"Le pagine corsare "
dedicate a Pier Paolo Pasolini
Eretico e Corsaro
Totò - L'incontro con Pasolini.
L’incontro con Pier Paolo Pasolini è tra i più
inattesi e sorprendenti dell’intera biografia artistica del grande attore, oltre
che uno dei più produttivi sul piano creativo. Quando Pasolini va a casa di Totò per
incontrarlo, con un’umiltà che pochi altri avevano avuto prima di lui, è già uno
scrittore famoso attorno al quale c’è aria di scandalo. Se ne era andato da
Casarsa, dove faceva l’insegnante, quando alla vigilia delle elezioni del ‘48 un
ragazzo aveva confessato al parroco di aver avuto rapporti con lui. Venuto a
Roma con la madre, aveva fatto la fame prima di cominciare a lavorare a qualche
sceneggiatura. Il suo primo grande successo letterario l’aveva ottenuto a metà
anni Cinquanta con Ragazzi di vita e Una vita violenta, il dittico delle borgate
che aveva raccontato la realtà “diversa” del sottoproletariato romano. Poeta
incoronato al Premio Viareggio, dopo Le ceneri di Gramsci e La religione del mio
tempo aveva pubblicato Poesia in forma di rosa, di cui Totò conosceva a memoria
Supplica a una madre che l’aveva molto colpito. Il passaggio al cinema aveva
rivelato un autore di grandi qualità con film notissimi come Accattone, Mamma
Roma, La ricotta, Il Vangelo secondo Matteo. Sul settimanale «Vie Nuove» — dove
tiene una rubrica di corrispondenza con i lettori in cui, dialogando soprattutto
con i giovani, interviene nel dibattito politico e culturale contemporaneo — ha
appena pubblicato il soggetto del film che comincerà a girare nell’ottobre e che
s’intitolerà Uccellacci e uccellini. Il primo
impatto tra il principe e lo scrittore non è esaltante. Pasolini è scortato da
Ninetto Davoli, che nel film sarà il
figlio di Totò. Ninetto, riccioluto come una pecorella, non fa ancora l’attore,
indossa un vecchio paio di jeans sporchi e stinti. Gli sembra un sogno essere lì
con Totò, di cui aveva visto tutti i film, stare vicino a un mito. Non appena lo
vede sbotta a ridere, nonostante le gomitate di Pier Paolo, che gli dice: «Oh,
sta’ bono, carmate».
Si mettono in
poltrona per prendere il caffè in attesa che si avvii una discussione che stenta
a decollare. Lo scontro tra timidi consente appena di parlare, tra le lunghe
pause di imbarazzato silenzio, del progetto del film che dovrebbero cominciare
di lì a poco. Quando si congedano, il principe non può trattenere un respiro di
sollievo e spruzza dell’insetticida sul posto occupato da Ninetto. I jeans zozzi gli fanno senso, non
li sopporta proprio. In realtà non condivide neppure la stessa moda dei jeans
che considera un caso di esterofilia. Ma che almeno siano puliti, di bucato. E
non può non ricordare che nei tempi eroici degli inizi aveva solo due camicie,
non poteva permettersi di più, ma andavano e venivano dalla lavanderia di
continuo, come treni su un binario. Sul set le cose andarono molto meglio,
soprattutto tra Totò e Ninetto che stavano sempre assieme e si erano molto
immedesimati nei ruoli di padre e figlio. Il principe aveva preso in simpatia
quel ragazzone allegro che aveva sempre fame e non si sentiva per niente
intimidito di fronte a lui. Lo aiutava nel lavoro, porgendogli la battuta,
mettendosi d’accordo su come risolvere un’azione, mettendolo a parte dei suoi
ricordi e dei suoi umori nelle lunghe pause tra una ripresa e l’altra in cui
qualche volta si metteva a cantare o recitava A
livella. La disinvoltura di Ninetto favorì anche i rapporti tra Totò e
Pier Paolo, che continuavano a darsi del lei e a trattarsi con reciproca
deferenza, imprigionati nella loro timidezza. Ma la diffidenza del primo
incontro è ormai superata. Il principe ha la massima fiducia nel regista, nella
sua preparazione e nella sua cultura, gli si affida completamente da quando ha
capito che sta facendo qualcosa di nuovo, qualcosa che nessuno aveva fatto prima
con lui. Quando una sera, rincasando stanco e infreddolito dopo una giornata di
lavoro, Totò dice che Pierpa’ gli ha fatto ripetere una scena soltanto due
volte, si capisce che il sodalizio cinematografico si è trasformato in amicizia.
Il film viene girato tra ottobre e dicembre nella campagna vicino a Roma, a
Cecafumo, nella borgata di Torre Angela, all’Acqua Santa, all’Alberone, al
Tiburtino, alla Pontina, alla Fiumara di Fiumicino. Il principe non si tira
indietro e affronta le scene più faticose, cammina nel fango, affonda nella
melma i pesanti zoccoli di legno coperto soltanto da un saio di sacco che lascia
passare il freddo e il vento da ogni parte.
L’episodio
francescano dell’evangelizzazione degli uccelli viene girato nella campagna
vicino a Tuscania, tra i boschi, ed è particolarmente faticoso. Ci vogliono
ventisette ore di riprese per fare le tre inquadrature di Totò con gli uccelli
sugli alberi, sempre con il saio di sacco e i tremendi zoccoli di legno ai
piedi. L’unico problema fu il corvo ammaestrato che durante tutta la lavorazione
ce l’aveva con gli occhi di Totò e cercava di beccarlo proprio lì. Naturalmente,
Totò se ne preoccupava moltissimo perché da anni il suo problema erano proprio
gli occhi. Fu necessario mettere del nastro isolante nero sul becco
dell’uccello, in modo che, così impastoiato, non tentasse più di beccare
nessuno. Naturalmente quand’era lontano o stava a terra il nastro gli veniva
tolto, ma Totò, che ci vedeva così poco, non se ne accorgeva e con un po’ di
apprensione continuava a chiedere: «Quella bestia, che fa quella bestia?». Il
corvo è destinato a fare una brutta fine anche nella storia del film, che
comincia con Totò e Ninetto, padre e figlio, che si aggirano per le borgate. Il
loro viaggio non ha un vero e proprio inizio né una vera e propria fine.
Camminano, parlano tra loro della vita e della morte, si imbattono in una coppia
di suicidi e in una ragazza-angelo, senza meravigliarsi di nulla da quegli
innocenti che sono. Né li sorprende l’arrivo di un corvo parlante che dice di
venire dal paese di Ideologia e di essere figlio del Dubbio e della Coscienza.
Il corvo racconta ai due un apologo del Milleduecento, in cui Totò è frate
Cicillo e, insieme a frate Ninetto, predica agli uccelli. Solo dopo una lunga,
snervante attesa riesce a trovare il modo di parlare ai falchi e a trasmettere
loro il messaggio evangelico. Altrettanto lunga e faticosa è l’attesa per
evangelizzare i passeri, con cui riesce finalmente a comunicare grazie a una
serie di saltelli.
Nonostante la predicazione, alla
prima occasione i falchi si buttano sui passeri e li sbranano. Allo sconcerto di
fra’ Cicillo e di fra’ Ninetto, San Francesco risponde che il mondd bisogna
cambiarlo e li invita a ricominciare tutto daccapo. Totò e Ninetto, ridiventati
sottoproletari di oggi, si comportano da falchi sfrattando una povera contadina
e da passeri quando si prostrano, in veste di debitori insolventi, davanti a un
signore che aizza loro contro i cani, mentre nel salotto i suoi ospiti sfoggiano
le raffinatezze culturali degli intellettuali. Totò e Ninetto incrociano per
qualche momento i funerali di Togliatti e poi proseguono come prima senza sapere
dove stanno andando. Padre e figlio non respingono una prostituta di nome Luna
che trovano sul loro cammino. Ammazzano infine il corvo saccente e se lo
mangiano prima di continuare il viaggio. Uccellacci e uccellini deve molto della
sua straordinaria forza poetica e della sua duratura efficacia alla reinvenzione
del personaggio Totò, scelto da Pasolini come espressione tipica del
sottoproletariato napoletano, risultato di secoli di miseria e di fame, ma
insieme anche puro e semplice clown, il burattino snodabile e disarticolato,
l’uomo dei lazzi imprevedibili e degli sberleffi esilaranti. Pasolini non impone
un “suo” personaggio all’attore, ma lo sceglie proprio per quello che è, per il
suo volto più profondo e segreto, per la realtà che rappresenta come uomo e come
attore. Scompaiono la cattiveria, l’aggressività, il gusto persecutorio di
prendere in giro, la stessa volgarità (che sono stati per tanto tempo i tratti
più superficiali e riconoscibili del personaggio) per ritrovare al fondo di Totò
una inesauribile riserva di dolcezza, di innocenza, di distacco dalle cose, di
saggezza.
Il Totò di
Pasolini è tenero e indifeso, dolcissimo e innocente. Se prende in giro qualcuno
lo fa in modo garbato e mai volgare, senza aggressività. Anche i rapporti tra
Totò e Ninetto sono privi di ogni conflitto generazionale, di ogni forma di
rivalità. Pasolini li vede come campioni di umanità, vecchi e nuovi al tempo
stesso, due personaggi che rappresentano la massa innocente degli italiani
estranei alle trasformazioni della storia. Nonostante un ultimo tentativo di
reinserirlo nel montaggio del film, alla fine viene eliminato il breve episodio
del domatore e dell’aquila che Pasolini aveva girato con Totò, nei panni di
Monsieur Courneau, Ninetto e gli animali del circo — che vengono curiosamente
chiamati la Signora Aquila, Monsieur lo Scimpanzé del Ruanda, il Leone
d’Algeria, il Cammello del Ghana, la Signora Iena del Sahara — perché
considerato estraneo alla struttura favolistica che il film aveva
progressivamente preso. Ma il frammento inedito di circa otto minuti —
intervallato da alcuni “pensieri” di Pascal — è stato conservato dal Fondo
Pasolini e costituisce una ulteriore occasione per vedere Totò alle prese con
l’inedito personaggio del domatore che sfoggia una bellissima divisa con alamari
e mostrine. Il film esce nel maggio 1966 e suscita sin dall’inizio discussioni e
polemiche, anche se è quasi unanime il riconoscimento dei grandi risultati
raggiunti da Totò. Quando nello stesso mese il film viene presentato al Festival
di Cannes, le discussioni riprendono sulla Croisette ma il film ottiene una
menzione speciale proprio per l’interpretazione di Totò.
Nel novembre dello stesso anno Pasolini, che sta già lavorando al suo
prossimo film ispirato all’Edipo re, gira con Totò il cortometraggio La Terra vista dalla Luna, mentre tra marzo e
aprile dell’anno successivo, appena tornato dal viaggio in Marocco dove era
stato per i sopralluoghi del film, rincontra il principe per un secondo
cortometraggio intitolato Che cosa sono le
nuvole? Il primo corto — che sembra riprendere il clima surreale e
fiabesco di Uccellacci e uccellini per
raccontare il viaggio di Totò e Ninetto alla ricerca di una moglie — è girato
come una comica del cinema muto affidandosi alla forza dell’immagine. Il regista
non ha scritto una vera e propria sceneggiatura ma ha disegnato piuttosto un
curioso storyboard fatto di vignette che sembrano fumetti, nei quali campeggia
il profilo allungato e il mento appuntito di Totò.
Il secondo cortometraggio prosegue sulla stessa linea comica e picaresca fino a diventare, sia pure nelle forme della favola, una poetica riflessione sul senso dell’esistenza, sul rapporto tra apparenza e realtà, tra l’azione e il pensiero, tra la vita e la morte. Sul rozzo palcoscenico di un teatrino di periferia un misterioso burattinaio fa muovere le marionette tra cui ci sono Jago e Otello, Desdemona, Cassio e tanti altri. Jago e Otello, e cioè Totò e Ninetto, sono scontenti dei loro ruoli perché, buoni e gentili, si vedono costretti ad essere malvagi e brutali. Fatti a pezzi dal pubblico contrariato, faranno l’ultimo viaggio nel camion della spazzatura che li porta in una discarica, in cui restano con gli occhi aperti a fissare il cielo e le nuvole.
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Il secondo cortometraggio prosegue sulla stessa linea comica e picaresca fino a diventare, sia pure nelle forme della favola, una poetica riflessione sul senso dell’esistenza, sul rapporto tra apparenza e realtà, tra l’azione e il pensiero, tra la vita e la morte. Sul rozzo palcoscenico di un teatrino di periferia un misterioso burattinaio fa muovere le marionette tra cui ci sono Jago e Otello, Desdemona, Cassio e tanti altri. Jago e Otello, e cioè Totò e Ninetto, sono scontenti dei loro ruoli perché, buoni e gentili, si vedono costretti ad essere malvagi e brutali. Fatti a pezzi dal pubblico contrariato, faranno l’ultimo viaggio nel camion della spazzatura che li porta in una discarica, in cui restano con gli occhi aperti a fissare il cielo e le nuvole.
"Il
principe Totò" Orio Caldiron (Gremese editore)
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