"Le pagine corsare "
dedicate a Pier Paolo Pasolini
Eretico e Corsaro
Tesi di laurea in Dams: Pasolini e Salò le 120 anarchie del potere
(parte 1)
Seconda parte.
INTRODUZIONE: Pasolini scrittura ed immagine
« È il momento, amico lettore, in cui devi predisporre il tuo cuore e il tuo spirito, al racconto più impuro che mai sia stato fatto, da che il mondo è il mondo, non reperendosi un libro simile né presso gli antichi, né presso i moderni. » (1)
Quando si inizia lo studio di un’ autore, c’ è sempre un bivio in cui ci si ferma: bisognerà partire dal dato empirico(l’autore come uomo e non solo come figura astratta) o subito spianare la strada della sua filosofia, del suo io come tessitore di ragnatele infinite? Probabilmente non vi è risposta. Ma un buon inizio può trovarsi nel punto cruciale in cui si incontrano il pensiero e i fatti della vita. Per Pasolini questo punto si presenta nel 1975.Il 2 novembre del 1975, viene reperito il suo corpo, sfregiato dalla cattiveria umana, dalla cremagliera di una società, che fin da subito Pasolini aveva analizzato e criticato profondamente, compiendo un
vilipendio spaventoso e veritiero sull’Italia "dell’ortodossia generalizzata"(2) . E la forza del suo No riecheggiava lugubre, tetra, macabra nelle ferite di un corpo, uno dei tanti, manovrati da un potere più grande di noi, che ha toccato l’animo degli Italiani come mai il fascismo aveva fatto prima. Era difficile controllarlo, una "mina vagante" esplosa, costellando ancor più di brividi la giovane storia italiana. Significativo è che l’esecutore del delitto sia stato un ragazzo, Pino Pelosi, uno dei tanti monelli di cui Pasolini affezionatamente racconta.
"Poiché il cinema non è solo esperienza linguistica ,ma, proprio in quanto ricerca linguistica, è un’esperienza filosofica."(3).
Così la morte del poeta resta uno dei tanti misteri del nostro bel paese, "angosciante quanto le parole con cui il poeta si è scagliato contro la vera morte , quella del silenzio, del taciuto"(4).
"Non vi illudete. E voi siete , con la scuola, con la tv, la pacatezza dei vostri giornali, voi siete i grandi conservatori di questo ordine orrendo, basato sull’idea di possedere e quella di distruggere. Beati voi che siete tutti contenti quando potete mettere un’etichetta su un delitto. A me questa sembra un’altra delle tante operazioni della cultura di massa. Non potendo impedire che accadano certe cose, si continua a costruire scaffali."(5)
Dunque parlare oggi di Pasolini può sembrare parodico secondo Murri, poiché la società consumistica e omologatrice, ha vinto sul suo corpo, ha fatto tacere lo scomodo pensiero, ma meglio comunque che lasciarlo affogare nell’oblio. La trama di Una vita violenta e di Accattone(esempi) è una parabola lucida, schietta, crudele, ci illumina sul concetto di necessità come antitesi "par excellence » della libertà ( concetto machiavellico), l’impossibilità di scegliere un’altra vita e di un istinto alla sopravvivenza che cade nel precipizio, disperato, della violenza. Ciò che ne vien fuori è un’ampia delucidazione sulla dialettica del mondo, partendo dal dato empirico della borgata in contrasto con il mondo borghese, risalendo verso l’alto, toccando società e costumi, lavoro e alienazione, e culminando nella morte, vera "deus ex machina" ,letto di salvezza e redenzione. Il racconto, inteso come ciò che straborda dall’intreccio narrativo, è la Roma degli anni ’50,una Roma sfiancata dalla guerra, che porta cicatrici indelebili nei suoi abitanti, è una Roma di baraccopoli e palazzacci, la Roma della "Garbante"(6), di Colle Aniene, o di Pietralata ambiente del memorabile capitolo "La battaglia di Pietralata"(7), condotta dalle donne della borgata, madri, anziane, ragazze, che proteggono i loro figli, mordendo le mani, lanciando pietre o tizzoni ardenti, o la rivolta nell’ospedale Pertini, che vede protagonisti i pazienti ricoverati . In entrambi affronta le vite di outsider(ai limiti della società), una vita in cui la violenza la disperazione possono affogare felicemente(e solamente)nella morte, non vi è altro destino, è l’ "eterna fame" il capitolo con cui brillantemente e commoventemente conclude il libro. In queste opere letterarie come nelle prime opere cinematografiche svolge oltre tutto un grande lavoro sul linguaggio romanesco (come Gadda in "Quer pasticciaccio brutto de via Merulana), dialetto costellato di vocaboli a sé stanti ,che lui studia, ascoltando e vivendo la città, ma anche grazie all’aiuto dell’amico e collaboratore Sergio Citti. Il suo lavoro linguistico porta a brillanti risultati come Mamma Roma, Ragazzi di Vita, Una vita violenta, Accattone. Così Pasolini raggiunge un’atroce evidenza, nel narrare ogni singolo passo, "della folta vegetazione umana"(8) .
I primi passi
Nel 1961 esce a Venezia la sua opera prima, presentata fuori concorso alla Mostra di cinema di Venezia. La sua attività letteraria è già allo stato avanzato, sono venti anni che scrive e pubblica: il suo primo libro è una raccolta di poesie in strettissimo dialetto Friulano "Poesie a Casarsa", poi "Stroligut di cà de l’aga". Nei primi anni nella capitale, sbarca il lunario scrivendo articoli per periodici vari e giornali, e facendo comparsate a Cinecittà.
Alterna la critica con l’insegnamento in una scuola media di Ciampino. Poi sarà Mario Soldati a volerlo come collaboratore della sceneggiatura di "La donna del fiume" (1954). Nel 1955 finalmente pubblica il primo di una triade di romanzi sulle borgate, con un romanesco scritto da uno che Romano non era, proprio come Gadda. In Ragazzi di Vita, P. tenta di portare alla luce la parte dimenticata dell’umanità, cancellata dalla guerra e dalla fame. Riceve nel 1956 l’opportunità di collaborare alla sceneggiatura di "Le notti di Cabiria", revisionando le parti in romanesco. Finalmente può vivere con la sola scrittura, si trasferisce a Monteverde Vecchio. Continuerà a pubblicare libri come Le ceneri di Gramsci L’usignolo della Chiesa Cattolica, poi Una vita violenta, etc. La maggior parte della critica Pasoliniana si basa sul rapporto della sua attività come scrittore e come cineasta. Vi è sicuramente una continuità, un nesso, nelle diverse pratiche di un pensiero che da politico si trasforma in umano, mira a comprendere l’anima, ma attraverso la lucidità della mente. E non è giusto pensare che l’attività da cinematografaro di Pasolini sia stata meno determinante nel formare il suo gusto, anche quello letterario. Non è neanche un virtuoso della tecnica, maniacale nella sua forma, anzi le sue inquadrature sono senza sintassi quasi, si ispirano ai quadri, soprattutto a Giotto e Masaccio.
La costruzione delle scene è più poetica che cinematografica, segue un’ispirazione improvvisata, che si lascia toccare e influenzare anche da ciò che vi è di esterno. Nonostante tutto Pasolini dichiara che più dei suoi studi letterari, ciò che lo ha aiutato nello scrivere furono i film di Ejzestejn, Dreyer , e Chaplin. Si nota nei suoi romanzi una scrittura molto visiva, quasi didascalica, da film, da un gusto visivo puramente cinematografico. Ciò che lo sospinse anche a scendere in campo con l’attività registica fu il volersi mettere a confronto con il medium di massa più potente dell’inizio del ‘900.
Le prime opere cinematografiche
Il 31 agosto del 1961, viene proiettato(dopo un montaggio precipitoso) fuori concorso al salone di Venezia, Accattone, ma riceve subito la censura per i minori. Numerose furono le proteste, da parte di gruppi neofascisti, e le accuse che i più gli apposero erano di "pornografia" e di simpatizzare per dei reietti, appartenenti al proletariato urbano di una giovanissima Repubblica. E in questa Italia dilaniata dalla guerra Pasolini come un chirurgo riapre una ferita nella "pseudo-coscienza borghese"(9). Riesce a descrivere la borgata con un romanticismo malinconico: ci appare come un luogo ancestrale, dove non regna più la razionalità della borghesia, ma una "feroce ingenuità"(10). Spiega Murri che la storia astorica della classe dominata è ferma alla rivolta individuale contro un potere soggiogante. Ma è una società dove regna la paura e la famosa legge dell’Homo homine lupus"(11). L’impotenza genera allora violenza, senso di frustrazione e più profondamente di disperazione. Quello che all’inizio portò Pasolini ad affrontare una sorta di epos della borgata, era una filosofia, altamente utopica, di stampo Marxista. Stilisticamente già in Accattone c’è tutto il cinema di Pasolini: un cinema in contrasto con quello di Fellini, senza alcuna ricerca tecnica, fotografia nitida e forti contrasti, una provocazione fatta di immagini, sperimentando ogni mezzo espressivo come fosse nuovo. Una analogia con la dialettica di Duchamp: riuscire a guardare la stessa realtà da un altro punto di vista, con una nuova focale, in modo da rilevare quanto di più intimo e drammatico ci sia dentro. La trama di Una vita violenta e di Accattone(esempi) è una parabola lucida, schietta, crudele, ci illumina sul concetto di necessità come antitesi "par excellence »(12) della libertà ,
( concetto machiavellico), l’impossibilità di scegliere un’altra vita e di un istinto alla sopravvivenza che cade nel precipizio, disperato, della violenza. In queste opere letterarie come nelle prime opere cinematografiche svolge oltre tutto un grande lavoro sul linguaggio romanesco (come Gadda in "Quer pasticciaccio brutto de via merulana), dialetto costellato di vocaboli a sé stanti ,che lui studia, ascoltando e vivendo la città, ma anche grazie all’aiuto dell’amico e collaboratore Sergio Citti. Il suo lavoro linguistico porta a brillanti risultati come Mamma Roma, Ragazzi di Vita, Una vita violenta, Accattone.
Mamma Roma
Il progetto di Mamma Roma viene steso prima di Accattone. Deriva da un fatto di cronaca, la morte in carcere del ragazzo Marcello Elisei. Tra le tante difficoltà Pasolini si trova dinanzi anche alla personalità difficile della Magnani, che tornava al cinema dopo due anni di pausa. Ci ritroviamo nella stessa diegesi della storia con la "s" minuscola, una storia scovata in basso nei quartieri dove non riscalda il sole. Qui trabocca la colpa inflitta dalla società a chi porta l’onere della propria povertà. Siamo agli albori di un genocidio che la società italiana condurrà su questa classe di sottoproletari, che cercheranno sempre di adattarsi alla piccolo media borghesia ma vi è un’incompatibilità di fondo. Ma anche fra Mamma Roma e i suoi simili c’è astio: un’ astio derivato dalla condizione di morti di fame , condizione dalla quale Mamma Roma vuole sollevare il figlio Ettore, affetto che la porta ad odiare i comunisti perché padroni di un regno miserrimo. Questo film fu denigrato dalla critica dai giornali, e un pestaggio aspettò gli spettatori dopo la prima al Quattro Fontane. Per risposta Pasolini si accinse a scrivere un’altra storia di questi outsider: la storia di Stracci, La Ricotta.
La Ricotta ideato come lungometraggio diviene un mediometraggio con la pressione del produttore Bini. Le riprese di cinque settimane circa, iniziarono dopo che Mamma Roma raggiunse il festival di Venezia. La trama è particolare e riporta i principali ideali Pasoliniani: Stracci(Mario Cipriani) ha una piccola parte nel film del regista marxista-ortodosso(Orson Welles). Il set è un pratone abbandonato a sé, nella gigantesca periferia romana di origine fascista. Quando la famiglia di stracci giunge al set, lui gli donerà il cestino con il suo pranzo, che consumeranno nel prato che ha il valore di una vera eucarestia.
E la sua morte sulla croce di una messa in scena, morto d’indigestione per la famosa ricotta trangugiata in una caverna, appare come il cammino di Cristo. Pasolini tesse il tutto di autoironico, lo cosparge di un senso grottesco, quasi macabro. Ciò che sorge da questa tragicommedia, è la profonda metamorfosi dell’intera società italiana e di ciascuna sua classe. Anche qui le critiche benpensanti si sprecano, ma Pasolini tiene a sottolineare che non intende esser blasfemo ma che anzi la Passione di cristo e le scritture del testamento sono i testi più sublimi mai scritti per lui. Quando Pasolini realizza la sua ricerca, tenderà a un senso più profondo della politica, ad una ricerca verso il sacro, verso l’etica. La massa di giornalisti e produttori che si avvia verso il buffet disposto sotto le tre croci, è l’immagine balenante di una superficialità religiosa che appartiene alla borghesia italiana, e che sarà di ispirazione viscerale per il suo prossimo film: "Il vangelo secondo Matteo". Nel 1963 Pasolini inizia la collaborazione con l’aiuto regia Carlo di Carlo, e con il produttore Ferranti, revisionando i cinegiornali sulla guerra, opera del produttore.
Inizia il progetto La Rabbia spinto dalle paure e le angosce dell’uomo verso la guerra. Non vuole girare nulla, ma semplicemente sostituire il commento nazionalistico e trionfalista, con la sua voce pacata e inquietante. Un'altra opera importante di Pasolini è Uccellini Uccellacci del 1963. Uccellini Uccellacci è la quarta opera di Pasolini, tessuta sempre di originalità e di una fede evangelica-francescana. Brillano nel cast Totò nella parte di Fra Ciccillo e Ninetto Davoli, padre e figlio, che passano di casa in casa a riscuotere il canone minacciando di sfratto la povera gente. È sicuramente tra le opere più intense di Pasolini, ispirata a un testo delle Ceneri di Gramsci. È una favola surreale, ma che non ha a che vedere con il surrealismo storico afferma Pasolini. E nei vari aneddoti Pasolini ripropone i problemi degli anni ’60: crisi del marxismo, destino del proletariato, il ruolo dell’intellettuale(figura che si creò a fine ‘800, perché prima l’intellettuale non aveva un ruolo preciso), e l’avvicinarsi ineluttabile del terzo mondo(si capisce dai cartelli Cuba 13000km, Istanbul 4300 km). Al tutto si unisce la storia del corvo parlante, allusione alla dottrina di san Francesco d’Assisi. Interessante è la critica dello stesso autore a riguardo:
"L'atroce amarezza dell'ideologia sottostante al film (la fine di un periodo della nostra storia, lo scadimento di un mandato) ha finito forse col prevalere. Mai ho scelto per tema di un film un soggetto così difficile: la crisi del marxismo della Resistenza e degli anni Cinquanta, poeticamente situata prima della morte di Togliatti, subita, vissuta, dall'interno, da un marxista, che non è tuttavia disposto a credere che il marxismo sia finito (il buon corvo dice: "Io non piango sulla fine delle mie idee, perché verrà di sicuro qualcun altro a prendere in mano la mia bandiera e portarla avanti! È su me stesso che piango..."). Ho scritto la sceneggiatura tenendo presente un corvo marxista, ma non del tutto ancora liberato dal corvo anarchico, indipendente, dolce e veritiero. A questo punto, il corvo è diventato autobiografico, una specie di metafora irregolare dell'autore. Totò e Ninetto rappresentano invece gli italiani innocenti che sono intorno a noi, che non sono coinvolti nella storia, che stanno acquisendo il primo grado di coscienza: questo quando incontrano il marxismo nelle sembianze del corvo. La presenza di Totò e Ninetto in questo film è il frutto di una scelta precisa motivata da un 'altrettanto precisa posizione nell'ambito del rapporto tra personaggio e attore. Ho sempre sostenuto che amo fare film con attori non professionisti, cioè con facce, personaggi, caratteri che sono nella realtà, che prendo e adopero nei miei film. Non scelgo mai un attore per la sua bravura di attore, cioè non lo scelgo mai perché finga di essere qualcos'altro da quello che egli è, ma lo scelgo proprio per quello che è: e quindi ho scelto Totò per quello che è. Volevo un personaggio estremamente umano, cioè che avesse quel fondo napoletano e bonario, e così immediatamente comprensibile, che ha Totò"(13) .
In Uccellini e Uccellacci Pasolini sottolinea il registro comico, come già aveva sperimentato in La Ricotta. Bisogna ricordare che Pasolini è il primo critico ed analista delle proprie opere: secondo Pasolini Uccellini ed Uccellacci segna un’inversione di rotta che si basa su una profonda crisi, non solo artistica, ma anche morale. A Pasolini sembra impossibile compiere un’opera nazional popolare, come era stata teorizzata da Gramsci. In questo modo l’intellettuale si misurava con il popolo facendo da intermediario tra il popolo e il partito. Ma succede che il popolo sta cambiando(parliamo degli albori degli anni ’60) fisionomia, il sottoproletariato è contaminato dall’idea dei consumi. Non è più possibile fare opere nazional popolari per Pasolini . Servono bensì opere che si sottraggano al consumo. Cambia così il suo lettore modello, che non è più la gente semplice affascinata da storie simile alle sue, sulla strada, il paradiso perduto della borgata, i palazzi bombardati, ma il "Lettore Modello"(14) diventa l’intellettuale, la fascia d’élite. " Quidquid Recipitur ad modum recipiendi recipitur" (15) Desidera opere che siano idealmente non soggette al consumo, violentemente estranee alla cultura di massa, resistenti a questa cultura che come una metastasi invade l’Italia del boom economico. In questi anni molti equilibri giungono agli estremi. C sono alcuni elementi simbolici di tale rottura: la morte di Togliatti, e i fatti di sangue dei primi anni sessanta: nel ’63 un cecchino rimasto per sempre ignoto trafiggerà il cranio di Kennedy, nel ’64 le prime bombe sul Vietnam del Nord, nel ’65 muore Papa Giovanni XXIII, muore un sognatore come Luther King, e poi Malcom x. Pasolini punta il suo occhio da regista su un panorama che si sta sconvolgendo, totalmente in crisi. Questo rivoluzionare forme d’arte e di società è tipico nell’arte italiana del dopo guerra. Uccellini rappresenta una frattura stilistica. In una poesia intitolata "ridicolo decennio" e in un libro chiamato "nuove questioni linguistiche" , denuncia l’omologazione linguistica a cui la nuova generazione va incontro . Uno strumento privilegiato di questa omologazione è la televisione con tutti i media: il medium uccide le culture dialettali , i dialetti delle borgate, del mondo sottostante Così crea un nuovo italiano, l’italiano parlato da tutti, la classe proletaria tende a conformarsi a quella borghese. Nell'estate del '75 scrive l' «Abiura della Trilogia»: "il sottoproletariato romano come i Pariolini: non c'è differenza: la stessa ottusa, massificata disumanità."(16). La realtà per Pasolini è un congegno sacrale, guarda le cose come se in loro il sacro fosse per esplodere, soggetti erotici e sacrali allo stesso tempo, fisicità sensuale e religiosa al contempo. Una realtà che è misteriosa, come lo è lo statuto dell’essere al mondo, misterioso e inspiegabile non può essere ricondotto al pensiero dello schema razionale. Nell’inafferrabilità della realtà c’è la sua grandezza per Pasolini. Nella realtà vede sempre una dualità: la prima è tra oralità e scrittura. Il cinema è la lingua scritta della realtà, la realtà è una lingua orale. Secondo Pasolini il valore significativo di un’immagine rimanda a quello che l’oggetto riproduce. Ex :albero. Significa che l’albero è un’ elemento significante della realtà, il senso è già scritto nella realtà. Non viene data costruendo il discorso o l’immagine di un lettore –interprete. L’albero del cinema assomiglia alla realtà. È un medium riproduttivo.
Tutti i semiologi parlano di analogia iconica. P. arriva alla conclusione :l’immagine significa perché la realtà significa. Il cinema riproduce e diviene la scrittura del linguaggio naturale delle cose. Scrittura: processo duplicazione fotografica. Questa tecnica di riproduzione del reale, viene connotata in maniera ambigua ed in due direzioni: da una parte la tecnica è una memoria riproduttiva senza riproduzione della realtà. La tecnica ha un’innocenza che non influisce sulla riproduzione. Pasolini ha un’acuta intuizione dei processi formali. È ingenuo pensare che ciò che il cinema riproduce è distaccato dallo sguardo. La tecnica è sempre ideologia. SI guarda in una maniera che non è neutrale. Il modo di guardare è sempre un’interpretazione, lo sguardo restituisce sempre un qualcosa attraverso un filtro, che è soggettivo. Con lo sguardo metto in azione la cultura, i pregiudizi, tutto ciò che siamo esistenzialmente e culturalmente. Lo sguardo è uno sguardo orientato. Pasolini non poteva credere che lo sguardo fosse neutro. Conosceva l’inesorabilità soggettiva dello sguardo. Il cinema rivela la realtà, perché riproducendola la possiamo guardare in modo diverso e scoprire dei nessi ed angolazioni che possono sfuggire altrimenti. Così anche per Zavattini e Pasolini la realtà si manifesta come un qualcosa da apprendere. In "Affabulazione" opera teatrale di Pasolini, entra in scena l ‘ombra di Sofocle che dice: "L’uomo si è accorto della realtà solo dopo che è entrata"(17) . Il cinema riconduce alla realtà ma in un modo nuovo e speciale, :come se la realtà fosse stata conosciuta solo attraverso questo riflesso, ne sottolinea l’espressività. Anche i formalisti russi sostengono che con la riproduzione abbiamo una visione straniata, allontanata, dalla percezione ordinaria dell’ambiente, e poniamo caso ad altre cose. Per esempio l’ Aereo ha una forza simbolica nel cinema, come in Uccellini Uccellacci ,gli aerei sono come i cartelli, la proiezione verso un’altrove irraggiungibile è come un’apparizione sacra, in un mondo religioso che il cinema ci aiuta a carpire più profondamente. Oralità e scrittura: realtà è solo oralità. Nel cine che è scrittura si rivela dell’altro. Se guardiamo all’attività pasoliniana dalle poesie su Casarsa fino adesso, la sua ricerca va nella direzione di fissare l’oralità. Prima quella dei parlanti Friulani(poesie scritte in lingua friulana). Pasolini tramite la mimesi dialettale si avvicina ad una lingua orale, non istituzionalizzata. Queste discese nell’ oralità vanno lungo il grado dell’essere come un tentativo di prendere, di calarsi in una realtà primigenia, anteriore alla lingua ufficializzata, anteriore alla storia e alla cultura. Un mondo arcaico regolato diversamente, dal mondo della società contemporanea. Tutto ciò che si declina con l’oralità tira in ballo la figura del ritorno ad uno stadio precedente, perduto, con la storia e la cultura. Una nostalgia verso un momento primordiale dell’esistenza, non ancora contaminato e deturpato dalla cultura e dalla storia. La dualità oralità e scrittura è simmetrica alla dualità natura e storia. Il mito che ha Pasolini della natura è uno spazio primigenio in cui si vive soltanto, il mito di una vita vissuta. È uno stadio della vita in cui c’è una conoscenza fisica del mondo che coincide con una conoscenza religiosa. È lo stadio in cui fra le parole e le cose ci sono legami magici. La lingua non è ancora un sistema astratto separato dalle cose. Il rovesciamento delle cose, tra attività e parola, che non è ancora scissa dalla fisicità, è una parola che è ancora legata al grido ancestrale della bestia. La lingua dell’uomo arriva come una lingua che cerca di tradurre, la lingua paradisiaca, arriva come traduzione inadeguata, di qualcosa che ha perduto. Il mito pasoliniano della natura assomiglia al mito di Narciso che si guarda allo specchio e contempla sé stesso, come se il mondo esterno non fosse che la proiezione della sua figura. C’è l’idea di un’entità divina che si rispecchia negli uomini, non c’è divisione tra soggetto e oggetto, c’è l’indistinzione tra divino ed umano. L’idea di Dio non spiega il mondo ma ne sottolinea il mistero ontologico. Pasolini dice: "Se la realtà parla, chi è che parla e con chi parla? parla con sé stessa, è un sistema di segni, con cui parla con sé stessa. Il concetto di divinità esprime il mistero del mondo ma non lo vuole spiegare"(18) . Pasolini inizia la lettura di Platone: sono suggestioni che entrano prepotentemente nella sua teoria e nella sua produzione teatrale. Come l’ombra di Sofocle in Affabulazione la sua teoria si infiltra nei testi teatrali. Dunque l’idea di natura che ha Pasolini è quella religiosa dell’esistenza primordiale, dove la vita è soltanto vissuta. In questo spazio il tempo non esiste, perché il tempo è quello dell’eterno ritorno, quello del circolo naturale della morte e resurrezione. Oltre la lettura di Platone e dei presocratici, fa letture antropologiche e di storici della religione. C’era un’idea circolare del ciclo della vita. La conoscenza era legata alla vita del corpo, non come nel pensiero razionalistico in cui mente e corpo sono scissi, ma la conoscenza è attraverso Il corpo. Parlare dell’uomo è come parlare di natura. Pasolini usa un’espressione: "inespresso esistente"(19)
E’ questo lo stato originario della natura e dell’ essere. La Natura è misteriosa e fisica, l’Unione di pragma ed enigma. Invece la Storia è separazione da fisicità pragmatica, è il tentativo di rivelare l’enigma, la storia è la scissione del soggetto dal mondo, da un universo panteistico primitivo. Nel mondo primitivo la conoscenza è legata al vivere soltanto. Nell’universo della storia abbiamo un concetto di spazio, e di tempo totalmente diverso, il tempo è consequenzialità, la storia è inseguita dal demone del progresso, sviluppo incessante, una catena che ci porta almeno idealmente verso un mondo migliore. Attraverso i sogni della storia e del progresso si rompe la distinzione magica tra storia e natura. Percepisce la storia come un grande vuoto, l’uomo avrà sempre un gran senso di perdita di paradisiaco. Questo senso di perdita dato dalla storia gli fa desiderare sempre più questo mito originario che nasce dal desiderio di riempire un’assenza incolmabile. Tutto il pensiero sull’omologazione deriva dalla perdita di questo mito. P. se ne accorgerà con Salò ,che anche questo mito che lui si costruì era un’illusione fatta per riempire questa sua mancanza originaria, di una fisicità non legata ai meccanismi degradanti della storia, e in particolare della società di massa. L’ultima dualità che incide il pensiero Pasoliniano è tra cinema e film. Contrappone il cinema ai film così come Saussure aveva contrapposto il codice al messaggio. Il cinema è un piano sequenza infinto che coincide con la soggettiva dello sguardo perenne sul mondo. In questo piano sequenza infinito l’unico tempo possibile è il presente, un presente eterno, come la vita mentre è vissuta. Il montaggio è l’interruzione, e allora tutto ciò che abbiamo visto si trasforma in un racconto che ha senso mentre prima era in costruzione il senso, quando uno muore le sue azioni vengono disposte in una catena significativa e si da un senso alla sua vita .Il film è l’interruzione ,è la coordinazione del piano sequenza. La vita arrivata alla fine, che, illumina tutti gli atti, ancor insignificanti che si sono vissuti. Il film si oppone al cinema come il passato al presente, come un senso chiuso ad uno aperto , come la morte alla vita. Scritto di Pasolini: "Il montaggio come morte del cinema". La realtà è un linguaggio che per esser descritto ha bisogno di una lingua. Per P la semiologia è la scienza della realtà : Tale linguaggio coincide con l’azione umana, i gesti dell’uomo. L’uomo si esprime soprattutto con l’azione perché modifica la realtà e incide nello spirito : La tv è pericolosa poiché offre dei modelli di azione. Ma questa sua azione manca di senso, unità, finché non è compiuta. È necessario morire perché finché siamo vivi non abbiamo senso. La morte compie un fulmineo montaggio della nostra vita , non più modificabili da altre azioni, facendo del nostro presente un passato chiaro stabile certo e linguisticamente ben descrivibile, solo grazie alla morte la nostra vita serve ad esprimerci. Anche in Edipo Re appare la dualità tra Natura e Storia. Sorge anche un’altra dimensione :la carnevalizzazione delle figure all’interno del paesaggio. I costumi di Edipo re sono visionari e astratti, non rispondono ad alcuna logica. Pasolini racconta che sono stati tratti da pitture babilonesi. C’è una volontà di travestimento, che raggiunge dei vertici barocchi, esagerati, in contrasto con la dimensione di nudità primordiale del paesaggio di Edipo re. Sono importanti le panoramiche sui paesaggi della città e dei deserti: le visioni panoramiche su Corinto e Tebe, assorbono il ruolo del coro nella tragedia greca, punteggiano il testo come una forma di commento ritmica, a cui Pasolini attribuisce un ruolo simbolico. Il continuo muoversi del film tra il silenzio e la musica da una parte, dall’altra la parola che è molto presente in alcune parti, e in altre molto ridotta. Pasolini tende a una comunicazione pre-logica, la parola invece rappresenta l’abito della razionalità. È uno scontro come fra l’elemento Dionisiaco e Apollineo. Il tratto Dionisiaco si situa tutto il mistero e dolore di questa esperienza originaria del mondo, che siglerà la fine di Edipo. C’è la stessa differenza fra enigma e mistero. L’enigma può essere risolto attraverso la ragione, il mistero rimane indecifrabile. La musica di Dioniso conduce Edipo fuori di sé, conduce nel suo profondo desiderio. Il flauto di Tiresia rappresenta il dolore del mondo. Il musicista dionisiaco è rappresentato da Tiresia. Un dolore che non ha compimenti. Pasolini è un figlio che non vuole diventare padre, e un padre che non vuole figli. Questa analisi si ritrova in Teorema: in ogni personaggio c’è una parte della sua personalità ed esperienza. Questo film è basato sui simboli della realtà, anche i nomi assumono subito un’evidenza simbolica, forte: Il padre Paolo e il figlio Piero(Pier Paolo Pasolini). Paolo il padre(anche come S. Paolo)ha una folgorazione sulla via di Damasco cambia il movimento della propria vita, si spoglia della ricchezza, come un S. Francesco, e alla fine varca i limiti tra il mondo prosaico della società e il luogo originario rappresentato dal deserto. La Cabala dei nomi: una ragazza si chiama Emilia(terra natale di Pasolini), Lucia rimanda a Manzoni, o a Lucia Bosè. Teorema è un’enunciazione che ha a che vedere con il pensiero logico matematico, la dimostrazione razionale e scientifica. C’è un lato dunque logico ma dentro il quale si annida una fitta rete di simboli. Pasolini sembra rifiutare il principio di contraddizione. Egli da al simbolo il potere di unire temporalità diverse, esterno e interno, conscio e inconscio, il simbolo ha sempre un ambivalenza, ha una natura ossimorica. Un film che si dispiega come una parabola. Teorema racconta il presente della società consumistica, un presente insopportabile, che l’ospite mette in crisi. Racconta ancora il mito del contadino non industrializzato, la crisi d’identità artistica e individuale di Pasolini. Una natura che viene rappresentata da un’immagine molto forte: quella del deserto. L’immagine del deserto arriva quando si inclina la percezione normalizzata del pensiero. Il deserto è come il prato di Edipo, il luogo di una dimensione originaria dell’essere.
Ogni volta che c’è un luogo biblico abbiamo delle panoramiche: da dx a sx e viceversa come a chiudere un ciclo.
In conclusione si può dire che le opere di Pasolini contengono un complesso percorso che lo porta a rigettare ogni fine di consumo per le sue opere, vuole che sia prescritto solo a chi può arrivarci con l’intelletto. Con Salò firmerà un’ulteriore passaggio. Non solo la storia e la società hanno contribuito alla scomparsa del paradiso della borgata e della primitività dell’essere con la natura, nella sua fisicità, ma il Potere della storia è riuscito a manipolare anche i corpi e le anime degli uomini .
La sua morte segna la fine di un uomo, ma l’inizio di una rigogliosissima ricerca filosofica e spirituale.
Ma in Salò ,questa forse è la prima differenza che viene in mente, la morte non porta nessuna salvezza. I sadici torturatori dovrebbero ammazzare mille volte le loro vittime per essere contenti(come essi dichiarano), poiché la loro ossessione non ha una scadenza e non cesserebbe con la morte (forse con quella del carnefice).
Signore:
"Imbecille, come potevi pensare che ti avremmo ucciso. Non lo sai che noi vorremmo ucciderti mille volte, fino ai limiti dell’eternità ,se l’eternità potesse avere limiti." (20).
È il meccanismo della società consumistica, che non può prevedere la morte del consumatore, ma vuole sfruttarlo, spremerne il midollo, fino a che consumerà. La morte sarebbe un lusso per queste vittime, in quanto spezzerebbe le infami catene della loro schiavitù.
Un’analogia scatta tra questa tematica e un’ emblema della modernità: l’universo concentrazionario. La villa sembra come un lager in cui la vita è organizzata e lasciata alla più spietata perversione. Ciò che accomuna queste vittime è oltre agli orrori, le uccisioni, le torture, è la perdita dell’intimità e della privacy, l’essere sorvegliati perennemente.
Quando P. gira il suo primo film, pensava che fosse solo una tecnica diversa, anzi una tecnica letteraria differente.
Poi piano piano si rende conto che è un differente linguaggio. Quindi P. abbandona la lingua italiana quella di lui scrittore, per una cinematografica. Ma la verità è forse un'altra :cioè la lingua esprime la realtà attraverso un sistema di segni, invece un regista esprime la realtà con la realtà.
Per questo ama di più il cinema della letteratura ,perché esprimendo la realtà con la realtà, operi ad un livello continuo di realtà. Le immagini per P,. si fondano su altro anche: su immagini dei sogni e dei ricordi. "Ogni volta che sogniamo o ricordiamo giriamo dei film nella nostra testa. Il cinema ha le sue fondamenta su un linguaggio irrazionale. Un’ immagine è infinitamente più onirica che una parola "(21) . In generale il suo lavoro è influenzato da attori non professionisti e scenografia non ricostruita. Ma Salò vuole montarlo in modo perfetto, non vuole che sia magmatico e caotico, ma che sia un "involucro perfetto per rinchiudere le atrocità di De Sade e del fascismo" (22) . Altra differenza è nella tematica del sesso: è come se Pasolini abiurasse dalla sua appena conclusa "trilogia della vita" e tracollasse in un precipizio di pessimismo Leopardiano, che descrive la società moderna come una cremagliera che violenta e distrugge le persone, annientandone l'umanità e riducendole a bestie. SI pensi alle opposte scenografie di Salò e del Decamerone (sempre firmati dall’illustre Dante Ferretti):nella prima trionfa il futurismo dei quadri e dell’arredamento, la freddezza della Villa nei suoi mille lussi, nel Decameron invece ricostruisce tratti di strade, stalle, case, che vivono della più intima semplicità, così come le storie che nascono all’interno. Prendiamo anche Accattone: se all’inizio era la strada, gli esterni veritieri di Roma, a dar luce alle sue storie, ora è l’interno lussuoso e arredato in stile futurista(da Dante Ferretti).
E sono anche mali di entità diversa quelli che vengono dalla strada e quelli nascosti in un palazzo. In Salò emerge il conflitto fra la natura, la campagna dove i ragazzi vengono rapiti, e la sfarzosa ma cupa architettura dell'interno della villa: è la mano dell’uomo che sconfigge la natura . I giovani sono obbligati dal potere a seguire un regolamento cui è impossibile sottrarsi, e che comunque non porta ad altro che alla morte.
PROGETTO INIZIALE E MODIFICHE
Il progetto iniziale appartiene a Sergio Citti ,ed è liberamente ispirato al romanzo di De Sade :"Le 120 giornate di Sodoma". Citti chiede a Pasolini di collaborare alla sceneggiatura. La principale innovazione alla struttura del testo, che viene da P., è di darle una struttura dantesca. Divide l’intero film in 4 capitoli(4 è un numero che ritorna maniacalmente in De Sade: i 4 signori che rappresentano i 4 Poteri, le 4 narratrici, le 4 mogli, i 4 prigionieri maschi e le 4 femmine, i 4 mesi all’interno della villa etc.):Antinferno-Girone delle manie-Girone della merda-Girone del sangue. Su una sceneggiatura firmata dallo stesso Citti e da Pupi Avati, Pasolini sviluppò i temi della violenza, delle sevizie, della perversione sessuale. Altra illuminazione pasoliniana è quella di trasferire l’azione del racconto a Salò, negli anni finali della guerra(’44 e ’45). È importante il dettaglio anagrafico di tale scelta: Pasolini pur nascendo a Bologna, ha origini Friulane, ed il fratello è morto combattendo una tra le più aspre battaglie partigiane: quella del Friuli appunto.
Ultimo film di Pasolini, fu presentato a Parigi tre settimane dopo la sua morte e subito sequestrato. Pasolini trasporta le vicende narrate nel romanzo del Marchese de Sade, Le 120 giornate di Sodoma, nell'età nazifascista ormai al tramonto, cioè nel biennio 1944-45. Ambientato come nell'opera letteraria, in una Villa, quindi circoscritti in un fazzoletto di terra nel quale poter fare tutto, i protagonisti della storia sono quattro Signori: un Duca, un Monsignore, un Presidente e Sua Eccellenza. Essi hanno il potere di vita e di morte su alcuni prigionieri e impiegheranno i loro giorni soddisfacendo i propri desideri con i corpi delle vittime. Analizzando la struttura del film molte sono le similitudini col romanzo, specie nella struttura a quattro: il numero ossessivamente ripetuto dal Marchese, è evidente nella divisione dantesca in macro sequenze: Antinf.,G. delle Manie, G. della Merda, G. del Sangue.
Quattro anche i protagonisti attivi: i 4 Signori, le 4 megere che raccontano le storie per i primi, i 4 repubblichini; e quelli passivi: i prigionieri, 4 gruppi di 4 maschi e 4 femmine, i 4 servi. La durata dell'azione: 120 giornate, ossia 4 mesi.
Nella prima parte, in stile neorealistico, girata quasi totalmente in esterni e con macchina a spalla, assistiamo ai rastrellamenti e ai matrimoni di sangue dei 4 Signori. Spostamento dei personaggi nella Villa. Lettura del regolamento. Ogni atto religioso sarà punito con la morte.
Nel girone delle mania cominciano i primi approcci con le vittime.
Le 4 megere hanno il compito di raccontare storielle raccapriccianti al punto da eccitare i Sovrani, una di loro si limita a suonare il piano ed accompagnare le altre. La scena viene consumata quasi interamente nella Sala delle Orge o nei bagni e nei dormitori dei ragazzi.
Lascia la camera a mano, la rende fissa per enfatizzare la rabbia. Rende l’ira più rigida , le scenografie di Dante Ferretti sono in pieno colore futurista alle pareti, nei discorsi dei Signori appaiono riferimenti a Baudelaire, Nietzsche, Proust e ad altri autori . E’ importante notare come i 4 signori siano persone estremamente colte.
Ed un verso famoso ma non citato di Baudelaire incornicerebbe il film benissimo:
"Verso il cielo ironico e crudelmente blu" (23)
Anche la Fenomenologia dello Spirito Hegeliana trova il suo posto in questo film. L’unica coscienza che trova la libertà grazie al coraggio della morte è il ragazzo che muore con il pugno alzato. Ha preferito perdere la vita che la libertà, e non vi è l’alternativa di un lavoro che potesse renderlo libero. "Arbeit macht Frei". La grande ironia del terzo Reich.
Una similitudine emerge alla lettura di Primo Levi "Se questo è un’ uomo". Nel capitolo "Esame di Chimica" tra Levi e il Dr Pannwitz corre uno sguardo che farà a ricordare per sempre a Levi questa persona "non già per vendetta, ma per la intima curiosità verso l’animo umano". Infatti scrive Levi "Se potessi descrivere quello sguardo che passò come attraverso il vetro di un’ acquario potrei spiegare la follia della Germani nazista… Quello sguardo diceva: la persona che ho davanti è sicuramente necessario eliminarla, ma prima bisogna prendere tutto ciò che è utilizzabile in lui.."(24)
E proprio questo sale alla mente vedendo Salò: prima di arrivare al girone di Sangue i 4 signori sfruttano e soddisfano ogni loro perversione.
Non c’è dubbio che la villa richiami l’universo concentrazionario, la grave perdita dell’intimità, della vita individuale, il tutto smarrito nell’organizzazione di questo pseudo lager(sia l’organizzazione che l’universo concentrazionario sono simboli per eccellenza della modernità).
Un’ultima osservazione sul concetto di legalità: dal momento che i 4 Signori realizzano le loro meschine azioni in un Villa, si trovano fuori di ogni legalità. È come se si regredisse al regno dell’"homo homini lupus"(Hobbes) , dove governa la legge del più forte.
Si potrebbe pensare ad un altro livello di legalità: la legalità dentro il nuovo stato fantoccio di Salò, con le sue nuove leggi, contrapposto allo stato di legalità dell’Italia occupata dagli alleati.
Come sempre il concetto di legalità si mostra labile ed effimero.
IL CONTESTO STORICO
Abbiamo detto che l’idea di trasferire l’azione del racconto, dal castello sfarzoso del libro alla Repubblica di Salò, fu un’idea pasoliniana.
Pochi giorni dopo l’armistizio, Mussolini viene liberato da paracadutisti tedeschi, dalla sua prigione sul Gran Sasso, dove fu condotto dopo il suo arresto.
Il film si apre volgendo l’attenzione sul cartello che segna il nuovo stato di Salò. Già la didascalia avverte lo spettatore sulla diegesi del film: siamo negli anni ’44-’45. Quando nel 1943 Mussolini viene convocato dal re per un ricevimento, viene arrestato e dopo vari esili nelle isole del mare nostrum, viene condotto alla prigione sul Gran Sasso, scortato da carabinieri e guardie di sicurezza. Sottomesso alla pressione del Führer, il quale minacciò di fare in Italia molto peggio di quanto fece in Polonia, se non avesse costituito uno stato sovrano di sé stesso nel nord Italia, dove veloce avanzava l’esercito alemanno.
Il Duce liberato dai paracadutisti tedeschi dopo il giorno dell’armistizio, formerà nella regione Friulana uno stato a sé stante. Il Terzo Reich eserciterà sul neo stato, una sorta di invadente protettorato de facto, dall'Impero giapponese e dalla maggioranza degli altri Stati componenti l'Asse Roma-Berlino-Tokyo: la Slovacchia, l'Ungheria, la Croazia, la Bulgaria. Fondamenti ideologico-giuridico-economici della Repubblica Sociale Italiana furono il fascismo, il socialismo nazionale, il repubblicanesimo, la socializzazione, la cogestione, il corporativismo e l'antisemitismo.
La Repubblica Sociale Italiana rivendicava la propria sovranità su tutto il territorio del Regno d'Italia, ma per gli sviluppi bellici poté esercitarla solo sulle province non soggette all'avanzata alleata o alle "zone d'operazioni" dichiarate unilateralmente dai tedeschi. Inizialmente dunque la sua attività amministrativa si estendeva nominalmente fino alle province settentrionali della Campania, ritirandosi progressivamente sempre più a nord, in concomitanza con l'avanzata degli eserciti angloamericani. A nord, inoltre, i tedeschi la estromisero dall'amministrazione delle province di Trento, Bolzano, Belluno, Udine, Gorizia, Trieste, Pola, Fiume e Lubiana, che furono sottoposte direttamente ai Gauleiter tedeschi del Tirolo e della Carinzia, anche se non annesse formalmente al Terzo Reich. Venuta meno de facto negli ultimi giorni dell'aprile 1945, la RSI cessò di esistere con la Resa di Caserta del 2 maggio 1945.
La coincidenza della vita
Come l’ultimo girone, il girone del sangue, anche lo schermo della vita si tinse di rosso, e il cinema come un prisma di idee rimbalza e modifica la realtà
Lui che aveva guidato tante volte la morte, a suo comando, con le parole, con i suoni e le azioni, con la musica, ora viene travolto da un potere più grande di lui.
Tutto succede all’idroscalo di Ostia nel novembre del 1975. Pasolini per qualche motivo si reca all’idroscalo di Ostia con la sua auto. Presto si affiancherà una macchina a lui, da cui scendono quattro persone che lo percuotono, fino ad ammazzarlo. Intanto un’altra auto è giunta e poi i due veicoli fuggono per altre vie. Importantissima a riguardo la testimonianza del suo attore, amico, e co-sceneggiatore di Salò, Sergio Citti. Quattro giorni dopo il delitto, Citti munito di telecamera e sfruttando la testimonianza di un pescatore, riesce a dare un primo schema della spietata dinamica. Resta anche la confessione che Pasolini fa a Furio Colombo, sei ore prima della sua morte:" è soprattutto il complotto che ci fa delirare, perché ci libera del peso di doverci confrontare da soli con la verità. Che bello se mentre noi siamo qui a parlare qualcuno sta facendo i piani per farci fuori"(25)
Per molto tempo si pensò che il regista si fosse potuto togliere la vita da sé, ma resta improbabile questa ipotesi. Come dice il drammaturgo e critico Serafino Murri :" Ciò che è certo è che Pasolini pur mettendo in conto la sua morte, non avesse nessuna intenzione di fermarsi"(26). E sarebbe strano effettivamente che un regista non voglia vedere la sua opera montata fino alla fine, così come è successo.
Già erano note le minacce di morte che giungono al poeta, ed egli era circondato da un’ostilità silenziosa e infida. Si aggiunga a questo la dichiarazione dello stesso Pasolini su sé stesso dopo Salò: "Ecco un nuovo regista, pronto per un mondo moderno." Su che base allora possiamo dire che egli andasse incontro al suicidio?
Quando il 22 novembre 1975 il film viene proiettato a Parigi, il regista è già morto da quasi un mese. Molte persone hanno interpretato il gesto come un suicidio dimostrativo, di un uomo stanco di vivere, in cerca dell’autodistruzione, dell’ autoannullamento .
Altra pista investigativa vede al centro della tragedia il suo violento e crudo rapporto con il partito della Democrazia Cristiana. In polemiche sempre crescenti, Pasolini auspica una nuova Norimberga che giudichi i membri di questo partito. Non si scordi che il film che sarebbe venuto dopo Salò, sarebbe stato su San Paolo e si sarebbe chiamato: "Bestemmia".
"Ho sempre fatto film col sole, adesso farò un film tutto di pioggia [...] Evidentemente, questa mia violenza contro la Chiesa è profondamente religiosa, in quanto accuso san Paolo di aver fondato una Chiesa anziché una religione. Io non rivivo il mito di san Paolo, lo distruggo".(27)
Le accuse che egli porta toccano profondamente le fondamenta della chiesa cattolica, non si dimentichi che uno dei quattro Poteri è quello di Monsignore. Si accavalla sempre più l’idea che l’assassino possa essere il ladro minorenne Giuseppe Pelosi.
1 Marchese de Sade, "Le 120 giornate di Sodoma"
2 P.P. Pasolini," Il poeta della cenere"
3 S. Murri, "P .P. Pasolini"
4.5 S. Murri, "P. P. Pasolini" ed. Castoro--5. Ultima intervista a P.P. Pasolini
6. "Garbante" è il vecchio nome di Garbatella, quartiere romano degli anni ’20
7. "La battaglia di Pietralata" capitolo del romanzo "Una vita violenta " di P. Pasolini
8. Pietro Citati.
9-10 S. Murri "P. Pasolini" ed. Castoro-
11. aforisma di Plauto in "Asinaria" v.v 495, poi ripreso dal Hobbes nel " De Cive " 1;12
12. francesismo che sta per "antonomasia", riferito al concetto machiavellico di libertà-necessità
13. P. P. Pasolini, Capolavori italiani, L'Arca società editrice de "l'Unità"
14. U. Eco "6 passeggiate nei boschi narrativi"
15.S. Tommaso d ’Aquino, "Summae Theologiae"
16. Dall’"Abiura della Trilogia" di P. Pasolini
17. Da "Affibulazione" di Pasolini18. "P. Pasolini ", S. Murri
19. P. Pasolini da "Il Manifesto" del 10/2/1994, articolo di Gianni d’Elia
20. "Salò " P. Pasolini
21. "Prossimo Nostro" di G. Bertolucci
22. "Prossimo Nostro" di G. Bertolucci
23. Poesia di Baudelaire, "Le Cygne" v.v 26-27, parte 1.
24. Da "Se questo è un’ uomo" di Primo Levi, capitolo "Esame di Chimica".
25. Confessione di Pasolini a Furio Colombo
26. S. Murri, "P. Pasolini".
27. dichiarazione alla stampa di P. Pasolini
Fonte:
http://dreamingkusturica.blogspot.it/2012/01/tesi-di-laurea-in-dams-pasolini-e-salo.html
"Poiché il cinema non è solo esperienza linguistica ,ma, proprio in quanto ricerca linguistica, è un’esperienza filosofica."(3).
Così la morte del poeta resta uno dei tanti misteri del nostro bel paese, "angosciante quanto le parole con cui il poeta si è scagliato contro la vera morte , quella del silenzio, del taciuto"(4).
"Non vi illudete. E voi siete , con la scuola, con la tv, la pacatezza dei vostri giornali, voi siete i grandi conservatori di questo ordine orrendo, basato sull’idea di possedere e quella di distruggere. Beati voi che siete tutti contenti quando potete mettere un’etichetta su un delitto. A me questa sembra un’altra delle tante operazioni della cultura di massa. Non potendo impedire che accadano certe cose, si continua a costruire scaffali."(5)
Dunque parlare oggi di Pasolini può sembrare parodico secondo Murri, poiché la società consumistica e omologatrice, ha vinto sul suo corpo, ha fatto tacere lo scomodo pensiero, ma meglio comunque che lasciarlo affogare nell’oblio. La trama di Una vita violenta e di Accattone(esempi) è una parabola lucida, schietta, crudele, ci illumina sul concetto di necessità come antitesi "par excellence » della libertà ( concetto machiavellico), l’impossibilità di scegliere un’altra vita e di un istinto alla sopravvivenza che cade nel precipizio, disperato, della violenza. Ciò che ne vien fuori è un’ampia delucidazione sulla dialettica del mondo, partendo dal dato empirico della borgata in contrasto con il mondo borghese, risalendo verso l’alto, toccando società e costumi, lavoro e alienazione, e culminando nella morte, vera "deus ex machina" ,letto di salvezza e redenzione. Il racconto, inteso come ciò che straborda dall’intreccio narrativo, è la Roma degli anni ’50,una Roma sfiancata dalla guerra, che porta cicatrici indelebili nei suoi abitanti, è una Roma di baraccopoli e palazzacci, la Roma della "Garbante"(6), di Colle Aniene, o di Pietralata ambiente del memorabile capitolo "La battaglia di Pietralata"(7), condotta dalle donne della borgata, madri, anziane, ragazze, che proteggono i loro figli, mordendo le mani, lanciando pietre o tizzoni ardenti, o la rivolta nell’ospedale Pertini, che vede protagonisti i pazienti ricoverati . In entrambi affronta le vite di outsider(ai limiti della società), una vita in cui la violenza la disperazione possono affogare felicemente(e solamente)nella morte, non vi è altro destino, è l’ "eterna fame" il capitolo con cui brillantemente e commoventemente conclude il libro. In queste opere letterarie come nelle prime opere cinematografiche svolge oltre tutto un grande lavoro sul linguaggio romanesco (come Gadda in "Quer pasticciaccio brutto de via Merulana), dialetto costellato di vocaboli a sé stanti ,che lui studia, ascoltando e vivendo la città, ma anche grazie all’aiuto dell’amico e collaboratore Sergio Citti. Il suo lavoro linguistico porta a brillanti risultati come Mamma Roma, Ragazzi di Vita, Una vita violenta, Accattone. Così Pasolini raggiunge un’atroce evidenza, nel narrare ogni singolo passo, "della folta vegetazione umana"(8) .
I primi passi
Nel 1961 esce a Venezia la sua opera prima, presentata fuori concorso alla Mostra di cinema di Venezia. La sua attività letteraria è già allo stato avanzato, sono venti anni che scrive e pubblica: il suo primo libro è una raccolta di poesie in strettissimo dialetto Friulano "Poesie a Casarsa", poi "Stroligut di cà de l’aga". Nei primi anni nella capitale, sbarca il lunario scrivendo articoli per periodici vari e giornali, e facendo comparsate a Cinecittà.
Alterna la critica con l’insegnamento in una scuola media di Ciampino. Poi sarà Mario Soldati a volerlo come collaboratore della sceneggiatura di "La donna del fiume" (1954). Nel 1955 finalmente pubblica il primo di una triade di romanzi sulle borgate, con un romanesco scritto da uno che Romano non era, proprio come Gadda. In Ragazzi di Vita, P. tenta di portare alla luce la parte dimenticata dell’umanità, cancellata dalla guerra e dalla fame. Riceve nel 1956 l’opportunità di collaborare alla sceneggiatura di "Le notti di Cabiria", revisionando le parti in romanesco. Finalmente può vivere con la sola scrittura, si trasferisce a Monteverde Vecchio. Continuerà a pubblicare libri come Le ceneri di Gramsci L’usignolo della Chiesa Cattolica, poi Una vita violenta, etc. La maggior parte della critica Pasoliniana si basa sul rapporto della sua attività come scrittore e come cineasta. Vi è sicuramente una continuità, un nesso, nelle diverse pratiche di un pensiero che da politico si trasforma in umano, mira a comprendere l’anima, ma attraverso la lucidità della mente. E non è giusto pensare che l’attività da cinematografaro di Pasolini sia stata meno determinante nel formare il suo gusto, anche quello letterario. Non è neanche un virtuoso della tecnica, maniacale nella sua forma, anzi le sue inquadrature sono senza sintassi quasi, si ispirano ai quadri, soprattutto a Giotto e Masaccio.
La costruzione delle scene è più poetica che cinematografica, segue un’ispirazione improvvisata, che si lascia toccare e influenzare anche da ciò che vi è di esterno. Nonostante tutto Pasolini dichiara che più dei suoi studi letterari, ciò che lo ha aiutato nello scrivere furono i film di Ejzestejn, Dreyer , e Chaplin. Si nota nei suoi romanzi una scrittura molto visiva, quasi didascalica, da film, da un gusto visivo puramente cinematografico. Ciò che lo sospinse anche a scendere in campo con l’attività registica fu il volersi mettere a confronto con il medium di massa più potente dell’inizio del ‘900.
Le prime opere cinematografiche
Il 31 agosto del 1961, viene proiettato(dopo un montaggio precipitoso) fuori concorso al salone di Venezia, Accattone, ma riceve subito la censura per i minori. Numerose furono le proteste, da parte di gruppi neofascisti, e le accuse che i più gli apposero erano di "pornografia" e di simpatizzare per dei reietti, appartenenti al proletariato urbano di una giovanissima Repubblica. E in questa Italia dilaniata dalla guerra Pasolini come un chirurgo riapre una ferita nella "pseudo-coscienza borghese"(9). Riesce a descrivere la borgata con un romanticismo malinconico: ci appare come un luogo ancestrale, dove non regna più la razionalità della borghesia, ma una "feroce ingenuità"(10). Spiega Murri che la storia astorica della classe dominata è ferma alla rivolta individuale contro un potere soggiogante. Ma è una società dove regna la paura e la famosa legge dell’Homo homine lupus"(11). L’impotenza genera allora violenza, senso di frustrazione e più profondamente di disperazione. Quello che all’inizio portò Pasolini ad affrontare una sorta di epos della borgata, era una filosofia, altamente utopica, di stampo Marxista. Stilisticamente già in Accattone c’è tutto il cinema di Pasolini: un cinema in contrasto con quello di Fellini, senza alcuna ricerca tecnica, fotografia nitida e forti contrasti, una provocazione fatta di immagini, sperimentando ogni mezzo espressivo come fosse nuovo. Una analogia con la dialettica di Duchamp: riuscire a guardare la stessa realtà da un altro punto di vista, con una nuova focale, in modo da rilevare quanto di più intimo e drammatico ci sia dentro. La trama di Una vita violenta e di Accattone(esempi) è una parabola lucida, schietta, crudele, ci illumina sul concetto di necessità come antitesi "par excellence »(12) della libertà ,
( concetto machiavellico), l’impossibilità di scegliere un’altra vita e di un istinto alla sopravvivenza che cade nel precipizio, disperato, della violenza. In queste opere letterarie come nelle prime opere cinematografiche svolge oltre tutto un grande lavoro sul linguaggio romanesco (come Gadda in "Quer pasticciaccio brutto de via merulana), dialetto costellato di vocaboli a sé stanti ,che lui studia, ascoltando e vivendo la città, ma anche grazie all’aiuto dell’amico e collaboratore Sergio Citti. Il suo lavoro linguistico porta a brillanti risultati come Mamma Roma, Ragazzi di Vita, Una vita violenta, Accattone.
Mamma Roma
Il progetto di Mamma Roma viene steso prima di Accattone. Deriva da un fatto di cronaca, la morte in carcere del ragazzo Marcello Elisei. Tra le tante difficoltà Pasolini si trova dinanzi anche alla personalità difficile della Magnani, che tornava al cinema dopo due anni di pausa. Ci ritroviamo nella stessa diegesi della storia con la "s" minuscola, una storia scovata in basso nei quartieri dove non riscalda il sole. Qui trabocca la colpa inflitta dalla società a chi porta l’onere della propria povertà. Siamo agli albori di un genocidio che la società italiana condurrà su questa classe di sottoproletari, che cercheranno sempre di adattarsi alla piccolo media borghesia ma vi è un’incompatibilità di fondo. Ma anche fra Mamma Roma e i suoi simili c’è astio: un’ astio derivato dalla condizione di morti di fame , condizione dalla quale Mamma Roma vuole sollevare il figlio Ettore, affetto che la porta ad odiare i comunisti perché padroni di un regno miserrimo. Questo film fu denigrato dalla critica dai giornali, e un pestaggio aspettò gli spettatori dopo la prima al Quattro Fontane. Per risposta Pasolini si accinse a scrivere un’altra storia di questi outsider: la storia di Stracci, La Ricotta.
La Ricotta ideato come lungometraggio diviene un mediometraggio con la pressione del produttore Bini. Le riprese di cinque settimane circa, iniziarono dopo che Mamma Roma raggiunse il festival di Venezia. La trama è particolare e riporta i principali ideali Pasoliniani: Stracci(Mario Cipriani) ha una piccola parte nel film del regista marxista-ortodosso(Orson Welles). Il set è un pratone abbandonato a sé, nella gigantesca periferia romana di origine fascista. Quando la famiglia di stracci giunge al set, lui gli donerà il cestino con il suo pranzo, che consumeranno nel prato che ha il valore di una vera eucarestia.
E la sua morte sulla croce di una messa in scena, morto d’indigestione per la famosa ricotta trangugiata in una caverna, appare come il cammino di Cristo. Pasolini tesse il tutto di autoironico, lo cosparge di un senso grottesco, quasi macabro. Ciò che sorge da questa tragicommedia, è la profonda metamorfosi dell’intera società italiana e di ciascuna sua classe. Anche qui le critiche benpensanti si sprecano, ma Pasolini tiene a sottolineare che non intende esser blasfemo ma che anzi la Passione di cristo e le scritture del testamento sono i testi più sublimi mai scritti per lui. Quando Pasolini realizza la sua ricerca, tenderà a un senso più profondo della politica, ad una ricerca verso il sacro, verso l’etica. La massa di giornalisti e produttori che si avvia verso il buffet disposto sotto le tre croci, è l’immagine balenante di una superficialità religiosa che appartiene alla borghesia italiana, e che sarà di ispirazione viscerale per il suo prossimo film: "Il vangelo secondo Matteo". Nel 1963 Pasolini inizia la collaborazione con l’aiuto regia Carlo di Carlo, e con il produttore Ferranti, revisionando i cinegiornali sulla guerra, opera del produttore.
Inizia il progetto La Rabbia spinto dalle paure e le angosce dell’uomo verso la guerra. Non vuole girare nulla, ma semplicemente sostituire il commento nazionalistico e trionfalista, con la sua voce pacata e inquietante. Un'altra opera importante di Pasolini è Uccellini Uccellacci del 1963. Uccellini Uccellacci è la quarta opera di Pasolini, tessuta sempre di originalità e di una fede evangelica-francescana. Brillano nel cast Totò nella parte di Fra Ciccillo e Ninetto Davoli, padre e figlio, che passano di casa in casa a riscuotere il canone minacciando di sfratto la povera gente. È sicuramente tra le opere più intense di Pasolini, ispirata a un testo delle Ceneri di Gramsci. È una favola surreale, ma che non ha a che vedere con il surrealismo storico afferma Pasolini. E nei vari aneddoti Pasolini ripropone i problemi degli anni ’60: crisi del marxismo, destino del proletariato, il ruolo dell’intellettuale(figura che si creò a fine ‘800, perché prima l’intellettuale non aveva un ruolo preciso), e l’avvicinarsi ineluttabile del terzo mondo(si capisce dai cartelli Cuba 13000km, Istanbul 4300 km). Al tutto si unisce la storia del corvo parlante, allusione alla dottrina di san Francesco d’Assisi. Interessante è la critica dello stesso autore a riguardo:
"L'atroce amarezza dell'ideologia sottostante al film (la fine di un periodo della nostra storia, lo scadimento di un mandato) ha finito forse col prevalere. Mai ho scelto per tema di un film un soggetto così difficile: la crisi del marxismo della Resistenza e degli anni Cinquanta, poeticamente situata prima della morte di Togliatti, subita, vissuta, dall'interno, da un marxista, che non è tuttavia disposto a credere che il marxismo sia finito (il buon corvo dice: "Io non piango sulla fine delle mie idee, perché verrà di sicuro qualcun altro a prendere in mano la mia bandiera e portarla avanti! È su me stesso che piango..."). Ho scritto la sceneggiatura tenendo presente un corvo marxista, ma non del tutto ancora liberato dal corvo anarchico, indipendente, dolce e veritiero. A questo punto, il corvo è diventato autobiografico, una specie di metafora irregolare dell'autore. Totò e Ninetto rappresentano invece gli italiani innocenti che sono intorno a noi, che non sono coinvolti nella storia, che stanno acquisendo il primo grado di coscienza: questo quando incontrano il marxismo nelle sembianze del corvo. La presenza di Totò e Ninetto in questo film è il frutto di una scelta precisa motivata da un 'altrettanto precisa posizione nell'ambito del rapporto tra personaggio e attore. Ho sempre sostenuto che amo fare film con attori non professionisti, cioè con facce, personaggi, caratteri che sono nella realtà, che prendo e adopero nei miei film. Non scelgo mai un attore per la sua bravura di attore, cioè non lo scelgo mai perché finga di essere qualcos'altro da quello che egli è, ma lo scelgo proprio per quello che è: e quindi ho scelto Totò per quello che è. Volevo un personaggio estremamente umano, cioè che avesse quel fondo napoletano e bonario, e così immediatamente comprensibile, che ha Totò"(13) .
In Uccellini e Uccellacci Pasolini sottolinea il registro comico, come già aveva sperimentato in La Ricotta. Bisogna ricordare che Pasolini è il primo critico ed analista delle proprie opere: secondo Pasolini Uccellini ed Uccellacci segna un’inversione di rotta che si basa su una profonda crisi, non solo artistica, ma anche morale. A Pasolini sembra impossibile compiere un’opera nazional popolare, come era stata teorizzata da Gramsci. In questo modo l’intellettuale si misurava con il popolo facendo da intermediario tra il popolo e il partito. Ma succede che il popolo sta cambiando(parliamo degli albori degli anni ’60) fisionomia, il sottoproletariato è contaminato dall’idea dei consumi. Non è più possibile fare opere nazional popolari per Pasolini . Servono bensì opere che si sottraggano al consumo. Cambia così il suo lettore modello, che non è più la gente semplice affascinata da storie simile alle sue, sulla strada, il paradiso perduto della borgata, i palazzi bombardati, ma il "Lettore Modello"(14) diventa l’intellettuale, la fascia d’élite. " Quidquid Recipitur ad modum recipiendi recipitur" (15) Desidera opere che siano idealmente non soggette al consumo, violentemente estranee alla cultura di massa, resistenti a questa cultura che come una metastasi invade l’Italia del boom economico. In questi anni molti equilibri giungono agli estremi. C sono alcuni elementi simbolici di tale rottura: la morte di Togliatti, e i fatti di sangue dei primi anni sessanta: nel ’63 un cecchino rimasto per sempre ignoto trafiggerà il cranio di Kennedy, nel ’64 le prime bombe sul Vietnam del Nord, nel ’65 muore Papa Giovanni XXIII, muore un sognatore come Luther King, e poi Malcom x. Pasolini punta il suo occhio da regista su un panorama che si sta sconvolgendo, totalmente in crisi. Questo rivoluzionare forme d’arte e di società è tipico nell’arte italiana del dopo guerra. Uccellini rappresenta una frattura stilistica. In una poesia intitolata "ridicolo decennio" e in un libro chiamato "nuove questioni linguistiche" , denuncia l’omologazione linguistica a cui la nuova generazione va incontro . Uno strumento privilegiato di questa omologazione è la televisione con tutti i media: il medium uccide le culture dialettali , i dialetti delle borgate, del mondo sottostante Così crea un nuovo italiano, l’italiano parlato da tutti, la classe proletaria tende a conformarsi a quella borghese. Nell'estate del '75 scrive l' «Abiura della Trilogia»: "il sottoproletariato romano come i Pariolini: non c'è differenza: la stessa ottusa, massificata disumanità."(16). La realtà per Pasolini è un congegno sacrale, guarda le cose come se in loro il sacro fosse per esplodere, soggetti erotici e sacrali allo stesso tempo, fisicità sensuale e religiosa al contempo. Una realtà che è misteriosa, come lo è lo statuto dell’essere al mondo, misterioso e inspiegabile non può essere ricondotto al pensiero dello schema razionale. Nell’inafferrabilità della realtà c’è la sua grandezza per Pasolini. Nella realtà vede sempre una dualità: la prima è tra oralità e scrittura. Il cinema è la lingua scritta della realtà, la realtà è una lingua orale. Secondo Pasolini il valore significativo di un’immagine rimanda a quello che l’oggetto riproduce. Ex :albero. Significa che l’albero è un’ elemento significante della realtà, il senso è già scritto nella realtà. Non viene data costruendo il discorso o l’immagine di un lettore –interprete. L’albero del cinema assomiglia alla realtà. È un medium riproduttivo.
Tutti i semiologi parlano di analogia iconica. P. arriva alla conclusione :l’immagine significa perché la realtà significa. Il cinema riproduce e diviene la scrittura del linguaggio naturale delle cose. Scrittura: processo duplicazione fotografica. Questa tecnica di riproduzione del reale, viene connotata in maniera ambigua ed in due direzioni: da una parte la tecnica è una memoria riproduttiva senza riproduzione della realtà. La tecnica ha un’innocenza che non influisce sulla riproduzione. Pasolini ha un’acuta intuizione dei processi formali. È ingenuo pensare che ciò che il cinema riproduce è distaccato dallo sguardo. La tecnica è sempre ideologia. SI guarda in una maniera che non è neutrale. Il modo di guardare è sempre un’interpretazione, lo sguardo restituisce sempre un qualcosa attraverso un filtro, che è soggettivo. Con lo sguardo metto in azione la cultura, i pregiudizi, tutto ciò che siamo esistenzialmente e culturalmente. Lo sguardo è uno sguardo orientato. Pasolini non poteva credere che lo sguardo fosse neutro. Conosceva l’inesorabilità soggettiva dello sguardo. Il cinema rivela la realtà, perché riproducendola la possiamo guardare in modo diverso e scoprire dei nessi ed angolazioni che possono sfuggire altrimenti. Così anche per Zavattini e Pasolini la realtà si manifesta come un qualcosa da apprendere. In "Affabulazione" opera teatrale di Pasolini, entra in scena l ‘ombra di Sofocle che dice: "L’uomo si è accorto della realtà solo dopo che è entrata"(17) . Il cinema riconduce alla realtà ma in un modo nuovo e speciale, :come se la realtà fosse stata conosciuta solo attraverso questo riflesso, ne sottolinea l’espressività. Anche i formalisti russi sostengono che con la riproduzione abbiamo una visione straniata, allontanata, dalla percezione ordinaria dell’ambiente, e poniamo caso ad altre cose. Per esempio l’ Aereo ha una forza simbolica nel cinema, come in Uccellini Uccellacci ,gli aerei sono come i cartelli, la proiezione verso un’altrove irraggiungibile è come un’apparizione sacra, in un mondo religioso che il cinema ci aiuta a carpire più profondamente. Oralità e scrittura: realtà è solo oralità. Nel cine che è scrittura si rivela dell’altro. Se guardiamo all’attività pasoliniana dalle poesie su Casarsa fino adesso, la sua ricerca va nella direzione di fissare l’oralità. Prima quella dei parlanti Friulani(poesie scritte in lingua friulana). Pasolini tramite la mimesi dialettale si avvicina ad una lingua orale, non istituzionalizzata. Queste discese nell’ oralità vanno lungo il grado dell’essere come un tentativo di prendere, di calarsi in una realtà primigenia, anteriore alla lingua ufficializzata, anteriore alla storia e alla cultura. Un mondo arcaico regolato diversamente, dal mondo della società contemporanea. Tutto ciò che si declina con l’oralità tira in ballo la figura del ritorno ad uno stadio precedente, perduto, con la storia e la cultura. Una nostalgia verso un momento primordiale dell’esistenza, non ancora contaminato e deturpato dalla cultura e dalla storia. La dualità oralità e scrittura è simmetrica alla dualità natura e storia. Il mito che ha Pasolini della natura è uno spazio primigenio in cui si vive soltanto, il mito di una vita vissuta. È uno stadio della vita in cui c’è una conoscenza fisica del mondo che coincide con una conoscenza religiosa. È lo stadio in cui fra le parole e le cose ci sono legami magici. La lingua non è ancora un sistema astratto separato dalle cose. Il rovesciamento delle cose, tra attività e parola, che non è ancora scissa dalla fisicità, è una parola che è ancora legata al grido ancestrale della bestia. La lingua dell’uomo arriva come una lingua che cerca di tradurre, la lingua paradisiaca, arriva come traduzione inadeguata, di qualcosa che ha perduto. Il mito pasoliniano della natura assomiglia al mito di Narciso che si guarda allo specchio e contempla sé stesso, come se il mondo esterno non fosse che la proiezione della sua figura. C’è l’idea di un’entità divina che si rispecchia negli uomini, non c’è divisione tra soggetto e oggetto, c’è l’indistinzione tra divino ed umano. L’idea di Dio non spiega il mondo ma ne sottolinea il mistero ontologico. Pasolini dice: "Se la realtà parla, chi è che parla e con chi parla? parla con sé stessa, è un sistema di segni, con cui parla con sé stessa. Il concetto di divinità esprime il mistero del mondo ma non lo vuole spiegare"(18) . Pasolini inizia la lettura di Platone: sono suggestioni che entrano prepotentemente nella sua teoria e nella sua produzione teatrale. Come l’ombra di Sofocle in Affabulazione la sua teoria si infiltra nei testi teatrali. Dunque l’idea di natura che ha Pasolini è quella religiosa dell’esistenza primordiale, dove la vita è soltanto vissuta. In questo spazio il tempo non esiste, perché il tempo è quello dell’eterno ritorno, quello del circolo naturale della morte e resurrezione. Oltre la lettura di Platone e dei presocratici, fa letture antropologiche e di storici della religione. C’era un’idea circolare del ciclo della vita. La conoscenza era legata alla vita del corpo, non come nel pensiero razionalistico in cui mente e corpo sono scissi, ma la conoscenza è attraverso Il corpo. Parlare dell’uomo è come parlare di natura. Pasolini usa un’espressione: "inespresso esistente"(19)
E’ questo lo stato originario della natura e dell’ essere. La Natura è misteriosa e fisica, l’Unione di pragma ed enigma. Invece la Storia è separazione da fisicità pragmatica, è il tentativo di rivelare l’enigma, la storia è la scissione del soggetto dal mondo, da un universo panteistico primitivo. Nel mondo primitivo la conoscenza è legata al vivere soltanto. Nell’universo della storia abbiamo un concetto di spazio, e di tempo totalmente diverso, il tempo è consequenzialità, la storia è inseguita dal demone del progresso, sviluppo incessante, una catena che ci porta almeno idealmente verso un mondo migliore. Attraverso i sogni della storia e del progresso si rompe la distinzione magica tra storia e natura. Percepisce la storia come un grande vuoto, l’uomo avrà sempre un gran senso di perdita di paradisiaco. Questo senso di perdita dato dalla storia gli fa desiderare sempre più questo mito originario che nasce dal desiderio di riempire un’assenza incolmabile. Tutto il pensiero sull’omologazione deriva dalla perdita di questo mito. P. se ne accorgerà con Salò ,che anche questo mito che lui si costruì era un’illusione fatta per riempire questa sua mancanza originaria, di una fisicità non legata ai meccanismi degradanti della storia, e in particolare della società di massa. L’ultima dualità che incide il pensiero Pasoliniano è tra cinema e film. Contrappone il cinema ai film così come Saussure aveva contrapposto il codice al messaggio. Il cinema è un piano sequenza infinto che coincide con la soggettiva dello sguardo perenne sul mondo. In questo piano sequenza infinito l’unico tempo possibile è il presente, un presente eterno, come la vita mentre è vissuta. Il montaggio è l’interruzione, e allora tutto ciò che abbiamo visto si trasforma in un racconto che ha senso mentre prima era in costruzione il senso, quando uno muore le sue azioni vengono disposte in una catena significativa e si da un senso alla sua vita .Il film è l’interruzione ,è la coordinazione del piano sequenza. La vita arrivata alla fine, che, illumina tutti gli atti, ancor insignificanti che si sono vissuti. Il film si oppone al cinema come il passato al presente, come un senso chiuso ad uno aperto , come la morte alla vita. Scritto di Pasolini: "Il montaggio come morte del cinema". La realtà è un linguaggio che per esser descritto ha bisogno di una lingua. Per P la semiologia è la scienza della realtà : Tale linguaggio coincide con l’azione umana, i gesti dell’uomo. L’uomo si esprime soprattutto con l’azione perché modifica la realtà e incide nello spirito : La tv è pericolosa poiché offre dei modelli di azione. Ma questa sua azione manca di senso, unità, finché non è compiuta. È necessario morire perché finché siamo vivi non abbiamo senso. La morte compie un fulmineo montaggio della nostra vita , non più modificabili da altre azioni, facendo del nostro presente un passato chiaro stabile certo e linguisticamente ben descrivibile, solo grazie alla morte la nostra vita serve ad esprimerci. Anche in Edipo Re appare la dualità tra Natura e Storia. Sorge anche un’altra dimensione :la carnevalizzazione delle figure all’interno del paesaggio. I costumi di Edipo re sono visionari e astratti, non rispondono ad alcuna logica. Pasolini racconta che sono stati tratti da pitture babilonesi. C’è una volontà di travestimento, che raggiunge dei vertici barocchi, esagerati, in contrasto con la dimensione di nudità primordiale del paesaggio di Edipo re. Sono importanti le panoramiche sui paesaggi della città e dei deserti: le visioni panoramiche su Corinto e Tebe, assorbono il ruolo del coro nella tragedia greca, punteggiano il testo come una forma di commento ritmica, a cui Pasolini attribuisce un ruolo simbolico. Il continuo muoversi del film tra il silenzio e la musica da una parte, dall’altra la parola che è molto presente in alcune parti, e in altre molto ridotta. Pasolini tende a una comunicazione pre-logica, la parola invece rappresenta l’abito della razionalità. È uno scontro come fra l’elemento Dionisiaco e Apollineo. Il tratto Dionisiaco si situa tutto il mistero e dolore di questa esperienza originaria del mondo, che siglerà la fine di Edipo. C’è la stessa differenza fra enigma e mistero. L’enigma può essere risolto attraverso la ragione, il mistero rimane indecifrabile. La musica di Dioniso conduce Edipo fuori di sé, conduce nel suo profondo desiderio. Il flauto di Tiresia rappresenta il dolore del mondo. Il musicista dionisiaco è rappresentato da Tiresia. Un dolore che non ha compimenti. Pasolini è un figlio che non vuole diventare padre, e un padre che non vuole figli. Questa analisi si ritrova in Teorema: in ogni personaggio c’è una parte della sua personalità ed esperienza. Questo film è basato sui simboli della realtà, anche i nomi assumono subito un’evidenza simbolica, forte: Il padre Paolo e il figlio Piero(Pier Paolo Pasolini). Paolo il padre(anche come S. Paolo)ha una folgorazione sulla via di Damasco cambia il movimento della propria vita, si spoglia della ricchezza, come un S. Francesco, e alla fine varca i limiti tra il mondo prosaico della società e il luogo originario rappresentato dal deserto. La Cabala dei nomi: una ragazza si chiama Emilia(terra natale di Pasolini), Lucia rimanda a Manzoni, o a Lucia Bosè. Teorema è un’enunciazione che ha a che vedere con il pensiero logico matematico, la dimostrazione razionale e scientifica. C’è un lato dunque logico ma dentro il quale si annida una fitta rete di simboli. Pasolini sembra rifiutare il principio di contraddizione. Egli da al simbolo il potere di unire temporalità diverse, esterno e interno, conscio e inconscio, il simbolo ha sempre un ambivalenza, ha una natura ossimorica. Un film che si dispiega come una parabola. Teorema racconta il presente della società consumistica, un presente insopportabile, che l’ospite mette in crisi. Racconta ancora il mito del contadino non industrializzato, la crisi d’identità artistica e individuale di Pasolini. Una natura che viene rappresentata da un’immagine molto forte: quella del deserto. L’immagine del deserto arriva quando si inclina la percezione normalizzata del pensiero. Il deserto è come il prato di Edipo, il luogo di una dimensione originaria dell’essere.
Ogni volta che c’è un luogo biblico abbiamo delle panoramiche: da dx a sx e viceversa come a chiudere un ciclo.
In conclusione si può dire che le opere di Pasolini contengono un complesso percorso che lo porta a rigettare ogni fine di consumo per le sue opere, vuole che sia prescritto solo a chi può arrivarci con l’intelletto. Con Salò firmerà un’ulteriore passaggio. Non solo la storia e la società hanno contribuito alla scomparsa del paradiso della borgata e della primitività dell’essere con la natura, nella sua fisicità, ma il Potere della storia è riuscito a manipolare anche i corpi e le anime degli uomini .
La sua morte segna la fine di un uomo, ma l’inizio di una rigogliosissima ricerca filosofica e spirituale.
Ma in Salò ,questa forse è la prima differenza che viene in mente, la morte non porta nessuna salvezza. I sadici torturatori dovrebbero ammazzare mille volte le loro vittime per essere contenti(come essi dichiarano), poiché la loro ossessione non ha una scadenza e non cesserebbe con la morte (forse con quella del carnefice).
Signore:
"Imbecille, come potevi pensare che ti avremmo ucciso. Non lo sai che noi vorremmo ucciderti mille volte, fino ai limiti dell’eternità ,se l’eternità potesse avere limiti." (20).
È il meccanismo della società consumistica, che non può prevedere la morte del consumatore, ma vuole sfruttarlo, spremerne il midollo, fino a che consumerà. La morte sarebbe un lusso per queste vittime, in quanto spezzerebbe le infami catene della loro schiavitù.
Un’analogia scatta tra questa tematica e un’ emblema della modernità: l’universo concentrazionario. La villa sembra come un lager in cui la vita è organizzata e lasciata alla più spietata perversione. Ciò che accomuna queste vittime è oltre agli orrori, le uccisioni, le torture, è la perdita dell’intimità e della privacy, l’essere sorvegliati perennemente.
Quando P. gira il suo primo film, pensava che fosse solo una tecnica diversa, anzi una tecnica letteraria differente.
Poi piano piano si rende conto che è un differente linguaggio. Quindi P. abbandona la lingua italiana quella di lui scrittore, per una cinematografica. Ma la verità è forse un'altra :cioè la lingua esprime la realtà attraverso un sistema di segni, invece un regista esprime la realtà con la realtà.
Per questo ama di più il cinema della letteratura ,perché esprimendo la realtà con la realtà, operi ad un livello continuo di realtà. Le immagini per P,. si fondano su altro anche: su immagini dei sogni e dei ricordi. "Ogni volta che sogniamo o ricordiamo giriamo dei film nella nostra testa. Il cinema ha le sue fondamenta su un linguaggio irrazionale. Un’ immagine è infinitamente più onirica che una parola "(21) . In generale il suo lavoro è influenzato da attori non professionisti e scenografia non ricostruita. Ma Salò vuole montarlo in modo perfetto, non vuole che sia magmatico e caotico, ma che sia un "involucro perfetto per rinchiudere le atrocità di De Sade e del fascismo" (22) . Altra differenza è nella tematica del sesso: è come se Pasolini abiurasse dalla sua appena conclusa "trilogia della vita" e tracollasse in un precipizio di pessimismo Leopardiano, che descrive la società moderna come una cremagliera che violenta e distrugge le persone, annientandone l'umanità e riducendole a bestie. SI pensi alle opposte scenografie di Salò e del Decamerone (sempre firmati dall’illustre Dante Ferretti):nella prima trionfa il futurismo dei quadri e dell’arredamento, la freddezza della Villa nei suoi mille lussi, nel Decameron invece ricostruisce tratti di strade, stalle, case, che vivono della più intima semplicità, così come le storie che nascono all’interno. Prendiamo anche Accattone: se all’inizio era la strada, gli esterni veritieri di Roma, a dar luce alle sue storie, ora è l’interno lussuoso e arredato in stile futurista(da Dante Ferretti).
E sono anche mali di entità diversa quelli che vengono dalla strada e quelli nascosti in un palazzo. In Salò emerge il conflitto fra la natura, la campagna dove i ragazzi vengono rapiti, e la sfarzosa ma cupa architettura dell'interno della villa: è la mano dell’uomo che sconfigge la natura . I giovani sono obbligati dal potere a seguire un regolamento cui è impossibile sottrarsi, e che comunque non porta ad altro che alla morte.
PROGETTO INIZIALE E MODIFICHE
Il progetto iniziale appartiene a Sergio Citti ,ed è liberamente ispirato al romanzo di De Sade :"Le 120 giornate di Sodoma". Citti chiede a Pasolini di collaborare alla sceneggiatura. La principale innovazione alla struttura del testo, che viene da P., è di darle una struttura dantesca. Divide l’intero film in 4 capitoli(4 è un numero che ritorna maniacalmente in De Sade: i 4 signori che rappresentano i 4 Poteri, le 4 narratrici, le 4 mogli, i 4 prigionieri maschi e le 4 femmine, i 4 mesi all’interno della villa etc.):Antinferno-Girone delle manie-Girone della merda-Girone del sangue. Su una sceneggiatura firmata dallo stesso Citti e da Pupi Avati, Pasolini sviluppò i temi della violenza, delle sevizie, della perversione sessuale. Altra illuminazione pasoliniana è quella di trasferire l’azione del racconto a Salò, negli anni finali della guerra(’44 e ’45). È importante il dettaglio anagrafico di tale scelta: Pasolini pur nascendo a Bologna, ha origini Friulane, ed il fratello è morto combattendo una tra le più aspre battaglie partigiane: quella del Friuli appunto.
Ultimo film di Pasolini, fu presentato a Parigi tre settimane dopo la sua morte e subito sequestrato. Pasolini trasporta le vicende narrate nel romanzo del Marchese de Sade, Le 120 giornate di Sodoma, nell'età nazifascista ormai al tramonto, cioè nel biennio 1944-45. Ambientato come nell'opera letteraria, in una Villa, quindi circoscritti in un fazzoletto di terra nel quale poter fare tutto, i protagonisti della storia sono quattro Signori: un Duca, un Monsignore, un Presidente e Sua Eccellenza. Essi hanno il potere di vita e di morte su alcuni prigionieri e impiegheranno i loro giorni soddisfacendo i propri desideri con i corpi delle vittime. Analizzando la struttura del film molte sono le similitudini col romanzo, specie nella struttura a quattro: il numero ossessivamente ripetuto dal Marchese, è evidente nella divisione dantesca in macro sequenze: Antinf.,G. delle Manie, G. della Merda, G. del Sangue.
Quattro anche i protagonisti attivi: i 4 Signori, le 4 megere che raccontano le storie per i primi, i 4 repubblichini; e quelli passivi: i prigionieri, 4 gruppi di 4 maschi e 4 femmine, i 4 servi. La durata dell'azione: 120 giornate, ossia 4 mesi.
Nella prima parte, in stile neorealistico, girata quasi totalmente in esterni e con macchina a spalla, assistiamo ai rastrellamenti e ai matrimoni di sangue dei 4 Signori. Spostamento dei personaggi nella Villa. Lettura del regolamento. Ogni atto religioso sarà punito con la morte.
Nel girone delle mania cominciano i primi approcci con le vittime.
Le 4 megere hanno il compito di raccontare storielle raccapriccianti al punto da eccitare i Sovrani, una di loro si limita a suonare il piano ed accompagnare le altre. La scena viene consumata quasi interamente nella Sala delle Orge o nei bagni e nei dormitori dei ragazzi.
Lascia la camera a mano, la rende fissa per enfatizzare la rabbia. Rende l’ira più rigida , le scenografie di Dante Ferretti sono in pieno colore futurista alle pareti, nei discorsi dei Signori appaiono riferimenti a Baudelaire, Nietzsche, Proust e ad altri autori . E’ importante notare come i 4 signori siano persone estremamente colte.
Ed un verso famoso ma non citato di Baudelaire incornicerebbe il film benissimo:
"Verso il cielo ironico e crudelmente blu" (23)
Anche la Fenomenologia dello Spirito Hegeliana trova il suo posto in questo film. L’unica coscienza che trova la libertà grazie al coraggio della morte è il ragazzo che muore con il pugno alzato. Ha preferito perdere la vita che la libertà, e non vi è l’alternativa di un lavoro che potesse renderlo libero. "Arbeit macht Frei". La grande ironia del terzo Reich.
Una similitudine emerge alla lettura di Primo Levi "Se questo è un’ uomo". Nel capitolo "Esame di Chimica" tra Levi e il Dr Pannwitz corre uno sguardo che farà a ricordare per sempre a Levi questa persona "non già per vendetta, ma per la intima curiosità verso l’animo umano". Infatti scrive Levi "Se potessi descrivere quello sguardo che passò come attraverso il vetro di un’ acquario potrei spiegare la follia della Germani nazista… Quello sguardo diceva: la persona che ho davanti è sicuramente necessario eliminarla, ma prima bisogna prendere tutto ciò che è utilizzabile in lui.."(24)
E proprio questo sale alla mente vedendo Salò: prima di arrivare al girone di Sangue i 4 signori sfruttano e soddisfano ogni loro perversione.
Non c’è dubbio che la villa richiami l’universo concentrazionario, la grave perdita dell’intimità, della vita individuale, il tutto smarrito nell’organizzazione di questo pseudo lager(sia l’organizzazione che l’universo concentrazionario sono simboli per eccellenza della modernità).
Un’ultima osservazione sul concetto di legalità: dal momento che i 4 Signori realizzano le loro meschine azioni in un Villa, si trovano fuori di ogni legalità. È come se si regredisse al regno dell’"homo homini lupus"(Hobbes) , dove governa la legge del più forte.
Si potrebbe pensare ad un altro livello di legalità: la legalità dentro il nuovo stato fantoccio di Salò, con le sue nuove leggi, contrapposto allo stato di legalità dell’Italia occupata dagli alleati.
Come sempre il concetto di legalità si mostra labile ed effimero.
IL CONTESTO STORICO
Abbiamo detto che l’idea di trasferire l’azione del racconto, dal castello sfarzoso del libro alla Repubblica di Salò, fu un’idea pasoliniana.
Pochi giorni dopo l’armistizio, Mussolini viene liberato da paracadutisti tedeschi, dalla sua prigione sul Gran Sasso, dove fu condotto dopo il suo arresto.
Il film si apre volgendo l’attenzione sul cartello che segna il nuovo stato di Salò. Già la didascalia avverte lo spettatore sulla diegesi del film: siamo negli anni ’44-’45. Quando nel 1943 Mussolini viene convocato dal re per un ricevimento, viene arrestato e dopo vari esili nelle isole del mare nostrum, viene condotto alla prigione sul Gran Sasso, scortato da carabinieri e guardie di sicurezza. Sottomesso alla pressione del Führer, il quale minacciò di fare in Italia molto peggio di quanto fece in Polonia, se non avesse costituito uno stato sovrano di sé stesso nel nord Italia, dove veloce avanzava l’esercito alemanno.
Il Duce liberato dai paracadutisti tedeschi dopo il giorno dell’armistizio, formerà nella regione Friulana uno stato a sé stante. Il Terzo Reich eserciterà sul neo stato, una sorta di invadente protettorato de facto, dall'Impero giapponese e dalla maggioranza degli altri Stati componenti l'Asse Roma-Berlino-Tokyo: la Slovacchia, l'Ungheria, la Croazia, la Bulgaria. Fondamenti ideologico-giuridico-economici della Repubblica Sociale Italiana furono il fascismo, il socialismo nazionale, il repubblicanesimo, la socializzazione, la cogestione, il corporativismo e l'antisemitismo.
La Repubblica Sociale Italiana rivendicava la propria sovranità su tutto il territorio del Regno d'Italia, ma per gli sviluppi bellici poté esercitarla solo sulle province non soggette all'avanzata alleata o alle "zone d'operazioni" dichiarate unilateralmente dai tedeschi. Inizialmente dunque la sua attività amministrativa si estendeva nominalmente fino alle province settentrionali della Campania, ritirandosi progressivamente sempre più a nord, in concomitanza con l'avanzata degli eserciti angloamericani. A nord, inoltre, i tedeschi la estromisero dall'amministrazione delle province di Trento, Bolzano, Belluno, Udine, Gorizia, Trieste, Pola, Fiume e Lubiana, che furono sottoposte direttamente ai Gauleiter tedeschi del Tirolo e della Carinzia, anche se non annesse formalmente al Terzo Reich. Venuta meno de facto negli ultimi giorni dell'aprile 1945, la RSI cessò di esistere con la Resa di Caserta del 2 maggio 1945.
La coincidenza della vita
Come l’ultimo girone, il girone del sangue, anche lo schermo della vita si tinse di rosso, e il cinema come un prisma di idee rimbalza e modifica la realtà
Lui che aveva guidato tante volte la morte, a suo comando, con le parole, con i suoni e le azioni, con la musica, ora viene travolto da un potere più grande di lui.
Tutto succede all’idroscalo di Ostia nel novembre del 1975. Pasolini per qualche motivo si reca all’idroscalo di Ostia con la sua auto. Presto si affiancherà una macchina a lui, da cui scendono quattro persone che lo percuotono, fino ad ammazzarlo. Intanto un’altra auto è giunta e poi i due veicoli fuggono per altre vie. Importantissima a riguardo la testimonianza del suo attore, amico, e co-sceneggiatore di Salò, Sergio Citti. Quattro giorni dopo il delitto, Citti munito di telecamera e sfruttando la testimonianza di un pescatore, riesce a dare un primo schema della spietata dinamica. Resta anche la confessione che Pasolini fa a Furio Colombo, sei ore prima della sua morte:" è soprattutto il complotto che ci fa delirare, perché ci libera del peso di doverci confrontare da soli con la verità. Che bello se mentre noi siamo qui a parlare qualcuno sta facendo i piani per farci fuori"(25)
Per molto tempo si pensò che il regista si fosse potuto togliere la vita da sé, ma resta improbabile questa ipotesi. Come dice il drammaturgo e critico Serafino Murri :" Ciò che è certo è che Pasolini pur mettendo in conto la sua morte, non avesse nessuna intenzione di fermarsi"(26). E sarebbe strano effettivamente che un regista non voglia vedere la sua opera montata fino alla fine, così come è successo.
Già erano note le minacce di morte che giungono al poeta, ed egli era circondato da un’ostilità silenziosa e infida. Si aggiunga a questo la dichiarazione dello stesso Pasolini su sé stesso dopo Salò: "Ecco un nuovo regista, pronto per un mondo moderno." Su che base allora possiamo dire che egli andasse incontro al suicidio?
Quando il 22 novembre 1975 il film viene proiettato a Parigi, il regista è già morto da quasi un mese. Molte persone hanno interpretato il gesto come un suicidio dimostrativo, di un uomo stanco di vivere, in cerca dell’autodistruzione, dell’ autoannullamento .
Altra pista investigativa vede al centro della tragedia il suo violento e crudo rapporto con il partito della Democrazia Cristiana. In polemiche sempre crescenti, Pasolini auspica una nuova Norimberga che giudichi i membri di questo partito. Non si scordi che il film che sarebbe venuto dopo Salò, sarebbe stato su San Paolo e si sarebbe chiamato: "Bestemmia".
"Ho sempre fatto film col sole, adesso farò un film tutto di pioggia [...] Evidentemente, questa mia violenza contro la Chiesa è profondamente religiosa, in quanto accuso san Paolo di aver fondato una Chiesa anziché una religione. Io non rivivo il mito di san Paolo, lo distruggo".(27)
Le accuse che egli porta toccano profondamente le fondamenta della chiesa cattolica, non si dimentichi che uno dei quattro Poteri è quello di Monsignore. Si accavalla sempre più l’idea che l’assassino possa essere il ladro minorenne Giuseppe Pelosi.
1 Marchese de Sade, "Le 120 giornate di Sodoma"
2 P.P. Pasolini," Il poeta della cenere"
3 S. Murri, "P .P. Pasolini"
4.5 S. Murri, "P. P. Pasolini" ed. Castoro--5. Ultima intervista a P.P. Pasolini
6. "Garbante" è il vecchio nome di Garbatella, quartiere romano degli anni ’20
7. "La battaglia di Pietralata" capitolo del romanzo "Una vita violenta " di P. Pasolini
8. Pietro Citati.
9-10 S. Murri "P. Pasolini" ed. Castoro-
11. aforisma di Plauto in "Asinaria" v.v 495, poi ripreso dal Hobbes nel " De Cive " 1;12
12. francesismo che sta per "antonomasia", riferito al concetto machiavellico di libertà-necessità
13. P. P. Pasolini, Capolavori italiani, L'Arca società editrice de "l'Unità"
14. U. Eco "6 passeggiate nei boschi narrativi"
15.S. Tommaso d ’Aquino, "Summae Theologiae"
16. Dall’"Abiura della Trilogia" di P. Pasolini
17. Da "Affibulazione" di Pasolini18. "P. Pasolini ", S. Murri
19. P. Pasolini da "Il Manifesto" del 10/2/1994, articolo di Gianni d’Elia
20. "Salò " P. Pasolini
21. "Prossimo Nostro" di G. Bertolucci
22. "Prossimo Nostro" di G. Bertolucci
23. Poesia di Baudelaire, "Le Cygne" v.v 26-27, parte 1.
24. Da "Se questo è un’ uomo" di Primo Levi, capitolo "Esame di Chimica".
25. Confessione di Pasolini a Furio Colombo
26. S. Murri, "P. Pasolini".
27. dichiarazione alla stampa di P. Pasolini
Fonte:
http://dreamingkusturica.blogspot.it/2012/01/tesi-di-laurea-in-dams-pasolini-e-salo.html
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Curatore, Bruno Esposito
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