"Le pagine corsare "
dedicate a Pier Paolo Pasolini
Eretico e Corsaro
Libertà del 2 novembre 1946 |
Pasolini, Cos’è dunque il Friuli
Libertà, 6 novembre 1946
pag. 3
(Trascrizione dal cartaceo curata da Bruno Esposito)
Libertà del 6 novembre 1946 |
Abbiamo affermato fin dalle prime righe la non-friulanità di Pordenone, ma supponiamo che più di un pordenonese, a queste parole, finga (ma si tratta forse di una di quelle finzioni sincere, di quelle ipocrisie inconsce che conoscono gli psicologi) di essere offeso. Non saprei, per esempio, fino a che punto prestar fede all'avv. Rosso se, mettendosi metaforicamente una mano sul cuore, assicurasse: Ma io mi sento Friulano. Il Ducato di Pordenone dipendente direttamente dall’Austria è vissuto troppo tempo autonomo in seno al Patriarcato del Friuli, e quando questo si concluse, passò già troppo sfriulanizzato sotto il dominio della Repubblica veneziana. Da allora gli anni non sono trascorsi per nulla, e il processo di sfriulanizzazione iniziatosi per questa cittadina già nel secolo XV ha subito uno sviluppo irreparabile. Basta salire in treno (quello ad esempio che passa per Casarsa alle sette del mattino) e confrontare gli studenti e gli impiegati pordenonesi con quelli casarsesi e soprattutto con quelli di Codroipo e di Basiliano; vedremo nei primi un inconfondibile piglio veneto notevolmente diverso da quello non meno inconfondibile dei Friulani. Senza scendere ad argomenti di psicologia ancora troppo incerti per l'insufficienza di vocabolario, basterà guardare quello che è il riassunto, il simbolo, della nostra natura, di una gente, cioè il suo linguaggio; ebbene, nel Veneto di Pordenone (parlo del centro urbano) il substrato friulano si è quasi totalmente perduto (come a Portogruaro) mentre per esempio, in cittadine e paesi più lontani dal Tagliamento quel substrato è tuttora attivo e affiorante (si pensi al Sacilese).
Ora, tutto questo discorso, può sembrare per lo meno insensato ai dirigenti dei Partiti pordenonesi, al Rosso, e forse anche allo Zanfagnini (Sull'autonomia friulana, «Libertà» del 2 novembre); ma io li prego di credere che non si tratta di astrattezze: non c'è nulla di più scientifico della glottologia: dunque se i pordenonesi che han voce in capitolo avessero l'idea di accertarsi che la loro opinione è condivisa da coloro in nome dei quali parlano, potrebbero avere un linguaggio comune con le piccolissime minoranze borghesi (traditrici e importate) di Casarsa, Valvasone, Spilimbergo, Maniago, Cordenons ecc., ma si troverebbero poi di fronte la barriera di una lingua diversa, che è quella dell’assoluta maggioranza. Non dico che occorrerebbe un interprete, purtroppo, perché la popolazione di questo Friuli Occidentale è già da secoli abituata a tartagliare un orribile veneto e ciò è veramente una umiliazione, di cui, però, i deboli cervelli dei borghesi che vogliono figurare spregiudicati e non provinciali non possono rendersi conto. (Di questa umiliazione siamo in pochi a scontare l'amarezza.)
Libertà del 6 novembre 1946, pag. 3 |
Quanto alla provincia di Pordenone, noi dell’attuale provincia, non saremmo in linea di massima contrari, soprattutto se l’ente provinciale si riducesse a un puro fatto amministrativo. Sarebbe una piccola, marginale comodità che accetteremmo volentieri, ma solo in seguito alla costituzione della Regione friulana; in caso diverso non accetteremmo a nessun patto di far parte di una provincia veneta che finirebbe lentamente col distruggerci 1'ubi consistam friulano, cioè con lo spersonalizzarci del tutto; allora veramente il territorio fra il Livenza e il Tagliamento diverrebbe anfibio e amorfo, sprovvisto di coscienza e di passato. Dunque: provincia di Pordenone accettabile solo in seno alla regione friulana. Se i Pordenonesi insistessero a voler essere provincia veneta noi non potremmo far a meno di parlare di campanilismo, e di un campanilismo ben più pedestre di quello di Udine, in quanto basato puramente su deboli ragioni economiche. Come si vede, insomma, noi non facciamo che del separatismo dal Veneto, non già (il Cielo ci perdoni solo l'accenno) dall’Italia; e il decentramento non è da noi concepito come reazione ma come azione: azione che verrebbe a inserirsi nella più pura tradizione risorgimentale italiana, quella che perseguiva l'indipendenza e l’unità in nome della libertà.
Pier Paolo Pasolini
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