"Le pagine corsare "
dedicate a Pier Paolo Pasolini
Pier Paolo Pasolini
Tranquilla polemica sullo Zorutti
Libertà
mercoledi 16 ottobre 1946
pag. 3
( © Questa trascrizione da cartaceo, è stata curata da Bruno Esposito )
Egregio Provini, la ringrazio per l’occasione che Lei mi offre di riprendere un mio saltuario discorso sullo Zorutti, discorso che io rimando da circa un anno non per pigrizia ma per un senso sempre presente della irrisolvibilità delle cose umane. Da queste parole Lei capirà subito che non mi presento (malgrado il titolo) sotto un aspetto polemico (ma Lei non mi ha forse umiliato abbastanza classificandomi tra le «migliori promesse nostrane»?); perciò, per prima cosa, non difenderò ma giustificherò la durezza della mia Lettera dal Friuli, che lei non è certamente l’unico a criticare. Non ho inviato questa lettera di mia spontanea volontà, ma mi è stata richiesta dalla redazione della «Fiera», e ciò è già abbastanza indicativo sul mio stato d’animo nello scriverla. Non la reputavo necessaria, e quindi ho cercato di essere del tutto imparziale, e per imparzialità non intendo mancanza di passione, anzi, un prevalere cosciente della passione. Io (lo dico perché qualcuno potrebbe dubitarlo) amo il Friuli; ma trovo per questo amore delle ragioni del tutto impreviste. Le faccio il nome di due di queste ragioni: la mia fanciullezza; l’Eden linguistico che mi si è dischiuso ai margini dell’italiano.
Per me quindi l’espressione «fiamma della friulanità» ha un senso ironico, ed è in questo senso che la faccio tener viva dalla «Patrie dal Friûl». Intendiamoci, io ho della simpatia per questo giornale: il suo tentativo di darci un Friulano letterario in quanto usato per la prima volta in espressioni di politica e di economia, è apprezzabile. Quello che non piace a me è il persistere di una mediocre retorica sentimentale, di un umorismo vernacolo che lo legano strettamente alla irrespirabile tradizione zoruttiana. Se quindi anch’io dovessi avvicinare la «Patrie» all’«Uomo Qualunque» (insinuazione avvenuta) ne farei una questione di stile, non di politica. Nella mia «lettera» le espressioni più dure sono state per la Filologica; sarei disposto a ripeterle con un tono ancora più accentuato; ma bisognerebbe essere alquanto rozzi, o diciamo, ingenui, per non capire che quelle espressioni deriverebbero da buona e non da cattiva volontà, da un desiderio di miglioramento, non da un irrimediabile scetticismo.
La Filologica è un meccanismo non tanto vecchio quanto antiquato, che in questi ultimi tempi ha cercato di aggiornarsi, è vero, ma senza uscire dai suoi schemi che, nel 1946, non possono più essere quelli del 1920. Oh, non è una «giovanile» smania di modernità che mi suggerisce queste parole: in questo senso sono anzi molto più vecchio dei più anziani dirigenti della Filologica che ricercano in un rinnovarsi dell’«entusiasmo» il modo d’un rinnovamento della Società! Bisognerebbe invece dare al proprio calore la fisionomia della critica, della critica più spietata, che cominci col trovare ridicoli quegli attributi di «sobrio», «sano» ecc. eternamente riferiti al Friulano. (La Sua variante «sentimentalismo sano e profondo» mi sembra una contraddizione di termini.) Bisogna trovare dei nuovi motivi, bisogna sostituire quegli schemi che hanno perso la loro ragione di essere; per questo io nei confronti della Filologica mi sono sobbarcato la noia dell’opposizione, reputando più utili per essa delle critiche che dei complimenti.
Necessiterebbe insomma una specie di rivolta letteraria (se mi chiedesse un esempio le indicherei, per l’Italiano, la «Voce») con tutti i suoi vizi. Occorrerebbe però da parte mia meno scetticismo. Ma ecco qualche ragione teorica per una eventuale polemica contro la «tradizione» friulana: bisogna diffondere la nozione dell’autonomia dell’arte come risultato storico di un processo che si origina nella filosofia kantiana e, attraverso i laghisti inglesi, Poe, Baudelaire, produce in Francia la poesia pura, da noi la nota formula crociana; bisogna poi dimostrare quanto la poesia debba alla coscienza, non in un senso morale di questa parola, ma in un senso critico; bisogna, dopo queste premesse generali, ritornare all’Ascoli, ribadire la sua teoria della lingua ladina; bisogna indicare il Friulano come lingua virtuale, in cui è possibile ascoltare le sillabe ancora vergini, cioè piene della loro equivalenza al reale; bisogna innestare un tale Friulano nel più recente clima poetico europeo e italiano, proponendoci di inaugurare finalmente, in Friuli, una poesia «nazionale». È, come Lei vede, un programma vastissimo e certamente non privo di suggestioni. Non le pare dunque che io attribuisca al nostro idioma una nobiltà assai maggiore di quella che teoricamente non gli attribuisse lo Zorutti? Eccole dunque chiarito quel mio scandaloso parlare del Friulano come di un mediocre dialetto; ed eccole la chiave per capire al volo altri eventuali miei scritti su queste cose: Zorutti-dialetto, non già Friulano-dialetto. In difesa dello Zorutti Lei mi porta degli argomenti esterni: se, ad esempio «il Bolza pubblicava le poesie zoruttiane sulla Rivista viennese accanto a quelle dello Schiller e del Goethe», a me non rimane altro che prenderne atto o, nel peggiore dei casi, mormorare un antistorico «tanto peggio per il Bolza». Il fatto poi che nel 1835 la «Gazzetta di Venezia», «giornale ufficiale» (le virgolette son mie), decantasse la sua «Gnôt d’avril», o che l’Ateneo di Bassano lo nominasse accademico, mi offre l’amara occasione di farle osservare come i giornali ufficiali e gli Atenei siano davvero delle malattie incurabili. No, la Plovisine non meritava di dare al Friuli il suo istante di rinomanza (Lei si meraviglia di questa mia espressione: unico istante di rinomanza. Ma doveva leggere con maggiore spregiudicatezza: allora si sarebbe accorto che la lettura del Carducci è uno di quei fatti esemplari e riassuntivi che divengono simbolo. Per esempio: la memoria di Dante è resa più popolare dall’aneddoto dell’uovo col sale che dalla Divina Commedia). La Plovisine è una poesia affatto priva di musica; e questo lo dico prima di tutto, perché il lettore ingenuo prende per musica una facilissima, sordida melodicità. Non è qui il caso di soffermarci su questa distinzione: musica e melodicità. Che in Plovisine ci si trovi di fronte alla seconda e non alla prima è dimostrato dal fatto che lo Zorutti per poter mandare avanti con lo stesso ritmo dell’inizio i suoi versi, deve ricorrere a dei ridicoli pretesti moralistici: il contadino solerte, le piante utili ecc. I fatti naturali vi sono dotati di una specie di volontà (si potrebbe parlare di un loro antropomorfismo) e quindi inseriti nel meccanismo dei «buoni» e dei «cattivi», ma soprattutto dei «furbi» e dei «grulli»; ciò è di una estrema ingenuità, che non corrisponde però al candore dell’incolto, né alla natività del primitivo (viviamo in un clima romantico) ma è invece l’equivalente poetico di una faciloneria borghese. Zorutti non fa che trasferire nei suoi versi, con una certa fedeltà, lo spirito del suo ambiente (egli, con espressione cara ai suoi seguaci, può quindi rappresentare l’anima di Udine, ma non, per carità, quella del Friuli). Guardi come egli si ponga di fronte alla natura: è un atteggiamento tutto esterno, aprioristico, che non reinventa nulla, e per riempire il vuoto che lascia questa mancanza di invenzione, si sfiata in una irrichiesta apologia di tutto ciò che è già stato consacrato. Mi dica, in cosa consiste la moralità di Plovisine? Nella sua musica? Ma abbiamo visto che si tratta di una smorta, puerile melodicità. Nelle sue affermazioni sull’utilità della pioggia ecc.? Sarebbe davvero desolante. Intorno a questa poesia potrei fare della facile ironia, delle insinuazioni inaspettate: ma perché? Zorutti è un discreto macaronico, una figura rappresentativa ecc. e io non avrei mai avuto nulla da dire contro la sua noiosa pioggerellina, se non fossero stati proprio gli zoruttiani a darmene l’idea. Infine Lei si meraviglia che io pensi simili cose essendo «giovane, e poeta per giunta»; ma io, se la nostra fosse una conversazione da salotto, non resisterei allo scatto che mi farebbe sostituire questa espressione con la seguente: «poeta (?), e proprio per questo».
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.