"Le pagine corsare "
dedicate a Pier Paolo Pasolini
Eretico e Corsaro
EROS E CULTURA
Massimo Fini intervista Pier Paolo Pasolini
«L’Europeo»
settembre 1974
Tratto da:
Massimo Fini
Il giornalismo fatto in pezzi
Marsilio
La gente corre e fa la fila per vedere il suo Fiore delle Mille e una notte. Molti critici però le rimproverano di aver abbandonato dal Decamerone in poi, passando per Canterbury, l’impegno ideologico, politico e drammatico dei suoi primi film.
Ma questo non è vero. Assolutamente. Al contrario io ritengo che i miei ultimi tre film, Fiore compreso, siano i film più ideologici che io ho mai fatto. […] L’ideologia nelle Mille e una notte è profondamente nascosta, la si ricava non da quello che si dice esplicitamente, ma dalla rappresentazione. Io faccio vedere un mondo, quello feudale, dove vive un eros particolarmente profondo, violento e felice, dove non c’è un uomo, anche il più misero degli accattoni, che non abbia profondo il senso della propria dignità. Io evoco questo mondo e dico: ecco, fate un confronto, io ve lo presento, ve lo dico, ve lo ricordo.
Ma non si tratta in fondo che di una fuga, una fuga nel passato di un ritorno nostalgico al mito del “buon selvaggio” sia pur di tipo medievale?
Tanto per cominciare è stata la borghesia cinica e corrotta a rifiutare sdegnosamente il mito del “buon selvaggio”. Ma il “buon selvaggio” esiste, aveva ragione Rousseau, e l’ho visto io con i miei occhi proprio allo stato puro: i Dinka, un popolo che viveva alle sorgenti del Nilo, nel fondo del Sudan. Ed erano tutti nudi, nudi con un filo di perle intorno al collo; e non conoscevano niente, non sapevano cosa fosse la moneta e vivevano di baratto ed erano felici, erano felici, felici. Ecco, se penso all’immagine della felicità umana io penso ai Dinka. Distrutti. Un genocidio che nessuno naturalmente ha preso in considerazione.
In quanto alle Mille e una notte, io sono d’accordo che si tratti di un recupero, di un’evocazione ma nego recisamente che sia una fuga. Le fughe, quelle vere, si fanno negli alibi della coscienza o nelle false testimonianze del presente, […] oppure nel futuro, che di tutte le fughe è la peggiore e la più falsa. Io faccio una cosa diversa, estraggo dal passato una forma di vita che contrappongo polemicamente a quella presente. Se ho nostalgia del passato si tratta di un passato talmente recente che è molto dubbio che sia veramente un “passato”, io rimpiango infatti quel mondo contadino preindustriale e quel mondo sottoproletario sopravvissuto in Italia fino a pochissimi anni fa. Io penso che in quel mondo i sentimenti umani si realizzassero molto meglio e molto più compiutamente di oggi, almeno fra il popolo. Oggi invece i ragazzi del popolo sono tristi, sono cupi, non sono felici. Perché? Perché hanno preso coscienza della propria inferiorità sociale, perché i loro modelli culturali sono stati distrutti e sono stati sostituiti da altri, quelli del consumismo imposto dal Potere, ai quali non riescono a corrispondere. In fondo ci sono dei profondi legami tra il contadino e il sottoproletario italiano di qualche anno fa e gli eroi delle Mille e una notte, in entrambi c’è infatti un “equilibro”, il che significa più semplicemente un rapporto esatto, soddisfacente fra se stessi e il modello che si vuole realizzare. È questo che dava loro una certa leggerezza, una certa relazione felice con il mondo che li circondava.
Lei, Pasolini, ha detto, anche di recente, che è un fatto politicamente importante far vedere in un film il corpo umano nudo, mostrare dei sessi nudi, dei corpi umani nudi. Non le pare che il “tabù” del sesso sia una porta ormai sfondata da anni (e anche lei ha contribuito a questo fin dai suoi primissimi film) e che il sesso oggi faccia solo il gioco proprio di quel consumismo che lei combatte con tanto ardore?
Certo, io l’ho detto ma ho detto anche il contrario. Ho detto cioè che abiuro quei miei stessi film quando essi vengono assimilati come prodotti di consumo, quando servono al Potere per quella tolleranza e permissività sessuale che non ha niente a che vedere con la vera libertà, sessuale e non, perché non è presa, conquistata ma concessa dall’alto per motivi ben precisi. Il Potere cioè ha deciso di essere permissivo perché soltanto una società permissiva può essere una società di consumi. Questo lo so benissimo. Ma cosa posso fare? […]
Ma non le fa nascere qualche dubbio proprio l’enorme successo che il suo film, il Fiore delle Mille e una notte, sta ottenendo?
[…] Lo capisco e non mi scandalizzo affatto che il pubblico vada a vedere certe scene erotiche che non sono per niente mai volgari, che non hanno niente di quella immonda tecnica della pornografia che, intendiamoci, io non condanno, perché ognuno è libero di fare ciò che più gli aggrada, ma con la quale non ho nulla da spartire.
Ma, alla fine, che cos’è per lei l’erotismo? Le faccio questa domanda perché quelle che lei chiama scene erotiche del Fiore delle mille e una notte per me invece, ad esempio, non lo sono. Sono poetiche, sono commoventi, a volte, ma non sono erotiche, non sono eccitanti.
È una domanda a cui è difficile rispondere. Posso dirle, un po’ tautologicamente, che per me l’erotismo è la bellezza dei ragazzi del Terzo Mondo, è il rapporto sessuale di quel tipo, violento, esaltante e felice, che sopravvive ancora nel Terzo Mondo e che ho rappresentato quasi compiutamente nel Fiore. […] Ma cosa sia l’erotismo in generale io non lo saprei dire. […]
Lei, Pasolini, ha un disprezzo assoluto, feroce per la borghesia. Ma non soffrono forse anche i borghesi? Non esiste anche una sofferenza borghese oltre che una sofferenza proletaria, e contadina? Non sono anche i borghesi vittime del crollo e della sostituzione di quei modelli culturali di cui lei parlava prima?
No. I borghesi non hanno fatto altro che aggiornare i loro modelli culturali, cosa che del resto è loro riuscita facile e per nulla dolorosa. No, non ho nessuna pena per i borghesi. La borghesia, lo diceva Marx chiaro e tondo nel Manifesto del ’48, tende ad assimilare tutto a se stessa.
È dunque invincibile la borghesia?
Sì, è invincibile. Si è dimostrata invincibile. Perché anche nei mondi in cui è avvenuta la rivoluzione comunista poi piano piano non si sa come la borghesia è tornata a galla.
Infine mi permetta una domanda molesta ma inevitabile. Lei non ama questa società borghese, la disprezza con tutta l’anima, in essa si sente soffocare, e io credo alla sincerità di questo disprezzo e di questo malessere. Però lei è quello che è oggi, un regista affermato, un uomo ricco, un privilegiato, uno dei pochissimi che può fare le cose che vuole, i film che vuole e come vuole, proprio perché esiste questa società. Lei in fondo in questa società ci sta bene o, perlomeno, il suo malessere è molto ben ripagato, non le pare?
Io mi trovo malissimo. Malissimo. Lei mi parla di due cose che sono incommensurabili. Se lei mi dicesse «scegli un po’», io preferirei essere un regista che non può fare i suoi film, molto più povero di quello che sono, fare l’insegnante, ma che il mondo che ho intorno a me fosse quello che ho amato, che amavo, che desidero, che amo ancora. Non ho il minimo dubbio su questo. Preferirei essere uno dei poveri delle Mille e una notte piuttosto che il Pasolini di oggi.
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