"Le pagine corsare "
dedicate a Pier Paolo Pasolini
Eretico e Corsaro
L'ideologia
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Le polemiche continuano.
1960. I morti di Reggio Emilia.
La collaborazione con “Vie Nuove”.
Le contestazioni dell'estrema destra
di Angela Molteni e Massimiliano Valente
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Le polemiche continuano
Italo Calvino, scrivendo a "Il contemporaneo", si dichiara "contro" Ragazzi di vita "per ragioni di poetica" che ritiene "sbagliata e senza sviluppi" e definisce comunque Pasolini "poeta e critico: uno dei più forti della nuova generazione e del campo della sinistra".
Altrettante polemiche vi saranno su Una vita violenta, del quale Pasolini aveva detto: "La mia intenzione era di scrivere un romanzo socialista".
Sulla rivista del Pci, "Rinascita", il senatore Mario Montagnana, cognato di Togliatti, indirizzerà una lettera al direttore: "Pasolini riserva le volgarità e le oscenità, le parolacce al mondo della povera gente. […] Si ha la sensazione che Pasolini non ami la povera gente, disprezzi in genere gli abitanti delle borgate romane e, ancor più, disprezzi (non trovo altra parola) il nostro partito […] Non è forse abbastanza per farti indignare?".
Nel numero successivo di "Rinascita", la risposta giunse da un altro esponente comunista, Edoardo D'Onofrio: "Io credo che uno dei motivi che spinge alcuni nostri compagni a non valutare giustamente il romanzo Una vita violenta di Pasolini dipenda in gran parte dal fatto che essi non conoscono l'importanza politica e sociale della presenza a Roma di un numeroso sottoproletariato […] Pasolini non nasconde la verità per carità di partito; dice le cose così come furono; né pretende che un momento dello sviluppo del partito nelle borgate sia lo sviluppo stesso o il risultato dello sviluppo".
Pasolini fu poi nuovamente attaccato da parte comunista quando, nel dicembre 1961, pubblicò sull'"Avanti!" la poesia Nenni:
- […]
Dal quarantotto siamo all'opposizione:
dodici anni di una vita: da Lei
tutta dedicata a questa lotta – da me,
in gran parte, seppure in privato
[…]
Se non possiamo realizzare tutto, non sarà
giusto accontentarsi a realizzare poco?
La lotta senza vittoria inaridisce. (Una lettera, di solito, ha uno scopo.
Questa che io Le scrivo non ne ha.
Chiude con tre interrogativi ed una clausola.
Ma se fosse qui confermata la necessità
di qualche ambiguità della Sua lotta,
la sua complicazione ed il suo rischio,
sarei contento di avergliela scritta.
Senza ombre la vittoria non dà luce.)
- 1960 (P.P. Pasolini, Bestemmia, Poesie
disperse, Garzanti, Milano 1993
La poesia venne inviata all'"Avanti!" con una "lettera" accompagnatoria in cui il poeta diceva tra l'altro:
- "[…] ho scritto questi versi
proprio un anno fa in questi giorni. Li ho sempre tenuti, come si dice, nel
cassetto, perché me ne vergognavo […] Avevo paura che questa 'lettera a Nenni'
suonasse come una rinuncia a certe mie posizioni estreme, le uniche in cui posso
vivere. E infatti, alla base dell'ispirazione di quei versi, c'era un profondo
scoraggiamento […] L'importante è che lo scoraggiamento duri lo spazio di una
poesia…"
Il giugno-luglio 1960 è segnato da una grave crisi politica che scuote l'Italia: Fernando Tambroni, democristiano, forma un governo monocolore sostenuto dal Msi. È l'"anticamera" di un colpo di stato di destra nel nostro paese.
Il 28 giugno '60 si tiene a Genova una imponente manifestazione popolare antifascista; il 30 un nuovo corteo cittadino viene affrontato dalla polizia, e negli incidenti rimangono feriti 83 manifestanti.
La proposta antifascista si diffonde in altre città e il governo Tambroni sceglie la linea dura per fronteggiare e reprimere il dilagare delle manifestazioni di piazza.
Il 6 luglio 1960 a Roma, a Porta San Paolo, la polizia reprime un corteo antifascista, ferendo alcuni deputati socialisti e comunisti; ma i fatti più gravi accadono a Reggio Emilia: nel corso di una delle manifestazioni seguite ai fatti di Roma la polizia uccide cinque manifestanti comunisti: Ovidio Franchi, Lauro Farioli, Emilio Reverberi, Marino Serri, Afro Tondelli.
La Cgil proclama, da sola, uno sciopero generale. La tensione sociopolitica nata a Genova e dilagata nel paese porterà alle dimissioni di Tambroni il 19 luglio 1960.
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Le vicende private e giudiziarie di Pasolini si intrecciano in questi anni insindibilmente con quelle politiche. Seppure non iscritto al Pci Pasolini, quale simpatizzante e dichiaratamente elettore di quel partito, è un letterato scomodo per il Pci a causa della sua omosessualità. Così scive una nota dell'agenzia Fert il 14 luglio 1960:
"La Fert apprende che l'on. Togliatti ha rivolto ai dirigenti dei settori culturali e stampa del partito l'invito ad andare cauti con il considerare Pasolini un fiancheggiatore del partito e nel prenderne le difese. L'iniziativa di Togliatti che riscontra molte contrarietà, parte da due considerazioni. Togliatti non ritiene, a suo giudizio personale, Pasolini un grande scrittore, ed anzi il suo giudizio in proposito è piuttosto duro. Infine, egli giudica una cattiva propaganda per il PCI, specialmente per la base, il considerare Pasolini un comunista, dopo che l'attenzione del pubblico, più che sui romanzi dello scrittore, è polarizzata su talune scabrose situazioni in cui egli si è venuto a trovare fino a provocare l'intervento del magistrato (...) I difensori del reprobo in seno al Pci sono tuttavia parecchi, e sembra che gli stessi deputati Alicata e Ingrao siano del parere di conservare Pasolini al Pci".
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- La croce
uncinata
Da molte notti, ogni
notte,
passo sotto questo tempio, tardi,
nel silenzio dell'aria
del Tevere, tra rovine scomposte.
Non c'è più intorno nessuno, allo scirocco
che spira e cade, fioco tra le pietre:
forse ancora una donna, laggiù, e dietro
il bar di Ponte Garibaldi, due tre poveri
ladri, in cerca di dormire, chissà dove.
Ma qui, nessuno: passo veloce,
rotto da una notte tutta ansia e amore:
non ho più niente nel cuore
e non ho più sguardo negli occhi.
Eppure, quest'immagine, col passare delle notti,
si fa sempre più grande, più vicina:
ecco lo spigolo, liberty, contro la turchina
distesa del Tevere: ed ecco i poliziotti
che piantonano il tempio, tozzi e assorti.
Li vedo appena, coi loro cappotti
grigiastri, contro un albero secco,
contro i bui scorci del ghetto:
e colgo una breve luce, negli occhi
umiliati dal loro goffo sonno di giovinotti:
una accecata stanchezza che vede nemici
in ognuno, un veleno di dolori antichi,
un odio di servi: restano indietro,
soli come lo scirocco che vortica tra le pietre.
Una vergogna, triste come la notte
che regna su Roma, regna sul mondo.
Il cuore non vi resiste: risponde
con una lacrima, che subito ringhiotte.
Troppe lacrime, ancora non piante, lottano,
oltre questi umilianti quindici anni,
dentro le nostre dimentiche anime:
il dolore è ormai troppo simile al rancore,
neanche la sua purezza ci consola.
Troppe lacrime: a coloro che verranno
al mondo, per molto tempo ancora
questa vergogna farà arido il cuore.
- [Aprile
1960]
“LE RADICI DEL LUGLIO.
Sotto questa poesia, ho voluto apporre, ben chiara e circostanziata, la data – aprile 1960 –: cosa che di solito non faccio mai: anche perché le mie poesie restano in laboratorio tanto tempo, che in realtà finiscono con l'essere scritte e riscritte varie volte, e la loro data di solito abbraccia un'annata o due di lavoro. […] In questo caso la data l'ho messa bene in vista solo per dare alla poesia una giustificazione politica: volevo cioè ricordare al lettore che aprile non è luglio, che la formazione del governo Tambroni non è la cacciata del governo Tambroni, e che la spocchia dei neofascisti non è la sconfitta dei neofascisti. L'indignazione politica contenuta in questi versi può sembrare un poco pessimista e dolorosa: ma lo credo! Niente, in quel momento in cui li ho scritti – lo scorso aprile – autorizzava ad avere una specifica: la speranza di un sollievo immediato almeno dalla vergogna del "revival" fascista. Se riscrivessi ora sullo stesso argomento non potrei non tenere conto, certamente, del significato di questa estate politica: del fatto cioè che quella mia indignazione, che io credevo ristretta a pochi memori, è invece condivisa da una grande maggioranza di italiani, tra cui soprattutto, i giovani: quelli di Genova, quelli di Reggio, quelli di Roma, quelli di Palermo. Ciò non significa che mi abbandonerei a un facile ottimismo: questo mai. Né credo potrei mai cancellare in me l'impressione che quello che hanno fatto i fascisti e i nazisti nel mondo è stato così disumano, da presentarsi come una piaga di non facile guarigione nel corpo dell'intera umanità. […]”
[Pasolini in “Vie Nuove”, Roma, 29 ottobre 1960]
La collaborazione con "Vie Nuove"
Maria Antonietta Macciocchi, direttrice di "Vie Nuove", propose a Pasolini una collaborazione con la rivista, cosa che avvenne a partire dal maggio 1960; dice del poeta: "Pasolini era l'intellettuale più dolce, più delicato, più disponibile che avessi conosciuto. Era più facile 'dirigere' lui che il redattore più qualificato con la tessera del Pci. Oltre la rubrica personale, scriveva gli articoli che gli chiedevo sui soggetti più disparati […]".
La Macciocchi scrive a Pasolini il 4 agosto: "Le invio il disco di 'Vie Nuove' sui fatti di Reggio Emilia, e la lettera di un lettore che si riferisce ad esso […] Io ebbi a Reggio Emilia questo nastro da un commesso di un negozio di tessuti, che si era portato là il registratore per registrare il comizio; e, invece, finì con il registrare l'agghiacciante sparatoria che lei udrà, non una guerra, ma una fredda carneficina". Pasolini rispose al lettore, nella rubrica su "Vie Nuove":
- "I critici stilistici dicono che
ogni opera ha la sua "integrazione figurale": ossia ogni opera, nell'atto di
essere scritta o letta, brano per brano, pagina per pagina, parola per parola,
si integra in una sua totalità immanente ad essa, in una sua ideale conclusione
che le dà continuamente senso e unità. Così – per questo disco – è atroce dirlo
– la integrazione figurale, che gli dà quasi una dignità estetica, è la morte
dei giovani lavoratori di Reggio, è la calcolata brutalità della polizia […]
Quello che colpisce soprattutto […] è la freddezza organizzata e quasi meccanica
con cui la polizia ha sparato: i colpi si succedono ai colpi, le raffiche alle
raffiche, senza che niente le possa arrestare, come un gioco, quasi con la
voluttà distratta di un divertimento […]
- "Essere marxisti, oggi, in un paese
borghese, significa essere ancora in parte borghesi. Fin che i marxisti non si
renderanno conto di questo, non potranno mai essere del tutto sinceri con se
stessi. La loro infanzia, la loro formazione, le loro condizioni di vita, il
loro rapporti con la società, sono ancora oggettivamente borghesi. La loro
'esistenza' è borghese, anche se la loro 'coscienza' è
marxista"
- "Quello del capitalismo è un
violento sviluppo, che, come dicevo in altre lettere precedenti, si presenta
addirittura, al limite, come 'rivoluzione interna', che viene a modificare
addirittura certe strutture del capitalismo classico: c'è per esempio nei paesi
capitalistici molto evoluti un superamento delle strutture familiari e
confessionali.. La crisi del marxismo è proprio dovuta a questo sviluppo in
qualche modo rivoluzionario del neo-capitalismo. [....]
Il bersaglio contro cui il marxismo ha sparato, metaforicamente e realmente, in tutti questi decenni, sta cambiando, pone delle alternative in certo modo impreviste. Di qui la crisi dei partiti marxisti. Di qui la necessità di prenderne coscienza, fin che il marxismo resta la vera grande alternativa dell'umanità".
- "Secondo lei allora - fa,
reticente,
mordicchiando la biro - qual è
la funzione del marxista?" E si accinge a notare. "Con... delicatezza da batteriologo... direi [balbetto,
preso da impeti di morte]
spostare masse di eserciti napoleonici, staliniani...
con miliardi di annessi...
in modo che...
la massa che si dice conservatrice
[del passato] lo perda:
la massa rivoluzionaria, lo acquisti
riedificandolo nell'atto di vincerlo...
E' per l'istinto di Conservazione
che sono comunista!
Uno spostamento
da cui dipende vita e morte: nei secoli dei secoli.
Farlo pian piano, come quando
un capitano del genio svita
la sicura di una bomba inesplosa, e,
per un attimo, può restare al mondo
(coi suoi moderni caseggiati, intorno, al sole)
o esserne cancellato per sempre:
una sproporzione inconcepibile
tra i due corni!
Uno spostamento
da fare piano piano, tirando il collo,
chinandosi, raggricciandosi sul ventre,
mordendosi le labbra o stringendo gli occhi
come un giocatore di bocce
che, dimenandosi, cerca di dominare
il corso del suo tiro, di rettificarlo
verso una soluzione
che imposterà la vita nei secoli"
"Il marxismo di Pasolini è, ad esempio, quanto di più curioso ed artefatto si sia potuto incontrare in questo campo, negli anni ancora molto a noi vicini del progressismo letterario. D'altra parte non c'è dubbio che lo scrittore abbia preteso ad una qualificazione ideologica di questo genere, se, concludendo le risposte ad una intervista del 1959 - lo stesso anno di Una vita violenta - lo scrittore quasi divertito afferma: "[...] io credo soltanto nel romanzo 'storico' e 'nazionale', nel senso di 'oggettivo' e 'tipico'. Non vedo come possano esisterne d'altro genere, dato che 'destini e vicende puramente individuali e fuori dal tempo storico' per me non esistono: che marxista sarei?": dove terminologia di tipo gramsciano e riferimenti di tipo lukacsiano si confondono insieme in un facile e sorprendentemente futile coacervo. La stessa disinvoltura è reperibile del resto in quei luoghi in cui Pasolini passa a delineare il contenuto di un esperimento letterario collegato a questa sua recente ma appassionata fede socialista. Si constata allora che il marxismo è per lui tutto ciò che non è possibile definire come irrazionale o decadente: "[...] del 'realismo socialista' come formula ancora ideale, da precisarsi nella teoria, da realizzarsi - penso che sia l'unica possibile ipotesi di lavoro. Per una ragione molto semplice: il socialismo è l'unico metodo di sonoscenza [sic] che consenta di porsi in un rapporto oggettivo e razionale col mondo". La verità è che, di tutte le possibili varianti marxiste, Pasolini ha colto, magari attraverso la mediazione degli interpreti ufficiali comunisti, unicamente il tema gramsciano del nazional-popolare, che è infatti il solo a contare qualcosa nella sua opera narrativa".
Le contestazioni dell'estrema destra
In quei primi anni Sessanta Pasolini inizia a girare film interamente da lui ideati. Da subito diviene "rituale" la contestazione violenta dei neofascisti alle proiezioni dei film che il regista presenta.
Aggressioni avvengono nel 1961, a Roma, quando Accattone viene proiettato per la prima volta, dopo due mesi di attesa del visto della censura: gruppi di neofascisti provocano tafferugli, aggredendo gli spettatori. Il commento di Pasolini in questo caso è: "La pubblica opinione si è ribellata contro di me per una sorta di indefinibile odio razzistico, che come tutti i razzismi, era irrazionale. Non poteva accettare Accattone e tutti i personaggi sottoproletari."
Le stesse gazzarre vengono inscenate l'anno successivo per la prima proiezione di Mamma Roma a Venezia. A Roma, poi, gruppi di giovani appartenenti a "Avanguardia nazionale" e alla "Giovane Italia" inscenano tumulti e risse alle prime visioni del film, incitati e difesi dai loro giornali.
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apparsa sul quotidiano del Msi)
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Il '63 è la volta de La ricotta a subire contestazioni, questa volta con l'accusa di "vilipendio alla religione di Stato". Ma più che quest'ultimo motivo, ciò che scontentò tutti fu la "filosofia" che vi si esprimeva. Pasolini dichiarava in quei giorni: "L'Italia sta marcendo in un benessere che è egoismo, stupidità, incultura, pettegolezzo, moralismo, coazione, conformismo: prestarsi in qualche modo a contribuire a questa marcescenza è, ora, il fascismo".E tale filosofia veniva sostenuta, nel film, da Orson Welles che, impersonando il regista del "film nel film" che Pasolini girava, denunciava: "L'Italia ha il popolo più analfabeta e la borghesia più ignorante d'Europa. ("Ed ecco scontentati così i partiti di sinistra come quelli di destra", fu il commento di Alberto Moravia) […] L'uomo medio è un pericoloso delinquente, un mostro. Esso è razzista, colonialista, schiavista, qualunquista ("Ed ecco scontentati tutti quanti", concluse lo stesso Moravia).
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