"Le pagine corsare "
dedicate a Pier Paolo Pasolini
Eretico e Corsaro
La modernità nella "forza del passato"
Di Maria Vittoria Chiarelli.
Pasolini ha sempre sostenuto un rapporto dialettico con la Modernità, ne ha sempre vissuto le genesi dolorose, assorbito totalmente nella "forza del Passato", che non è statica, non un ventre passivo che cova un'umanità mai nata, ma feconda di germi inalterati perché inalterabili, secondo le prospettive di un Progresso vero.
Ma ciò che muta richiede un processo carico di lacerazioni anche per "farsi migliore".
Uccellacci e uccellini e Le Ceneri di Gramsci sono due momenti della passione ideologica di Pasolini che si esprime in direzioni differenti ed intersecatisi, certamente indicativi della riflessione e del fervore
esistenziale del Poeta, teso a vivificare il carattere primigenio della cultura popolare che ha vissuto il difficile passaggio storico da una stagione ricca di fermenti di libertà, nel clima soffocante della dittatura, ad una democrazia tutta da costruire : il cammino verso un futuro incerto, su una strada dal sapore metafisico, con uno sfondo urbano disumanamente già postindustriale , traballante, ma malinconicament e desideroso di una meta. I due viandanti, disincantato Tot ò Innocenti e inconsapevole Ninetto Innocenti, si incamminano verso le albe fumose di nuove strade da intraprendere , dopo la macerazione delle illusioni ripiegate su se stesse e morenti, come sopravvivenze di voci insistenti e ammonitorie, come quella del corvo filosofo, ma ormai decantate dal tempo che le ha superate.
Nell'aria però ci arriva il rumore alacre di una scavatrice, animata dal lavoro di operai, portatrice di un mondo nuovo, forse migliore, perché intriso di speranza in quello che era stato il "sogno di una cosa" di Marx, come nella visione del giovane Gobetti, durante le lotte operaie prima dell'avvento del fascismo.
Una fine che è un inizio: qualcosa che nasce seppure con dolore.
Nell'aria però ci arriva il rumore alacre di una scavatrice, animata dal lavoro di operai, portatrice di un mondo nuovo, forse migliore, perché intriso di speranza in quello che era stato il "sogno di una cosa" di Marx, come nella visione del giovane Gobetti, durante le lotte operaie prima dell'avvento del fascismo.
Una fine che è un inizio: qualcosa che nasce seppure con dolore.
"A gridare è, straziata
da mesi e anni di mattutini
sudori - accompagnata
dal muto stuolo dei suoi scalpellini,
la vecchia scavatrice: ma, insieme, il fresco
sterro sconvolto, o, nel breve confine
dell'orizzonte novecentesco,
tutto il quartiere... È la città,
sprofondata in un chiarore di festa,
- è il mondo. Piange ciò che ha
fine e ricomincia. Ciò che era
area erbosa, aperto spiazzo, e si fa
cortile, bianco come cera,
chiuso in un decoro ch'è rancore;
ciò che era quasi una vecchia fiera
di freschi intonachi sghembi al sole
e si fa nuovo isolato, brulicante
in un ordine ch'è spento dolore.
Piange ciò che muta, anche
per farsi migliore. La luce
del futuro non cessa un solo istante
di ferirci: è qui, che brucia
in ogni nostro atto quotidiano,
angoscia anche nella fiducia
che ci dà vita, nell'impeto gobettiano
verso questi operai, che muti innalzano,
nel rione dell'altro fronte umano,
il loro rosso straccio di speranza".
( Pier Paolo Pasolini, da "Il pianto della scavatrice"
in "Le Ceneri di Gramsci" ).
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