"Le pagine corsare "
dedicate a Pier Paolo Pasolini
Eretico e Corsaro
Pasolini, lo sguardo di un Poeta.
Di Maria Vittoria Chiarelli
"Ma la Bellezza è Bellezza, e non mente": un breve viaggio attraverso la Roma di Pasolini, alla ricerca di una bellezza che è verità umana, lontana da ogni forma stereotipata, dove la vita non sa di se stessa se non che è vita, una realtà popolare la cui coscienza di sé avrebbe potuto aprire altri scenari per un Progresso autentico, non certo la cieca sottomissione ad un potere che ha negato e distrutto la sua natura, spazzando via una cultura radicata nei secoli, sostituendola con modelli e stili di comportamento a lei estranei che con la loro pervasività monopolizzatric e, falsamente permissiva e democratica, hanno generato intolleranza e violenza.
"Alle volte è dentro di noi qualcosa
(che tu sai bene, perché è la poesia)
qualcosa di buio in cui si fa luminosa
la vita: un pianto interno, una nostalgia
gonfia di asciutte, pure lacrime.
Camminando per questa poverissima via
di Casarola, destinata al buio, agli acri
crepuscoli dei cristiani inverni,
ecco farsi, in quel pianto, sacri
i più comuni, i più inutili, i più inermi
aspetti della vita: quattro case
di pietra di montagna, con gli interni
neri di sterile miseria - una frase
sola sospesa nella triste aria,
secco odore di stalla, sulla base
del gelo mai estinto - e, onoraria,
timida, l'estate: l'estate, con i corpi
sublimi dei castagni, qui fitti, là rari,
disposti sulle chine - come storti
o giganti - dalla sola Bellezza..."
( PPP da "La Guinea" in Poesia in forma di rosa" ).
"...vengono Mamma Roma e suo figlio,
verso la casa nuova, tra ventagli
di case, là dove il sole posa ali
arcaiche: che sfondi, faccia pure
di questi corpi in moto statue
di legno, figure masaccesche
deteriorate, con guancia bianche
bianche, e occhiaie nere opache
- occhiaie dei tempi delle primule,
delle ciliege, delle prime invasioni
barbariche negli << ardenti
solicelli italici >>...Sono altari
queste quinte dell'Ina-Casa,
in fuga nella Luce Bullicante,
a Cecafumo. Altari della gloria
popolare..."
( da "Poesie mondane, op.cit. ).
"Un solo rudere, sogno di un arco,
di una volta romana o romanica,
in un prato dove schiumeggia un sole
il cui calore è calmo come un mare:
lì ridotto, il rudere è senza amore. Uso
e liturgia, ora profondamente estinti,
vivono nel suo stile - e nel sole -
per chi ne comprenda presenza e poesia.
Fai pochi passi, e sei sull'Appia
o sulla Tuscolana: lì tutto è vita,
per tutti. Anzi, meglio è complice
di quella vita, chi stile e storia
non ne sa..."
( da Poesie mondane, op.cit. ).
"Stupenda e misera città,
che m’hai insegnato ciò che allegri e feroci
gli uomini imparano bambini
le piccole cose in cui la grandezza
della vita, in pace si scopre, come
andare duri e pronti nella ressa […]
[…] Stupenda e misera
città che mi hai fatto fare
esperienza di quella vita
ignota: fino a farmi scoprire
ciò che, in ognuno, era il mondo.
( da "Pianto di una scavatrice" in "Le Ceneri di Gramsci" ).
"Dove vai per le strade di Roma,
sui filobus o i tram in cui la gente
ritorna? In fretta, ossesso, come
ti aspettasse il lavoro paziente
da cui a quest' ora gli altri rincasano?
È il primo dopocena, quando il vento
sa di calde miserie familiari
perse nelle mille cucine, nelle
lunghe strade illuminate,
su cui più chiare spiano le stelle."
( da "Serata romana", in "La religione del mio tempo ).
"E io guardo, camminando per i lastrico
slabbrati, d'osso, o meglio odoro,
prosaico ed ebbro - punteggiato d'astri
invecchiati e di finestre sonore -
il grande rione popolare :
la buia estate lo indora,
umida, tra le sporche zaffate
che il vento piovendo dai laziali
prati spande su rotaie e facciate.
E come odora, nel caldo così pieno
da esser esso stesso spazio,
il muraglione, qui sotto:
da ponte Sublicio fino al Gianicolo
il fetore si mescola all'ebbrezza
della vita che non è vita.
Impuri segni che di qui sono passati
vecchi ubriachi di Ponte, antiche
prostitute, frotte di sbandata
ragazzaglia: impure traccie
umane che, umanamente infette,
son lì a dire, violente e quiete,
questi uomini, i loro bassi diletti
innocenti, le loro misere mete".
( da "Serata romana", in op.cit. ).
" Vanno verso le Terme di Caracalla
giovani amici, a cavalcioni
di Rumi o Ducati, con maschile
pudore e maschile impudicizia,
nelle pieghe calde dei calzoni
nascondendo indifferenti, o scoprendo,
il segreto delle loro erezioni...
Con la testa ondulata, il giovanile
colore dei maglioni, essi fendono
la notte, in un carosello
sconclusionato, invadono la notte,
splendidi padroni della notte...
Va verso le Terme di Caracalla,
eretto il busto, come sulle natìe
chine appenniniche, fra tratturi
che sanno di bestia secolare e pie
ceneri di berberi paesi - già impuro
sotto il gaglioffo basco impolverato,
e le mani in saccoccia - il pastore migrato
undicenne, e ora qui, malandrino e giulivo
nel romano riso, caldo ancora
di salvia rossa, di fico e d'ulivo...
Va verso le Terme di Caracalla,
il vecchio padre di famiglia, disoccupato,
che il feroce Frascati ha ridotto
a una bestia cretina, a un beato
con nello chassì un ferrivecchi
del suo corpo scassato, a pezzi,
rantolanti: i panni, un sacco,
che contiene una schiena un po' gobba,
due coscie certo piene di croste,
i calzonacci che gli svolazzano sotto
le saccoccie della giacca pese
di lordi cartocci. La faccia
ride: sotto le ganasce, gli ossi
masticano parole, scrocchiando :
parla da solo, poi si ferma,
e arrotola il vecchio mozzicone,
carcassa dove tutta la giovinezza,
resta, in fiore, come un focaraccio
dentro una còfana o un catino:
non muore chi non è mai nato.
Vanno verso le Terme di Caracalla
.....................................................".
( da "Verso le Terme di Caracalla" , in op.cit. ).
"(…) Ricordo che un giorno passando per il Mandrione in macchina con due miei amici bolognesi, angosciati a quella vista, c’erano, davanti ai loro tuguri, a ruzzare sul fango lurido, dei ragazzini, dai due ai quattro o cinque anni. Erano vestiti con degli stracci: uno addirittura con una pelliccetta trovata chissà dove come un piccolo selvaggio. Correvano qua e là, senza le regole di un giuoco qualsiasi: si muovevano, si agitavano come se fossero ciechi, in quei pochi metri quadrati dov’erano nati e dove erano sempre rimasti, senza conoscere altro del mondo se non la casettina dove dormivano e i due palmi di melma dove giocavano. Vedendoci passare con la macchina, uno, un maschietto, ormai ben piantato malgrado i suoi due o tre anni di età, si mise la manina sporca contro la bocca, e, di sua iniziativa tutto allegro e affettuoso ci mandò un bacetto.
[…]
La pura vitalità che è alla base di queste anime, vuol dire mescolanza di male allo stato puro e di bene allo stato puro: violenza e bontà, malvagità e innocenza, malgrado tutto.
(Pier Paolo Pasolini, “Vie Nuove”, maggio 1958) .
"Da cinque o sei anni tutto questo [il debito nei confronti della città, ndr] è finito. È finito non tanto per una rottura del rapporto con Roma, quanto per una rottura di rapporti con l’intera società italiana. Se Roma è cambiata, estremamente in peggio, non è colpa della città. La cosa non è nata nella città, ma appartiene ad un fenomeno degenerativo che riguarda tutta la società italiana.
[…]
Finché il protagonista della vita romana era il popolo, Roma è rimasta una metropoli, una metropoli scomposta, disordinata, divisa, frazionata, ma comunque una grande confusa, magmatica metropoli. Nel momento, invece, in cui s’è compiuta l’acculturazion
( PPP, da un'intervista rilasciata al Messaggero , 9 giugno 1973 ).
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