguarda in generale la situazione dell'Italia, delle forme delle città nella nazione italiana, la situazione è invece decisamente irrimediabile e catastrofica.
Questa strada per cui camminiamo, con questo selciato sconnesso e antico, non è niente, non è quasi niente, è un'umile cosa. Non si può nemmeno confrontare con certe opere d'arte, d'autore, stupende, della tradizione italiana, eppure io penso che questa stradina da niente, così umile, sia da difendere con lo stesso accanimento, con la stessa buona volontà, con lo stesso rigore con cui si difende un'opera d'arte di un grande autore. Esattamente come si deve difendere il patrimonio della poesia popolare anonima come la poesia d'autore, come la poesia di Petrarca o di Dante, eccetera eccetera. E così il punto dove porta questa strada, quella antica porta della città di Orte, anche questo non è quasi nulla, vedi? Sono delle mura semplici, dei bastioni, dal colore così, grigio, che in realtà nessuno si batterebbe (con rigore, con rabbia) per difendere questa cosa. E io ho scelto invece proprio di difendere questo. Quando dico che ho scelto come oggetto di questa trasmissione la forma di una città, la struttura di una città, il profilo di una città, voglio proprio dire questo: voglio difendere qualcosa che non è sanzionato, che non è codificato, che nessuno difende e che è opera, diciamo così, del popolo, di un'intera storia, dell'intera storia del popolo di una città. Di una infinità di uomini senza nome, che però hanno lavorato all'interno di un'epoca che poi ha prodotto i frutti più estremi, più assoluti, nelle opere d'arte d'autore. Ed è questo che non è sentito, perché chiunque, con chiunque tu parli, è immediatamente d'accordo con te nel dover difendere un'opera d'arte d'un autore, un monumento, una chiesa, la facciata di una chiesa, un campanile, un ponte, un rudere il cui valore storico ormai è assodato. Ma nessuno si rende conto che invece quello che va difeso è proprio questo anonimo, questo passato anonimo, questo passato senza nome, questo passato popolare.
Eccoci di fronte alla struttura, alla forma, al profilo di un'altra città immersa in una specie di grigia luce lagunare, benché intorno ci sia una stupenda macchia mediterranea. Si tratta di Sabaudia. Quanto abbiamo riso noi intellettuali sull'architettura del regime, sulle città come Sabaudia. Eppure adesso osservando questa città proviamo una sensazione assolutamente inaspettata. La sua architettura non ha niente di irreale, di ridicolo. Il passare degli anni ha fatto sì che questa architettura di carattere littorio assuma un carattere, diciamo così, tra metafisico e realistico. Metafisico in un senso veramente europeo della parola, cioè ricorda mettiamo la pittura metafisica di De Chirico, e realistico perché, anche vista da lontano, si sente che le città sono fatte, come si dice un po' retoricamente, a misura d'uomo. Si sente che dentro ci sono delle famiglie costituite in modo regolare, delle persone umane, degli esseri viventi completi, interi, pieni, nella loro umiltà.
Come ci spieghiamo un fatto simile che ha del miracoloso? Una città ridicola, fascista, che improvvisamente ci sembra così incantevole? Bisogna esaminare un po' la cosa, cioè: Sabaudia è stata creata dal regime, non c'è dubbio, però non ha niente di fascista, in realtà, se non alcuni caratteri esteriori. Allora io penso questo: che il fascismo, il regime fascista, non è stato altro, in conclusione, che un gruppo di criminali al potere. E questo gruppo di criminali al potere non ha potuto in realtà fare niente, non è riuscito a incidere, nemmeno scalfire lontanamente la realtà dell'Italia. Sicché Sabaudia, benché ordinata dal regime secondo certi criteri di carattere razionalistico, estetizzante, accademico, non trova le sue radici nel regime che l'ha ordinata, ma trova le sue radici in quella realtà che il fascismo ha dominato tirannicamente ma che non è riuscito a scalfire. Dunque, è la realtà dell'Italia provinciale, rustica, paleo-industriale eccetera eccetera, che ha prodotto Sabaudia, e non il fascismo.
Ora invece succede il contrario. Il regime è un regime democratico eccetera eccetera, però quella acculturazione, quella omologazione che il fascismo non è riuscito assolutamente a ottenere, il potere di oggi, cioè il potere della civiltà dei consumi, invece riesce ad ottenere perfettamente: distruggendo le varie realtà particolari, togliendo realtà ai vari modi di essere uomini che l'Italia ha, che l'Italia ha prodotto in modo storicamente molto differenziato. E allora questa acculturazione sta distruggendo, in realtà, l'Italia; allora posso dire senz'altro che il vero fascismo è proprio questo potere della civiltà dei consumi che sta distruggendo l'Italia. E questa cosa è avvenuta talmente rapidamente che, in fondo, non ce ne siamo resi conto, è avvenuto tutto in questi ultimi cinque, sei, sette, dieci anni. È stato una specie di incubo, in cui abbiamo visto l'Italia intorno a noi distruggersi e sparire. Adesso, risvegliandoci forse da questo incubo e guardandoci intorno, ci accorgiamo che non c'è più niente da fare.