"Le pagine corsare "
dedicate a Pier Paolo Pasolini
Eretico e Corsaro
Poesie friulane
“In una mattina dell’estate del 1941 io stavo sul poggiolo esterno di legno della casa di mia madre. Il sole dolce e forte del Friuli batteva su tutto quel caro materiale rustico… su quel poggiolo o stavo disegnando (…), oppure scrivendo versi. Quando risuonò la parola ROSADA.
Era Livio, un ragazzo dei vicini oltre la strada, i Socolari, a parlare. Un ragazzo alto, d’ossa grosse… proprio un contadino di quelle parti… ma gentile e timido come lo sono certi figli di famiglie ricche, pieno di delicatezza. Poiché i contadini, si sa, lo dice Lenin, sono dei piccoli-borghesi, tuttavia Livio parlava certo di cose piccole ed innocenti. La parola ROSADA non era che una punta espressiva della sua vivacità orale. Certamente quella parola, in tutti i secoli del suo uso nel Friuli che si stende al di qua del Tagliamento, non era mai stata scritta. Era stata sempre e solamente un suono. Qualunque cosa quella mattina io stessi facendo, dipingendo o scrivendo, certo mi interruppi subito. (…) E scrissi subito dei versi, in quella parlata friulana della destra del Tagliamento, che fino a quel momento era stata solo un insieme di suoni: cominciai per prima cosa col rendere grafica la parola ROSADA”.
Vedi i seguenti link:
Dopo l’esordio nel 1942 di Poesie a Casarsa, la seconda raccolta di versi friulani è Dov’è la mia patria, edita nel 1949 in 500 copie con 13 disegni di Giuseppe Zigaina per le edizioni dell’Academiuta di Casarsa.
Dulà
ch’a è la me patria
Si clamaràia italia?
Ciantaràni tal so grin
miliòns di muàrs tal so grin,
i ciantaràiu tal so grin?
– italia, nòn lusìnt?
No, fantàt!
La gnoransa,
la pasiensa,
li passiòns,
li passiòns sensa amoùr.
No, fantàt!
La gnoransa,
la pasiensa,
li passiòns.
Sinc àins di lementàrs,
mil àins di lavòur
bestemis e ombrena
di pensadis rudis,
patria!
Scuela, bestemis e ombrena,
e cròus dal lavòur
dut pierdùt ta la gnoransa,
la pasiensa, l’italia
e i mil àins di lavòur.
No, fantàt!
La patria a è par me na sèit
Sierada ta un sen àrsit dal sec.
Nissùn a no ama i me mil àins di lavòur,
la me patria a è ta la me sèit di amòur.
No, fantàt!
Dov’è la mia patria
Si chiamerà italia? Canteranno nel suo grembo
milioni di morti, nel suo grembo? Canterò nel suo grembo? – italia, nome lucente? No,
giovane! L’ignoranza, la pazienza, gli scontenti, gli scontenti senza amore. No, giovane!
L’ignoranza, la pazienza, gli scontenti. Cinque anni di elementari, mille anni di lavoro,
bestemmie e ombra di pensieri grezzi, patria! Scuola, bestemmie e ombra, e la croce
del lavoro, tutto perso nell’ignoranza, la pazienza, l’italia e i mille anni di lavoro. No,
giovane! La patria è per me una sete chiusa in un petto bruciato dall’arsura. Nessuno
ama i miei mille anni di lavoro, la mia patria è nella mia sete di amore. No, giovane!
La raccolta Tal còur di un frut, uscita nel 1953 in 200 copie numerate per la cura di Luigi Ciceri, comprende poesie friulane composte nell'arco di un decennio, dal 1942 al 1952, e poi destinate per la gran parte a confluire nel volume La meglio gioventù del 1954.
La raccolta Tal còur di un frut, uscita nel 1953 in 200 copie numerate per la cura di Luigi Ciceri, comprende poesie friulane composte nell'arco di un decennio, dal 1942 al 1952, e poi destinate per la gran parte a confluire nel volume La meglio gioventù del 1954.
Tal còur di un frut, Edizioni di Lingua Friulana, Tricesimo 1953 (nuova edizione a cura di Luigi Ciceri, Forum Julii, Udine 1974).
Tal còur di un frut
Al à suspiràt! Diu al à suspiràt!
li stelis a balavin di contentessa
li montagnis e li rojs a balavin
i franzej e i lùjars a balavin.
I fili di erba a balavin
a balavin i lièurs, al soreli,
a balavin i viers tai seàj
i spics a balavin l’erbarosa a balava.
Li fantassinis a balavin
e i zòvins di domènia a balavin
la flama ta la ciasa a balava
i medicàrs e le gravis a balavin
Diu al àò ciaminàt par ciera
e sot il So piè la erba
e sot il So piè la erba
e Diu sot il So piè la erba
Diu al à ciaminàt tra li zemis
e un rosignòul al sigava
e un rosignòul al sigava
e a sigavan i rosignòj.
Diu al à ridùt
e la ploja ta li violis
la ploja ta li violis
e la ploja ch’a balava ta li violis!...
Nel cuore di un fanciullo ha sospirato! Dio ha sospirato! Le stelle ballavano di
contentezza, le montagne e le rogge ballavano i fringuelli e i lucherini ballavano. I fili
d’erba ballavano, ballavano le lepri, al sole, ballavano i vermi nei ciglioni, le spighe
ballavano l’erbarosa ballava. Le giovinette ballavano, e i giovani di domenica
ballavano, la fiamma della cucina ballava, i campi di medica e le ghiaie ballavano. Dio
ha camminato per terra e sotto il Suo piede l’erba, e sotto il Suo piede l’erba, e Dio,
sotto il suo piede l’erba. Dio ha camminato tra i germogli, e un usignolo gridava, e un
usignolo gridava, e gridavano gli usignoli. Dio ha riso, e la pioggia sulle viole, la
pioggia sulle viole, e la pioggia che ballava sulle viole!...
La meglio gioventù, con dedica a Gianfranco Contini, esce nel 1954, come sintesi completa dell'esperienza poetica friulana, derivante dalla riorganizzazione dei testi pubblicati in Poesie a Casarsa (1942), Dov'è la mia patria (1949) e Tal còur di un frut (1953), con l'aggiunta di poesie pubblicate su riviste tra il 1942 e il 1953 e di testi inediti.
Lengàs dai frus di sera
“Na greva viola viva a savarièa vuei Vinars…”
(No, tas, sin a Ciasarsa: jot li ciasis e i tìnars
lens ch’a trimin tal rìul.) “Na viola a savarièa…”
(Se i sìntiu? a son li sèis; un aunàr al si plea
sot na vampa di aria.) “Na viola a vif bessola…”
Na viola: la me muàrt? Sintànsi cà parsora
di na sofa e pensan. “Na viola, ahi, a cianta…”
Chej sìgus di sinisa i sint sot chista planta,
strinzimmi cuntra il stomi massa vif il vistìt.
“Dispeàda la viola par dut il mond a rit…”
A è ora ch’i recuardi chej sigus ch’a revochin
da I’orizont azùr c’un sunsùr ch’al mi inciòca.
«L’azur…» peràula crota, bessola tal silensi
dal sèil. Sin a Ciasarsa, a son sèis bos, m’impensi…
(Linguaggio dei fanciulli di sera).
«Una greve viola viva vaneggia oggi venerdì…» (No, taci, siamo a Casarsa: guarda le case e i teneri alberi che tremano sul fosso.) «Una viola vaneggia…» (Cosa sento? Sono le sei: un ontano si piega sotto una vampata d’aria.) «Una viola vive sola…» Una viola: la mia morte? Sediamoci sopra una zolla e pensiamo. «Una viola, ahi, canta…» Sento quei gridi di cenere sotto questo filare, stringendomi contro il petto troppo vivo il vestito. “Sciolta la viola per tutto il mondo ride…». È ora che ricordi quei gridi che si ingorgano, dall’orizzonte azzurro, con un brusio che mi ubriaca. «L’azzurro…» parola nuda, sola nel silenzio del cielo. Siamo a Casarsa, sono le sei, ricordo…”
Il volume, edito nel 1965, raccoglie poesie friulane degli anni 1943-1953 che erano rimaste escluse dalla edizione de La meglio gioventù del 1954. Il progetto editoriale fu tenacemente voluto dall’amico friulano Luigi Ciceri, che aveva già curato nel 1953 l’edizione di Tal còur di un frut e che fin dal giugno 1954 sollecitò Pasolini al recupero di altri versi friulani ancora inediti.
Le poesie sono organizzate in quattro sezioni, intitolate La Julia (1943), A Versuta (1943-1945), Lieder (1949), Il Gloria (1950-1953) e, nel 1975, furono riprese in buona parte nella raccolta La nuova gioventù.
Poesie dimenticate, a cura di Luigi Ciceri, Società filologica Friulana, Udine 1965.
UN RAP DI ÙA
Mi soj insumiàt di mangià ùa,
un grignèl par volta,
da un rap verdulìn e plomp.
Dut il distìn di un omp,
li sdisgrassiis,
ta chè fres’cia ùa pena ciolta
e vecia coma il mond.
Tal sun, i soj jo ch’i mangi,
cun chista bocia
ch’a rit, puareta, disperada
ulì, ingianada
tal scur sun,
parsé che, ridint, a ghi tocia
mastià chè ùa impestada.
Jo i sclissi cui dinc’ als
parsé che co al mòur
o al mangia un al si vergogna:
coma s’i ves la rogna
i inglutìs
chei grignej fis tal luzòur
che sui muars al si poign.
Un grappolo d’uva
Mi sono sognato di mangiare uva, un acino alla volta, da un grappolo verdolino e fradicio. Tutto il destino di un uomo, le disgrazie, in quella fresca uva appena colta e vecchia come il mondo.
Nel sogno, sono io che la mangio, con questa bocca che ride, poverina, ingannata dal buio sogno, perché ridendo, deve masticare quell’uva impestata.
Io la schiaccio coi denti alti, perché quando muore, o mangia, uno si vergogna: come se avessi la scabbia, inghiotto quei granelli fissi fissi nel chiarore che si appoggia sui morti.
La nuova gioventù. Poesie friulane 1941-1974, Einaudi, Torino 1975.
La nuova gioventù, ultima raccolta delle poesie friulane di Pasolini, esce da Einaudi il 17 maggio 1975, sempre con una dedica a Gianfranco Contini che riprende quella presente nella Meglio gioventù [«Ancora a Gianfranco Contini / e sempre con “amor de loinh”»].
Il volume, si compone di tre sezioni. La prima, intitolata La meglio gioventù (1941-1974), riproduce per un complesso di 77 testi, le liriche della Meglio gioventù, con l’aggiunta di diverse poesie escluse da quella edizione e tratte dalle varie plaquette friulane [Tal còur di un frut, Dov’è la mia patria, Poesie dimenticate].
La seconda, dal titolo Seconda forma de «La meglio gioventù» (1974), raccoglie 37 testi che riscrivono in negativo la poesia friulana della giovinezza, anche con vistosi rifacimenti orientati al senso della perdita e del lutto.
il libro è chiuso infine dalla sezione Tetro entusiasmo (Poesie italo-friulane, 1973-1974).
Saluto e augurio
A è quasi sigùr che chista
a è la me ultima poesia par furlàn;
e i vuèj parlàighi a un fassista
prima di essi (o ch’al sedi) massa lontàn.
Al è un fassista zòvin,
al varà vincia un, vincia doi àins:
al è nassùt ta un paìs,
e al è zut a scuela in sitàt.
Al è alt, cui ociàj, il vistìt
gris, i ciavièj curs:
quand ch’al scumìnsia a parlàmi
i crot ch’a no’l savedi nuja di politica
e ch’al serci doma di difindi il latìn
e il grec, cuntra di me; no savìnt
se ch’i ami il latin, il grec - e i ciavièj curs.
Lu vuardi, al è alt e gris coma un alpìn.
"Ven cà, ven cà, Fedro.
Scolta. I vuèj fati un discors
ch’al somèa un testamìnt.
Ma recuàrditi, i no mi fai ilusiòns
su di te: jo i sai ben, i lu sai,
ch’i no ti às, e no ti vòus vèilu,
un còur libar, e i no ti pos essi sinsèir:
ma encia si ti sos un muàrt, ti parlarài.
Difìnt i palès di moràr o aunàr,
in nomp dai Dius, grecs o sinèis.
Moùr di amòur par li vignis.
E i fics tai ors. I socs, i stecs.
Il ciaf dai to cunpàins, tosàt.
Difìnt i ciamps tra il paìs
e la campagna, cu li so panolis,
li vas’cis dal ledàn. Difìnt il prat
tra l’ultima ciasa dal paìs e la roja.
I ciasàj a somèjn a Glìsiis:
giolt di chista idea, tènla tal còur.
La confidensa cu’l soreli e cu’ la ploja,
ti lu sas, a è sapiensa santa.
Difìnt, conserva prea. La Repùblica
a è drenti, tal cuàrp da la mari.
I paris a àn serciàt, e tornàt a sercià
di cà e di là, nass’nt, murìnt,
cambiànt: ma son dutis robis dal passàt.
Vuei: difindi, conservà, preà. Tas:
la to ciamesa ch’a no sedi
nera, e nencia bruna. Tas! Ch’a sedi
’na ciamesa grisa. La ciamesa dal siun.
Odia chej ch’a volin dismòvisi
e dismintiàssi da li Paschis...
Duncia, fantàt dai cialsìns di muàrt,
i ti ài dita se ch’a volin i Dius
dai ciamps. Là ch’i ti sos nassùt.
Là che da frut i ti às imparàt
i so Comandamìns. Ma in Sitàt?
Scolta. Là Crist a no’l basta.
A coventa la Gl’sia: ma ch’a sedi
moderna. E a coventin i puòrs.
Tu difìnt, conserva, prea:
ma ama i puòrs: ama la so diversitàt.
Ama la so voja di vivi bessòj
tal so mond, tra pras e palàs
là ch’a no rivi la peràula
dal nustri mond; ama il cunfìn
ch’a àn segnàt tra nu e lòur;
ama il so dialèt inventàt ogni matina,
par no fassi capì; par no spartì
cun nissùn la so ligria.
Ama il sorel di sitàt e la miseria
dai laris; ama la ciar da la mama tal fì.
Drenti dal nustri mond, dis
di no essi borghèis, ma un sant
o un soldàt: un sant sensa ignoransa,
un soldàt sensa violensa.
Puarta cun mans di sant o soldàt
l’intimitàt cu’l Re, Destra divina
ch’a è drenti di nu, tal siùn.
Crot tal borghèis vuàrb di onestàt,
encia s’a è ’na ilusiòn: parsè
che encia i parons, a àn
i so paròns, a son fis di paris
ch’a stan da qualchi banda dal momd.
Basta che doma il sintimìnt
da la vita al sedi par diciu cunpàin:
il rest a no impuàrta, fantàt cun in man
il Libri sensa la Peràula.
Hic desinit cantus. Ciàpiti
tu, su li spalis, chistu zèit plen.
Jo i no pos, nissun no capirès
il scàndul. Un veciu al à rispièt
dal judissi dal mond; encia
s’a no ghi impuarta nuja. E al à rispièt
di se che lui al è tal mond. A ghi tocia
difindi i so sgnerfs indebulìs,
e stà al zoùc ch’a no’l à mai vulùt.
Ciàpiti su chistu pèis, fantàt ch’i ti mi odiis:
puàrtilu tu. Al lus tal còur. E jo ciaminarai
lizèir, zint avant, sielzìnt par sempri
la vita, la zoventùt.
È quasi sicuro che questa è la mia ultima poesia in friulano: e voglio parlare a un fascista, prima che io, o lui, siamo troppo lontani.
È un fascista giovane, avrà ventuno, ventidue anni: è nato in un paese ed è andato a scuola in città.
È alto, con gli occhiali, il vestito grigio, i capelli corti: quando comincia a parlarmi, penso che non sappia niente di politica
e che cerchi solo di difendere il latino e il greco contro di me; non sapendo quanto io ami il latino, il greco - e i capelli corti. Lo guardo, è alto e grigio come un alpino.
"Vieni qua, vieni qua, Fedro. Ascolta. Voglio farti un discorso che sembra un testamento. Ma ricordati, io non mi faccio illusioni
su di te: io so, io so bene, che tu non hai, e non vuoi averlo, un cuore libero, e non puoi essere sincero: ma anche se sei un morto, io ti parlerò.
Difendi i paletti di gelso, di ontano, in nome degli Dei, greci o cinesi. Muori d’amore per le vigne. Per i fichi negli orti. I ceppi, gli stecchi.
Per il capo tosato dei tuoi compagni. Difendi i campi tra il paese e la campagna, con le loro pannocchie abbandonate. Difendi il prato
tra l’ultima casa del paese e la roggia. I casali assomigliano a Chiese: godi di questa idea, tienla nel cuore. La confidenza col sole e con la pioggia,
lo sai, è sapienza sacra. Difendi, conserva, prega! La Repubblica è dentro, nel corpo della madre. I padri hanno cercato e tornato a cercar
di qua e di là, nascendo, morendo, cambiando: ma son tutte cose del passato. Oggi: difendere, conservare, pregare. Taci! Che la tua camicia non sia
nera, e neanche bruna. Taci! che sia una camicia grigia. La camicia del sonno. Odia quelli che vogliono svegliarsi, e dimenticarsi delle Pasque...
Dunque, ragazzo dai calzetti di morto, ti ho detto ciò che vogliono gli Dei dei campi. Là dove sei nato. Là dove da bambino hai imparato
i loro Comandamenti. Ma in Città? Là Cristo non basta. Occorre la Chiesa: ma che sia moderna. E occorrono i poveri
Tu difendi, conserva, prega: ma ama i poveri: ama la loro diversità. Ama la loro voglia di vivere soli nel loro mondo, tra prati e palazzi
dove non arrivi la parola del nostro mondo; ama il confine che hanno segnato tra noi e loro; ama il loro dialetto inventato ogni mattina,
per non farsi capire; per non condividere con nessuno la loro allegria. Ama il sole di città e la miseria dei ladri; ama la carne della mamma nel figlio
Dentro il nostro mondo, dì di non essere borghese, ma un santo o un soldato: un santo senza ignoranza, o un soldato senza violenza.
Porta con mani di santo o soldato l’intimità col Re, Destra divina che è dentro di noi, nel sonno. Credi nel borghese cieco di onestà,
anche se è un’illusione: perché anche i padroni hanno i loro padroni, e sono figli di padri che stanno da qualche parte nel mondo.
È sufficiente che solo il sentimento della vita sia per tutti uguale: il resto non importa, giovane con in mano il Libro senza la Parola.
Hic desinit cantus. Prenditi tu, sulle spalle, questo fardello. Io non posso: nessuno ne capirebbe lo scandalo. Un vecchio ha rispetto
del giudizio del mondo: anche se non gliene importa niente. E ha rispetto di ciò che egli è nel mondo. Deve difendere i suoi nervi, indeboliti,
e stare al gioco a cui non è mai stato. Prenditi tu questo peso, ragazzo che mi odii: portalo tu. Risplende nel cuore. E io camminerò leggero, andando avanti, scegliendo per sempre
la vita, la gioventù".
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