3. Che cosa sono le nuvole?
di Gian-Maria Annovi
di Gian-Maria Annovi
Un’analisi del breve film del 1967, Che cosa sono le nuvole?, non può prescindere da un confronto con Calderón, se non altro perché la vicenda di questo cortometraggio, vero e proprio piccolo capolavoro nel cinema di Pasolini, si svolge in un teatro. Si tratta però di un teatro povero e spoglio dove un pubblico alquanto popolare, fatto di uomini, “vecchie comari e giovanotti di vita”(86) è radunato per assistere a una versione per burattini dell’Otello di Shakespeare.
Non è chiaro da dove Pasolini abbia tratto ispirazione per questo progetto cinematografico, ma ha forse ragione Maurizio Viano a individuare un possibile modello in Paisà (1946) di Roberto Rossellini. In particolare, Pasolini sembra aver avuto ben in mente l’episodio ambientato a Napoli, dove un soldato afro-americano, accompagnato da un ragazzetto napoletano, si ritrova ubriaco davanti a uno spettacolo di burattini basato sulla lotta tra il cristiano Orlando e i saraceni. Il soldato, identificatosi con il personaggio del Moro e incapace di distinguere tra realtà e rappresentazione, mostrando così anche la consapevolezza di Rosselli circa gli effetti che la finzione (il cinema) può provocare nella percezione della realtà, interrompe brutalmente lo spettacolo quasi distruggendo il teatrino. La scelta pasoliniana di rappresentare la tragedia shakespeariana del Moro di Venezia sembra dunque stimolata dal rimando al protagonista e alla metarappresentazione del capolavoro di Rosselli, ampliamente discusso dal critico francese André Bazin nel suo imprescindibile Che cos’è il cinema? (1958-62), titolo che Pasolini avrebbe voluto impiegare proprio per un film a episodi comprendente anche il cortometraggio del ’67:
Avevo infatti in mente da molto tempo un grosso film fatto di episodi, ora lunghi ora brevi, tutti comici. Doveva intitolarsi Che cos’è il cinema, addirittura, oppure, più modestamente, Smandolinate. E De Laurentis mi ha offerto la possibilità pratica di fare due di questi episodi comici: prima La Terra vista dalla luna, e adesso Che cosa sono le nuvole?(87)
A consolidare il legame tra i due attori protagonisti, stabilito con Uccellacci e uccellini e ripreso proprio nel cortometraggio La terra vista dalla luna (1966),(88) Otello è interpretato da Ninetto Davoli, con la faccia bistrata, mentre Jago da un Totò dal volto dipinto espressionisticamente di verde. Lo spettacolo di burattini segue a grandi linee la tragedia shakespeariana, tra scene di gelosia, menzogna e tradimento ma, nel momento in cui Otello, seguendo il proprio destino di personaggio, s’avventa su Desdemona per ucciderla, il pubblico si ribella e – a confermare il legame con il film di Rossellini – irrompe sulla scena e uccide, strappandoli dai loro fili, Jago e Otello, che verranno poi portati in una discarica dall’immondezzaro interpretato da Domenico Modugno.(89) È tra i rifiuti, ossia fuori dallo spazio della rappresentazione, che i due burattini vedono per la prima volta il mondo e la sua bellezza, sotto forma di grandi, inesplicabili, nuvole bianche che attraversano il cielo, confermando così che è solo dopo il montaggio compiuto dalla morte che la vita assume significato:
OTELLO Iiiiih, che so’ quelle?
JAGO Sono…sono…le nuvole…
OTELLO E che so’ le nuvole?
JAGO Boh!
OTELLO Quanto so’ belle! Quanto so’ belle!
JAGO (ormai tutto in comica estasi) Oh, straziante, meravigliosa bellezza del creato! (966)
Già da questa breve sinossi è facile intuire cosa leghi il cortometraggio del ‘67 a Calderòn: entrambe le opere affrontano il tema del rapporto tra realtà e rappresentazione tramite il teatro, che da un lato è mezzo stesso del discorso, dall’altro metarappresentazione all’interno del mezzo cinematografico. Ulteriori riferimenti, più o meno espliciti, confermano l’intimo legame osmotico tra le due opere. Quando Otello domanda a Jago la ragione per cui debba sottostare alle regole della rappresentazione, vale a dire interpretare il ruolo che gli è assegnato per nascita, la risposta che riceve è una citazione dal dramma di de la Barca (“noi siamo un sogno dentro un sogno,” 965).
Il nome del drammaturgo spagnolo pare evocato anche nella complessa metafora impiegata poco prima da Jago per spiegare le ambiguità del rapporto tra realtà e rappresentazione:
La nostra vita è come una polenta. Prende la forma della caldara dov’è rovesciata. Ma qual è questa forma? La forma della superficie della polenta contro la parete della caldara, o la forma della parete della caldara che contiene la polenta? Noi siamo la polenta, e il giudizio degli altri è la caldara… (965)
In una recensione a Calderón, Cesare Musatti ha fatto notare come, in friulano, il termine “calderon” sia sinonimo di “gran caldaia.”(90) Il titolo del dramma di Pasolini non è dunque solo un riferimento esplicito alla centralità della figura autoriale, ma anche una metafora di quel dramma che necessariamente ci contiene tutti dalla nascita, quello che in Calderón il personaggio di Rosaura esperisce in termini di Potere: “il nostro primo rapporto, nascendo, è dunque un rapporto col Potere, cioè con l’unico mondo possibile che la nascita ci assegna.”(91)
Il punto di contatto più importante tra le due opere si trova però ancora una volta in Velázquez. Subito dopo la creazione del burattino-Otello, una scena che nella sceneggiatura – è stato opportunamente notato da Marco Antonio Bazzocchi in una delle più puntuali analisi del film(92) – rimanda all’incipit del Pinocchio di Collodi,(93) ci viene mostrato l’esterno del teatrino, dove la macchina da presa indugia su alcuni manifesti che pubblicizzano quattro diversi spettacoli in programma. I titoli sono inseriti su altrettante riproduzioni di quadri di Velázquez. Il ritratto del Nano Don Diego De Acedo, corrisponde allo spettacolo di IERI, La terra vista della luna, il cortometraggio realizzato da Pasolini l’anno prima. Che cosa sono le nuvole appare invece – insieme al nome di Pasolini, che s’iscrive così da subito nell’opera – su una riproduzione de Las meninas, con l’indicazione OGGI. Gli altri due quadri, Il principe Baldassar Carlos e una nana e il ritratto di Filippo IV, corrispondono rispettivamente a due diversi progetti cinematografici pasoliniani: Mandolini, accompagnato dalla scritta PROSSIMAMENTE e Le avventure del Re magio randagio e il suo schiavetto Schiaffo, con l’indicazione DOMANI. Mandolini, o anche, secondo altre versioni fornite da Pasolini in diverse interviste, Smandolinate, è un film purtroppo mai realizzato. Avrebbe nuovamente visto
la coppia Ninetto-Totò al centro dell’azione, così come ne Le avventure del Re magio randagio, progetto poi evoluto nel più complesso e parimenti irrealizzato Porno-Teo-Kolossal, di cui ci resta solo il soggetto.(94)
Come ha scritto Alberto Marchesini, dando conto delle ipotesi interpretative di altri studiosi, solo il legame tra Che cosa sono le nuvole e Las meninas appare subito leggibile, mentre incerte sono le ragioni che apparentano gli altri film pasoliniani ai dipinti del pittore spagnolo. Bazzocchi ha però colto molto acutamente che una costante delle tele scelte da Pasolini è quella della presenza di nani, che tradirebbero – secondo la lettura approntata da Svetlana Alpers de Las meninas – “una certa anarchia”(95) all’interno dell’ordine sociale rappresentato dal pittore. Si tratta di un rilievo molto importante che trova riscontro proprio in Calderón, nella lunga descrizione del quadro affidata al personaggio della regina, dove è però impossibile non riconoscere la voce diretta dell’autore:
la nana rincagnata María Barbola, e il nano Nicolasito Pertusato (che sono poi i veri protagonisti di tutto questo ‘avvenimento casuale’, in quanto mostri, che, pur delicati nella luce, esprimono nella superficie la mostruosità che è nascosta e aggraziata nel fondo).”(96)
Se si considera che sia in Che cosa sono le nuvole? sia in La terra vista dalla luna, i personaggi sono rappresentati in modo grottesco e antinaturalistico, con capelli e abiti clowneschi, o volti dipinti, pare logico ipotizzare che così come i nani di Velázquez dichiarano, con la loro presenza, la pretestuosità di ogni ordine naturale e sociale all’interno della rappresentazione, i burattini di Pasolini – carichi dello stesso valore perturbante che Freud assegna alle bambole animate, ossia “il dubbio che un essere apparentemente animato sia vivo davvero”(97) – mettono lo spettatore di fronte a una finzione dichiarata: essi sono persone solo nella misura in cui nascono già personaggi, immersi nell’ordine della rappresentazione, come prova proprio l’inizio di Cosa sono le nuvole?:
OTELLO Bongiorno…
JAGO Bongiorno, bongiorno…
OTELLO (sbottando per uno slancio buffo e irrefrenabile) Quanto son contento!
JAGO Eh! Beato te!
OTELLO E perché, son così contento? Perché?
JAGO Perché sei nato!
OTELLO E che vuol dire che son nato?
JAGO Che ci sei!
OTELLO Ah… (937)
L’ingresso nel teatro “significa nascere, uscirvi, cioè entrare nell’altro mondo (il mondo reale), significa morire.”(98) Proprio come per Rosaura, infatti, è impossibile uscire dal sogno nel sogno, la rappresentazione che ci contiene, senza il sacrificio della vita. È la stessa morale che chiude anche La ricotta, con il commento sarcastico del regista alla morte sulla croce dell’attore Stracci (“Non aveva altro modo per ricordarci che anche lui era vivo”(99) ).
Al di là delle ragioni specifiche che hanno spinto Pasolini ad impiegare i quadri di Velázquez all’inizio del suo cortometraggio, ciò che importa rilevare ai fini di questa ricerca è che tramite queste locandine egli sta di fatto mettendo in scena la propria opera, quella già realizzata (La terra vista dalla luna), in corso (Che cosa sognano le nuvole?) e da farsi (Le avventure del mago randagio e Smandolinate). Il singolo film, insomma, non solo contiene al suo interno rimandi ad altre opere pasoliniane, suggerendo allo spettatore percorsi di lettura meta-testuali, ma funziona come palinsesto, vero e proprio piano dell’Opera ancora in corso, segnale dunque di quella fittissima trama di relazioni che Gérard Genette ha chiamato “transtestualità”(100) e che rappresenta l’essenziale chiave di accesso per chiunque voglia affrontare il corpus pasoliniano.
In Cosa sono le nuvole? ad essere esposto al pubblico è un vero e proprio piano della propria opera cinematografica, che necessariamente genera nel pubblico curiosità ed attese, ma soprattutto propone percorsi di lettura, presentando anche quanto già è stato fatto, come nel caso del cortometraggio La terra vista della luna, che – nonostante faccia parte del film a episodi Le streghe – Pasolini considerava, già lo si è detto, come il primo di una serie di favole comiche sul cinema:
Totò e Ninetto erano una coppia così deliziosa, e di per sé così poetica; avevano un mucchio di possibilità, lo sentivo. Perciò pensai di fare un film che fosse fatto di favole, e una di queste favole fu La terra vista dalla luna […] con la morte di Totò l’idea andò in fumo.(101)
Quello che Pasolini mostra all’inizio del cortometraggio del ‘67 non è insomma semplicemente uno degli infiniti piani di opere ‘ad uso interno’ che a partire dal 1942 iniziano a riempire le carte chiuse nei cassetti del poeta, e di cui ha dato ampia notizia Siti nel saggio che chiude il decimo, corposo volume delle opere pasoliniane. Si tratta invece di un progetto d’opera spettacolarizzato, esposto, pubblicizzato, come quello contenuto nel lungo poemetto di Poesia in forma di rosa intitolato Progetto per opere future. In quel testo, sono addirittura otto i progetti che Pasolini si premura di esporre “in visione semiprivata”(102) al suo pubblico (dantesca “picciola compagnia / che vuol sapere: quasi per elezione / di seme”),(103) progetti che spaziano dalla poesia alla prosa, dalla critica al teatro, in un’apparente mescolanza di “materie / inconciliabili, magmi senza amalgama.”(104)Tra le opere future nominate ci sono la raccolta poetica Bestemmia e lo pseudo-romanzo La Divina Mimesis, l’unico a vedere la luce. Nulla si sa invece della Passionale storia della poesia italiana e di Morte della poesia, così come dell’irrealizzabile Alto monologo, “una lassa / di settanta volte sette (mila) versi, per Coro / e Orchestra, con settantamila violini e grancassa, / (e un disco di Bach).”(105) Lo stesso dicasi per Pasoliniana sui modi d’essere poeta e Opposizione pura, mentre si ritrova una Citazione brechtiana come terza scena dello spettacolo teatrale Italie magique, scritto per Laura Betti nel 1965. Con queste esposizioni di progetti futuri, realizzati e irrealizzabili, Pasolini non sta semplicemente mostrando i suoi muscoli di scrittore instancabile, o il proprio delirio di onnipotenza creativa, ma sta esponendo il proprio laboratorio.
In una cartellina intestata “Note appunti articoli interviste ecc. (1967-68),” conservata nel Fondo Pasolini di Firenze, si trova un dattiloscritto intitolato “Idee di opere” dove, nel dicembre del 1965, lo scrittore immagina “un libro fatto tutto di racconti che scaturiscono l’uno dall’altro, uno dentro l’altro, come quel giocattolo russo fatto ditante bambolette una dentro l’altra.”(106) In Petrolio, come si vedrà più avanti, quest’ideatroverà una parziale realizzazione negli appunti 97-103, e in particolare ne la Storia di mille e un personaggio, mostrando come la “scoperta” cinematografica de Le mille e una notte abbia mediato tra l’idea iniziale e la sua effettiva elaborazione. L’idea di una metaopera può così essere assunta a rappresentante dell’intero – e incompiuto – progetto pasoliniano, in cui – come in una matrioska – le singole opere scaturiscono l’una dall’altra, una dentro l’altra. È però il titolo scelto da Pasolini per questa irrealizzata meta-raccolta di racconti – Io re – a rivelare che ad essere veramente in gioco in questo generale meta-progetto è la centralità del soggetto autoriale, quell’io che Pasolini – secondo Giorgio Barberi Squarotti – ha interrogato come non altri nel Novecento, osservandolo, ammirandolo, esaminandolo, sezionandolo.(107) È esponendosi, dunque, e mostrando il proprio laboratorio, che Pasolini intende affermare la sua demiurgica capacità creativa. Da qui, forse, deriva anche la sua identificazione con il personaggio principale di un altro dipinto di Velazquez, La fucina di Vulcano, dal quale – lo ha suggerito Zigania – Pasolini trae l’ispirazione figurativa per il personaggio de l’allievo di Giotto, che interpreta nel Decameron (1971).
In Cosa sono le nuvole?, dove proprio il riferimento a Las meninas rappresenta il “modello per semplificare il complesso statuto autoriale di Pasolini,”(108) o forse per complicarlo, l’autore demiurgo è rappresentato nella figura del burattinaio che letteralmente regge i fili della vicenda e interviene rispondendo alle domande dei suoi burattini. Il fatto che ad interpretarlo sia Francesco Leonetti, che in Uccellacci e uccellini aveva prestato la propria voce al corvo, su cui Pasolini proietta la propria figura di intellettuale marxista in crisi all’inizio degli anni ’60, non può che far pensare che anche in questo film egli sia un doppio o una maschera dell’autore-Pasolini. Così come accadeva al corvo in Uccellacci e uccellini, anche il burattinaio viene infatti chiamato con scanzonata deferenza da Ninetto-Otello “Sor mae’” (signor maestro), un’espressione che pochi anni dopo Pasolini problematizza, attribuendola a sé, nei versi iniziali di un componimento intitolato La nascita di un nuovo tipo di buffone: “Non ‘caca’, ma ‘baba ndogo’ (sor maestro) / così viene liquidato il mio narcisismo.”(109) La poesia – scritta sul Lago Vittoria in Tanzania, mentre Pasolini stava girando Appunti per una Orestiade africana – mostra la sua piena consapevolezza di non poter essere percepito come qualcuno alla pari, un fratello (“caca” in swaili110) ma sempre come chi si propone quale detentore di una certa autorità, cosciente della propria posizione culturale. Il fatto che in Cosa sono le nuvole? anche Jago venga indicato con la stessa espressione, non può che far credere che anche questo personaggio, che Greenblatt ha letto come “the principle of narrativity itself,”(111) nel suo plateale intento manipolatorio della vicenda e nella sua attitudine pedagogica, sia un “riflesso della valenza demiurgica dell’autoreburattinaio.” (112) E difatti, anche Pasolini – che come Velázquez è l’autore onnisciente che gestisce dall’esterno l’opera in cui è egli stesso coinvolto – orienta la nostra lettura dell’opera orientando, tramite la scelta delle inquadrature, il nostro sguardo sulla vicenda, facendoci sentire, al contempo, dentro e fuori la rappresentazione.
Attraverso un complesso lavoro di campo e controcampo, il regista ci obbliga così a osservare lo spettacolo dei burattini e quando avviene dietro le scene. Noi, spettatori del film, non partecipiamo semplicemente alla visione frontale del pubblico seduto in sala, ma vediamo di volta in volta con gli occhi dei personaggi che a loro volta osservano il loro dramma da dietro le quinte, identificandoci allo stesso tempo con la macchina da presa, ossia con lo sguardo del regista. È questa totale messa in scena dello sguardo che Pasolini sussume da Las meninas, trasponendo il suo “sistema sottile di finte” nel cinema, mostrandone la potenzialità(113) e al contempo fornendoci, in anticipo sul suo Manifesto per un nuovo teatro, la descrizione del pubblico che egli si aspetta dobbiamo essere. È evidente, infatti, che nella rappresentazione del pubblico popolare del teatrino di periferia, e in quella dello sgangherato spettacolo di burattini, Pasolini ci mostra l’opposto di quello che dovrebbe rappresentare il suo Teatro di Parola: un luogo di dialogo e di discussione dove siamo chiamati a partecipare insieme all’autore.
85 Pasolini, “Al lettore nuovo,” SLA, Vol. II, 2512.
86 Pasolini, “Che cosa sognano le nuvole?,” PC, Vol. I, 939. Le citazioni successive saranno indicate tra parentesi nel testo.
87 Trascrizione dell’intervista del 10 Dicembre 1967 dal programma televisivo di Leandro Lucchetti, Per conoscere Pier Paolo Pasolini.
88 “Tutto quello che non ho potuto mettere in Uccellacci e uccellini l’ho messo nella Terra vista dalla luna e Che cosa sono le nuvole?,” intervista a Pier Paolo Pasolini del 1968, ora in La cosa vista, a cura di Adriano Aprà, febbraio 1985.
89 Anche la canzone cantata da Modugno, da lui musicata su parole di Pasolini, rappresenta in sé una meta narrazione. Il testo, infatti, si basa su una serie di citazioni dall’Otello. Cfr. H. Joubert-Laurencin, Pasolini. Portrait du poète en cinéaste (Paris: Diffusion Seuil,1995).
90 Cesare Musatti, “Calderón, Velazquez, Pasolini,” Sipario (aprile 1974).
91 Pasolini, “Calderón,” SLA, Vol. II, 1934.
92 Marco Antonio Bazzocchi, I burattini filosofi. Pasolini dalla letteratura al cinema (Milano: Bruno
Mondadori, 2007), 88-89.
93 “È uno sgabuzzino piccolo piccolo, con le pareti color liquerizia, triste, senza luce, con una sola
finestrella in alto, piccola come una feritoia. Nello sgabuzzino ci sono un bancone e degli attrezzi da falegname. Il Burattinaio ha appena finito di fare un nuovo burattino, Otello il Moro, con un vestito neoclassico-ingenuo colore azzurro fumo. Manca solo di avvitargli la testa, e Otello è fatto.” (935)
94 Cfr. Laura Salvini, I frantumi del tutto. Ipotesi e letture dell'ultimo progetto cinematografico di Pier Paolo Pasolini, Porno-Teo-Kolossal (Bologna: Clueb, 2004).
95 Svetlana Alpers, “Interpretation without Representation, or, the Viewing of Las Meninas,”
Representations, 1 (febbraio 1983): 40.
96 Pasolini, “Calderón,” TR, 680.
97 Sigmund Freud, “Il perturbante,” Opere 1905-1921 (Roma Newton & Compton, 1992), 1053.
98 Bazzocchi, I burattini filosofi, 85.
99 Walter Siti e Franco Zabagli, “Note e notizie sui testi,” PC, Vol. II, 3059.
100Cfr. Gérard Genette, Palinsensti. La letteratura di secondo grado (Torino: Einaudi, 1997).
101 Pasolini, “Pasolini su Pasolini,” SPS, 1355-56.
102 Pasolini, “Progetto di opere future,” Poesia in forma di rosa, TP, Vol. I, 1254-55.
103 Ivi, 1255.
104 Ivi, 1246.
105 Ivi, 1249.
106 Siti, “L’opera rimasta sola,” 1902.
107 Giorgio Barberi Squarotti, “La poesia e il viaggio a ritroso nell’io,” Pier Paolo Pasolini: l’opera e il suo tempo, a cura di Giorgio Santato (Padova: Cleup, 1983), 206.
108 Francesco Galluzzi, Pasolini e la pittura (Roma: Bulzoni, 1994), 66.
109 Pasolini, “Un nuovo tipo di buffone,” Trasumanar e organizzar, TP, Vol. II, 59.
110 La poesia è stata scritta sulle sponde del Lago Vittoria, in Tanzania, mentre Pasolini stava girando Appunti per una Orestiade africana.
111 Stephen Greenblatt, Renaissance Self-fashioning. From More to Shakespeare (Chicago and London: The University of Chicago Press, 1980), 236.
112 Alberto Marchesini, Citazioni pittoriche nel cinema di Pasolini (da Accattone al Decameron) (Firenze: La Nuova Italia, 1994), 100.
113 Cfr. Bazzocchi, I burattini filosofi, 104.
Tratto da:
In the Theater of my Mind:
Authorship, Personae, and the Making of Pier Paolo Pasolini’s Work
Gian-Maria Annovi
Submitted in partial fulfillment of the
requirements for the degree of
Doctor of Philosophy
in the Graduate School of Arts and Sciences
COLUMBIA UNIVERSITY
2011
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