"Le pagine corsare "
dedicate a Pier Paolo Pasolini
Eretico e Corsaro
Pasolini esperto di facce
di Adriano Sofri
Quello scenario raccapricciante era parso quasi esemplare: figli viziati di padri benestanti e complici, autori di infinite bravate ignorate da polizia e giudici, fascisti, maschilisti; e di là ragazze fiduciose e ingannate, tormentate e umiliate a morte. Tutti videro lo scandalo ripugnante e chiesero giustizia: per le ragazze povere contro i bellimbusti ricchi, per le borgate rosse contro i quartieri alti neri. Pasolini ci vide altro, e sfidò l’evidenza apparente. La stessa violenza capricciosa e compiaciuta covava dentro quel popolo che fino ad allora si era tenuto illeso dalla corruzione del consumismo e dello sviluppo... Eravamo stati amici e compagni, di Pasolini. Ora eravamo distanti. Rileggo la nostra reazione, di «rivoluzionari classisti», al delitto del Circeo: «Questi giovani cercano due ragazze per violentarle e poi buttarle via, massacrate. Cercano due ragazze, perché sia soddisfatta la loro potenza di maschi. Le cercano povere, perché sia soddisfatta la loro potenza di padroni... Confinare questa infamia nel fascismo è un’operazione di comodo... L’esasperazione della violenza indiscriminata e l’ideologia della catastrofe sono i due strumenti opposti ma convergenti per contagiare il proletariato, per far passare la propria fine come la fine di tutto. La seminazione del tribalismo, del razzismo, della violenza sessuale, dell’aggressività quotidiana dalla civiltà automobilistica al tifo sportivo, allo stato d’assedio poliziesco, della costrizione alla delinquenza comune, della distruzione pianificata della droga (un’industria di stato negli Usa, un’industria marciante in Italia) e dell’alcolismo, della paura e del culto della forza, tutto questo è parte del tentativo di coprire la guerra di classe con la guerra di tutti contro tutti.
Non c’entrano le idiozie sull’ingresso del nostro Paese nel novero dei Paesi maturi dell’imperialismo, sulla fine di una cultura e di una morale contadina, come di una cultura e di una morale borghese umanistica, secondo i temi reazionari degli esibizionisti dell’ideologia piccolo-borghese e dei nostalgici revisionisti del cattolicesimo...».Dicevamo queste cose, con un tono insolitamente aspro, contro il Pasolini del Corriere della sera: «Quanto a me, lo dico ormai da qualche anno che l’universo popolare romano è un universo odioso» scrisse nell’ultimo articolo dopo il delitto del Circeo. «La mia esperienza privata, quotidiana, esistenziale, che oppongo ancora una volta all’offensiva astrattezza e approssimazione dei giornalisti e dei politici che non vivono queste cose, mi insegna che non c’è più alcuna differenza vera verso il reale e nel conseguente comportamento tra borghesi dei Parioli e i sottoproletari delle borgate». Vedete l’orgogliosa rivendicazione di sé, della propria differenza da quelli «che non vivono». Pasolini rivendica di vivere ciò di cui gli altri tutt’al più parlano: getta nella mischia, a testimoniare e certificare le parole, il proprio corpo, ed è infine il suo corpo martoriato che lascerà sul terreno.
Avvenne così che le circostanze e il modo della sua morte ci caddero addosso come una sfida non più riparabile, come la prova definitiva della sua ragione. Non che noi fossimo ottimisti e lui pessimista. Piuttosto, pessimisti lui e noi, leggevamo nella sua sentenza drastica una lucidità «disfattista», la rinuncia a battersi ancora in nome di una solidarietà comune. Eravamo sempre rivoluzionari, ma sull’orlo di una crisi di nervi. Scrivemmo dopo la sua morte: «È contro questa visione della realtà che noi abbiamo molte volte polemizzato con Pasolini, senza alcun ottimismo pragmatico, senza alcun ottimismo "riformista", ma guardando a ciò che avviene ogni giorno nel proletariato: al modo in cui i giovani e i vecchi delle borgate di Roma hanno accompagnato i funerali di Rosaria Lopez... Pasolini aveva scritto una settimana fa su un quotidiano: "Guardate le facce dei giovani teppisti arrestati a Milano: vedrete dai loro tratti somatici che sono privi di pietà". Noi non crediamo alla corrispondenza fra i tratti somatici e i sentimenti». Ma Pasolini era stato un vero esperto di facce. Aveva trovato «adorabili» anche noi; quel suo aggettivo che Leonardo Sciascia dichiarava impraticabile da sé, se non per la sua donna e per Stendhal... Su quell’aggettivo costruì anche il suo involontario testamento, il saluto al congresso radicale che fu letto postumo: «a) Le persone più adorabili sono quelle che non sanno di avere dei diritti. b) Sono adorabili anche le persone che, pur sapendo di avere dei diritti, non li pretendono, e addirittura ci rinunciano».
Avevo riletto quel tremendo frangente della nostra vita pubblica e privata l’anno scorso, quando Valeria Gandus e Pier Mario Fasanotti, autori ben noti a lettrici e lettori di Panorama, pubblicarono un libro sui delitti degli anni 70 (Bang bang, Tropea), riservando due capitoli al Circeo e a Ostia. Né loro né io potevamo immaginare che i trent’anni da quella voragine sarebbero stati celebrati da uno degli assassini del Circeo torturando e assassinando due donne inermi, madre e figlia quattordicenne. Che cosa sia l’Italia di oggi, con che facce e che capigliature andiamo incontro al nostro prossimo in quest’altro novembre, non ci ricordiamo più di chiedercelo.
Adriano Sofri 15/11/2005
Fonte: Panorama