"Le pagine corsare "
dedicate a Pier Paolo Pasolini
Eretico e Corsaro
Pasolini immerso nelle acque prenatali
Ida Farè
Quotidiano dei lavoratori
martedi 21 gennaio 1975
pag.5
( © Questa trascrizione da cartaceo, è stata curata da Bruno Esposito )
«Sono contrario alla legalizzazione dell'aborto, perchè la considero come molti, una legalizzazione dell'omicidio...Che la vita sia sacra è ovvio, è un principio più forte di ogni principio di democrazia» .
Chi scrive dalle pagine del Corriere della Sera non è l'arcivescovo di Firenze, e nemmeno Tina Anselmi, ma Pier Paolo Pasolini, noto «bastian-contrario» della cultura «di sinistra». Nel '68 stava dalla parte dei poliziotti, i proletari che manganellavano a buon diritto i figli di papà; nel maggio '74 ha scoperto che tutti i giovani sono fascisti perchè tutti hanno i capelli lunghi, e ora, con la sua «aristocrazia intellettuale», si pone con Paolo VI e Fanfani, in difesa della vita umana. Benedice le acque materne che lo avvolgevano : vita prenatale che lui (eletto poeta-scrittore) ricorda, perchè sa che là era esistente, e con un antifemminismo viscerale, si scatena contro questa maggioranza di donne che non sa essere «aristocratica» e rivendica questa «comoda permissività», costituita dall'aborto, che non fa che consolidare la nevrosi collettiva del rapporto eterosessuale.
Già, perchè la maggioranza, il popolo bue, è così poco culturalizzato che fa ancora l'amore in modo tradizionale, con una persona dell'altro sesso, per intenderci.
E i radicali vengono accusati di appellarsi alla realpolitik, in un'occasione in cui i principi non sono reali, ma imposti. Lui non vuole confondersi con le masse; che hanno sempre torto e, vittime del nuovo fascismo (il potere dei consumi), sono costrette a praticare questa orgia permissiva e convenzionale del «coito libero e facile». L'aborto, dice, é un frutto della società dei consumi, una «falsa libertà» che tutti, perfino Fanfani, vogliono regalare alle donne. E siccome l'aborto diventa, in quest'ottica, una necessità «ecologica» del regime, bisogna lottare contro l'aborto, ponendo una più vasta concezione della sessualità, una maggiore diffusione delle pillole, una diversa moralità.
Per essere sempre «speciale», come un gatto che si morde la coda, Pier Paolo diventa un orribile conformista.
Presuppone, associandosi ai preti e ai benpensanti, che alle donne l'aborto piaccia da morire, invece di cominciare a capire che alle donne non piace più morire d'aborto. Dice «Il poeta che occoorre lottare contro ...... e di regime», che precede il problema dell'aborto e che è imposto dalla civiltà dei consumi. Noi non siamo così élitari e complicati, Sappiamo che le donne fanno l'amore e questo non corrisponde sempre a una loro condizione di libertà, dato che per legge e per convenzione esse non possono rifiutarsi al marito. Sappiamo anche che siamo molto raramente noi donne a scegliere quando, se e come fare un figlio.
Sappiamo che quelle che, tra di noi, sono operaie, sono costrette ad abortire dai ritmi insostenibili, dalla nocività e dalla fatica, che questi vengono chiamati «aborti bianchi», e che nè preti, nè poeti ci piangono sopra.
Il salario della maggior parte delle operaie si allontana di poco dalle centomila lire: in queste condizioni restare incinte significa la disperazione. Non c'è scelta, le nostre condizioni sociali hanno già deciso per noi.
E sappiamo anche che qualche poeta, a questo punto, confortato, ci ribadirebbe cinicamente la tesi della prevenzione, della nuova sessualità, o degli anticoncezionali.
Magari dimenticandosi che ancora oggi i contraccettivi devono essere registrati come «specialità medicinali» e che i metodi anticoncezionali sono studiati e preparati solo per e contro di noi, senza la minima considerazione per la nostra salute (la pillola «fa bene», ma molte non la possono prendere e comunque quella per uomo non c'è). Invece di sognare un Rumor, che dagli schermi televisivi, come vorrebbe il nostro pazzo poeta, reclamizza «diverse» tecniche amatorie, cominciamo già a vedere, e sappiamo che ce ne saranno sempre di più, le donne che vanno in piazza a rivendicare la fine della loro oppressione. Che vogliono lottare, contro questo aborto di regime, che non deve più essere una colpa.
Le donne che praticano l'aborto clandestino contribuiscono ad alimentare un'industria di 70-80 miliardi annuali. E d'aborto in Italia sono morte, in 40 anni, più donne che uomini sui fronti della seconda guerra mondiale. Questo è l'aborto contro cui vogliamo lottare.
Pasolini, se non fosse isolato nella torre d'avorio della sua minoranza, a ricordare le meraviglie della vita patriarcale della società contadina, che il benessere ha reso insana e strappato da una felice povertà, queste cose le avrebbe potute capire da solo. E avrebbe anche capito che se il popolo italiano «ha abiurato» la sua tolleranza, non lo ha fatto contro le minoranze che hanno rotto col tradizionale modo d'amare, ma contro quelle minoranze che lo opprimono e gli impongono, insieme alla schiavitù della coppia, la schiavitù di un modo di vita infame.
La civiltà dei consumi è stata travolta dalla crisi, e ha cosi mostrato il volto inumano e strumentale dello sfruttamento; la libertà sessuale, se mai c'è stata , ha abbandonato le caratteristiche consumistiche, per far venire a galla quelle, più drammatiche, dello sfruttamento della donna.
Le donne vogliono impadronirsi della loro funzione riproduttiva, con o (certo meglio) senza l'aborto, per rompere con la loro funzione sociale di riproduttrici più o meno ecologiche. E allora? Da che parte sta il poeta?
Ida Farè
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