"Le pagine corsare "
dedicate a Pier Paolo Pasolini
Eretico e Corsaro
Poesie a Casarsa
Casarsa della Delizia, che dà il titolo al volume, è il paese d’origine della madre Susanna Colussi. Qui la famiglia Pasolini trascorre le vacanze estive, per poi stabilirvisi durante la guerra(1943).
Il 14 luglio del 1942 Pasolini pubblica, a spese proprie, presso la Libreria Antiquaria Mario Landi di Bologna la raccolta Poesie a Casarsa: quattordici componimenti scritti nel dialetto materno e dedicati al padre nel frontespizio, che verrà pubblicato ne "La meglio gioventù" nel 1954. Le 14 poesie sono trascritte a piè di pagina in un italiano prosaico. Il tutto con una struttura dialogica. Il personaggio principale nascosto del volume è Narciso, sosia dell’autore, che s’incarna in diverse figure (bambino, figlio e ragazzo), a cui si rivolge. In questo modo dialoga con se stesso, la madre, Cristo, il destino e il paesaggio (armonico) piovoso friulano con i suoi campi, canali, focolari, fontane, gelsi, rondini e campane.
Il volume piacque a Gianfranco Contini, che promise di recensirlo
"avevo esattamente vent'anni; (...) Chi potrà mai descrivere la mia gioia? Ho saltato e ballato per i portici di Bologna; e quanto alla soddisfazione mondana cui si può aspirare scrivendo versi, quella di quel giorno di Bologna è stata esaustiva: ormai posso benissimo farne per sempre a meno."
(Pier Paolo Pasolini, in Poesie, Garzanti, Milano, 1 ed. 1970, p.8).
L’opera fu recensita da Gianfranco Contini nel saggio Al limite della poesia dialettale, uscito sul «Corriere del Ticino» il 24 aprile del 1943, perchè i responsabili di "Primato", una rivista letteraria dell’epoca, la censurarono, trattandosi di un commento a una raccolta di poesie dialettali.
Il commento di Contini, diceva tra l’altro:
"L’odore era quello irrefutabile della poesia, in una specie inconsueta" e parlando di contenuti, faceva riferimento " a quel centro di ascesi sul proprio corpo che fa l'equilibrio del libretto".
Pasolini si avvicina alla lingua friulana, a quella varietà casarsese ascoltando i suoi compagni di gioco, i suoi vicini di casa, e rimane subito suggestionato dalla «ruvida musicalità del friulano» (1)
.
“In una mattina dell'estate del 1941 io stavo sul poggiolo esterno di legno della casa di mia madre. Il sole dolce e forte del Friuli batteva su tutto quel caro materiale rustico... su quel poggiolo o stavo disegnando (...), oppure scrivendo versi. Quando risuonò la parola ROSADA.
Era Livio, un ragazzo dei vicini oltre la strada, i Socolari, a parlare. Un ragazzo alto, d'ossa grosse... proprio un contadino di quelle parti... ma gentile e timido come lo sono certi figli di famiglie ricche, pieno di delicatezza. Poiché i contadini, si sa, lo dice Lenin, sono dei piccoli-borghesi, tuttavia Livio parlava certo di cose piccole ed innocenti. La parola ROSADA non era che una punta espressiva della sua vivacità orale. Certamente quella parola, in tutti i secoli del suo uso nel Friuli che si stende al di qua del Tagliamento non era mai stata scritta. Era stata sempre e solamente un suono. Qualunque cosa quella mattina io stessi facendo, dipingendo o scrivendo, certo mi interruppi subito. (...) E scrissi subito dei versi, in quella parlata friulana della destra del Tagliamento, che fino a quel momento era stata solo un insieme di suoni: cominciai per prima cosa col rendere grafica la parola ROSADA”. (2)
Pasolini sente che quella parola, Rosada, è un legame forte che ha con quella terra e comincia così a comporre i primi versi in friulano. Con lui, il casarsese diventa poesia:
«una poesia che viene dall'anima di un popolo e della sua parlata». (3)
Una poesia che riproduce i suoni di quei luoghi attraverso
«una lingua più vicina al mondo»
4), «anteriore e infinitamente più pura», (5)
il casarsese, che
«riporta Pasolini alla madre e alla terra con viscerale insistenza».(6)
Bruno E.
Casarsa
Dedica.
Fontana di aga dal me país.
A no è aga pí fres-cia che tal me país.
Fontana di rustic amòur.
Casarsa
Dedica. Fontana d'acqua del mio paese.
Non c'è acqua più fresca che nel mio paese.
Fontana di rustico amore.
Dansa di Narcís
Jo i soj na viola e un aunàr,
il scur e il pàlit ta la ciar.
I olmi cu'l me vuli legri
l'aunàr dal me stomi amàr
e dai me ris ch'a lusin pegris
in tal soreli dal seàl.
Jo i soj na viola e un aunàr,
il neri e il rosa ta la ciar.
E i vuardi la viola ch'a lus
greva e dolisiosa tal clar
da la me siera di vilút
sot da l'ombrena di un moràr.
Jo i soj na viola e un aunàr,
il sec e il mòrbit ta la ciar
La viola a intorgolèa il so lun
tínar tai flancs durs da l'aunàr
e a si spièglin ta l'azúr fun
da l'aga dal me còur avàr.
Jo i soj na viola e un aunàr,
il frèit e il clípit ta la ciar.
Danza di Narciso
o sono una viola e un ontano, lo scuro e il pallido nella carne.
Spio col mio occhio allegro l'ontano del mio petto amaro
e dei miei ricci che splendono pigri nel sole della riva.
Io sono una viola e un ontano, il nero e il rosa nella carne.
E guardo la viola che splende greve e tenera nel chiaro
della mia cera di velluto sotto l'ombra di un gelso.
Io sono una viola e un ontano, il secco e il morbido nella carne.
La viola contorce il suo lume
sui fianchi duri dell'ontano, e si specchiano nell'azzurro fumo
dell'acqua del mio cuore avaro.
Io sono una viola e un ontano, il freddo e il tiepido nella carne.
sblanciada dongia il fòuc,
coma una plantuta
svampida tal tramònt,
"Jo i impiji vecius stecs
e il fun al svuala scur
disínt che tal me mond
il vivi al è sigúr".
Ma a chel fòuc ch'al nulís
a mi mancia il rispír,
e i vorès essi il vint
ch'al mòur tal país.
Tornando al paese
Giovinetta, cosa fai sbiancata presso il fuoco, come una pianticina
che sfuma nel tramonto? "Io accendo vecchi sterpi, e il fumo vola
oscuro, a dire che nel mio mondo il vivere è sicuro". Ma a quel fuoco
che profuma mi manca il respiro, e vorrei essere il vento che muore
nel paese.
Il dí da la me muàrt
Ta na sitàt, Trièst o Udin,
ju par un viàl di tèjs,
di vierta, quan' ch'a múdin
il colòur li fuèjs,
i colarài muàrt
sot il soreli ch'al art
biondu e alt
e i sierarài li sèjs,
lassànlu lusi, il sèil.
Sot di un tèj clípid di vert
i colarài tal neri
da la me muàrt ch'a dispièrt
i tèjs e il soreli.
I bièj zuvinús
a coraràn ta chè lus
ch'i ài pena pierdút,
svualànt fòur da li scuelis
cui ris tal sorneli.
Jo i sarài 'ciamò zòvin
cu na blusa clara
e i dols ciavièj ch'a plòvin
tal pòlvar amàr.
Sarài 'ciamò cialt
e un frut curínt pal sfalt
clípit dal viàl
mi pojarà na man
tal grin di cristàl.
Il giorno della mia morte
In una città, Trieste o Udine, per un viale di tigli, quando di
primavera le foglie mutano colore, io cadrò morto sotto il sole che
arde, biondo e alto, e chiuderò le ciglia lasciando il cielo al suo
splendore.
Sotto un tiglio tiepido di verde, cadrò nel nero della mia morte che
disperde i tigli e il sole. I bei giovinetti correranno in quella
luce che ho appena perduto, volando fuori dalle scuole, coi ricci
sulla fronte.
Io sarò ancora giovane, con una camicia chiara, e coi dolci capelli
che piovono sull'amara polvere. Sarò ancora caldo, e un fanciullo
correndo per l'asfalto tiepido del viale, mi poserà una mano sul
grembo di cristallo.
il me país al è colòur smarít.
Jo i soi lontàn, recuardi li so ranis,
la luna, il trist tintinulà dai gris.
A bat Rosari, pai pras al si scunís:
jo i soj muàrt al ciant da li ciampanis.
Forèst, al me dols svualà par il plan,
no ciapà pòura: jo i soj un spirt di amòur
che al so país al torna di lontàn.
Canto delle campane
Quando la sera si perde nelle fontane,
il mio paese è di colore smarrito.
Io sono lontano, ricordo le sue rane,
la luna, il triste tremolare dei grilli.
Suona Rosario, e si sfiata per i prati:
io sono morto al canto delle campane.
Straniero, al mio dolce volo per il piano,
non aver paura: io sono uno spirito d'amore,
che al suo paese torna di lontano.
*1. Cfr. ROBERTA CORTELLA, Percorsi romanzi nell'opera di Pier Paolo Pasolini, Edizioni concordia Sette, Pordenone 1998, p. 23.
*2. Cfr. P. P. PASOLINI, Empirismo eretico, Garzanti, Milano 1972, p. 62.)
*3. ROBERTA CORTELLA, Percorsi romanzi nell'opera di Pier Paolo Pasolini, cit., p. 24.
*4. Cfr. Passione e ideologia, P. P. PASOLINI, Garzanti, Milano 1960, p. 133.
*5. Cfr. ibid, p. 133.
*6. ROBERTA CORTELLA, Percorsi romanzi nell'opera di Pier Paolo Pasolini, cit., p. 25.
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