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Biografia, lavori in corso - a breve anche il 1974 e il 1975

martedì 28 dicembre 2021

1968 TEOREMA

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro




Le immagini di Pasolini e dei sui attori sul "set",  in questo post, sono di 
Angelo Frontoni - www.internetculturale.it
(Dal nostro inviato speciale)

Sta per accendersi lo schermo per la proiezione del film Teorema quando il suo autore, Pier Paolo Pasolini, sale sul palcoscenico: il film, egli annuncia, si proietta contro la sua volontà, perciò coloro che vogliono solidarizzare con lui contro questa decisione della Mostra, sono invitati ad uscire. Ciò è avvenuto nella sala grande del Palazzo del Cinema, stamane, all'inizio della proiezione riservata ai critici. All'appello di Pasolini, dieci o venti tra il pubblico abbandonano la sala al seguito di P.P.P.; ma i più rimangono. Teorema si proietta senza incidenti. Ma due ore dopo, conferenza stampa esplicativa. Sotto le piante, nel parco d'un grande albergo del Lido,

P.P.P., in piedi sopra un tavolo risponde al tiro incrociato di critici e cineasti delle più varie estrazioni: contestatori, antì-contestatori, rivoluzionari, ecc.

« Come mai »,

domanda il critico Paolo dì Valmarana, del giornale de II Popolo:

« come mai nel film c'è un personaggio che prima muore e poi lo si vede vivo di nuovo, anzi, intento al proprio seppellimento? ».

P.P.P.: « Non potrei rispondere, per non usare uno sgarbo a coloro che per solidarietà con me non hanno visto il film. Ma 
Valmarana è un amico, quel personaggio rivive perché la
morte è un'altra forma di vita ».

Regista Massobrio, contestatore: « Buffone, e noi che abbiamo disertato la sala? ».

P.P.P.: « Io non sono un maleducato ».

Giornalista: « Al suo invito, Pasolini, ha risposto solo una piccola parte dei critici. Lei pensa che coloro che hanno visto il film l'abbiano visto in omaggio a lei o per farle dispetto? ».

P.P.P.: « Quelli che sono rimasti in sala lo hanno fatto per ragioni professionali. Non li posso condannare, ma sarebbe
stato meglio se fossero usciti. Ringrazio coloro che sono usciti, chiedo scusa a coloro che han visto il film! ». « Dapprincipio, — continua P.P.P., — avevo deciso di spedire il film alla Mostra perché Chiarini m'aveva promesso che sarebbe stato un Festival senza premi, senza polizia, e che si sarebbe tenuta la costituente del cinema, tutte cose che non sono avvenute. E' per
questo che poi ho ritirato Teorema ».

Franco Rossellini, produttore del film, intervenendo: « Siamo stati tutt'e due d'accordo, Pasolini ed io, a decidere di mandare il film a Venezia. Poi, Pier Paolo lo ha ritirato per ragioni associative. Siamo in posizioni differenti, anche se continuiamo ad essere amici.
Siamo tutt'e due persone bene educate. I film, d'altro canto, si fanno per essere proiettati ».

Cineasta francese, contestatore: «Mi spieghi, Pasolini, se è contento che il suo film viene proiettato sotto la protezione della polizia, che lei ha esaltato in una poesia dì alcuni mesi fa... ».

P.P.P.
: « Lei non ha letto o ha letto male quella poesia! ».

Gidion Backman, critico: « Ci può spiegare, in concreto, quali sarebbero le sue proposte per il nuovo statuto del Festival? ».

P.P.P.
: « Di regolamenti non me ne intendo, ma penso che se lo Stato finanzia una mostra, questa mostra deve essere una manifestazione culturale. Se i produttori si vogliono fare un festival con film commerciali, se lo paghino, come si pagano i "caroselli " in televisione! ».
Franco Rossellini, produttore: « Non sono d'accordo!
Io sono un produttore e... ».

P.P.P.: «Naturalmente, quando parlo di produttori mi riferisco alla categoria nel suo insieme, non alla persona del produttore qui presente ».

Cineasta francese, corrente rivoluzionaria: « Perché, 
se Pasolini voleva veramente che il suo film non si
proiettasse, stamane non s'è attaccato al sipario, non ha strappato lo schermo, come hanno fatto i registi francesi al Festival di Cannes, per interromperlo? ».

Regista Maselli, contestatore: « La nostra associazione ha scelto il metodo della occupazione pacifica, che esclude la tattica del disturbo, che giudichiamo goliardica e poco seria. Per noi la battaglia
consisteva nel costringere la mostra a svelare le sue contraddizioni. C'è stata la mobilitazione di millecinquecento poliziotti intorno al Palazzo del Cinema. Ora s'è chiarito che la Mostra non è degli autori, ma dei produttori. Questo è un risultato positivo. Comunque, la nostra battaglia è appena incominciata. La continueremo In altra sede ».

Altro cineasta francese: «Lei doveva scegliere,
Pasolini, una posizione più radicale ».

P.P.P.: « Lei è uno di quegli uomini che pretende dagli altri la santità, per mettere a posto la sua coscienza! ».

Il cineasta francese di cui sopra: « No, non ho alcuna cattiva coscienza. Io, il suo film, Pasolini, non l'ho visto!
».

« Perché avevi dell'altro da fare! », gli grida un collega francese.

Un cineasta francese: « Stamane ha pregato i critici di allontanarsi dalla sala in segno di protesta. Farà altrettanto anche stasera con il pubblico normale? ».

P.P.P.
: « Sì, stasera intendo invitare il pubblico a non entrare in sala! ».

Così è finita la dimostrazione del più difficile teorema pasoliniano: questo suo pendolare va e vieni tra la Mostra e l'antimostra, culminato nell'autoboicottaggìo (simbolico) finale.

Sì corre da Chiarini
. « Pier Paolo Pasolini, se voleva davvero ritirare il suo film, doveva dirmelo in tempo, e non aspettare che io lo avessi già messo in catalogo. Io dirigo una mostra cinematografica, e non un circo equestre. Apprezzo Pasolini per il suo talento, ma non posso seguirlo nelle sue capriole ».

Soggiunge Chiarini: « Adesso Pasolini dice che
questa è la "Mostra dei poliziotti"; vuol dire che è la sua mostra, dato che ha esaltato i poliziotti in una sua poesia, chiamandoli "figli del popolo" ».

LA STAMPA 
Venerdì 6 Settembre 1968
Venezia, 5 settembre. 


1968 TEOREMA


Regia
di Pier Paolo Pasolini (aiuto regia: Sergio Citti)

Produzione: Franco Rossellini, Manolo Bolognini - Aetos Film

Distribuzione: Euro International Films

Soggetto e sceneggiatura: Pier Paolo Pasolini, dal romanzo Teorema (Milano, Garzanti, 1968)

Fotografia: Giuseppe Ruzzolini

Musica
: W.A. Mozart («Messa da Requiem»), Ennio Morricone

Fra gli interpreti

Terence Stamp, 
Silvana Mangano, 
Massimo Girotti, 
Laura Betti, 
Ninetto Davoli, 
Alfonso Gatto, 
Adele Cambria, 
Susanna Pasolini, 
Cesare Garboli (l’intevistatore del prologo) 

PRIMA PROIEZIONE:

4 settembre 1968: XXIX Mostra di Venezia

USCITA NELLE SALE:

7 settembre 1968: Roma, Cinema Fiamnma; 
10 settembre 1968: Torino, Cinema Cristallo.

STORIA
:

Film girato dalla fine di marzo al 15 maggio 1968 nei teatri di posa Aetos Film (Roma) e negli esterni di Milano, Lainate, cascina Torre Bianca (Pavia), Roma, valle dell’Etna. 
Premi: Coppa Volpi (XXIX Mostra di Venezia) per la migliore interpretazione femminile a Laura Betti; Navicella d’oro, Premio OCIC (XXIX Mostra di Venezia). 
Il film ebbe subito problemi giudiziari: il 6 settembre 1968 il film è approvato,
previo divieto ai minori di 18 anni, dalla commissione censura; il 13 settembre la Procura della Repubblica di Roma sequestra il film “per oscenità e per le diverse scene di amplessi carnali alcune delle quali particolarmente lascive e libidinose e per i rapporti omosessuali tra un ospite e un membro della famiglia che lo ospitava”. 
Il 14 ottobre la Procura della Repubblica di Genova emette analogo provvedimento. 
Il processo contro Pasolini e il produttore Donato Leoni, trasferito per competenza
territoriale a Venezia (dove si era svolta l’anteprima del film), si apre il 9 novembre 1968 con l’escussione del regista. Il Pubblico Ministero Luigi Weiss chiede la reclusione di sei mesi di entrambi gli imputati e la distruzione integrale dell’opera. 
Il 23 novembre 1968, dopo un’ora di camera di consiglio, il Tribunale di Venezia assolve Pasolini e Leoni dall’accusa di oscenità annullando il sequestro del film con la seguente sentenza: «Lo sconvolgimento che Teorema provoca non è affatto di tipo
sessuale, è essenzialmente ideologico e mistico. Trattandosi incontestabilmente di un’opera d’arte, Teorema non può essere sospettato di oscenità».


TRAMA:

...Teorema parla ancora di un’esperienza religiosa. Si tratta dell’arrivo di un visitatore divino dentro una famiglia borghese. Tale visitazione butta all’aria tutto quello che i borghesi sapevano di se stessi; quell’ospite è venuto per distruggere. L’autenticità, per usare una vecchia parola, distrugge l’inautenticità. Però quando egli se ne va, ognuno si ritrova con la coscienza della propria inautenticità e, in più, l’incapacità di essere autentico: per l’impossibilità classista e storica di esserlo. Così ognuno dei membri di questa famiglia ha una crisi, e il film finisce più o meno con la seguente morale: che qualunque cosa un borghese faccia, sbaglia. A parte
gli errori storici, infatti, come l’idea di Nazione, l’idea di Dio, l’idea di Chiesa confessionale eccetera, anche se la ricerca del borghese è sincera, intima e nobile, tuttavia è sempre sbagliata. Ma questa condanna della borghesia, mentre prima (prima, fino al 1967: è un dato autobiografico) era precisa, era ovvia, qui rimane «sospesa», perché la borghesia in realtà sta cambiando. L’indignazione e la rabbia contro la borghesia classica, come la si è sempre intesa, non ha più ragione di essere dal
momento in cui la borghesia sta cambiando rivoluzionariamente se stessa, cioè sta identificando tutto l’uomo al piccolo borghese. Ormai è tutta l’umanità che sta diventando piccolo borghese: e allora nascono delle nuove domande a cui è il borghese stesso che deve rispondere, e non più l’operaio oppure chi è all’opposizione. Ora a queste domande non possiamo rispondere né noi borghesi che siamo all’opposizione, né il borghese «naturale» stesso. Ecco perché il film
rimane «sospeso», e finisce con una specie di urlo, che nella sua irrazionalità pura significa questa sospensione. Quindi vi sono in esso dei motivi politici, ideologici (mettiamo il rapporto tra religione e contestazione politica, la rabbia antiborghese, eccetera, tipici anche di Uccellacci e uccellini), che saranno chiari solamente a film finito. 


BIBLIOGRAFIA
:

- P.P. Pasolini, Teorema, Milano, Garzanti, 1968 (22 marzo). Romanzo.



...La storia dell’idea di Teorema è molto curiosa e significativa. Circa tre anni fa ho cominciato a scrivere, per la prima volta in vita mia, delle cose di teatro; ho scritto quasi contemporaneamente sei tragedie in versi e Teorema era, come prima idea, una tragedia in versi, la
settima. Avevo già cominciato a elaborarla come tragedia, come dramma in versi; poi ho sentito che l’amore tra questo visitatore divino e questi personaggi borghesi era molto più bello se silenzioso. Questa idea mi fatto pensare che allora forse era meglio farne un film, ma mi sembrava che come film fosse irrealizzabile e, in un primo momento, ho buttato giù un racconto che è rimasto molto schematico e, nella prima stesura, molto rozzo; poi l’ho elaborato come sceneggiatura e
contemporaneamente ho anche modificato questo primo canovaccio di appunti che è diventato un’opera letteraria abbastanza autonoma. Quindi Teorema ha due momenti: un primo momento teatrale, che poi è caduto, e un secondo momento che si è diviso in due rami; uno cinematografico e uno letterario. Dunque si tratta di un rapporto stranissimo tra letteratura e cinema... 



"Teorema": l’irrimediabilità della Borghesia
di Alessandro Barbato, 2005 

I
l mio itinerario prende le mosse da Teorema: pellicola che alla sua uscita nelle sale, nel 1968, sollevò il solito pretestuoso codazzo di rabbiose polemiche che accompagnava ogni iniziativa 
pasoliniana, e che subì addirittura il veto censorio della magistratura che la pose sotto sequestro per oscenità. Quello che più disturbava l’opinione pubblica era, probabilmente, la connessione espressa dal regista tra la dimensione del sacro e la sfera della sessualità, con un modo di procedere
per analogia che oggi è di gran lunga accettato e condiviso. Il film voleva essere una dimostrazione matematica per absurdum che partiva dalla seguente domanda: «Se una famiglia borghese venisse 
visitata da un giovane dio, fosse Dioniso o Jehova, che cosa succederebbe?».
La tesi pasoliniana è che l’irruzione del sacro, inteso come potenza superindividuale – proprio per questo occultata dalla prassi borghese ontologicamente individualista – in un
contesto rigido ed autoreferenziale come quello rappresentato da una famiglia borghese, metterebbe in crisi il corso irreale e pacato dell’esistenza che i suoi componenti conducevano adagiandosi su una falsa idea del mondo e di se stessi. L’incontro con il divino paleserebbe l’inautenticità di tali esistenze, 
consegnandole ad un vuoto perpetuo che nasce proprio dall’incapacità dell’uomo borghese di stabilire un rapporto dialogico con tutto 
quello che non può essere ricondotto
alla sua ‘Ragione Dominante’; vale a dire quella ragione di matrice illuminista che guida l’ordine falsamente razionale del mondo moderno, e che viene appunto ‘smascherata’ una volta posta di fronte al mistero del sacro.
In effetti, il giovane ospite che arriva a disturbare la quiete della ricca famiglia appartenente alla borghesia industriale milanese, colui che rappresenta il divino e che viene non a caso annunciato da un etereo postino di nome Angelo, sovverte l’ordine immutabile del profano mondo borghese, fatto di divieti e tabù, con la trasgressione totalmente fisica dell’atto sessuale che consuma con tutti i componenti del nucleo familiare, in modo che i protagonisti prendano improvvisamente coscienza della scarsa consistenza delle loro esistenze.
Analizzando la mentalità borghese, il regista alludeva
a quella che venne da lui definita ‘sostituzione’ dell’idea di anima con quella di coscienza: un avvicendamento che comporta la riduzione dell’ampiezza dell’anima ed un irrigidimento dell’io in una forma di coscienza dogmatica portata ad 
escludere tutto ciò da cui, in un certo senso, essa è emersa. Il riferimento, chiaro, è alla teoria dell’archetipo così come essa venne formulata in testi come Prolegomeni ad uno studio scientifico della mitologia, saggio che nacque dalla collaborazione tra C.G. Jung e lo storico delle religioni K. Kerényi, e che, con tutta probabilità, Pasolini conosceva, essendo stato pubblicato per la prima volta in Italia nel 1948 da Einaudi nell’ambito della Collana viola, diretta da Pavese e de Martino, di cui il Nostro era appunto un appassionato lettore. Non v’è dubbio inoltre che anche Pasolini credeva nell’esistenza di una zona oscura dell’essere umano, eterna e intemporale, a cui
era possibile 
accedere soltanto grazie alla mediazione della mitopoiesi;  un’attività che però «non va confusa con la logica piatta o con la razionalità di tipo borghese».
Partendo da queste premesse Pasolini nel suo film, assumendo come modello di riferimento Horkheimer, contrappone la ‘Ragione Oggettiva’, una sorta di attività conoscitiva capace di sondare l’inconscio mediante l’esercizio della poesia, alla ‘Ragione Dominante’ di matrice borghese. Quest’ultima, per perpetuarsi, deve procedere all’omologazione di ogni diversità, trovando però, nella radicale alterità rappresentata dall’esperienza del sacro, la miccia che fa esplodere i muri delle sue convenzioni. Va comunque sottolineato come l’ospite che piomba nella villa di Pietro, il ricco industriale, e della sua famiglia, non abbia alcun carattere soprannaturale: egli si limita a rimanere in disparte leggendo
continuamente l’opera omnia di Rimbaud, attirando con il suo atteggiamento la 
curiosa attenzione dei padroni di casa, desiderosi di inglobare ciò che gli si sottrae, e della serva Emilia che, proprio perché estranea alla classe borghese, sarà l’unica alla fine a proiettarsi miracolosamente nella sacralità e a sollevarsi al di sopra della coscienza individuale. 
Dopo aver incontrato l’Ospite, Emilia si ritira nel borgo rurale da cui proveniva, 
rimanendo immobile su una panchina e
cibandosi solo di ortiche: l’ascesi la solleverà sui tetti delle case e la condurrà poi a farsi sotterrare viva nel grembo della terra, con un gesto che allude alla morte proprio laddove sorge 
la vita, concretizzando così la tanto agognata coincidenza degli opposti teorizzata da Jung e Kerényi. Le sue lacrime saranno una fonte dai poteri taumaturgici che guarirà la ferita di un operaio giunto nel frattempo nel cantiere in cui avviene la materializzazione del
miracolo; evento così estraneo alla 
mentalità borghese da essere per questo rappresentato dal regista in maniera volutamente grottesca, ed in antitesi con la vicenda della ricca famiglia

Pietro, il padre, rimane alla fine solo e nudo come un  animale, così come bestiale è l’urlo disperato che lancia nel suo triste peregrinare, urlo che «è destinato a durare oltre ogni possibile fine»; per gli altri membri della famiglia si realizza invece un vero e proprio
‘tradimento’ dell’esperienza avuta: 
essi sono del tutto incapaci di cercare una via che non sia quella della realizzazione individuale: così la moglie di Pietro si perde in un atteggiamento erotomane, che riproduce nella forma ma non nella sostanza l’incontro avuto con l’Ospite, prima di ritornare al suo vuoto ritualismo cattolico; la figlia Odetta, perduto il culto della famiglia per il quale aveva sempre vissuto, cade in uno stato catatonico ed è rinchiusa in una clinica; 
Paolo invece, l’altro figlio, cerca di
sublimare l’esperienza avuta, esperienza che gli ha rivelato la sua diversità, nell’arte: ma dopo un delirio in cui emerge tutta l’inefficacia del discorso artistico contemporaneo, perdutosi nello sterile tecnicismo delle neoavanguardie, scoppia in un lamento infantile ed autodistruttivo. 
Nonostante la propensione di Pasolini per il misticismo, la sua opera è tutt’altro che un elogio dell’irrazionalità: essa si propone piuttosto di dimostrare
la pochezza della ragione individuale borghese di fronte alla forza universale del sacro: forza che diviene lo strumento per unire in un’unica condanna tanto il dominio della classe egemone, quanto le forze ad esso antagoniste, le quali riproducono essenzialmente, in campo artistico così come in quello politico, le stesse strutture mentali che si illudono invece di combattere. Il sacro è quindi proposto come metafora di qualcosa che sia realmente avulso dalla logica di dominio e di possesso tipica del pensiero
borghese, come una potenza capace di scuotere quei rigidi pregiudizi ‘illuministi’ che conducono alla rimozione totale dell’alterità, e dunque a quell’omologazione tanto temuta. 
Il teorema poetico e politico di Pasolini è pertanto la dimostrazione dell’impossibilità del borghese ad essere in un altro modo che non sia il suo, ma allo stesso tempo segnala anche quello che è l’ormai irreversibile tramonto di ogni possibilità di rinnovamento sociale ed artistico, rinnovamento che per l’autore doveva saper far coesistere modernità e tradizione, e che non aveva più nelle classi subalterne – destinate tutt’al più ad autoseppellirsi come la serva Emilia – il fulcro sul quale poggiarsi per ripartire. L’utopia negativa che indubbiamente traspare nell’opera esaminata non impedirà al regista di proseguire la sua attività di denuncia dell’«universo orrendo», simile ad una «nuova preistoria», in cui egli vede piombata
l’umanità occidentale; dopo Teorema egli proseguirà il suo cammino artistico con un film che ripropone, ampliandole, le stesse tematiche: si tratta di Porcile, film che il regista considerava uno dei suoi prodotti migliori, e su cui ora conviene concentrare 
l’attenzione.


Inchiesta sulla santità
Tratto da teorema libro, Garzanti 1969
 
Il lettore dovrà a questo punto compiere un difficile e forse non gradevole ripiegamento, dal corso della storia, al suo fondo: cosa che comporta una interruzione, naturalmente arida e prosaica, come ogni consuntivo.
E com'è brutto, banale e inutile il significato di ogni parabola, senza la parabola!
Ciò che il miracolo della santa ha portato intorno al casolare, non è
nient'altro, del resto, in conclusione, che una grande e variopinta folla contadina: la stessa che si vede, la domenica, nei santuari. I cortili ne sono così gremiti che si scorge a stento Emilia, seduta in fondo, sulla sua panca. Essa ha in testa uno scialle nero, che le nasconde i capelli verdi.

Insieme alla folla, è arrivato un giornalista, col taccuino e col registratore (se non è addirittura un cronista, con la macchina da presa).
Egli - e gli si legge in faccia la cattiva coscienza - ha evidentemente delle domande da fare a tutta quella gente, e si guarda intorno a cercare i « personaggi » adatti: ci sono povere massaie arrossate dal freddo e dalla fatica, degli uomini annichiliti da una vita trascorsa tra le marcite e gli argini della Bassa, sotto i nebbioni e le nuvole ghiacce e basse, e i magri soli; ma ci sono anche dei gruppi di borghesi, degli intellettuali, e soprattutto delle signore.
Ed è a proposito di questa inchiesta, che il lettore dovrà appunto subire la violenza - ripetiamo, forse ingiustificata - di una interpolazione. Si tratta della serie di domande che il giornalista rivolge alla gente radunata nei cortili del casale: inserto, per di più, appartenente a un genere di linguaggio usato nel commercio culturale quotidiano - i giornali, la televisione - e, meglio che dozzinale, addirittura volgare. Le domande dell'inchiesta, sono circa le seguenti:

« Lei crede nei miracoli? E chi è che li compie? Dio? E perché? Perché non a tutti o attraverso tutti? »

« Lei crede che Dio faccia miracoli solo a chi crede, o attraverso chi crede veramente? »

« Se Dio si rivelasse con un miracolo a lei, pensa che lei... la sua natura... si altererebbe? Oppure lei resterebbe com'era prima del miracolo? »

« Pensa che ci sarebbe un cambiamento in lei? In tal caso, sarebbe più importante il miracolo stesso, o il cambiamento - avvenuto in conseguenza del miracolo - della sua natura umana? »

« Per quale ragione, secondo lei, Dio ha scelto una povera donna del popolo per manifestarsi attraverso il miracolo? »

« Per la ragione che i borghesi non possono essere veramente religiosi? »

« Non in quanto credano o credano di credere... ma in quanto non possiedano un reale sentimento del sacro? »

« Così anche supponendo l'intervento di un miracolo a mettere un borghese, forzatamente, alla presenza di ciò che è diverso, e quindi a rimettere in discussione quell'idea falsa di sé, che egli ha fondato sulla cosiddetta normalità - potrebbe, in questo caso, il borghese giungere a un sentimento religioso vero? »
«No? Ogni esperienza religiosa si riduce
quindi nel borghese a una esperienza morale? »

«Il moralismo è la religione (quando c'è) della borghesia? »

« Dunque il borghese... ha sostituito l'anima con la coscienza? »

« Ogni antica situazione religiosa si trasforma automaticamente in lui in un semplice caso di coscienza? »

« Allora, è la religione metafisica che si è perduta, trasformandosi in una specie di religione del comportamento? »

« Sarebbe forse, questo, il risultato
dell'industrializzazione e della civiltà piccolo borghese? »

« Così qualunque cosa accada a un borghese, anche un miracolo o un'esperienza divina d'amore, non potrebbe mai resuscitare in lui l'antico sentimento metafisico delle età contadine? Divenendo invece in lui un'arida lotta con la propria coscienza? »

« L'anima aveva come scopo la salvezza: ma la coscienza? »

«Il Dio... in nome del quale questa figlia di contadini tornata dalla città dove aveva fatto la serva... fa dei miracoli... non è un Dio antico... appunto
contadino... biblico e un po' folle? »

« Dunque mentre questa santa contadina si può salvare, sia pure in una sacca storica, nessun borghese invece si può salvare, né come individuo né come collettività? Come individuo, perché non ha più un anima ma solo una coscienza - nobile magari, ma per sua stessa natura, gretta e limitata -; come collettività perché la sua storia si sta esaurendo senza lasciare tracce, trasformandosi da storia delle prime industrie a storia della completa industrializzazione del mondo? »

« Ma il nuovo tipo di religione che allora nascerà (e se ne vedono già nelle
nazioni più avanzate i primi segni) non avrà nulla a che fare con questa merda (scusi la parola) che è il mondo borghese, capitalistico o socialista, in cui viviamo? »

« E che senso ha che i suoi miracoli avvengano in questo angolo sopravvissuto di un mondo contadino?»

« Dunque la religione sopravvive ormai, come fatto autentico, soltanto nel mondo contadino, cioè... nel Terzo Mondo? »

« Questa santa matta, alle porte di Milano, in vista delle prime fabbriche, non vuol dire questo? »

« Essa non è una terribile accusa vivente contro la borghesia che ha ridotto (nel migliore dei casi) la religione a un codice di comportamento? »




@Eretico e Corsaro - Le Pagine Corsare

Curatore, Bruno Esposito

Grazie per aver visitato il mio blog

4 commenti:

  1. sul tema anima coscienza religione santita...nel 2020 Pasolini che avrebbe scritto secondo lei?

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  2. Una domanda troppo articolata per avere una risposta sintetica. Mah, abbozzo - Se per anima intende quella che sopravvive alla vita terrena, avrebbe detto quello che ha sempre detto... sono ateo - religione e santità sono importanti per chi crede... mentre la coscienza apre un discorso troppo vasto per una sintetica risposta.

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