"Le pagine corsare "
dedicate a Pier Paolo Pasolini
Eretico e Corsaro
1967 LA TERRA VISTA DALLA LUNA
(3° episodio de LE STREGHE)
(3° episodio de LE STREGHE)
( Le immagini della sceneggiatura a fumetti sono tratte da Pier Paolo Pasolini per Il cinema, tomo primo, I meridiani Mondadori a cura di Walter Siti e Franco Zambagli )
Secondo episodio: Senso civico di Mauro Bolognini;
Terzo episodio: La Terra vista dalla Luna di Pier Paolo Pasolini;
Quarto episodio: La siciliana di Francesco Rosi;
Quinto episodio: Una serata come le altre di Vittorio De Sica.
Regia: Pier Paolo Pasolini (aiuto regia: Sergio Citti);
Soggetto e sceneggiatura: Pier Paolo Pasolini, dal racconto inedito Il buro e la bura.
fotografia: Giuseppe Rotunno;
scenografia: Mario Garbuglia, Piero Poletto;
costumista: Piero Tosi;
musiche originali: Ennio Morricone;
montaggio: Nino Baragli;
assistente alla regia: Vincenzo Cerami;
sculture: Pino Zac;
interpreti e personaggi:
Totò (Ciancicato Miao);
Ninetto Davoli (Baciù Miao);
Silvana Mangano (Assurdina Caì);
Mario Cipriani (un prete);
Laura Betti (un turista);
Luigi Leoni (la moglie del turista);
produzione: Dino De Laurentiis Cinematografica, Roma/Les Productions Artistes Associés, Paris;
produttore: Dino De Laurentiis;
formato: 35 mm., colore,1:1.85;
macchine da presa: Arriflex;
distribuzione: Dear Film/United Artists Europa;
riprese: novembre 1966, esterni: Roma, Ostia, Fiumicino;
durata: 31’ (858 m)
USCITA NELLE SALE:
22 febbraio 1967: Milano, Cinema Capitol;
23 febbraio 1967: Roma: Imperial Cine, Triomphe.
Partecipa al Festival di Berlino il 23 febbraio 1967.
Pasolini non scrisse una vera e propria sceneggiatura
dell’episodio: elaborò le scene del film disegnandole in forma di fumetti. Anzi, lo scrittore propose a Garzanti un libro tutto a fumetti che illustrasse, ancora prima di realizzarla, la sua ultima opera cinematografica.
La storia ha inizio in un cimitero di periferia, dove Ciancicato Miao (Totò), impiegato comunale, e suo figlio Baciù (Ninetto Davoli), due uomini dagli inverosimili capelli color rame che vivono in un futuro imprecisato, piangono la morte della moglie-madre Crisantema, deceduta per ingestione di funghi avvelenati, presso la cui tomba hanno costruito una grossolana statua che la immortala come eterna casalinga con tanto di mattarello alla mano. Appena terminata la breve e grottesca lamentazione funebre, i due, constatato che Totò, impiegato comunale con casa di proprietà, ha “ancora qualche cartuccia da sparare”, decidono di intraprendere un viaggio alla ricerca della Donna, madre e moglie, che possa diventare, per unanime elezione, la nuova anima femminile della loro infame catapecchia: una baracca blu perduta in mezzo ad una radura piena di baracche basse, in tutto e per tutto simile a una bidonville africana. Così, nella desolazione di un’infinita borgata senza storia, attraversata di tanto in tanto da una coppia di turisti stranieri vestiti da safari, con macchina fotografica alla mano (Laura Betti nella parte del marito e Luigi Leoni in quella della moglie), i due pellegrini prendono ad esaminare tutte le donne che incontrano sul cammino, sperando di individuare in una di queste la nuova regina del focolare. Ciancicato e Baciù incontrano dapprima una vedova isterica, che li prende a ombrellate non appena i due le si avvicinano ammiccanti; in seguito s’imbattono in una prostituta (la quale, nella sua schiava libertà, non può essere di nessuno), che alle profferte di Ciancicato risponde con un laconico e indolente “mille”; e infine, quando gli sembra di avere trovato, all’angolo di una strada, la bellezza perfetta, scoprono con grande delusione che si tratta soltanto di un manichino. Padre e figlio cadono in una profonda disperazione, e così, fuori di ogni senso, se ne passa il loro viaggio nel tempo, finché non si imbattono in una donna bellissima dai capelli vagamente verdi e il viso bianchissimo (Silvana Mangano), inginocchiata in strada di fronte all’altarino votivo di un santo. La donna, nel suo impenetrabile silenzio, appare ai Miao come una vera e propria Dea. Ciancicato cerca invano di comunicarle qualcosa, la invoca, le supplica di parlare, ma la donna lo guarda e tace. Poi Ciancicato le offre una banana, che la donna divora in tutta fretta. Il ghiaccio è rotto, ma la donna continua a non parlare. Passa un aeroplano, rompe il muro del suono, e la donna (che scopriremo chiamarsi Assurdina Caì) non reagisce all’esplosione. I Miao ne deducono che è sordomuta. Per farle la proposta di matrimonio, Ciancicato deve argomentare più volte gestualmente, e prometterle la serenità del focolare domestico senza dirle una sola parola. La donna, commossa e affamata, accetta la proposta. Si celebra così, in tutta fretta, dentro una chiesa vuota, sulle note di Va’ pensiero suonata con l’armonica a bocca da Baciù, con un gatto come unico testimone e un prete sbrigativo che al posto del rituale “la messa è finita” gli dice «state bene, buonasera», il matrimonio di Ciancicato e Assurdina. L’unità della famiglia sembra ristabilita, e Assurdina viene condotta nella sua domestica reggia, nella baracca blu, dove traboccano decine di inutili carabattole, rottami di un tempo ormai perduto: un teschio umano, una bandiera, un cinesino che vende cravatte, una bomba a mano, una radio, e una fotografia di Charlie Chaplin, di fronte alla cui grazia anche l’atarassica Assurdina sussulta. Grazie alle infaticabili virtù “femminili” della donna, con dei gesti accelerati come in una comica del cinema muto, l’orrenda bicocca si trasforma in una bicocca piena di graziosa, ordinata armonia domestica. Ma il sogno che fu di Mamma Roma, il miraggio di un benessere maggiore, attanaglia in breve la neonata famiglia Miao. Secondo la più bieca logica consumistica, raggiunta la stabilità familiare, pretendono di più: vogliono comprare una casa bella perlomeno come la Dea che la ha in cura. E così, Ciancicato e Baciù architettano un piano per fare soldi. Assurdina viene costretta a “lavorare”: deve orchestrare assieme a loro un finto tentativo di suicidio. Dall’alto delle arcate del Colosseo, minaccerà silenziosamente di uccidersi, se la società non la aiuterà a sopravvivere. Ciancicato e Baciù, aiutati da un gruppo di compari, raccoglieranno la colletta tra gli astanti. Mentre questa blasfema rappresentazione ha luogo, sopraggiungono di nuovo i due turisti armati di macchina fotografica, sempre a caccia di emozioni “tipiche”, i quali, dopo essersi arrampicati in cima al Colosseo, gettano via una buccia di banana, su cui, inevitabilmente, la povera Assurdina scivola precipitando nel vuoto. La disperazione dei due Miao (a cui fanno da contrappunto le risate dei “compari” che raccoglievano la colletta) si unisce ora ad un lancinante senso di colpa. Altra tomba, altra statua, altro pianterello, altra lapide votiva sgrammaticata. Ma quando tornano stremati dal dolore alla loro bicocca, Ciancicato e Baciù ritrovano Assurdina, vestita da sposa, candida come una Madonna, serenamente intenta ad attenderli, sorridente come sempre, chiusa nel suo immutato silenzio. Dapprima Ciancicato e Baciù fuggono terrorizzati, poi, a ora di pranzo, allettati dalla pasta di Assurdina, si fanno coraggio, e prendono a interrogare l’apparizione. Constatato che Assurdina, anche da morta, può comunque mangiare, bere, cucinare, lavare i panni, fare i bisogni e andare a letto con Ciancicato, i due Miao gioiscono: «È la felicità, è la felicità!» – urla tripudiante Ciancicato. Appare in didascalia la “morale”: «Essere morti o essere vivi è la stessa cosa».
Pasolini non scrisse una vera e propria sceneggiatura
La storia ha inizio in un cimitero di periferia, dove Ciancicato Miao (Totò), impiegato comunale, e suo figlio Baciù (Ninetto Davoli), due uomini dagli inverosimili capelli color rame che vivono in un futuro imprecisato, piangono la morte della moglie-madre Crisantema, deceduta per ingestione di funghi avvelenati, presso la cui tomba hanno costruito una grossolana statua che la immortala come eterna casalinga con tanto di mattarello alla mano. Appena terminata la breve e grottesca lamentazione funebre, i due, constatato che Totò, impiegato comunale con casa di proprietà, ha “ancora qualche cartuccia da sparare”, decidono di intraprendere un viaggio alla ricerca della Donna, madre e moglie, che possa diventare, per unanime elezione, la nuova anima femminile della loro infame catapecchia: una baracca blu perduta in mezzo ad una radura piena di baracche basse, in tutto e per tutto simile a una bidonville africana. Così, nella desolazione di un’infinita borgata senza storia, attraversata di tanto in tanto da una coppia di turisti stranieri vestiti da safari, con macchina fotografica alla mano (Laura Betti nella parte del marito e Luigi Leoni in quella della moglie), i due pellegrini prendono ad esaminare tutte le donne che incontrano sul cammino, sperando di individuare in una di queste la nuova regina del focolare. Ciancicato e Baciù incontrano dapprima una vedova isterica, che li prende a ombrellate non appena i due le si avvicinano ammiccanti; in seguito s’imbattono in una prostituta (la quale, nella sua schiava libertà, non può essere di nessuno), che alle profferte di Ciancicato risponde con un laconico e indolente “mille”; e infine, quando gli sembra di avere trovato, all’angolo di una strada, la bellezza perfetta, scoprono con grande delusione che si tratta soltanto di un manichino. Padre e figlio cadono in una profonda disperazione, e così, fuori di ogni senso, se ne passa il loro viaggio nel tempo, finché non si imbattono in una donna bellissima dai capelli vagamente verdi e il viso bianchissimo (Silvana Mangano), inginocchiata in strada di fronte all’altarino votivo di un santo. La donna, nel suo impenetrabile silenzio, appare ai Miao come una vera e propria Dea. Ciancicato cerca invano di comunicarle qualcosa, la invoca, le supplica di parlare, ma la donna lo guarda e tace. Poi Ciancicato le offre una banana, che la donna divora in tutta fretta. Il ghiaccio è rotto, ma la donna continua a non parlare. Passa un aeroplano, rompe il muro del suono, e la donna (che scopriremo chiamarsi Assurdina Caì) non reagisce all’esplosione. I Miao ne deducono che è sordomuta. Per farle la proposta di matrimonio, Ciancicato deve argomentare più volte gestualmente, e prometterle la serenità del focolare domestico senza dirle una sola parola. La donna, commossa e affamata, accetta la proposta. Si celebra così, in tutta fretta, dentro una chiesa vuota, sulle note di Va’ pensiero suonata con l’armonica a bocca da Baciù, con un gatto come unico testimone e un prete sbrigativo che al posto del rituale “la messa è finita” gli dice «state bene, buonasera», il matrimonio di Ciancicato e Assurdina. L’unità della famiglia sembra ristabilita, e Assurdina viene condotta nella sua domestica reggia, nella baracca blu, dove traboccano decine di inutili carabattole, rottami di un tempo ormai perduto: un teschio umano, una bandiera, un cinesino che vende cravatte, una bomba a mano, una radio, e una fotografia di Charlie Chaplin, di fronte alla cui grazia anche l’atarassica Assurdina sussulta. Grazie alle infaticabili virtù “femminili” della donna, con dei gesti accelerati come in una comica del cinema muto, l’orrenda bicocca si trasforma in una bicocca piena di graziosa, ordinata armonia domestica. Ma il sogno che fu di Mamma Roma, il miraggio di un benessere maggiore, attanaglia in breve la neonata famiglia Miao. Secondo la più bieca logica consumistica, raggiunta la stabilità familiare, pretendono di più: vogliono comprare una casa bella perlomeno come la Dea che la ha in cura. E così, Ciancicato e Baciù architettano un piano per fare soldi. Assurdina viene costretta a “lavorare”: deve orchestrare assieme a loro un finto tentativo di suicidio. Dall’alto delle arcate del Colosseo, minaccerà silenziosamente di uccidersi, se la società non la aiuterà a sopravvivere. Ciancicato e Baciù, aiutati da un gruppo di compari, raccoglieranno la colletta tra gli astanti. Mentre questa blasfema rappresentazione ha luogo, sopraggiungono di nuovo i due turisti armati di macchina fotografica, sempre a caccia di emozioni “tipiche”, i quali, dopo essersi arrampicati in cima al Colosseo, gettano via una buccia di banana, su cui, inevitabilmente, la povera Assurdina scivola precipitando nel vuoto. La disperazione dei due Miao (a cui fanno da contrappunto le risate dei “compari” che raccoglievano la colletta) si unisce ora ad un lancinante senso di colpa. Altra tomba, altra statua, altro pianterello, altra lapide votiva sgrammaticata. Ma quando tornano stremati dal dolore alla loro bicocca, Ciancicato e Baciù ritrovano Assurdina, vestita da sposa, candida come una Madonna, serenamente intenta ad attenderli, sorridente come sempre, chiusa nel suo immutato silenzio. Dapprima Ciancicato e Baciù fuggono terrorizzati, poi, a ora di pranzo, allettati dalla pasta di Assurdina, si fanno coraggio, e prendono a interrogare l’apparizione. Constatato che Assurdina, anche da morta, può comunque mangiare, bere, cucinare, lavare i panni, fare i bisogni e andare a letto con Ciancicato, i due Miao gioiscono: «È la felicità, è la felicità!» – urla tripudiante Ciancicato. Appare in didascalia la “morale”: «Essere morti o essere vivi è la stessa cosa».
da S. Murri, Pier Paolo Pasolini,
Il Castoro-l'Unità 1995
Lettera a Livio Garzanti, gennaio 1967 - ora in Pier Paolo Pasolini, Lettere 1955/1975 - a cura di Nico Naldini |
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