"Le pagine corsare "
dedicate a Pier Paolo Pasolini
Pasolini un anno dopo
Enzo Siciliano intervista Alberto Moravia
Due tre cose che so del mio amico più caro...
Alberto Moravia cambia idea sul delitto Pasolini.
Tempo
24 ottobre 1976
da pag.56 a pag. 61
( © Questa trascrizione da cartaceo, è stata curata da Bruno Esposito )
ALBERTO MORAVIA RIAPRE UNA PAGINA ESALTANTE E DOLOROSA DELLA CULTURA ITALIANA
« Una persona profondamente morale e buonissima: questo era Pier Paolo », dice Moravia. «Ma era anche un provocatore culturale e politico. Perché era un provocatore? Vediamo .. »
Roma. E passato un anno dall'assassinio di Pier Paolo Pasolini. C'è stato il processo Pelosi, la condanna, la sentenza del presidente del Tribunale dei minori Moro, il ricorso in appello contro di essa del sostituto procuratore Guasco. Per la sentenza del Tribunale dei minori, Pelosi ha agito « in concorso di altri »; per Guasco, che aveva condotto l'istruttoria dopo che il suo ufficio l'aveva avocata sottraendola alla procura della Repubblica presso il tribunale, Pelosi avrebbe agito da solo.
Nel delitto Pasolini, se oggi ci sono alcune cose chiare, vi sono zone d'ombra che inquietano sempre più. Anzi, ciò che è chiaro accresce l'alone d'oscurità: cosi che il bisogno di sapere e capire si fa ancora più urgente.
L'interrogativo resta: che tipo di delitto è stato il delitto Pasolini?
Un anno fa, quando il fatto avvenne, Alberto Moravia scrisse un articolo per il "Corriere della Sera" Sembrava freddo quell'articolo. Moravia aveva perso il suo amico più caro: il fatto era atroce. Moravia voleva spiegarsi la meccanica degli avvenimenti: il suo istinto di romanziere si era subito messo in moto.
Sullo sterrato dell' Idroscalo di Ostia era avvenuto uno scontro a due: uno scontro che si era trasformato in una colluttazione, in un linciaggio, in deliberato assassinio. Perché? Era la violenza giovanile tante volte stigmatizzata ad avere in definitiva ucciso Pasolini (lui che aveva scritto di rischiare la vita ogni sera)? O il caso era diverso; un caso affabulato, di torbida e avvelenata rappresaglia, dove la politica poteva aver giocato un ruolo per niente imponderabile?
Moravia stesso, però, in quell'articolo (ripeto: votato per intero a capire le mosse di Pelosi, il corpo e la psicologia, o il senso di quella notte, e i gesti scambiati fra quelle baracche, se con grida o in silenzio ...), Moravia sosteneva l'ipotesi alternativa: che il delitto fosse « di gruppo, politico o altro ».
Comunque, allora, Moravia era sicuro che Pelosi avesse agito da solo, che fosse lui l'assassino. Questo, probabilmente, rendeva meno crudele la perdita dell'amico, più quietamente comprensibile quanto era accaduto nella notte fra l'uno e il due novembre 1975 a Ostia.
« Ho cambiato idea », dice oggi Moravia: « Oggi non sono sicuro di ciò di cui ero sicuro un anno fa ».
Cosa ti ha fatto cambiare idea?
« Nell'articolo scritto un anno fa io dicevo: se Pelosi ha ucciso Pasolini, ci è riuscito perché gli ha sferrato un colpo decisivo prendendolo alla schiena, colpendolo cioè di sorpresa. Oggi mi sono convinto che le cose non sono andate cosi. Me ne sono convinto per due ordini di motivi. Anzitutto, il carattere di Pelosi: il carattere che traspare dalle dichiarazioni che ha reso, da quel che ha detto in tribunale e ai giornalisti. Pelosi è un istintuale; ma quel che dice intorno al fatto è improntato a una strana coerenza. Io credo che quella coerenza sia dovuta non alla realtà delle cose da lui vissuta, ma all'istinto di difesa che lo anima. E un istinto di difesa animalesco, di una animalesca furbizia. Nel suo racconto tutto vorrebbe quadrare; poi, lo sappiamo, tutto è pieno di falle, di particolari difficilmente sostenibili. Ma non è di questo che voglio parlare per ora. Voglio parlare di quel che Pelosi ha poi detto ».
Moravia non fa sforzo a ricordare le dichiarazioni di "Pino la rana": sembra le abbia iscritte in uno speciale registro dove via via, nell'arco di un anno, ha segnato i passi verso una verità che servisse a stornarlo, anche se momentaneamente, dal dolore di non avere più accanto l'amico di tanti anni, l'amico col quale si è discusso con accanimento, in accordo e in disaccordo.
« Prima di essere condannato, Pelosi disse che era stato aggredito da un mostro dagli occhi rossi, armato: un mostro che lo voleva addirittura stuprare. È il peggio che egli potesse dire, dato l'orizzonte intellettuale e morale dove si muove. Pelosi voleva dirci che Pasolini era un mostro di tali proporzioni di fronte al quale ogni difesa è legittima. Voglio aggiungere che, in quegli stessi giorni, il padre di Pelosi parlava di Pasolini come di un "uomo potente": un'immagine, diciamo cosi, in sintonia con quel che diceva suo figlio Una pausa, e Moravia prosegue: « Poi è venuta la condanna ». Pelosi va a Casal del Marmo, e li, ad alcuni giornalisti, dice di aver ucciso Pasolini, "un grand'uomo", che ne legge le opere eccetera eccetera. " Un grand'uomo": una frase disgraziata. Ha ucciso un poeta, che non è né un piccolo uomo né un grand'uomo. Comunque, quel che mi interessa sono i mutamenti di giudizio di Pelosi: prima Pasolini era un mostro, poi era un grand'uomo. Il fatto è che Pasolini, per lui, prima non era un mostro, e poi non era un grand'uomo. In entrambe le dichiarazioni, Pelosi ha fatto ricorso alla retorica, al luogo comune: ha parlato per frasi fatte, non ha detto la verità. Ha detto, piuttosto, tutta la sua insensibilità nei confronti di Pasolini. C'è in quelle parole la profonda astrattezza della convenzione. In questo modo Pelosi si difende: ma proprio all'esame delle parole che egli adopera per difendersi, a me sembra che egli si difenda da qualcosa che non è neanche avvenuto ».
Quale altro ordine di motivi ha convinto Moravia che Pelosi non fosse solo quella notte a Ostia, fra le baracche dell'Idroscalo?
« Nella sentenza di condanna ci sono cose che mi hanno colpito. Cose che sapevo e cose che non sapevo. La questione dell'anello di Pelosi: è una questione fondamentale; durante una colluttazione non ci si toglie un anello. Ma poi, la colluttazione c'è stata? Pasolini era un sacco sanguinolento, e Pelosi non aveva addosso niente, neanche la più piccola traccia di sangue. Dunque, la colluttazione fra i due c'è stata? Se c'è infatti una traccia di sangue, questa traccia non appartiene a Pelosi: questo non sapevo. La traccia è l'impronta d'una mano, che non è né di Pasolini né di Pelosi, visibile sul tetto dell'auto di Pasolini sul lato opposto a quello dello sportello di guida. Questo prova che ci doveva essere per lo meno una terza persona, là, quella sera ».
Una terza persona, o un gruppo, domando.
Moravia dice: « Mi chiedo questo, allora: è verisimile che dei teppisti, dopo aver ucciso un uomo, facciano arrestare uno del gruppo? Ipotizziamo che il delitto rientri nell'area dell'omosessualità. Quale il fine del sicuro arresto di Pelosi? Si sa che gli assassini degli omosessuali non si scoprono mai: la vittima è in qualche modo complice di chi ha ucciso; la vittima nasconde, inconsciamente, il proprio assassino, gli dà quasi via libera ... In questo caso è tutto diverso: Pelosi fugge con la macchina di Pasolini, una prova inconfutabile di colpevolezza. Su quella macchina si fa arrestare, va in qualche modo in braccio alla polizia; e, una volta che ci è in braccio, chiede dell'anello, altra prova inconfutabile di colpevolezza… Insomma, cosa voglio dire? Che tutto questo sembra preparato a tavolino, o, se non a tavolino, deciso comunque. Pelosi avrebbe potuto anche salire sulla macchina di Pasolini, ma, una volta sorpreso, avrebbe potuto dire che aveva trovato l'auto abbandonata e ci era montato sopra ... Sarebbe stata una bugia maldestra, ma pur sempre la bugia di uno che fa di tutto per non andare in galera, per nascondere con la scusa di un eventuale furtarello un assassinio. Invece, guarda caso, Pelosi ribadisce, parla dell'anello; e l'anello lo lega subito al delitto ... ».
Ancora una pausa. E Moravia continua: « A questo tipo di considerazioni, lo so, si obietta col dire che Pelosi è infantile, che confessa tutto per infantilismo: la sua mente non gli consentirebbe strategie più complesse. Ma tale infantilismo è incredibile, proprio per le dichiarazioni apparentemente puntuali, confezionate, che Pelosi fa. In quel che dice c'è più istinto di quel che si crede ... Pelosi nasconde, trucca qualcosa. È un trucco la sua fuga in macchina; è un trucco la ricerca dell'anello; è un trucco il suo racconto sulla "mostruosità" di Pasolini. Confrontando fra loro questi "trucchi", e l'impronta di sangue sulla cappotta dell'auto di Pasolini, viene il sospetto che tutto sia un trucco. Vale a dire, che si voglia truccare con l'omosessualità un delitto d'altra natura ».
Di quale natura?
« Evidentemente politica, di natura implicitamente politica: un delitto di ritorsione. Non dobbiamo dimenticare che Pasolini era un comunista, ma un comunista anomalo, oltre a essere una persona molto in vista. La sua anomalia consisteva nell'omosessualità dichiarata. Per un fascista, comunismo e omosessualità possono trasformarsi in una miscela esplosiva ... Ma è chiaro che queste sono induzioni. E chiaro che tutto quel che ho detto mi sembra verisimile, ma non posso provarlo. Può essere plausibile che a uccidere Pasolini sia stato Pelosi; ma allora Pelosi ha voluto ucciderlo ad ogni costo, con colpi ben determinati, con le armi più disparate, fino a prendere la macchina e schiacciarne il corpo non per caso. C'è una gran differenza fra il lasciare un uomo malconcio sul terreno, tanto malconcio che morirà domani ma domani ti può anche denunciare; e lasciare, invece, un cadavere muto, che non ha più niente da dire ».
Moravia ripete: « Penso all'agguato di gruppo, ma per un trenta per cento non posso escludere che sia stato il solo Pelosi ».
Arrivati a questo punto, domando a Moravia: chi era Pier Paolo? L'anno trascorso dalla sua morte cosa ci dice sulla sua natura?
« Era un uomo estremamente egocentrico e solitario, e Io sapeva; e poiché lo sapeva compensava tutto questo con un vivo sentimento di solidarietà verso gli altri. Questo sentimento era il risultato di un imperativo categorico che egli poneva a se stesso. Ma se dico che egli si poneva un imperativo categorico, voglio dire altresì che era una persona profondamente morale e buonissima. Porsi un imperativo simile non è da tutti ».
Ma, ancora, chi era Pasolini?
« Era un provocatore, culturale e politico. Il punto è capire perché lo fosse. Le sue provocazioni nascevano da una forma di vendetta. Vendicava intellettualmente la sua omosessualità; o, meglio, si vendicava delle persecuzioni di cui era stato oggetto, per via dell'omosessualità, quando ancora era uno scrittore sconosciuto, o conosciuto e apprezzato da pochi ... A questo punto, però, bisogna illuminare un'altra componente della sua psicologia. Pasolini non era un razionalista; non voleva servire la ragione poiché la ragione mette la persona in stato di annientamento. Invece Pasolini teneva ad essere riconoscibile, immediatamente identificabile. Sosteneva che tale era il disegno della ragione: la sua "diversità" non poteva venire scancellata dalle persecuzioni altrui. In questo è impossibile dargli torto. Non ero però d'accordo con lui nel ritenere che tutto ciò potesse essere spiegato o giustificato da finalità razionali. Pasolini, pur con i suoi precisi motivi, ricorreva a quel punto a un sofisma: il sofisma che gli consentiva, nonostante tutto, di affermare se stesso. Io sono convinto piuttosto del contrario: la ragione va difesa anche a costo di scomparire ».
Ma una tale obiettività, un tale distacco da se stesso era possibile si realizzasse in lui, data la reale persecuzione di cui la sua persona fu oggetto?
« Pasolini difendeva la creatività della sua anomalia: è vero ».
Ma questo non ci avvicina alla natura della sua sessualità, tanto determinante nel suo profilo di uomo? Non fu la sua sessualità a determinare (traslatamente dico) quella spira di provocazioni che fu la sua vita intellettuale?
« Certo. Ma bisogna ben distinguere fra sessualità e omosessualità. Intendo dire che anche un eterosessuale può trovarsi nelle condizioni in cui lui si è trovato. E le sue condizioni erano ossessive. È il grado di ossessione acquistato dal sesso nella sua vita, a porre problemi: a porli per lo meno a noi, alla distanza. Lo strazio con cui ne scriveva (è possibile verificarlo ad apertura di pagina nel volume delle sue "Poesie") ci avvicina alla grande disperazione da cui era dominato ».
Quali nomi daresti a questa disperazione?
« Era la disperazione di chi non riusciva a venire a capo delle proprie ossessioni. Non che avrebbe dovuto dominarle: si tratta d'una sfumatura diversa. Avrebbe, diciamo cosi, dovuto accompagnarle lungo la propria esistenza con quella naturale dimestichezza con la realtà di cui egli era profondamente capace ».
Ma a questo punto una affettuosità di ricordi non tradita allenta la lucidità di Moravia: « Era una persona molto simpatica. Era ingenuo: ingenuo di fronte alla novità di vita che gli procurava il suo lavoro di cineasta. Era ingenuo come sono sempre le persone geniali; e che fosse una persona disarmata è la pietra di paragone del suo valore ».
Lo definisti una volta, nelle ultime polemiche, "un preraffaellita" ... « Sì, aveva il mito dell'età dell'oro, come può avercelo un protocristiano che ha letto T.W. Adorno. Io dico che la gente ha diritto al benessere, anche se non ha il diritto di mitizzare quel benessere e ciò che glielo procura. Ma Pier Paolo aveva a mio avviso imboccato la rotaia fatale della cultura decadente europea, anche con passione rivoluzionaria. Alcune volte, leggendolo, mi accadeva di pensare a Pound, pur rendendomi conto della grande distanza che li separava. Era un poeta. Ecco: un grande poeta ».
Enzo Siciliano
Sono brasiliano curioso di questo intelettuale controverso. Ho conosciuto lineamenti della vita di Pasolini nel 1986. Mi sono incantato del libro Lettere Luterane. Dopo, vedo come ci sono dei dubbi sui motivi della sua morte. Auguri per questo blog.
RispondiEliminaGrazie Marcos.
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