"Le pagine corsare "
dedicate a Pier Paolo Pasolini
Amado mio di Pier Paolo Pasolini
Uno scritto di Attilio Bertolucci
… così l’apprendista di filologia romanza
ricorse alla lingua della madre
campì di smalti ladini pale d’altare e d’amore
ne ripeté a piè di pagina
in predelle a carattere minuto la dulcedo
nell’italiano della sua classe
appena ombrato di quel mite neo
angloprovenzale inventato
da Pound giovane scalante picchi
smeraldini nella Provenza di Arnault e Peire...
…erano ormai altri anni nel fango di Ponte Mammolo
e ragazzi si prestavano ignari
modelli a imminenti cartoni manieristi già
era tempo
di atteggiare Franco Citti a prigione
profeta giovane peone in attesa
di cavalli padronali e schiumosi nel rito della
[propagginazione...
Io non so se le genziane viola sino al blu di Persefone
fioriscono a Casarsa
ma certo - di primo autunno - sui monti che ferisce
e ventila il Tagliamento bambino.
Non un brindisi funebre un mazzo di genziane miste a felci
vogliono le sue ossa –
non le sue ceneri –
che continuano a inquietarci a consolarci
mentre attendiamo dubitosi e felici
vino e fiamme per il nostro oblìo.
Si sapeva che fra le carte di Pier Paolo Pasolini, tenute in ordine attraverso anni e anni non certo tranquilli da quel ragazzo cresciuto di cui s’immaginano cartella, libri e quaderni di scuola impeccabili, ragazzo che non s’era smentito, realizzandosi artista di mestiere perfetto, si sapeva, dunque, che fra quelle carte c’erano due brevi romanzi inediti. La preziosa curatrice di questo volume, Concetta D’Angeli, ha scritto una relazione sul suo non facile lavoro, che viene pubblicata alla fine. La collocazione mi pare giusta non tanto perché quanto ci dice la D’Angeli abbia un valore secondario rispetto alle mie paginette, fatalmente impressionistiche e persino troppo personali, ma perché è bene che il lettore venga a conoscenza a posteriori dei segreti d’officina e dei dati di biografia, i quali debbono chiarire sì con vantaggio molte cose, ma non influenzarci nella lettura dei testi.
Integro il secondo in ordine di collocazione, quello intitolato Amado mio, restaurato il primo, Atti impuri, rispettando la volontà non esplicita eppure ben individuabile dell’autore di portare a termine quel romanzo che da larva stava mutando in farfalla. Larvata, è il caso di dirlo giocando sulle parole, autobiografia in via di trasformarsi in vero e proprio romanzo. In tal modo l’opera di Pasolini s e arricchita d’un altro libro (sono due brevi romanzi ma si possono considerare due variazioni su un unico tema, successive e perciò in progresso l’una sull’altra sia dal punto di vista psicologico che da quello formale) di quel periodo giovanile che da molti viene considerato fra i più felicemente creativi dello scrittore.
La cui bibliografia in quegli anni, pressappoco dal '43 al ‘49, che sono insieme gli anni della vita di Pasolini e del tempo in cui le vicende dei romanzi si svolgono, non portano che un numero, il piccolo, smagliante Poesie a Casarsa, in cui il giovanissimo autore, fresco di studi di filologia romanza, si inventa, dal t’ero della parlata di quella Casarsa patria insieme della mamma e delle vacanze, una lingua d’uso e arcanamente letteraria che lo libera dalla solenne, degna ma un po’ soffocante ipoteca dell’italiano ermetico. Così egli si presenta come l’unico « poeta della novità » di quegli anni.
Non stiamo a rinarrare la vita ardente e tragica di Pasolini: ci basti qui ricordare che nell’ultimo, amaro tempo della guerra il neolaureato e soldato renitente Pier Paolo Pasolini si rifugia con la madre a Casarsa, ormai anche sua per via delle poesie scritte in lode e mimesi lirica della città. Casarsa, da allora, è entrata nella geografia poetica europea, un po’ come la Soria dell’amatissimo sempre da Pasolini, Antonio Machado.
Ma né in Atti impuri, oscillante fra autobiografia e romanzo con dolce tensione verso quest’ultimo, né tanto meno in Amado mio, Casarsa conserva il suo nome. E questo ci aiuta, deve aiutare il lettore, a prendere i due romanzi per quel che sono o meglio per quello in cui la non lunga, eppure infinita, posterità distesasi fra la loro nascita e noi, li ha mutati: due piccoli romanzi, appunto, « di grazia » (rubo il termine alla musica lirica), nel senso, mettiamo, di quel capolavoro del manierismo alessandrino che è Dafni e Cloe di Longo Sofista. Questa affermazione contraddice, stride con quella « Prefazione », che potete leggere alla fine e che la curatrice pensa esser stata scritta più che per il « testo realizzato » per il « piano di stesura » di esso? Pasolini, a proposito dell’eros omosessuale, che è il tema unico di Atti impuri e di Amado mio, parla di « pena », di « condanna a vita », di « peccato » eccetera. Era forse insincero l’autore nella prefazione, lo è nelle prime righe di Atti impuri quando il « senso del peccato » sembra portare l’io narrante addirittura al pensiero del suicidio? Niente di tutto questo; tuttavia, in fiori la terra primavera o la stringa di gelo l’inverno o la scuotano i bombardamenti, gli amori, nel dispiegarsi « stupendo » (è un aggettivo che ritorna sempre) delle ripulse e delle miti rese, restano l’unica realtà. Ne risulta una celebrazione sì sottesa da un pedale di moralismo masochistico avvertibile, ma non tale da mutare la musica, ardentemente partecipe e già nostalgica, dell’« indicibile incanto » di giorni e notti pagano-cattoliche, nella festa fuggevole della giovinezza i « verdi paradisi », o i verdi inferni? Giudichi il lettore.
Da lì a poco Il sogno di una cosa, che sta a sé ma se si vuole allarga da dittico a trittico questa saga friulana, narra dei ragazzi di Atti impuri e di Amado mio ai quali, per dirla con Penna, è cresciuta un poco l’età, e delle loro famiglie implicate nelle lotte contadine, a ripensarci oggi di una arcaica semplicità, per ottenere l’applicazione del lodo De Gasperi. Scrivendo di quel libro, che s’apre con una sagra e chiude con un funerale, avevo detto, anni addietro, che in esso, come nelle predelle dei pittori medioevali, tutto prende smalto, fulgore cromatico, allegria di racconto. Anche, di quel Friuli povero e impegnato ad avere giustizia, ridono nelle carte pasoliniane « i muri scrostati delle case, il metallo rugginoso delle biciclette, le tele spiegazzate delle bandiere...
Così, e non sembri riduttivo rispetto agli autentici tremori dell’anima di chi fu un « fanciullo senza macchia e senza paura » (sono parole sue, ironiche e patetiche), Pier Paolo, preso nei lacci dell’« anomalia » dei suoi amari, ci dà con Atti impuri e Amado mio due idilli, e insieme elegie, della gioventù. Ho usato i due termini nel senso che avevano, prima di venire frettolosamente volti al negativo, quando erano pronunciati a proposito delle storie ellenistiche o di quelle decadenti, rispondentisi, da Teocrito al giovane Gide.
Attilio Bertolucci
©Eretico e Corsaro - Le Pagine Corsare |
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