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Biografia, lavori in corso - a breve anche il 1974 e il 1975

venerdì 31 gennaio 2025

In India con Pier Paolo Pasolini - Serata a soggetto a cura di Romano Costa - Rai, terzo programma radiofonico, trasmesso il 22 marzo 1968, alle ore 21

"Le pagine corsare " 

dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro



In India con Pier Paolo Pasolini
Serata a soggetto a cura di Romano Costa

Rai, terzo programma radiofonico

trasmesso il 22 marzo 1968

alle ore 21

La trascrizione è tratta da:

Interviste, scritti, testimonianze

PASOLINI SCONOSCIUTO

Interviste, scritti, testimonianze

a cura di Fabio Francione 

Edizioni Falsopiano


Legenda delle sigle:

Operatore Tv (OP)

Pier Paolo Pasolini (PPP)

Ninetto Davoli (ND)

Traduttore (T)

Voce della Troupe (VT)

Romano Costa (RC)

Accompagnatore (A)

Intervistato (INT)


Il programma di questa sera, un montaggio libero di voci e ambienti indiani ha due protagonisti: Pier Paolo Pasolini e l’India; singolare autore in “nagra”, il registratore professionale portatile perfetto. Il “nagra” ha fatto tutto da sé; riproposte da lui sono le musiche dei templi di Jaipur, le voci dei bambini di Rishikesh, le opinioni dei contadini sul problema demografico, quello degli operai sull’industria, l’urbanizzazione e la coscienza di classe, il giudizio degli industriali italiani in India sulle maestranze indigene, i “si gira” di Pier Paolo Pasolini. Infine i pareri sul problema della lingua e delle caste. Chi ha curato il programma di suo ha messo soltanto una lunga pazienza per scegliere 50 minuti di India su oltre 300 minuti registrati dal “nagra”.


RC. Pier Paolo, senti, ma dov’è che adesso andiamo? Un miglio a piedi su per il Gange, arriviamo in Cina!

PPP. Sto facendo dei sopralluoghi per un film, non ho mai fatto documentari in tutta la mia vita e non saprei neanche farli, quindi l’unico modo per farli è fare questi sopralluoghi che sono una specie di traccia, di filo conduttore nella scelta delle inquadrature, nella scelta delle piccole sequenze ecc…

RC. È il tuo primo lavoro che fai così, diciamo, giornalistico, in un certo senso, è la prima volta. Hai sempre fatto soltanto dei film, non hai fatto delle cose del genere, questo è un po’ un reportage anche perché se va per la rubrica “Tv7” dovrà avere anche un taglio particolare oppure di questo tu non ti interessi?

PPP. No, non mi interesso di questo, penso proprio veramente di fare i sopralluoghi per il mio film, e se poi questo verrà anche un documentario tanto meglio. In quanto al lavoro giornalistico si è il primo che faccio, ho fatto qualche articolo per dei giornali molti anni fa e quanto al cinema ho sempre fatto del cinema quello che si chiama il cinema di finzione, il cinema con delle storie, però ho fatto un film che si chiama Comizi d’amore che è un po’, in un certo senso, un documentario, più che un documentario insomma, comunque, quello era un film inchiesta.

RC. Il film ha già una traccia, ha già un soggetto, qualcosa o hai in mente soltanto così un’idea generale?

PPP. No, per il film ho in mente una traccia ma è completamente astratta perché l’ho pensata a tavolino, a casa mia, per puro caso e quindi adesso sono qui a verificare se tutto quello che ho pensato in astratto può essere realizzabile, può essere vero, può essere attendibile, in questo consiste appunto il documentario; adesso, per esempio, stiamo camminando per questo bosco, lungo il Gange, andiamo a cerare un monaco, il capo dei monaci di questo convento a cui voglio sottoporre delle domande perché, per esempio, la prima idea del film è questa: c’è un Maharajah il quale un giorno andando per i suoi possedimenti coperti dalla neve vede un gruppo di tigrotti che stanno morendo di fame e allora offre il suo corpo in pasto a questi tigrotti, per disprezzo della propria carne, per pietà insomma, cioè per ragioni proprio assolutamente religiose. Questa cosa qui me l’ha detta, per caso, Elsa Morante una sera a cena, che l’aveva letta in un libro di religione indiana appunto, e da qui mi è nata l’idea del film. Il primo episodio appunto racconta questa storia che ti ho detto, adesso vado da questo monaco, poi andrò anche da un maharajah e poi lo chiederò anche alla gente per strada se questa, se questo fatto, se questa storia è attendibile ancora oggi oppure è un fatto nella tradizione puramente leggendaria.

RC. Quindi, per il momento, non è che ci sia una storia di finzione appunto come dicevi te, non sarebbe un film come quelli del passato a parte Comizi d’amore.

PPP. No, continua ad essere una storia, una vera e propria storia perché c’è la storia di questo maharajah che in un epoca, diciamo, idealmente preistorica, mettiamo prima che gli inglesi se ne andassero dall’India, fa questo che ti ho detto, dopodiché la sua famiglia rimane sola, la moglie con dei figli, gli inglesi partono, il primo anno dell’indipendenza dell’India è un anno di carestia suppongo io, è una pura invenzione questa però mi sembra abbastanza attendibile, e in questa carestia, questa famiglia che si reca in viaggio verso Benares piano piano scompare in mezzo alla miseria, cioè ad uno ad uno i membri di questa famiglia muoiono di stenti e di fame. Insomma più che un’idea è un ritmo che ho in testa.

RC. E questo ritmo potrebbe essere cambiato da questo sopralluogo, non so da queste interviste, sentendo, vedendo, oppure è un ritmo che intendi mantenere pur cambiando qualcosa?

PPP. Se io mi accorgo che quello che ho pensato è assurdo allora rinuncio a fare il film, ma se mi accorgo che quello che ho pensato è in qualche modo credibile allora questo ritmo lo mantengo perché questo ritmo è l’idea formale del film e quindi il suo vero contenuto. Allora, ho capito, gli dica che noi conosciamo la leggenda in cui un maharajah, un santo, un santo maharajah ha visto dei tigrotti che morivano di fame e allora ha dato il suo corpo da mangiare a questi tigrotti, ecco, gli chieda se qualcuno di questi monaci di cui lui è servo, che lui serve, sarebbe capace di fare così, di fare che vedendo dei tigrotti morire di fame sarebbe capace di dargli il suo corpo da mangiare.

OP. Tutto il libretto?

PPP. Sì, ma però non vorrei che stringessi, capisci?

OP. No, sto fermo, sto fermo.

PPP. Cioè parte con un obiettivo.

OP. Parto così, con una grandezza adesso c’ho… e tutto il libro, e il primo piano, così, sì.

PPP. Allora io dico, io non sono qui in India, quando sto dicendo in…, lei va giù.

OP. … metti un 35, c’è il sole in macchina. Attenzione che panoramico.

ND. Guarda quanto è bello… gli avvoltoi. Guarda come.

OP. Gli avvoltoi ci stanno, sono scappati tutti, mannaggia!!!

PPP. Lei deve chiedere agli adulti non ai bambini che non capiscono…

T … ah no, non volevano, però mi sembra che poi si siano convinti.

PPP. le deve chiedere, deve dire anzitutto che secondo noi il problema più grave dell’India, è un problema della sovrappopolazione che è stato presentato un disegno di legge che propone la sterilizzazione volontaria degli uomini. Noi vogliamo chiedere a loro che cosa ne pensano, chi è favorevole a questa legge deve dire sì e chi è contrario deve dire no. Guarda, guarda, ma guarda, proprio lì devono stare! Perché non vanno sulla torre, non ho capito cosa aspettano ad andare sulla torre!

VT. Ci siamo messi nel posto peggiore! Qui arrivano. Ci metteranno…

PPP. Non ci sono le maestra e il maestro, ci sono?

VT. Sì, stanno lì.

PPP. Chi è quello bianco lassù...

   (continuano dei brevi dialoghi, tra i componenti la troupe, non comprensibili)

RC. Pier Paolo, è vero o mi sbaglio che ti stai divertendo a fare il giornalista televisivo?

PPP. Veramente non avrei mai creduto che fare i documentari fosse così bello. Non capisco bene ancora perché sia così bello ma probabilmente questo senso di piacere nel fare il documentario è dovuto all’estrema libertà in cui ci si trova, cioè tutto può andar bene, tutto è giusto, tutto è bello, tutto è necessario e quindi quello che posso registrare, che posso fissare con la pellicola è infinito praticamente ma, al tempo stesso però, il fare un documentario come idea, così diciamo come struttura di quello che sarà poi il documentario invece costringe ad essere estremamente essenziale più che nel film, perché in fondo nel raccontare una storia tocca spesso mettere dei particolari prosaici tanto per spiegare come le cose vanno avanti, nel documentario tutto questo è inutile. Quindi da una parte i documentari sono infiniti, dall’altra sono estremamente ristretti, estremamente sintetici. Sono due piaceri contrastanti ma ugualmente profondi.

VT. Pier Paolo…

PPP. Là, là, là, c’è il cadavere, ci sono gli avvoltoi.

VT. Son scappati tutti!

ND. Mannaggia!

RC. Ora tornano và, se aspettiamo un momento.

VT… i corvi. Ma non sono corvi! Eccoli! Eccoli! Non sono corvi! Ma dov’è il cadavere?

PPP. Dov’è la carogna?

ND. Eccolo là vede?

VT. Ce n’erano… lì vicino gli avvoltoi.

T. … È che devo…

ND. Ce stanno un sacco de… Ndo’ stanno quell’uccelletti laggiù! Segua il corso dell’acqua come senso dico e poi… troverà.

VT. Mi… Sempre. Vabbè… e niente so’ scappati. Se… c’ha il vaiolo guarda!

ND. C’ha il vaiolo!

VT. È tutto chiuso… non vedi la faccia? È tutto stretto.

(Segue breve brano in indiano)

PPP. … Le chieda se può chiudere un momento la radio.

VT. Dentro è nero, è scuro, scuro…

VT. … sono tutti ragazzini. Mannaggia.

PPP. Chiama gli uomini.

PPP. Da quell’uomo con gli occhiali lì a destra in poi.

PPP. Comincia a fare, a spiegarglielo bene, glielo dica due o tre volte, chiedi se loro credono che ci sia qualche differenza tra gli operai che lavorano nelle fabbriche e loro che continuano a lavorare la terra. Andiamo motore. Stop, stop.

Facciamo la terza domanda, chiediamo ai ragazzi se loro preferiscono fare i contadini oppure vogliono andare a lavorare in qualche fabbrica.

T. Desiderano lavorare, vogliono lavorare nella terra.

PPP. Nella terra? Ah sì?

T. Desiderano lavorare la terra.

PPP. Domanda se ce n’è uno che vorrebbe andare a lavorare nella fabbrica. Aspetti, vada, vada… il motore.

T. Questi desiderano lavorare nella fattoria, nella fabbrica.

PPP. Nella fabbrica.

T. Nella fabbrica, sì.

PPP. Loro tre. Ma non sono quelli che hanno risposto…

T. Ma i bambini, quelli sono stati influenzati, qualcuno ha detto ha detto…

VT. … bene nel campo.

PPP. Non si riesce a sapere la verità!

VT. Forse i bambini poi si trovano bene anche nei campi non capisco.

T. E no perché per i bambini è una questione sentimentale insomma.

PPP. Perché c’ha due bambini poi riesca a… tutti quelli più grandi. Allora voi sapete che nell’India ci sono tante persone, tanti milioni di persone e non c’è abbastanza da mangiare per tutti ecco, allora la gente muore di fame, di stenti, sta male, allora si sta facendo una legge, chiedendo agli uomini di farsi sterilizzare cioè gli spieghi come funziona, di fare in modo che dopo avere fatto tre figli non ne possano fare più.

T. Il family planning...

PPP. Il family planning, se loro ne hanno mai sentito parlare di questo, prima domanda, prima cosa; seconda cosa se sono a favore o se sono contro. Glielo dica come vuole, faccia il giro di parole. Ecco avanti, faccia il discorso, bene, chiaro.

VT. Silenzio adesso eh!

T. Dato che non tutti sanno l’hindi quindi è necessario che lo spieghi a lui poi lui lo spiegherà in marathi.

(Segue la traduzione di quanto poc’anzi domandato da Pasolini).

VT. Il fatto qui è stato questo, non hanno saputo rispondere, si rifiutano, non capiscono niente.

RC. Tu in questo viaggio chiedi anche a questi abitanti del villaggio che mi pare siano analfabeti e gli fai delle domande tipo appunto sulla sterilizzazione, i problema della sterilizzazione e anche dell’industrializzazione, credi che le capiscano, cioè concettualmente capiscano quello che tu vuoi che gli rispondano?

PPP. Qui ci sono delle fabbriche, in queste fabbriche ci sono degli operai e dei tecnici, intono alle fabbriche con tecnici e operai c’è un dato che è diverso dal resto del mondo indiano cioè del mondo contadino. Quindi è chiaro che se io faccio queste domande a degli operai, a dei tecnici e a chi vive intorno al mondo industriale queste mie domande sono capite.

Fino a che punto non lo so ma almeno alla lettera sono capite.

E infatti le risposte che mi hanno dato fin ora sono risposte di gente che si è resa ben conto del problema e le mie domande invece non sono capite, nemmeno alla lettera, forse, dai contadini più arretrati. In certi villaggi proprio assolutamente non hanno capito quello che volevo chiedergli. Ma però ho pensato che non avessero voluto capire che fosse il loro un rifiuto totale che non avessero voluto capire che fosse il loro un rifiuto totale non a una domanda specifica ma alle domande in generale. Ho avuto un’altra idea ieri conoscendo tutti questi industriali italiani lì dal console di fare un altro documentario, di restare un giorno in più, e cioè sul problema dell’industrializzazione in India. Le domande che mi sono fatto sono tre: cioè se per una nazione che si chiama in via di sviluppo per industrializzarsi sia necessario che si occidentalizzi, perché pare che sia una specie di luogo comune, di cosa non critica per cui una nazione in via di sviluppo si debba industrializzare e debba anche occidentalizzarsi. Mi chiedo se questo è vero o no. La seconda domanda che mi sono fatto è questa: se in India si è avuto qualche caso di violenza, di protesta violenta cioè manifestazione di studenti a Calcutta, tumulti a Madras, cioè un tipo di cosa abbastanza nuova all’interno dell’India, cioè se quando gli indiani sono stati violenti per ragioni religiose, mettiamo per una guerra religiosa oppure per l’indipendenza non lo so, ma all’interno della loro nazione mi sembra che sono i primi casi questi o no di protesta violenta, cosciente da parte di studenti.

A. Sì pensano forse di sì, ma dovrebbe approfondirlo con questo economista.

PPP. No, no questo fa parte di questo secondo documentario di cui le sto parlando per cui mi occorreranno persone che poi le dico, ecco allora volevo chiedermi se per caso questo tipo, questi nuovi sintomi appena registrabili di violenza sono dovuti all’inizio dell’industrializzazione cioè il passaggio da un mondo puramente agricolo e religioso ad un mondo invece industriale e laico, non so come dire. E poi la terza domanda che mi sono fatto è questa: il problema linguistico, se risolvere il problema linguistico in modo nazionalistico, sia nazionalistico indiano, sia nazionalistico locale, sia una forma di occidentalizzazione oppure un rifiuto all’occidentalizzazione perché si presenta come un rifiuto all’occidentalizzazione cioè rinunciare all’inglese, adottare l’hindi, le lingue nazionali, locali, sembrerebbe un rifiuto all’occidentalizzazione cioè rinunciare all’inglese, adottare l’hindi, le lingue nazionali, locali, sembrerebbe un rifiuto all’occidentalizzazione in realtà invece è una forma di nazionalismo piccolo-borghese tipico dell’Occidente almeno fin ora.

Ecco, queste sono le tre domande chiave che vorrei fare.

A. Ecco questa potrebbe farla a questa signora, a questa signora che viene adesso perché ha detto che, può darsi che sia eletta fra non molto come sindaco di Bombay, è eleggibile quella carica, potrebbe.

PPP. Su queste cose insomma lei è informata, non ci sono problemi di… Io potrei fare tutte e due le interviste, una che mi serve per il primo documentario cioè sul problema delle caste e qui mi occorre veramente qualcuno di coraggioso perché in generale gli indiani quando si parla di caste fanno finta di niente, fanno finta che non ci sono. Allora mi serve una persona coraggiosa che mi dica fino a che punto questo è ancora un problema o non lo è ecc… ecc… capito. Allora potrei farle questa domanda qui per il primo documentario e poi quest’altra per il secondo.

A. Per la signora sarebbe molto più indicato il secondo documentario, per il primo le darà forse molti consigli, ma dato che Bombay si trova un po’ alla punta non della (penisola) indiana, quindi potrebbe aiutarla molto nel secondo documentario.

PPP. E poi vorrei mettermi in rapporto con questi industriali italiani che ho conosciuto ieri perché mi facessero un po’ da guida, per esempio ce n’è uno che ha una fabbrica qui vicino mi ha detto, è quel piemontese un po’ basso di statura nato però a Vicenza, è proprio il problema delle caste. Per esempio negli hotel, mettiamo qui in albergo, quando scendi in un hotel, si sente che ognuno ha una sua funzione e che non potrebbe, che gli è impedito da qualcosa di fatale di fare, di eseguire qualcosa che non è nelle sue mansioni, non so come dire, una conseguenza del… delle caste questa, cioè quello che pulisce i pavimenti non potrebbe mai portare la colazione, non so come dire, capisce. Può darsi che le caste nel senso tradizionale delle quattro caste non ci siano più, però una mentalità castale forse rimane ancora nelle mansioni della gente.

A. Dunque lei ha citato adesso un caso particolare di uno degli intoccabili che è uno dei ministri del gabinetto di Bombay. Prima aveva parlato del problema delle caste cioè come l’aveva impostato lei, cioè nel senso più moderno della parola, ha detto che ogni componente di una determinata casta si sente come vincolato con la casta degli altri, perché gli altri impongono di non poter scavalcare quella barriera che si è creata intorno a lui e quindi lui si sente, non si sente affatto libero come governante… cerca di convincere la gente a poter scavalcare, cioè ci sono i mezzi legislativi per poter scavalcare questa barriera.

PPP. Sì, questo lo so, sì lo so, io so che le leggi, tutte quante, tutto è aperto a scavalcare tutto questo, io volevo chiedere fino a che punto invece la tradizione è più forte delle leggi e della democrazia, ecco, capito, sono problemi anche italiani questi intendiamo, non è che siano problemi indiani. Va bene, allora io direi che possiamo farla questa intervista, andiamo là con la camera e io le faccio le domande su questi argomenti, lei dovrebbe cercare di essere concisa, rispondere con una certa concisione, esattezza, e l’ultima domanda che le farò, farò queste due o tre domande cioè una cosa che riguarda il film in generale, una cosa che riguarda invece il problema oggettivo, storico delle caste in India, quello che ho risposto adesso più o meno, e l’ultima domanda, cioè la tre, l’ultima domanda che le farò sarà se lei camminando per le strade saprebbe indicarmi ecco quello è un “pari”, quello è un “intoccabile”, quello è un “bramino”, cioè se sono riconoscibili, non dico nei vestiti ma se li riconosce dallo sguardo, dal modo di fare, se li saprebbe individuare o no, ecco se potesse indicarmeli, per esempio in Italia superata la differenza tra Italia del nord e Italia del sud però se io vedo un italiano del sud lo riconosco subito; io le dirò se questo è possibile lei mi indica qualcuno.

RC. Scusa Pier Paolo, ma la musica un po’ lontana non darebbe mica fastidio ai fini dell’intervista.

PPP. No, per cortesia, se è possibile tagliarne un pezzetto perché poi si sente e non si sente… la facciamo venire da più lontano e la facciamo fermare più sul mare, ancora ecco... va bene, siete pronti?... la facciamo prima dell’intervista, tanto qui è muto.

VT. Ah, questo è muto da fare...

PPP. Ve lo dico io motore, aspettate, motore!

VT. Stop, stop.

PPP. Cos’è successo?

VT. C’è stato lui in campo, s’è trovato lui qua!

PPP. Non dite mai niente alla gente, non dite mai niente alla gente. Ok, ok, thank you. Va bene così. Prepariamo l’intervista (n.7) e scrivete bene sotto il suo nome però. Avete preso sempre bene i nomi della gente?

VT. Sì, sì.

PPP. Ecco, la prima la facciamo così, direi sono tre domande, tre o quattro e cambiamo angolazione.

VT. Ah, cambiamo proprio angolazione?

PPP. Sì, prendiamo anche contro le navi là, la prima domanda è quello che abbiam detto cioè questa famiglia del maharajah, caduta in miseria che si trova nel Bihar in un momento di fame e carestia terribile, secondo lei conserva la sua mentalità castale o no e fino a che punto la conserva, le rifacciamo la domanda, può darsi che lei la modifichi un po’, allora digli pezzettino per pezzettino in modo che è più chiara. Allora voi andate quando vi dico io via. Pronto? Quando dico via io andate, quando dico motore andate. Ecco devi fare la domanda da qui, da qui vicino a me. Siete pronti, posso cominciare la domanda, vi dico io motore eh. Allora, secondo lei, la famiglia di un maharajah morto, caduta in miseria, nella più estrema miseria, che si trova nel Bihar in un momento di terribile carestia conserva ancora mentalità castale o no?

PPP. Stop. Dunque, più o meno, com’è la risposta?

T. Dunque, la risposta è questa.

PPP. Ecco, ho cambiato un pochino angolazione.

T. In risposta alla domanda ha detto solo questo che il maharajah, cioè la famiglia del maharajah, è conscia di essere tra i suoi sudditi e non sa che doveri ha verso questi suoi sudditi e poi ha naturalmente la sua situazione personale cioè quella della fame sua da dover considerare.

PPP. E allora posso passare alla seconda domanda, cioè fino a che punto conservano questo irrigidimento castale, fino a che punto, cioè le faccio l’esempio dell’altra volta, nel caso che stia morendo di fame un intoccabile le dà un pezzo di pane, mangerebbe questo pezzo di pane o no ecco. Attenzione eh, allora ho avvicinato il microfono, vi dico io motore eh. (Nino) lascia stare sempre la gente dove sta, quante volte devo dirlo, lasciatela sempre dove sta.

PPP. Ma questo sarebbe un grave dolore, una cosa angosciosa per loro oppure lo vivono con una certa naturalezza?

PPP. Stop, ho cambiato angolazione, si ho capito più o meno, è stato molto doloroso ma con tutte le difficoltà dovrebbero farcela. Mettiamo la macchina più in qui. Adesso passiamo alla seconda domanda e cioè nella situazione politica indiana attuale il problema delle caste, malgrado le leggi che danno la totale libertà ecc… ecc…

T. Attuale?

PPP. Attuale, attuale, di adesso, malgrado le leggi che danno libertà e cioè hanno abolito queste cose qui, la mentalità castale è ancora molto forte o no, fino a che punto la tradizione è più forte della buona volontà dei dirigenti. Siete pronti? Ecco, motore.

PPP. Thank you. Stop. Facciamo la terza domanda da un’altra angolazione. Dunque, volevo appunto.

T. Quel caso particolare di lei che cercava di convincere le donne più umili.

PPP. Sì, lo facciamo nella terza domanda.

T. Ah, una terza domanda.

PPP. Sì, sì, una terza domanda. Allora stringiamo ancora un pochino. Sì, sì, ecco allora la terza domanda è dire, va bene, nei villaggi questo problema è ancora fortissimo ed è quasi rimasto come prima ma nelle grandi città meno, ma però nelle grandi città lei, guardandosi intorno, distingue gli individui delle varie caste o no, sono distinguibili o no e in questo caso, dopo, le indica qualcuno.

RC. Pier Paolo, tu dici che l’India è un paese senza speranza, in che senso dai questa definizione di questo popolo?

PPP. Ma io ho detto un paese senza speranza avendo dentro di me l’idea che m’ero fatto dell’India nell’altro viaggio che avevo fatto in India cinque o sei anni fa, e allora mi era nata questa definizione così, questa definizione un po’ generica devo dire la verità; dicevo che era senza speranza perché non vedo quale forma politica, democratica o socialista possa risolvere i problemi dell’India perché sono insolubili di per sé, non sono insolubili perché sia cattiva o mediocre la forma di governo indiano o diciamo così la vita politica indiana, e cioè il problema della sovrappopolazione e della fame è un problema sorto, forse un governo formato soltanto da scienziati che abbiano soltanto quel problema a cui pensare possono risolvere. Neheru parlava sempre dell’energia atomica usata attualmente per scopi pacifici come dell’unica possibile speranza indiana, quindi il salto dall’era preindustriali addirittura all’era atomica.

VT. ... monumenti equestri, ne succedono di tutti i colori, sempre imprevedibili... perdere mezz’ora. Eh, ma lui...

PPP. Beh, no, veramente essendo una guida dovrebbe capire che i turisti vogliono vedere i templi, i palazzi antichi, non vogliono vedere i monumenti equestri, non capisco. Si vede che Nardelli ha tradotto letteralmente la mia parola monumento, monumento in senso muratoriano “monumenta”.

RC. Qui potrebbe essere il palazzo dove…

PPP. No perché non piace a me, potrebbe anche essere ma non mi ispira. Per quello che riguarda la casa o il palazzo dove dovrebbe abitare il maharajah del mio film, il rajah sta nel Gujerat cioè la regione che stiamo percorrendo, mi pare che, no, no, mi hanno un po’ deluso; perché i palazzi che abbiamo visto sono bellissimi anzi forse il palazzo rosa di Jaipur è una delle cose più belle che abbia mai visto nel viaggio, però è immerso dentro una città moderna, invece ho bisogno di qualcosa di più preistorico, di più mitico, di più lontano nel tempo, di più fantastico insomma; loro continuano sempre a pensare o a Golconda nel centro dell’India oppure ad Agra che è a due trecento chilometri da Nuova Delhi verso il Bihar, la quale Agra è una città morta perché è stata costruita molti secoli fa e poi si sono accorti all’ultimo momento che non c’era acqua nei dintorni e non potevano averla e quindi l’hanno abbandonata così come l’avevano costruita, è rimasta intatta, perfetta, perduta così nel tempo, nel silenzio. Durante il viaggio, la notte, durante un felicissimo viaggio di notte, temendo di aver sbagliato strada così, quindi abbiamo impiegato tutta la notte fino all’alba, non c’è stato un momento che aprendo gli occhi non si vedesse una vacca, due vacche con un carrettino oppure qualcuno che camminava non si sa mai dove vanno, dove vanno alle tre di notte, dei vacchi, aprendo gli occhi si vedeva un vecchietto che passo passo camminava, tre o quattro carri con delle vacche. Senta, qual è la percentuale di operai che lavorano nelle fabbriche rispetto all’intera popolazione che lavora?

INT. La popolazione che lavora in India può essere calcolata sui duecento milioni di cui soltanto il tre per cento cioè sei milioni lavorano in fabbrica.

PPP. Senta, ho sentito dire da molti industriali che lavorano qui che non sempre sono soddisfatti del rendimento dell’operaio indiano. C’è qualche ragione di questo secondo lei?

INT. Manca, sempre secondo me, ripeto, la spinta, l’ambizione personale che è tipica degli operai dei paesi occidentali.

PPP. Secondo lei è assolutamente fatale, necessario che una nazione come l’India, che si sta industrializzando, si debba anche occidentalizzare, cioè industrializzazione o occidentalizzazione sono inseparabili.

INT. Secondo me inseparabili.

PPP. Ma non sarà una nostra abitudine diciamo razionale, di uomini bianchi che crediamo che il mondo debba essere per forza come noi lo concepiamo?

INT. Potrà essere anche così, comunque siamo noi che dettiamo la strada per il progresso industriale.

PPP. I casi di violenza che si sono verificati in India, di violenza voglio dire, di contestazione interna, all’interno dello stato indiano, sono dovuti in parte, secondo lei, all’industrializzazione o no?

INT. Attualmente parte di queste dimostrazioni sono dovute a ragioni, diciamo, di ostilità tra stato e stato e soltanto una piccola parte sono istanze sociali chiamiamole così, e di questa piccola parte io direi che è strettamente legata all’industrializzazione.

PPP. Grazie.

INT. Prego.

VT ... no, no, no, riprendi un gruppo poi panoramichi su loro.

PPP. Gli chieda per favore se sentono che c’è molta differenza tra quelli che continuano a lavorare nei villaggi come contadini e loro che lavorano qui come operai.

T. A ciascuno di loro.

PPP. No, insieme, gli faccia una domanda, allora, andiamo, andiamo, via, motore. No, mettete un 50.

PPP. Thank you very much. Questi operai; in genere, quelli che... come operai come le sono sembrati in genere?

INT. Azzeccato fino ad un certo punto perché prima di tutto mi sembra che la domanda sia estremamente difficile, cioè potrei rispondere qual è la differenza tra un operaio che è stato avvicinato dalla civiltà industriale e il contadino, per l’operaio stesso mi pare che sia quasi impossibile, in sostanza loro sono degli operai occasionali perché evidentemente sono venuti a lavorare nell’industria per interesse economico, hanno sempre i legami col paese nativo dove vanno regolarmente e penso che non ci sia un abisso, una barriera tra quello che hanno lasciato al paese e quello che hanno trovato qua.

PPP. E però a vederli così fisicamente, se la presenza fisica ha un significato, la presenza fisica parla in modo assolutamente diverso da come parla la presenza fisica di un abitante di un villaggio.

INT. Ah bè, esteriormente sì perché è logico che avvicinandosi ad una società industriale ne subiscono tutte le conseguenze almeno esterne.

PPP. Sì ma lei pensi adesso quando tornano nei loro villaggi si sentano sincronizzati con gli altri, coi loro fratelli.

INT. Ma io penso di sì. Adesso loro continuano a ripetere che c’è molta differenza ma se poi lei va a fondo e chiede che differenza trovano continuano a ripetere che la differenza è che l’operaio lavora con le macchine e il contadino lavora nella campagna.

PPP. Sì, ma però quando ho chiesto se c’erano differenze sulla religione, su problemi politici anche lì hanno detto che c’è molta differenza.

INT. Sì, quello ha detto che credono in un altro... in altri dei, adesso io non sono al corrente delle sottili distinzioni tra Dio e Dio e tra adorazione e adorazione ma non vedo perché improvvisamente l’accostarsi alla civiltà industriale debba cambiare il tipo di religione, il tipo di interessi religiosi.

PPP. È quello che è sempre successo però, sempre la fabbrica è una mentalità laica, diciamo così, lei pensi un cattolico mettiamo di Milano e un cattolico di Canicattì, benché tutti e due abbiano le stesse idee, l’atteggiamento religioso è molto diverso. Poi, probabilmente, voteranno in modo diverso.

INT. Questo non lo saprei.

VT. Mettiamoci contro... no ma è bene che si veda... lì dietro eh! Aspetta. Se vuoi possiamo andare su... verde, ci sono un po’ di alberi, di fiori. È bello che si veda quel fondo così. Sì così.

PPP. Dunque eravamo rimasti agli dei della pioggia e ai monsoni no... Secondo lei certe... Se la parola religione coincide, grosso modo, con l’India tradizionale, mentre questo nuovo atteggiamento religioso coincide con l’India moderna, l’India industrializzata, a proposito di questo vorrei farle questa domanda: secondo lei, per una nazione come l’India che si sta industrializzando, è fatale che questo comporti anche un’occidentalizzazione o no?

INT. Non necessariamente perché se per occidentalizzazione intende che l’uso dei mezzi di produzione che l’Occidente ha avuto negli ultimi cent’anni modifichi la struttura mentale degli indiani in tutti gli aspetti della sua vita no, perché rimane attaccata a delle forme che non penso possano essere eliminate nell’immediato futuro, due, tre generazioni, rimarrà come è adesso. Non penso che l’industrializzazione possa modificare l’atteggiamento spirituale indiano, insisterei molto sull’aspetto religioso, perché la religione come manifestazioni esteriore esiste, la religione come analisi, introspezione è al di fuori della portata di questa gente.

PPP. Quindi si potrà avere un’India industrializzata ma non occidentalizzata.

INT. Senz’altro, cioè ci sarà un paese completamente nuovo che potrà avere anche uno sviluppo industriale all’avanguardia ma con caratteri e con fenomeni di individualità completamente diversi dai nostri ai quali noi siamo abituati, nostri tradizionali in sostanza.

PPP. Senta Tealdo un’ultima domanda. Secondo lei certi casi di violenza, non dico di violenza in guerra, mettiamo la guerra col Pakistan ecc…, ma la violenza all’interno di una nazione cioè della violenza contrapposta all’ideale della non violenza di Gandhi, questi episodi che si sono verificati a Calcutta, a Madras ecc…, sono in qualche rapporto con l’inizio dell’industrializzazione in India o no?

INT. Lo escluderei signor Pasolini. Queste manifestazioni di violenza sono legate a fatti storici preesistenti a qualsiasi forma di industrializzazione. Il problema linguistico è nato prima ancora dell’indipendenza dell’India, altri problemi che hanno creato invece recenti atti di violenza sono essenzialmente legati coi bisogni principali degli indiani che è il cibo, un tetto sulla testa e un pezzo di cotone con cui vestirsi.

PPP. Sì, ho capito ma di fronte a queste necessità l’indiano ha sempre reagito, diciamo così, con la non violenza, con la mitezza, con la rassegnazione, questa forza improvvisa che è venuta in certi sporadici casi non s’era legata a quella nuova mentalità di cui parlavamo prima...

INT. Non so come risponderle signor Pasolini perché sostanzialmente il limite di sopportazione che l’indiano sia esso operaio o agricoltore ha dimostrato nei confronti di moltissimi aspetti di difficoltà nella vita quotidiana avrebbero giustificato ben maggiori violenze, ben maggiori reazioni, quindi la situazione non penso abbia portato nuovi componenti alla violenza locale, e anche la non violenza è una forma di protesta, non è mai stata interpretata come non violenza a tutti i costi, non violenza fino a che non si può ottenere con altri sistemi bene, poi dopo anche la violenza.

PPP. Ho capito, comunque si dà il caso che proprio adesso se succede succede che la reazione sia violenza. È un caso voglio dire? È un caso?

INT. Penso non si possa dire, perché in fondo le manifestazioni di violenza in Madras dove l’indice di industrializzazione è inferiore a quello di Bombay non sono legati evidentemente ad un fenomeno di industrializzazione, particolarmente l’oggetto della violenza è un problema linguistico, non è legato alle condizioni economiche, né è legato alle condizioni politiche.

PPP. Va bè, Gramsci però diceva che ogni volta che sorge in una nazione il problema linguistico vuol dire che c’è un problema sociale dietro cioè si è coscienti del problema linguistico soltanto nei momenti in cui albeggia, comincia a porsi una questione sociale, è strattamente legato.

INT. Bè, evidentemente il problema sociale e linguistico indiano oggi è legato alla possibilità, non so nel Sud, di accedere ai posti di governo, sì non solo all’impiego pubblico come conoscenza dell’hindi come lingua ormai quasi obbligatoria per gli atti pubblici. Questo può esser, son certo, a... di realtà, ma anche quello non è legato all’industrializzazione, è legato ancora alla macchina burocratica del paese.

PPP. E secondo lei?

INT. Sì, no, la violenza di questi ultimi casi, soprattutto di Calcutta, secondo me non ha niente a che fare con lo sviluppo industriale, ne è prova il fatto che Bombay, che ha uno sviluppo industriale notevolissimo fino adesso non ha rivelato nessuna esplosione di violenza.

PPP. Vuole dire che il moto rivoluzionario cioè la protesta portata sulla piazza, insomma così, a mano armata, nasce a questo punto dell’industrializzazione generalmente.

INT. Qui esistono invece quei caratteri peculiari di una determinata popolazione come quella di Calcutta che sono forse preponderanti sul fatto che ci sia o non ci sia l’industrializzazione nella zona. Però, allo stesso punto, anche in America, allo stesso punto di industrializzazione sono scoppiati i moti.

PPP. Sì è un po’ tipico di tutto il mondo, allora io chiedevo, appunto, se anche l’India si inserisce in questo ciclo, diciamo.

INT. L’abbandono di valori spirituali tipo la non violenza, cioè il testamento spirituale di Gandhi gradualmente dimenticato.

PPP. Per questo dico non solo nell’India ma in tutto il mondo, per esempio il mito della non violenza avrebbe in America adesso si sta…

INT. Di conseguenza, a conclusione, l’India si sta occidentalizzando, si sta mettendo a livello di tutto il mondo. Certo che se come occidentalizzazione siamo riusciti ad esportare la violenza in India non ha nessun motivo di essere proprio... da questa...

PPP. Che nesso c’è tra i moti dei negri

INT. No, no io parlavo dei moti in America all’inizio dell’industrializzazione in America, fine ’800, allo stesso livello di qua, anche là ci furono dei moti di piazza paurosi con dozzine di morti.

PPP. Cioè Malcom X quando parla in quel suo bellissimo… del suo potere nero parla dei negri d’America come gruppo leader di tutti i popoli sottosviluppati, di tutti i popoli preindustriali, cioè i negri d’America si pongono un po’ all’avanguardia di tutti i moti di violenza, di tutti i popoli sottosviluppati, ne hanno coscienza di questo i negri. Infatti si vede che c’è un certo nesso, misterioso ma c’è.

RC. Senti Pier Paolo, tu l’altro giorno, quando siamo stati dai santoni, mi dicevi che cercavi una verifica in queste interviste che fai, una verifica di questo ritmo, di questa idea che tu hai in mente per il film che girerai o che pensi di girare, sono 15 giorni, 20 giorni che stiamo girando e tu stai intervistando, hai avuto risposte ecc…, hai potuto vedere meglio e forse verificare questi fatti. A questo punto tu credi di poterlo ancora fare il film?

PPP. Sì, devo dire che la verifica ha ottenuto un risultato favorevole, cioè tutti i punti che per me erano problematici sono stati confermati dalle mie inchieste, dalle mie interviste; qualche scetticismo l’ho trovato presso qualche intellettuale a Bombay, ma non profondo; in conclusione quando gli ho chiesto di darmi qualche consiglio come sceneggiatore me l’ha poi dato, me l’ha poi dato e anche abbastanza intelligente, abbastanza acuto. Quindi la leggenda del Maharajah che si dona alle tigri ecc… ecc… prima, e poi questa morte di fame dei membri della famiglia sono due fatti attendibilissimi anche nei particolari che man mano sono andato chiedendo. Potrei dire alla fine di questa mia indagine che ho talmente verificato la possibilità di realizzare questo film che addirittura non ho più voglia di farlo. Mi è venuto in mente un nuovo film, in un certo senso mi sono accorto, nel fare questo film inchiesta su un film da farsi, che questo film da farsi l’ho esaurito, ho esaurito la curiosità, l’entusiasmo, la passione di farlo, cioè potrei lavorare in India ancora moltissimo ma non più a questo film e allora mi è venuta un’altra idea appunto di un altro film tutto formato di tanti sopralluoghi o inchieste su molti film da farsi non soltanto su uno.

Per esempio ho pensato a fare un’indagine, un’inchiesta come questa in Arabia, nel mondo arabo, un’altra nell’America del sud, un’altra nel mondo negro africano e un’altra nel mondo negro degli Stati Uniti.

RC. Quindi siamo sempre nel terzo mondo anche perché i negri degli Stati Uniti anzi credo che siano gran parte del terzo mondo in senso politico, in senso come forza no?

PPP. Sì, questo film dovrebbe intitolarsi per l’appunto “Pagine per un poema sul terzo mondo” o “Appunti per un poema sul terzo mondo”. Sarebbe costituito appunto da questi cinque sei viaggi inchieste su dei film a soggetto, il cui soggetto naturalmente sia ben chiaro, limpido e preciso un po’ come era il soggetto del film sull’India. Naturalmente il film sull’India è fondato su un problema fondamentale ma in un certo senso generico cioè la fame, mentre questi altri film abbandonerebbero questa vastità di interesse che in qualche modo appunto è generica e un po’ approssimativa e affronterebbero problemi particolari, per esempio la ricerca, nel mondo arabo, avrebbe come tema preciso cioè il confitto tra Israele e terzo mondo arabo, mentre la ricerca, diciamo, negli Stati Uniti considererebbe un possibile film sulla biografia di Malcom X e allora tenderebbe ad appurare quanto i negri d’America sono consapevoli di essere i leader di un movimento rivoluzionario particolare dell’intero terzo mondo ecc…


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Curatore, Bruno Esposito

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