QUADERNI DEL LICEO SCIENTIFICO STATALE
“GALILEO GALILEI”ALILEO GALILEI”
numero 2
Sentieri letterari del Novecento
Relazioni su temi di Letteratura italiana
a cura di
Lina D’Andrea
PROVINCIA DI PERUGIA
La facoltà immaginativa: gli approcci alla musica e alle arti figurative
Durante la seconda guerra mondiale Pasolini conosce a Casarsa la violinista slovena Pina Kalc, rifugiata in casa di parenti, e prende da lei lezioni di violino; nel 1944 scriverà uno studio sulle sonate di Bach con molti riferimenti a versi poetici. Funzionale all’aderenza alla realtà del nuovo filone neorealista, Pasolini da Accattone a Salò propende spesso per attori non professionisti, come i ragazzi di strada di Accattone o alcuni personaggi del Decameron. Questa scelta è determinata, come afferma M. Valente, dalla concezione di cinema di poesia che ispirò Pasolini, un cinema, come si è detto, che molto attinge dalla propensione poetica e che si fonda sulla soppressione delle regole decodificate e sulla trasgressione stilistica nell’intento di esprimere la facoltà immaginativa in forme espressive assolutamente libere, poeticamente libere; si superano gli schemi classici dei film popolari a favore di un cinema dove l’autore sia l’unico protagonista e dove il poeta-regista tende ad un linguaggio iconico fortemente caratterizzato da inquadrature e sequenze brevi e dal ritmo molto rapido dove la recitazione risulti polverizzata ricorrendo a brevi battute e alla mimica per valorizzare uno stato d’animo; successivamente il regista poeta polverizza ulteriormente le inquadrature con un’ulteriore frammentazione delle sequenze. A Bologna nel 1941 Pasolini aveva seguìto i corsi di Storia dell’Arte medievale e moderna di R. Longhi e anche questo contribuirà a costruire con grande gusto figurativo le inquadrature dei suoi film e ad orientarlo in alcune soluzioni come quelle di rappresentare apostoli e santi soprattutto nella loro appartenenza a ceti popolari. Sui propositi figurativi scrive A. Bertini:
All’uso semplificato e rigoroso degli obiettivi 50 e 75, impiegati in Accattone,Pasolini aggiunge il pancinor o zum. Si tratta di un obiettivo, come si sa, che permette di passare (senza soluzione di continuità) dall’inquadratura di un dettaglio o di un primo piano fino a un totale o a un campo lungo. [...] Sembra quasi ci sia la volontà - da parte del regista - di togliere all’immagine filmica l’impressione di tridimensionalità, di profondità di campo (dovuta soprattutto all’immagine in movimento, al movimento all’interno dell’inquadratura) per ricondurla in un ambito figurativo e pittorico.
Il richiamo a Masaccio (che ritorna spesso nelle dichiarazioni della sua tecnica)non è casuale. L’obiettivo viene paragonato a un pennello nelle mani di un pittore, un pennello leggero e agile che, tuttavia, ha la forza di rendere greve, massiccia la materia, con una forte accentuazione del chiaroscuro.(20)
L’attenzione ad un’immagine che sia altamente e poeticamente evocativa ha una valenza fortissima nel cinema-poesia e viene fortemente potenziata all’uso della musica.
Frequentemente usate le musiche di Bach, ben note all’autore e da lui particolarmente amate: utilizza le musiche de La Passione secondo Matteo in Accattone, prima opera, e ne Il Vangelo secondo Matteo.
L’incontro con Bach è un incontro felice per elementi particolari introdotti dal compositore nelle Passioni, sviluppatesi dal XV secolo, nelle quali inserisce l’azione di tre personaggi: Cristo, un Diacono e un Evangelista; con il coro si rappresentava “il popolo”, talvolta con spunti polifonici. Per la prima volta nella storia della creazione artistica musicale, Bach riunì nelle Passioni elementi eterogenei, e tenne conto al tempo stesso di tutto quanto storicamente gli era noto sulla musica, compiendone una mirabile sintesi.
Ne La Passione secondo Matteo, l’opera più vasta che Bach abbia scritto, anche per il ricco complesso vocale e strumentale previsto, piuttosto che ripercorrere il calvario di Cristo, il compositore preferì evocarne e meditarne la morte.
La caratteristica che contraddistingue la Passione secondo Matteo è l’impiego di un doppio coro, non come mezzo impiegato per ottenere efficaci artifici sonori, ma come uno strumento indispensabile per rendere più incisivo l’elemento dialogico che è l’aspetto prevalente nella Passione secondo Matteo, nonché un modo efficacissimo per esprimere e per far percepire una intensa emozione.(21)
Quando nel 1961 Pasolini inizia la lavorazione della prima pellicola cinematografica con un soggetto da lui scritto e diretto, Accattone, “ha idee ben chiare per quanto riguarda la musica che avrebbe adoperato. E’ convinto - come regola generale a cui rimarrà sostanzialmente fedele, sia pure con qualche eccezione - che è preferibile usare musica di repertorio (cioè brani classici o leggeri di autori noti) piuttosto che farla espressamente comporre. Questo perché, secondo Pasolini, è più efficace una buona musica già collaudata piuttosto che una mediocre partitura che, il più delle volte, è un cattivo rifacimento di temi e motivi già noti.”(22)
Elsa Morante, sua cara amica con la sua ricca collezione di dischi, sarà da allora in poi una preziosa risorsa cui Pasolini farà ricorso per realizzare il commento musicale dei suoi film. In Accattone il commento musicale in gran parte è affidato a brani di Bach e a l’utilizzo di canzoni popolari e di stornelli con testi parodiati: c’è una scena in cui domina il bellissimo blues di William Primrose St James Infirmary.
“La Passione secondo Matteo di Bach - come scrive Pasolini - nel momento della rissa di Accattone, assume questa funzione estetica. Si produce una sorta di contaminazione fra la bruttezza, la violenza della situazione, e il sublime musicale. È l’amalgama (il magma) del sublime e del comico di cui parla Auerbach.(23) [...] La musica si rivolge allo spettatore e lo mette in guardia, gli fa capire che non si trova di fronte a una rissa di stile neorealista, folklorica, bensì a una lotta epica che sbocca nel sacro, nel religioso. [...]
Io sentivo, sapevo, che dentro questa degradazione c’era qualcosa di sacro, qualcosa di religioso in senso vago e generale della parola, e allora questo aggettivo, ‘sacro’, l’ho aggiunto con la musica. Ho detto cioè che la degradazione di Accattone è, sì, una degradazione, ma una degradazione in qualche modo sacra, e Bach mi è servito a far capire ai vasti pubblici queste mie intenzioni”.(24)
Il Coro finale della Passione secondo Matteo viene inserito dal regista sia nella scena sopra ricordata sia nelle ultime inquadrature del film, quando si compie il tragico destino di Accattone e sopravviene la morte, unica vera libertà concessa dalla società a uomini “privi di dignità” che ignorano (come Accattone) o rifiutano (come Pasolini) le leggi della “ragione dominante”.
Sempre in Accattone, il secondo movimento del Concerto brandeburghese n. 2 di Bach viene utilizzato per creare forte contrasto nei confronti delle immagini che frattanto scorrono sullo schermo, quelle cioè in cui la prostituta Maddalena viene malmenata nella radura dell’Acqua Santa dai ragazzi di vita amici del suo sfruttatore. E Pasolini chiarisce:
“ [...] Questo aver contaminato una musica coltissima, raffinata come quella di Bach con queste immagini, corrisponde nei romanzi all’unire insieme il dialetto, il gergo della borgata, con un linguaggio letterario che per me è di derivazione proustiana o joissiana. È l’ultimo elemento di questa contaminazione che rimane così un po’ esteriore nel film. Quanto alla scelta, è una scelta molto irrazionale, perché prima ancora di pensare ad Accattone quando pensavo genericamente di fare un film, pensavo che non avrei potuto commentarlo altrimenti che con la musica di Bach: un po’ perché è l’autore che amo di più; e un po’ perché per me la musica di Bach è la musica a sé, la musica in assoluto.[...] Quando pensavo ad un commento musicale, pensavo sempre a Bach, irrazionalmente, e così ho mantenuto, un po’ irrazionalmente, questa predilezione iniziale.”(25)
Anche la formazione pittorica di Pasolini entra in gioco, a partire da Accattone:
“Come modello formale pensa alla grande tradizione pittorica italiana del Tre-Quattrocento, a Giotto, a Masaccio e quindi all’esigenza di rappresentare i suoi personaggi frontalmente, fortemente chiaroscurati, statuari”. E, riguardo al luogo prescelto per le ultime inquadrature del film, Pasolini scriverà: “[...] era soprattutto su Olevano [una località del sud del Lazio] che puntavo, come luogo dipinto da Corot. Ricordavo le sue montagne leggere e sfumate, campite come tanti riquadri di sublime, aerea garza contro un cielo del loro stesso colore.”(26)
Tra il 1962 e il 1964 l’autore elabora una successione di progetti. Casualmente rilegge il Vangelo di San Matteo durante un convegno ad Assisi nel 1962 e scopre quanto del contesto contadino dell’età di Cristo emerga dalle pagine dell’evangelista Matteo da lui considerato “il più rivoluzionario perché il più realista”. Pasolini racconta di aver letto il Vangelo per la prima volta nel 1942 e, quando ebbe l’idea di un film sul Vangelo sceglie non a caso la versione di San Matteo perché quella che più d’ogni altra esalta l’umanità del Cristo, il suo essere uomo tra gli uomini. Pasolini non è un cattolico, “non sono nemmeno cresimato” dirà rispondendo alle critiche provenienti da ambienti marxisti, ribadendo il suo ateismo. Questo suo distacco, questa mancanza di “resistenze interne” lo convincerà a terminare questo ambizioso e rischioso progetto. Il Vangelo è anche il risultato di una crisi personale di Pasolini e, più in generale, di una crisi della cultura italiana:
“... Tutto il razionalismo ideologico elaborato negli anni cinquanta, non solo in me ma in tutta la letteratura, è in crisi, le avanguardie, il silenzio di molti scrittori, le incertezze ideologiche di scrittori come Cassola o Bassani, c’è aria di crisi dappertutto e evidentemente c’era anche in me. In me ha assunto questa specie di regressione a certi temi religiosi che erano stati costanti, però, in tutta la mia produzione. Non mi sembra ci si debba meravigliare davanti al Vangelo quando leggendo tutto quello che ho prodotto una tendenza al Vangelo era sempre implicata, fin dalla mia prima poesia del ’42. [...]
Quindi un tema lontanissimo nella mia vita che ho ripreso, e l’ho ripreso in un momento di regressione irrazionalistica in cui quello che avevo fatto fino a quel punto non m’accontentava, mi sembrava in crisi e mi sono attaccato a questo fatto concreto di fare il Vangelo”.(27)
Le musiche sono di Bach, Mozart, Prokofiev e Webern. Le musiche originali di Luis E. Bacalov. Come nelle opere cinematografiche precedenti non a caso Pasolini affida a un linguaggio sonoro raffinato tutte le vicende più significative narrate nel film non perché la musica debba essere al servizio del cinema e viceversa, ma perché sono entrambe espressioni artistiche che utilizzano linguaggi non verbali e che tuttavia sono assolutamente differenti e agiscono in modo diverso e indipendente sulla percezione e, inoltre, come puntualizza lo stesso Pasolini, “I valori che essa [la musica] aggiunge ai valori ritmici del montaggio sono in realtà indefinibili, perché essi trascendono il cinema, e riconducono il cinema alla realtà, dove la fonte dei suoni ha appunto una profondità reale, e non illusoria come nello schermo”.(28)
Per il suo Vangelo il ricorso alla Passione secondo Matteo di Bach è quasi d’obbligo.
Ma, in particolare, alla morte di Gesù, egli associa la Musica funebre massonica, che è a sua volta una delle più alte creazioni di Mozart, che in essa ha anche espresso la propria immagine della morte non come titanica lotta contro il destino ineluttabile, ma come “cara amica”; nella musica stessa si percepisce il dolore per la separazione, a cui Mozart si lascia andare senza esserne tuttavia sopraffatto.
Vi è un momento isolato della lunga sequenza della crocefissione e della morte in cui il racconto non è affidato al solo indivisibile binomio “immagine-musica”: è quello in cui Cristo pronuncia queste ultime parole: “Voi udrete con le orecchie ma non intenderete e vedrete con gli occhi ma non comprenderete, poiché il cuore di questo popolo si è fatto insensibile e hanno indurito le orecchie e hanno chiuso gli occhi per non vedere con gli occhi e non sentire con le orecchie…”
Nelle ultime immagini del film si può ascoltare un canto che richiama in modo significativo il Gloria di una messa cantata congolese con il testo in latino e la musica ricca di tutti gli accenti, gli strumenti e i ritmi del folclore africano, quasi a sottolineare l’universalità di un profondo sentimento religioso. Suggestiva anche la scena in cui Maria, interpretata non a caso dalla stessa madre di Pasolini, si reca con le altre donne alla tomba del figlio. In altre occasioni lo scrittore ha espresso il suo religioso sentimento filiale in un rapporto struggente madre-figlio che molto si ritrova nel film. La sublimazione di questa relazione con tutte le implicazioni di Passione che possono essere facilmente intese, si ritrova in forma poetica nella Supplica a mia madre da Poesia in forma di rosa del 1964:
Tu sei la sola al mondo che sa, del mio cuore,
ciò che è stato sempre, prima d’ogni altro amore.
Per questo devo dirti ciò ch’è orrendo conoscere:
è dentro la tua grazia che nasce la mia angoscia.
Sei insostituibile. Per questo è dannata
Alla solitudine la vita che mi hai data.
Alla Madre-Maria Pasolini affianca in Affabulazione un Padre al quale rivolge non una supplica come quella precedente, ma una preghiera ugualmente disperata:
Padre nostro che sei nei cieli:
ecco un tuo figlio che, in terra è padre…
E’ a terra, non si difende più…
Se tu lo interroghi, egli è pronto a risponderti
……………………………………………….
chiacchiererò con la mancanza di pudore
della gente inferiore, che ti è tanto cara.
Sei contento? Ti confido il mio dolore;
e sto qui ad aspettare la tua risposta
come un miserabile e buon gatto aspetta
gli avanzi, sotto il tavolo: Ti guardo, Ti guardo fisso,
come un bambino imbambolato e senza dignità.
Un senso di forte religiosità laica pervade i due testi nei quali diventa religioso anche il sentimento filiale, quasi di omerica memoria. Difficile conciliare in quei tempi così segnati ideologicamente ateismo e religione. Lo stesso Pasolini, nel tentativo di chiarire il suo rapporto di ateo con la religione, intravede, paradossalmente, nell’ateismo comunista una qualche religiosità in quanto “si possono sempre ritrovare quei momenti di idealismo, di disperazione, di violenza psicologica, di volontà conoscitiva, di fede - che sono elementi, sia pur disgregati, di religione”.(29)
La critica del tempo non sembra comunque cogliere il senso del film e, come spesso accade, coglie l’occasione per polemizzare su e contro Pasolini che chiarirà come non vi sia nel film una ricostruzione storica, ma “... una specie di ricostruzioni per analogie.
Cioè ho sostituito il paesaggio con un paesaggio analogo, le regge dei potenti con regge e ambienti analoghi, le facce del tempo con delle facce analoghe; insomma è presieduto alla mia operazione questo tema dell’analogia che sostituisce la ricostruzione”.(30)
Non quindi, un film storico, non una ricerca illustrativa, ma un film che vuole dare il senso della poesia che c’è nel Vangelo: “La mia idea è questa: seguire punto per punto il Vangelo secondo Matteo, senza farne una sceneggiatura o riduzione. Tradurlo fedelmente in immagini, seguendone senza una omissione o un’aggiunta il racconto. Anche i dialoghi dovrebbero essere rigorosamente quelli di San Matteo, senza nemmeno una frase di spiegazione o di raccordo: perché nessuna immagine o nessuna parola inserita potrà mai essere all’altezza poetica del testo. E’ quest’altezza poetica che così ansiosamente mi ispira. Ed è un’opera di poesia che io voglio fare. Non un’opera religiosa nel senso corrente del termine, né un’opera in qualche modo ideologica. In parole molto semplici e povere: io non credo che Cristo sia figlio di Dio, perché non sono credente, almeno nella coscienza. Ma credo che Cristo sia divino: credo cioè che in lui l’umanità sia così alta, rigorosa, ideale da andare al di là dei comuni termini dell’umanità. Per questo dico ‘poesia’: strumento irrazionale per esprimere questo mio sentimento irrazionale per Cristo”.(31)
Pasolini, non cattolico, seguace di Matteo, riesce a raccontare nel suo Vangelo, la sua religiosità di filialità e di genitorialità non praticata, ma comunque vissuta per i suoi ragazzi di vita. Annuncia nel suo Vangelo la più alta aderenza al messaggio cristiano grazie alla sua distaccata non omologazione all’ortodossia comunista e alla sua totale libertà da schematismi precostituiti. E così la storia di Cristo dopo due millenni di interpretazione cristiana supera la realtà storica per accedere all’immaginario mitico in cui questo mito fosse un’idea centrale per un film e in cui la facoltà immaginativa potesse esprimersi nella visibilità.
20 A. Bertini, Teoria e tecnica del film in Pasolini, Bulzoni Editore, 1979
21 Vedi contributi di M. Valente e di A. Molteni in www.pasolini.net
22 A. Bertini, op. cit.
23 Pasolini si riferisce a un passo di Mimesis, Il realismo nella letteratura occidentale (1946)
24 Quaderni di filmcritica - Con Pier Paolo Pasolini, Bulzoni, Roma, 1977
25 Ibidem
26 “Quaderni rossi del ’46”, in Nico Naldini, Pasolini, una vita, Einaudi, Torino, 1989
27 Quaderni di Filmcritica. Con Pier Paolo Pasolini, op. cit.
28 A. Bertini, op.cit.
29 Pier Paolo Pasolini, Le belle bandiere, Editori Riuniti, Roma
30 Quaderni di Filmcritica. Con Pier Paolo Pasolini, op. cit.
31 Pier Paolo Pasolini, Sette poesie e due lettere, a cura di Rienzo Colla, La Locusta, 1985
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