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Biografia, lavori in corso - a breve anche il 1974 e il 1975

martedì 8 dicembre 2020

Pasolini - PORNO-TEO-KOLOSSAL - UR

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro




'Porno Teo Kolossal': 

il film mancato di Pasolini con Eduardo

Trattamento di Pier Paolo Pasolini e Sergio Citti (1975)



UR

Il finale è un “adagio” che si articola in tre fasi, sempre più leggere, sempre più fantomatiche, sempre più deliranti. Cambia di conseguenza anche il ritmo del racconto, tanto più comico quanto più misterioso e surreale. Viene previsto un commento musicale continuo (mentre prima la musica era sempre “vera”) ecc.




I
I nostri due viaggiatori son ora in un Jumbo, che vola verso il purpureo Oriente. Il Jumbo è gremito di faccie buffe e indecifrabili, pieno di panini e pedalini.
Epifanio e Nunzio sono seduti tra due vietnamiti e una fila di indiani, stretti stretti. Epifanio si tiene al petto come una creatura il suo eterno fagotto misterioso, da cui penzola il bigliettino del “bagaglio a mano”, destinazione UR. E gli occhi di Nunzio, forse per la curiosità suscitata da quel bigliettino, per la prima volta si fissano a lungo, intenti, sul pacco gelosamente abbracciato da Epifanio. Ed ecco che quegli occhi (gli occhi di Epifanio son chiusi in un sonno malandato) hanno un guizzo -- ironia? pietà? partito preso? preciso calcolo? -- a cui segue scattante la domanda -- carico di una curiosità accumulata durante tutto il lungo viaggio – 

“A Sor Epifa’, ma che ce tenete dentro a quel pacco?”.

Epifanio sussulta, e apre gli occhi. Dire a uno a uno tutti i sentimenti che passano come un turbine in quelle pupille, sarebbe impossibile. Benché fulminei ci mettono un mezzo minuto buono ad esaurirsi.
Finché il sentimento che alla fine resta fisso è una pacioccona bonomia, una lieta concessione a qualcosa che ci si può finalmente concedere: ed Epifanio mormora misterioso: 

“U dono a ‘u Bambino”.

II Jumbo sta atterrando su una grande città, informe, tra bracci di mare fumigante, e montagne nere a pan di zucchero. Nell’aeroporto, pieno di gente misteriosa che corre da tutte le parti, bisogna far presto, per prendere la coincidenza col DC8 che, fermo all’altro capo della pista, è là che aspetta.
Tenendosi stretto il suo pacco, Epifanio è tuttavia molto preoccupato per le altre valigie. Eccole là che compaiono un istante uscendo dalla pancia del Jumbo; eccole là che compaiono ancora un istante nella distesa di asfalto per poi scomparire dentro i misteriosi meandri dell’aerostazione; eccole là ancora che ricompaiono su un carrello velocissimo, attraverso uno stanzone pieno di suore con un bambino negro e due sick grassi e neri che sembra ballino un tango; eccole ancora riaffiorare, tra enormi pacchi di colli, per essere subito ingoiate in un nero corridoio...E i nostri due viaggiatori, di corsa, dietro... Finche la corsa diviene un vero e proprio “raid”, per raggiungere il DC8 coi motori accesi sotto il sole ardente: è una gara di velocità, vinta da un giapponese. I nostri due arrivano ultimi, Epifanio boccheggiante, sostenuto, col suo pacco, da Nunzio. Appena saliti in cima alla scaletta, l’aereo parte, seguendo la Cometa. Da un oblò Epifanio fa appena in tempo a vedere le due valigie caricate sul dorso di un asinello che, guidato da un vecchio arabo, se ne va ciondolando per un sentiero lungo la pista. Epifanio si stringe più forte al petto il suo dono.
Ora è la volta di una cittadina bianca sulle rive di un lago salato tutto secco e bianco. Dentro la sala d’attesa quasi deserta dell’aeroporto, davanti a cui c’è un solo aeroplano, un vecchio Dakota, Epifanio e Nunzio stanno dormendo distesi sulle due panche. Epifanio tiene selvaggiamente stretto a sé il suo pacco: addirittura lo ha addentato e lo stringe nella bocca come in una morsa. Cosa che non gli impedisce di ronfare.
Ecco che entrano due giovani arabi in blu-jeans e con atavica abilità, cominciano a spogliare i due addormentati: a spogliarli, intendiamo dire, letteralmente...
All’ora in cui, con un boato dell’altoparlante, viene annunciata la partenza del Dakota, infatti, i nostri due viaggiatori sono in mutande. Ma il pacco, Epifanio se lo tiene stretto ancora con le unghie e coi denti.
Svegliati di colpo dall’annunzio esotico della partenza, i due corrono -- in mutande -- privi come sono di qualsiasi alternativa -- verso il Dakota, e vi salgono. Del resto anche gli altri passeggeri, eccettuate le donne che sono tutte coperte di veli -- non hanno altro abbigliamento che un asciugamano che gli fascia i fianchi e un fazzoletto bianco e rosso in testa.
Il luogo dove atterra il Dakota sembra in modo impressionante la fine del mondo. È una semplice pista, in mezzo a un deserto, con un po’ di palme spelacchiate in fondo e una baracca di legno.
Il bigliettaio è seduto su una cassetta di coca-cola, e intorno ci sono cinque o sei soldati, tutti sui tredici quattordici anni, con un basco unto e grandi scarpe alla Charlot .
In più, c’è una vecchia Landrover scassata, con una pomposa scritta vermiglia che annuncia: “Hotel Continental”. Accanto sta l’autista, nero e sudato; e anche sul suo berrettino rosso c’è scritto “Hotel Continental”. Epifanio e Nunzio sono gli unici due passeggeri che scendono -- in mutande e col loro
“bagaglio a mano” -- a quel capolinea. L‘ autista dell’ “Hotel Continental” si avvicina loro offrendo i propri servigi. Ebbene, c’è da non crederlo, è un napoletano!!
A quaranta gradi all’ombra, avviene la nuova agnizione, e, benché allo stremo delle forze, Epifanio ha ancora l’energia di eseguirne l’intero cerimoniale. Poi, protetti dal nuovo amico, i due pellegrini montano sulla Landrover e vanno verso il nulla infuocato.
Ci vogliono un giorno e una notte per arrivare a Ur, a questo famoso “Hotel Continental” e, come scende la sera e fa buio, i tre si dispongono a dormire, sotto una palma, in bivacco. Fanno in tempo a mangiare una pizza e canticchiare un po’ “0 sole mio”, che cadono addormentati di colpo: Epifanio col suo pacco stretto tra le braccia.
Ma il nuovo napoletano non dorme: ha un occhio aperto. Come, con quell’occhio, vede Epifanio perduto in un sonno duro come la morte, piano piano si muove, con abilità che nemmeno i due consumati predoni arabi hanno dimostrato di possedere, libera Epifanio dal suo fardello, e, con gli occhi come carboni ardenti di speranza, balza sulla Landrover: in misterioso silenzio la mette in moto, e scompare tra le dune appena illuminate da una sottile falce di luna.
Ben presto è lontano, irraggiungibile, in un posto fuori dal mondo, dove si sentono solo urlare le jene.
Impazzito dall’impazienza, comincia febbrilmente a disfare il pacco dalla refurtiva: pacco confezionato alla perfezione, quasi corazzato. Piano piano riesce ad aprirlo, e, ai suoi occhi esterrefatti, tutto d’oro -- con la sua grotticella, i.suoi pastori, la sua mangiatoia, la sua vacca, il suo asino, il suo San Giuseppe, la sua Madonna, il suo Bambino -- compare un presepio: preziosa opera che si direbbe di un Bambocciante del Seicento, ma a quanto pare assai modernamente attrezzata.
Infatti, davanti c’è una manovella, girata la quale tutto si anima, a suon di musica. La musica è per la precisione una tarantella, e i pastori la ballano in mezzo al prato d’oro con le pecorelle d’oro, che ticchete tacchete, brucano l’erba d’oro.
È inquadrato solo il Presepio: che è dunque grande come lo schermo, e la Scena pare vera, a grandezza naturale. Al suono della tarantella, il Bambino apre e chiude – zac zac -- le braccine, e la Madonna va su e giù con la testa, mentre San Giuseppe, due piallate, e un sorriso, due piallate e un sorriso. Poi la tarantella dissolve, e viene sostituita dalle note di una musica sacra, sublime. Da dietro un monticello (d’oro) compaiono i Re Magi coi loro doni, e umili e solenni avanzano verso il Bambino e si inginocchiano davanti a Lui rendendogli omaggio.



II
Epifanio si sveglia, sotto la palma, e si rende conto che il suo pacco è sparito. Nunzio è già sveglio, ed è lì che lo guarda, come a godersi pensoso lo spettacolo. Certamente Epifanio è lì lì per morire dal dolore. Ma non dice niente, abbassa la testa, senza muovere un muscolo. Poi si tira su in piedi e fa: 

“Andiamo”. 

Infatti si vede Ur, in fondo all’orizzonte tra aridi montarozzi biancastri.
Non ha voluto dar soddisfazione a Nunzio né al destino: e cammina in mutande e a mani vuote verso Ur. Perché è là che la Cometa si è fermata.
Ma dopo un po’, però, non resiste al suo stoicismo, e scoppia in un pianto disperato di bambino.
Nunzio lo guarda misteriosamente, di sottecchi. Sono ora a Ur, e chiedono alla gente informazioni di una grotta così e cosi, dove deve essere nato un Messia così e così... (Epifanio fa anche dei disegnini sulla polvere -- una faccia con la barba e l’aureola -- per farsi capire). Gli arabi, ai tavolini dei loro caffè o davanti alle loro zozze bancarelle, danno indicazioni assai vaghe. Finalmente, più morti che vivi per la stanchezza, i due giungono dall’altra parte della città, più o meno dove si trovano gli immondezzai. Qui la Cometa, alta nel cielo, ha come un guizzo, scende giù, e va a splendere, rifulgente come non mai, addirittura accecante, sopra una piccola spelonca polverosa.
È verso là, dunque, che Epifanio muove i suoi passi, piangente e ridente. 

“Nun aggio niente ‘e regalà a ‘u Messia” 

dice disperato, nella felicità di aver raggiunto la meta. E Nunzio lo consola: 

“E che cazzo ve frega!”.

Giungono infine davanti alla grotta. Niente e nessuno. Polvere, sassi, le tracce di un fuoco di beduini, qualche cagata secca. Ecco tutto quello che c’è, illuminato dalla luce violentissima della Cometa.
Epifanio cade boccheggiante a terra, come colpito da un fulmine.
Ma ecco che si sente una vocetta strillare gioiosamente. È un ragazzino arabo che viene su di corsa per il sentiero sassoso, e ben presto arriva, tutto sudato. Ha un pacchetto pieno di roba: cianfrusaglie, medagliette, “souvenirs”. 

“Mille lire 

-- dice in un buffo italiano -- 

medalietta di Messia!”. 

Epifanio disperatamente lo interroga. E riesce ad appurare dall’arabetto che sì, il Messia è nato, ma è passato tanto tempo, è anche morto e dimenticato. Il viaggio di Epifanio è stato troppo lungo, egli ha perso troppo tempo con tutte le cose che gli sono capitate: ed è arrivato tardi, irrimediabilmente tardi.
Disperato, Epifanio tira un ultimo sospiro, e muore.
Ma qui si ha un colpo di scena. Ecco che dal corpo di Nunzio si stacca la figura di un altro Nunzio: un Angelo, un vero e proprio Angelo del Signore. Raggiante, egli si avvicina al cadavere di Epifanio, e lo prende per mano. Anche dalla figura morta di Epifanio si stacca la figura di un altro Epifanio, la sua Anima. È elegantissimo, tutto in bianco, con la paglietta, la bagolina e il fiore all’occhiello.
Nunzio gli fa l’occhietto e tenendolo sempre per mano, gli fa: 

“Namo, omo de bona volontà!” 

e, cantando e ballando, lo guida su, per la strada dei Cieli.




III
I due, sempre più felici, salgono di buona lena su su, per gli spazi cosmici (gli stessi in cui era cominciato il nostro poema).

Dissolvenza.

I due continuano a salire, a salire; ma si sono un po’ stancati, e Epifanio si solleva un po’ sulla fronte la paglietta, e, col fazzoletto di seta, si asciuga il sudore.

Dissolvenza.

I due salgono ancora, ma il loro passo è decisamente stanco, incerto, e i loro visi cominciano a mostrare visibilmente un certo fatale scoraggiamento.
Nunzio si guarda inquietamente intorno, nelle altezze vertiginose del cosmo, come cercando di orizzontarsi. 

“Eppure stava qua”, fa. “Che? ‘U Paradiso?”, 

chiede Epifanio: ma ha già capito tutto.

Dissolvenza.

I due salgono salgono, su per i Cieli; ma niente, intorno solo silenzio e vuoto. Ai loro piedi, laggiù, c’è la Terra, che gira, una palla colorata, infinitamente lontano. Stremato, Epifanio, esclama: 

“Non gliela faccio più!” 

e si mette a sedere, levandosi le scarpe e stringendosi i piedi martoriati. Nunzio, confuso, costernato, si siede accanto a lui.
Epifanio si mette una mano a imbuto all’orecchia e si concentra ad ascoltare. Dal mappamondo, laggiù, viene un confuso brusio di voci, grida, canti. Epifanio ascolta, poi fa un sospiro, si alza, e pudicamente voltando le spalle, si mette a pisciare. Si sente lo scroscio della pisciata negli spazi.
Pisciando faticosamente e poi abbottonandosi pazientemente la patta, Epifanio commenta dolorosamente, ma col distacco della filosofia, il suo grande viaggio, a fior di voce, come parlasse a se stesso o al nulla: è stata una illusione quella che l’ha guidato attraverso il mondo --ma è stata quell’illusione che, del mondo, gli ha fatto conoscere la realtà...
Risiedendosi sospiroso accanto a Nunzio, guarda la Terra con simpatia. Da laggiù arrivano confusi tra le voci e i rumori della vita quotidiana -- canti di povera gente, sciocchi canti di moda, e, infine, canti rivoluzionari.

“Eppure... 

-- mormora Epifanio -- 

Come tutte le Comete, anche la Cometa che ho seguito io è stata una stronzata. Ma senza quella stronzata, Terra, non ti avrei conosciuto...”, 

e si asciuga gli occhi inumiditi da certe misteriose lacrime di gratitudine... I canti -- i canti rivoluzionari -- laggiù si fanno sempre più nitidi. Epifanio si riscuote un po’ dalla sua commozione, e facendo un vivace gesto interrogativo alla napoletana, fa!
“Maaaaaa… e mo’ ?”.

Nunzio si è, chissà perché, un po’ riconsolato:

“Embè, sor Epifà 

-- risponde -- 

Nun esiste la fine. Aspettamo. Qualche cosa succederà”.



NOTE
[l] Frase napoletana da inventare (magari da Il mare non bagna Napoli di A.M. Ortese).
[2] Forse Eduardo fa questa seconda sortita con Ninetto perché i suoi libri gli avevano detto che egli
avrebbe dovuto chiamare la Cometa con la prima parola che fosse venuta in mente a un napoletano
con una verruca sul naso. E questo napoletano -- finalmente trovato -- pronuncia come prima parola
“Zoccola”, oppure “Purchiaccio” , ecc.
[3] Da inventare. Cfr. Lettera a Eduardo.
[4] Qui altra piccola gag: tutte le cartoline sono fotografie colorate, con cuori, fiori e colombe,
rappresentanti coppie di uomini e donne.
[5]Via del Governo Vecchio, per esempio.
[6] La circostanza è da stabilire.
[7] Uno degli “urli” della festa, sul modello di “Hip, hip, hip, urrah!” è, per gli uomini, “Fica, fica,
fica, vaffanculo!”, e, per le donne, “Cazzo, cazzo, cazzo, vaffanculo!”.
[8] L‘ideologia di Sodoma è tratta in gran parte da Corpo d’amore di Norman Brown.
[9] Aldo Fabrizi ?
[10] Che, è ora di dirlo, si chiamano nel nostro poema, rispettivamente, Epifanio e Nunzio.
[11] Chiamiamolo Gennaro.
[12] È chiara l’analogia con la scoperta di Sodoma, dal tram.
[13] Come analogamente a Sodoma.
[14] Confrontare il mio libro Scritti corsari.
[15] Anche qui notare la scoperta analogia con quanto è accaduto ai nostri due “Picari” a Sodoma.
[16] La modalità è da inventare.
[17] Va detto che tutte le reazioni di Eduardo e di Ninetto -- qui appena accennate -- costituiscono un
lungo corpo di
“gags” comiche: la spina dorsale del film.
[18] La violenza neocapitalistica che rende i giovani o estremisti o criminali.
[19] Appunto come durante la peste manzoniana.
[20] Ricordarsi che si tratta di un “kolossal”.
[21] In questo consiste la “continuità” del personaggio di Eduardo in tutto il film.
[22] La realizzazione del socialismo è l’Utopia simboleggiata in Numanzia.

Fonte:
http://anello-mancante.blogspot.it/2013/11/5-porno-teo-kolossal-il-film-mancato-di.html#!/2013/11/5-porno-teo-kolossal-il-film-mancato-di.html



Curatore, Bruno Esposito

Collaborano alla creazione di queste pagine corsare:

Carlo Picca
Mario Pozzi
Alessandro Barbato
Maria Vittoria Chiarelli
Giovanna Caterina Salice
Simona Zecchi

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