Benvenuto/a nel mio blog

Benvenuto nel blog

Questo blog non ha alcuna finalità di "lucro".
Viene aggiornato di frequente e arricchito sempre di nuovi contenuti, anche se non in forma periodica.
Sono certo che navigando al suo interno potrai trovare ciò che cerchi.
Al momento sono presenti oltre 1500 post e molti altri ne verranno aggiunti.
Ti ringrazio per aver visitato il mio blog e di condividere con me la voglia di conoscere uno dei più grandi intellettuali del trascorso secolo.

giovedì 29 ottobre 2020

Tragico viaggio nelle borgate Roma - La Stampa 3 novembre 1975.

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro




Tragico viaggio nelle borgate Roma

3 novembre 1975
La Stampa 


Sono quaranta chilometri tra la borgata « Sette ville » — baracche, rovine e palazzi senza fognatura e senza asfalto — il luogo in cui è cresciuto il ragazzo assassino, e il campo fangoso in cui hanno trovato il corpo massacrato di Pasolini. Lungo quei quaranta chilometri c'è la pasticceria dove i ragazzi di « Sette ville » si trovano, dondolano e si guardano attorno, immusoniti, con le mani cacciate in fondo alle lasche dei blue jeans di velluto, come se avessero armi. C'è il locale dei biliardini, dove fanno le scommesse, in attesa. Uno, lo vedo al lavoro, avrebbe le mani agili la faccia sveglia di un bravo meccanico. Ripara il bigliardino. E poi? Continua la veglia, con gli altri giovani della borgata « Sette ville ». Per vivere non c'è nessuna ragione al mondo. A meno che succeda qualcosa. 
Qualcosa certe volte succede. Ai bordi della via Tiburtina su cui sboccano le strade di polvere della borgata, sostano due o tre grosse automobili coi colori sgargianti. Appoggiati alle macchine aspettano e fumano individui vestiti come le comparse di un film. Tutto è di lusso fuorché la faccia, che si è salvata da chissà quanti scontri, quanti corpo a corpo, di giorno e di notte. Giù, in mezzo al prato — dove c'è ancora un prato — uno dice: « Ecco, quella è mia madre ». E' la donna romana robusta, preparata per ogni evenienza sta lì in mezzo e veglia sui figli piccoli, che giocano dove c'è ancora un po' d'erba, fino a quando non « scappano ». 
Da una collinetta già mezza sventrata scendono in gruppo. Sono ragazzini di scuole elementari, l'accento, il dialetto, esagerato, vendetta contro « la gente per bene », nelle loro grida si sente appena. Anche le facce hanno la dolcezza della vita in famiglia. Ma appena scoppia una lite uno, che intanto mi tiene d'occhio, afferra un pezzo di legno, si butta sull'altro e gli grida: « Guarda che prendo questo asse e te lo sbatto in 'testa ma tanto ma tanto che ti lascio li steso, sai? », e gli altri ridono. Deve essere lo scherzo di borgata « Sette ville », a due passi da via Fenati, dal numero cinque, interno dodici, dove vive la famiglia Pelosi. Uno di quei ragazzi, l'altra notte è diventato assassino. 
Dal muretto di fronte un gruppo mi guarda. Fanno vedere come sono cambiati dal tempo in cui sono « scappati » — come ha detto ai cronisti la signora Pelosi parlando del figlio. Le facce sono dure e piene di sfida. Si toccano appena co', gomito, nei loro golfetti tirati ma nuovi, nei jeans ben stirati. Qualcuno provvede. Sono facce senza un pensiero. Non viene niente prima, non viene niente dopo nella vita di borgata « Sette ville ». Da qui Roma non si vede neanche. Se piove queste strade sono un pantano. Due cabine telefoniche nuove luccicano nel vuoto in mezzo alla polvere. Un ragazzino fa la ronda lì intorno. « Guardi che rubeno ». Intende dire i telefoni, le uniche macchine messe qui dal Comune. Infatti si mette il gettone ma non c'è comunicazione e il gettone non torna. « Glielo avevo detto che rubeno » il ragazzino, che ha esperienza, va via. 
Sulla porta della palazzina numero cinque un uomo quasi vecchio lavora, sporco di calcinacci, col cappello di carta da muratore. « Io qui avevo la trattoria. Poi un giorno metto a lavorare mio figlio (indica il gruppo di là dal muretto). Che aveva? Diciassette anni? No. Sedici. Qui se fai il garzone sei fortunato. Io potevo farlo lavorare, mio figlio. La sera chiudevo i conti e mi mancavano cinquemila lire. Cinquemila ogni sera. Mio figlio è un ladro. Ma che glielo dici a tuo figlio che è un ladro? Glielo dici sì, se lo prendi. Io non l'ho preso mai. Ho chiuso, vede, sto murando la porta. Mi mancavano cinquemila lire tutte le sere ». 
In fondo alla strada ci sono negozi che sembrano quasi di lusso hanno tutto ciò che non serve. Le ragazzine con i jeans attillati fanno la ressa intorno all'unico telefono che funziona. « E' lui? E' lui? E' quello co' la macchina rossa? Se è lui digli sì, no scema? ». La palazzina del ragazzo bruciato è pulita pulita. Sulle scale appena lavate ci sono cicche di sigarette. « I ragazzi fumano e buttano le cicche appena vedono che è pulito. Lo fanno apposta », dice l'ex padrone del ristorante che sta murando il locale. 
Viene avanti uno con gli occhi furbi, svelto, uno che può essere utile. « Li conosco, io so tutto. La Pelosi, la madre, prende sempre l'aperitivo nel bar dove lavoravo. Poi mi hanno licenziato, riduzione del personale. Da sola no. Però neanche con suo marito ». Fa capire che avrebbe rivelazioni da fare. Sta diventando buio. Fidarsi? Eppure non vuole neppure un compenso. Sta cercando, a suo modo una promozione sociale. « Lei è giornalista, no? Com'è la madre del ragazzo assassino? La madre è quasi bella, avrà trentacinque anni, o trentotto. Veste sempre coi pantaloni e certe magliette (fa un fischio). Dicono tutti che è sempre elegante ». Al citofono e alla porta nessuno risponde. I ragazzi continuano la loro veglia sul muro fumando e toccandosi il gomito l'uno con l'altro. Uno grida, con le mani intorno alla bocca: « Chi è dritto è giusto che è dritto » come se fosse un proverbio, o una frase che nel gruppo capiscono. 
Si può andare di qui in mezz'ora di macchina a Ostia senza vedere mai Roma, incontrando altre case, altre baracche, altre borgate, come alla periferia di Bombay. Quando arrivo a Ostia è già buio. Mi fermo sul lungo mare. Un giovane si fa avanti staccandosi dalla parete di un bar. Dice senza aspettare domande: «Cercate Pierpaolo? Laggiù laggiù in fondo ». Lo dice con rispetto, sottovoce. Da questo momento mi accorgo che Ostia « questa brutta città che sembra l'incubo di un remoto " anteguerra " » è divisa in due. Una parte vorrebbe sputare su quel corpo massacrato, e lo dice. Una parte sa solo chi era e che l'hanno ucciso. Sta lì in silenzio e non dice « Pasolini » dice « Pierpaolo ». Con me è venuto Antonioni. Abbiamo lasciato il lungomare, siamo entrati in un campo di spaventose baracche; ci guida un lumino. Hanno messo le pietre intorno al luogo dove c'era tutto quel sangue. 
C'è gente venuta da Roma, due o tre. donne e uomini, con giacche di velluto e gli occhiali. « Io gli darei una rosa a quel giovane. Ma lo sa quanti ragazzi ha corrotto? Ha corrotto l'Italia. Gente da uccidere ». Non so a chi parlano Una piccola folla è uscita dalle baracche e sta intorno nel buio. Uno sistema i sassi della piccola tomba, l'altro aggiunge dei fiori. La candela si sta spegnendo. Un gruppo romano va via. « Io mi chiamo Salvetti — dice un uomo robusto, con i capelli bianchi — vivo qui (indica la baracca). Ho visto com'era, al mattino. So chi è Pasolini. Ho sentito come abbaiavano i cani. Io vivo qui. Mi chiamo Salvetti. Sono pratico della vita qui dentro. Mi creda. Loro erano in tanti ». va ad aggiungere una candela. Di certo i morti sono due, la vittima e l'assassino. 

Furio Colombo Roma
3 novembre 1975. 


Curatore, Bruno Esposito

Grazie per aver visitato il mio blog


venerdì 16 ottobre 2020

Teorema, Si spogliano fra le ciminiere, di Alberto Moravia - L'Espresso, 15 settembre 1968

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro



Si spogliano fra le ciminiere

Alberto Moravia

L'Espresso, 15 settembre 1968


(Biblioteca Gino Bianco)






Curatore, Bruno Esposito

Grazie per aver visitato il mio blog

mercoledì 14 ottobre 2020

Pasolini, biografia breve - Opere - La narrativa

"Le pagine corsare " 

dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro



Narrativa





 Roma, 11 maggio 1955 

Gentile Garzanti, 
spero che lei riceva questo espresso, e il concomitante espresso per le bozze modificate, prima di partire per Roma, in modo che non vada perso tempo. Come vede, ho sostituito con puntini tutte le brutte parole, con rigorosa omologazione. Ho attenuato gli episodi più spinti (Nadia a Ostia ecc.: ma non quello del «froscio», per consiglio di tutti gli amici, oltre che per intima convinzione), ho sfrondato notevolmente (ho tolto due o tre pagine del II capitolo — i raccontini del Riccetto —, due pagine del VI, e l'intero episodietto della zoccoletta nel VII), ho tolto il titolo «Il Dio C... », fondendo l'VIII capito 
lo al precedente. Insomma ho fatto tutto quello che potevo fare, con molta buona volontà. Spero che Lei me ne dia atto. Ho contribuito poi a rendere il racconto più chiaro (in modo che riesca meno sconcertante e quindi meno pesante), con delle piccole aggiunte, delle date ecc. In conclusione: quanto alla riuscita commerciale, io non so che dire, sono privo di competenza: ma posso dirle che non condivido il Suo improvviso pessimismo quanto alla realizzazione, diciamo cosi, artigianale-stilistica. E un errore credere che il romanzo vada molto ridotto (oltre le ragionevoli riduzioni che vi ho approvato)... 

(Tratto da lettera a Livio Garzandi.  Roma, 11 maggio 1955 
Ora in "Lettere" a cura di Nico Naldini)

    
 
 "Con Ragazzi di vita e Una vita violenta - che molti idioti credono frutto di un superficiale documentarismo - io mi sono messo sulla linea di Verga, di Joyce e di Gadda: e questo mi è costato un tremendo sforzo linguistico: altro che immediatezza documentaria! Rifare, mimare il "linguaggio interiore" di una persona è di una difficoltà  atroce, aumentata dal fatto che, nel mio caso - come spesso nel caso di Gadda - la mia persona parlava e pensava in dialetto. Bisognava scendere al suo livello linguistico, usando direttamente il dialetto nei discorsi diretti, e usando una difficile contaminazione linguistica nel discorso indiretto: cioè in tutta la parte narrativa, poichè il mondo è sempre "come visto dal personaggio". Le stonature in questa operazione sono sempre a un pelo dalla scrittura: basta eccedere solo un minimo sia verso la lingua che verso il dialetto che il difficile amalgama si rompe, e addio lo stile..."
(Pier Paolo Pasolini, "Le belle bandiere"
Editori Riuniti, Roma 1996)

 
 

..." Se la linea della speranza è quella che ho visto io nel mio viaggio, Nehru ha una ben disperata visione del suo paese. A me pare che gli indiani vivano non solo molto sotto la linea della speranza, ma addirittura molto sotto la linea della sopportabilità umana. Ora, io non so quali siano le ricchezze dell’India, ho solo visto che l’agricoltura nel Sud è abbastanza fiorente, e così la pastorizia. Ma industrie praticamente non ce n’è. L’India consiste in un enorme sottoproletariato agricolo di tipo feudale, con una borghesia che si sta appena formando, ed ha l’aria atterrita e quasi istupidita per il caos che le vortica intorno e di cui non è possibile stabilire proporzioni umane. I piccoli, poveri, miserandi, dolcissimi indiani si moltiplicano a ritmo disperato"... 

 Intervista di Adolfo Chiesa, Pasolini: 
«C’è un abisso tra Nehru e gli indiani», 
«Paese Sera», 25-26 febbraio 1961.

Dedica ad Elsa Morante - Biblioteca Nazionale Centrale Roma

 
 

"Il nostro motto dev'essere dunque: riforma della coscienza non per  mezzo di dogmi, ma mediante l'analisi della coscienza non chiara  a se stessa, o si presenti sotto forma religiosa o politica. 
 Apparirà allora che il mondo ha da lungo tempo il sogno di una cosa... "

 (K' Marx, da una lettera a Ruge,  da Kreutznach - settembre 1843)




 "Fatti e personaggi di questo libro sono puramente immaginari ecc. ecc. 
Qualsiasi riferimento a fatti e personaggi reali e' puramente casuale ecc. ecc.
«Mamma Roma » e' dedicata a Roberto Longhi, « cui sono debitore della mia folgorazione figurativa ».
Ringrazio ancora Sergio Citti, come per Ragazzi di vita e Una vita violenta: specie nella parte di niezzo, quella scritta nel secondo lustro degli anni cinquanta, il suo demone percorre questo libro.
Ringrazio anche Ninetto Davoli, per i suoi contributi linguistici involontari e soprattutto per la sua allegria..."
(P.P.Pasolini, Ali dagli occhi azzurri - Avvertenze)

 
Dedica ad Elsa Morante - Biblioteca Nazionale Centrale Roma
 
 

IO SONO PIENO DI UNA DOMANDA A CUI NON SO RISPONDERE. […] 
Perché guardo fisso davanti a me, come vedessi qualcosa? […] 
E perché l'urlo, che, dopo qualche istante, 
mi esce furente dalla gola, […] 
È un urlo che vuol far sapere, 
in questo luogo disabitato, che io esisto, 
oppure, che non soltanto esisto, 
ma che so. È un urlo 
in cui in fondo all'ansia 
si sente qualche vile accento di speranza; 
oppure un urlo di certezza, assolutamente assurda, 
dentro a cui risuona, pura, la disperazione.
Ad ogni modo questo è certo: che qualunque cosa
questo mio urlo voglia significare,
esso è destinato a durare oltre ogni possibile fine.
(P.P.Pasolini, Teorema)




 La Divina Mimesis: do alle stampe oggi queste pagine come un «documento», ma anche per fare dispetto ai miei «nemici»: infatti, offrendo loro una ragione di più per disprezzarmi, offro loro una ragione di più per andare all’Inferno. Iconografia ingiallita: queste pagine vogliono avere la logica, meglio che di una illustrazione, di una (peraltro assai leggibile) «poesia visiva».
[1975]

 
 
 
 
 "Se i rapporti di Pasolini con la sua omosessualità sono stati scandalosamente al centro del suo personaggio pubblico, nei suoi innumerevoli processi, non hanno avuto la stessa rilevanza nelle opere che finora ci era dato conoscere. Pasolini si era voluto comunista e nel legame tra l'omossessuale e il comunista, lo scandalo giganteggiò, dentro e fuori di lui, fino all'autocensura. Aveva sempre rimandato la pubblicazione, ad esempio, di due romanzi brevi, scritti in gioventù, che ora compaiono insieme in un volume intitolato Amado mio. I motivi per cui Pasolini ci aveva nascosto questo libro, mentre pure aveva riscritto e pubblicato, Il sogno di una cosa, sono ormai consegnati al mistero. Possiamo provare però a fare delle ipotesi. Innanzitutto, da gran letterato qual era, immaginava postume le opere "non finite", dove la forma faceva difetto, dove non si usava sufficientemente il fren dell'arte. Atti impuri, uno dei due romanzi, è stato rimaneggiato dalla curatrice del volume, Concetta D'Angeli, la quale ha dovuto svolgere in prima persona anche quelle parti che nel romanzo erano state scritte in terza. In secondo luogo l'autore di Ragazzi di vita non volle darsi ancora un volta in pasto a chi lo accusava di essere un corruttore di minorenni. Sappiamo che gli ultimi anni di vita li passò scrivendo un romanzo di più di mille pagine, le sue confessioni omosessuali, che gli editori e gli eredi non hanno ancora inspiegabilmente pubblicato.Pasolini stesso, a chi lo interrogava sulla sorte del romanzo, come capitò al sottoscritto pochi giorni prima che morisse, rispondeva che aveva deciso di pubblicarlo postumo. "
(Renzo Paris -  Da "Il Manifesto" 29 settembre 1982)

 
 


"Sto lavorando a un romanzo. Deve essere un lungo romanzo, di almeno duemila pagine. S'intitolerà Petrolio. Ci sono tutti i problemi di questi venti anni della nostra vita italiana politica, amministrativa, della crisi della nostra repubblica: con il petrolio sullo sfondo come grande protagonista della divisione internazionale del lavoro, del mondo del capitale che è quello che determina poi questa crisi, le nostre sofferenze, le nostre immaturità, le nostre debolezze, e insieme le condizioni di sudditanza della nostra borghesia, del nostro presuntuoso neocapitalismo. Ci sarà dentro tutto, e ci saranno vari protagonisti. Ma il protagonista principale sarà un dirigente industriale in crisi..."
(P.P.Pasolini a Paolo Volponi)

 

Un paese di temporali e di primule, Guanda, Parma 1993 (2015).

 La curiosità è l’unico istinto di cui l’educatore può debitamente usufruire. Ed eccoci dunque ad un equivoco, pressoché secolare, almeno nella scuola pubblica o ufficiale: col ragazzo bisogna comportarsi come chi si muove dall’alto verso il basso, cioè bisogna regredire nel suo mondo, nella facilità del suo mondo. É una vera sciocchezza: col ragazzo bisognerebbe al contrario essere difficili. Difficili in quanto ciò che egli ricerca non è nel suo mondo! È fuori dal suo mondo, nel nostro: i suoi problemi sono i nostri, ed è quindi inutile lasciarlo in una vacanza che lo minora e lo perseguita. I fanciulli detestano le cose ragionevoli: ed è per questo che la scuola, in generale, è detestata, è per questo che i ragazzi non studiano. L’insegnante […] deve svegliare nell’alunno la coscienza dell’intelligenza; da qui nascerà la voglia di studiare. […] 

(Scolari e libri di testo, in P.P. Pasolini, 
Un paese di temporali e primule, op. cit., pp. 269- 272)


Romàns, Guanda, Parma 1994 (2015)

... Le vicende del racconto, datate tra il 1947 e il 1949, hanno per sfondo la pianura friulana tra le rive del Tagliamento e i bastioni delle Prealpi dove Pasolini abitava in quegli anni.
Romàns, un borgo contadino che nei giorni di festa formicola di grida, di canti di ubriachi, di pazzie di gioventù, ha come corrispettivo reale Borgo Runcis situato a San Giovanni, frazione di Casarsa, qui detta Marsure, dove la gente, al contrario che a Romàns, « non è capace nemmeno di ridere ». Anche i personaggi del racconto sono presi dalla realtà. I ragazzi, allegri, alti e solidi come pioppi, appartengono tutti alla «meglio gioventù » che Pasolini ebbe cara in quegli anni. La cellula del partito comunista, la loggia con gli archi a sesto acuto dove vengono appesi i giornali murali in cui si celebrano le polemiche tra i due partiti avversari, il cattolico e il comunista, sono ancora oggi dei solidi edifici… mentre nelle case e nei campi si effonde l’odore antico, materno del Friuli. Don Paolo che fonda una scuoletta gratuita per i ragazzi poveri del paese ed è animato dal mito della redenzione sociale attraverso l’istruzione è il Pasolini di quegli anni, e il suo diario scolastico parafrasa ciò che Pasolini andava scrivendo in quel periodo sull’autogoverno e sulla scuola attiva...

(Nico Naldini, introduzione al libro)
.
 
 

 “... il piccolo venditore [...] era così fuso nel loro odore - di castagne e di fuoco - che non se ne distingueva. Dove terminava il ragazzo e dove cominciava l’odore dei suoi frutti ? Erano uno dentro l’altro, solidi e vivi, una sola creatura”

“I crisantemi intrecciavano il loro profumo di tombe a quello delle castagne come una trina gettata su un vecchio mobile pesante, un’edera su un tronco. Quanto l’odore delle castagne era compatto, tanto era sconnesso quello dei crisantemi: il primo era piantato nell’aria come una colonna, il secondo vi si spargeva come una pioggia di piume. Il primo si arrestava contro il petto o la gola, confidente e disperato, il secondo penetrava fino alle viscere: chi avrebbe detto che quei crisantemi così perfidi e delicati venivano giù da Primavalle ? e che non erano invece cresciuti sulle nuvole [...] ?”

“A Primavalle [i crisantemi] li coltivava Belli Capelli, nell’orto umido e sporco, dietro le Casette [...]. La feroce malinconia di Primavalle, così alta, su Roma, da rasentare il cielo, con le sue case come scatole color malva, rosa e cenere, in stile novecento e già scrostate come ruderi. Lassù il sole era sempre velato da un’ombra che si sarebbe detta di zanzare o di disinfettante, anche quando splendeva gaio e limpido, in settembre o in primavera, o sgretolava l’intonaco in agosto”

(Citazioni tratte da "Storie della città di Dio")

  
 

 Il re dei giapponesi, a cura di Luigi Martellini, Via del vento, Pistoia 2003.


«Quando rinvenni stava sorgendo la luna e io rimasi fermo a guardarla: già una lista del suo corpo luminoso orlava il profilo di una montagna alla mia destra, verso oriente, impolverando il cielo di un polline roseo e arancione. Ma cresceva rapidamente finché fu sola, fuori dal monte e senza vapori, in un cielo che gareggiava con lei per purezza e trasparenza. Fu allora che in fondo all’altopiano, a non più di una ventina di chilometri in linea d’aria, vidi una catena di monti, ombre d’ebano, che disegnavano contro il cielo, pur esso nero, ma d’una sostanza profondamente diversa, il loro profilo limpidissimo.»

(Romanzo incompiuto giovanile riconducibile al periodo 1947-1951)
 
 


 È un Pasolini che si abbandona a momenti di vera e propria gioia quello che tra il giugno e l’agosto del 1959, al volante di una Fiat 1100, percorre la «lunga strada di sabbia», da Ventimiglia a Palmi e poi, spinto da una specie di «ossessione deliziosa», fino al comune siciliano più meridionale, per risalire infine la costa orientale e arrivare a Trieste. A La Spezia, da dove parte per San Terenzo e Lerici, sente che sta per avere inizio una fra le domeniche più belle della sua vita; a Livorno, non lascerebbe mai «l’enorme lungomare, pieno di ragazzi e marinai, liberi e felici»; e, finalmente, al Circeo: «Il cuore mi batte di gioia, di impazienza, di orgasmo. Solo, con la mia millecento e tutto il Sud davanti a me... L’avventura comincia». 

(tratto dalla "presentazione del libro)

 

 
@Eretico e Corsaro - Le Pagine Corsare

Curatore, Bruno Esposito

Grazie per aver visitato il mio blog