"Le pagine corsare "
dedicate a Pier Paolo Pasolini
Eretico e Corsaro
1960
STENDALI’
Cortometraggio
Regia di Cecilia Mangini
Sceneggiatura: Cecilia Mangini
Testo e traduzione: Pier Paolo Pasolini
Voce: Lilla Brignone
Fotografia: Giuseppe Dimitri
Musica: Egisto Macchi
TRAMA:
La ritualità delle prefiche, mestieranti del pianto, è ricostruita in questo splendido documentario che ripercorre in appena dieci minuti la tragedia di una morte nella terra salentina. Il dolore del trapasso è sentito individualmente, ma coralmente partecipato dalla comunità che ne sancisce le parole ed i gesti.
Pier Paolo Pasolini traduce dal dialetto grecanico e reinterpreta il canto di morte che accompagna le immagini del rito.
Stendalì (suonano ancora)
Didascalia in sovrimpressione:
Qualcuno è morto. Lo annuncia il suono delle campane: le vicine di casa vengono
a consolare le madri, le spose o le sorelle e a piangere con loro. E’ la visita
funebre. Poi saranno i soli uomini a accompagnare il morto nel cimitero. Intanto
le donne, nella casa, continuano il pianto. Il pianto, così regolato e rituale, è una
sopravvivenza arcaica in una società che infatti è per molti versi arcaica: la società
delle aree depresse, cioè di quasi tutta l’Italia meridionale. In una simile società,
oberata da condizioni economiche a volte disumane, la morte sarebbe
intollerabile, priva di senso, se il suo dolore disgregatore non fosse contenuto dal
rozzo istituto del “pianto”, per cui le informi manifestazioni della disperazione
vengono, per così dire, stilizzate. Alcuni canti funebri – questi, per esempio, dei
comuni pugliesi di lingue greca – sono tra le più alte forme della poesia popolare.
Voce off (testo di P.P. Pasolini):
Piangete, madri che avete figli, piangete con tutto il vostro dolore, che vi venga
dalle foglie dell’anima che vi abbandonano prima del tempo. Viene la morte che
non ci rispetta, che ci ha tutti quanto segnati. Piangete a lutto, tutti voi piccini,
piangete grandi, piangete ragazzi, questo fiore ha perduto ogni forza e aveva
appena sedici anni. Io ti aspetterò, io, o mio figliolo, io ti aspetterò fino alle tre,
quando io vedrò che tu non vieni, correrò a cercarti nell'orto e nel cortile. Io ti
aspetterò, io, o mio figliolo, io ti aspetterò fino alle cinque, quando io vedrò che
tu non vieni, correrò a cercarti da tutti i parenti. Io ti aspetterò, io, o mio figliolo,
io ti aspetterò fino alle nove, quando io vedrò che tu non vieni, io perderò ogni
speranza e se vedrò che tu non vieni e alle dieci non ti fai vedere, alle dieci sarò
divenuta terra, terra, terra da seminarvi. Io ti aspetterò, io, o mio figliolo, io ti
aspetterò fino all'anno, e quando io vedrò che tu non vieni, annerirò come
fuliggine. E tu, cuore arso, piangi, piangi, urla sempre come un bue selvaggio che
al mondo hai perduto ogni luce. Me l'avessi detto tu, figlio mio, che tu stavi per
partire, ti avrei preparato un canestro con tutta la tua roba. Chi ti preparerà il
vestito quando verrà la domenica? Nessuno di tutti che qui stanno. Tu resterai
solo. Chi ti laverà la camicia, figlio mio? Te la laverà la lapide e la terra. E chi te la
potrà stirare? Te la stirerà la lapide e la terra. Chi ti sveglierà, figlio mio, quando il
giorno sarà alto? Là sotto è sempre un sonno, sempre notte buia.