"Le pagine corsare "
dedicate a Pier Paolo Pasolini
Eretico e Corsaro
Corriere della Sera, 4 novembre 1975 |
Ultima lettera a Pier Paolo Pasolini
di Italo Calvino
Corriere della Sera, 4 novembre 1975
Non farò più in tempo a rispondere a quella lettera. Sul “Mondo” del 30 ottobre, Pasolini mi indirizzava una lettera aperta sulla violenza nel mondo d’oggi, che resterà uno dei suoi ultimi scritti. Polemizzava col mio articolo del “Corriere” sul delitto del Circeo, perché io descrivevo un processo di degradazione della società senza darne spiegazioni e soprattutto senza parlare della spiegazione che da tempo ne dava lui: il «consumismo» che distrugge tutti i valori precedenti e al loro posto instaura un mondo senza principi e spietato.
Durante la settimana scorsa, a chi mi chiedeva cosa aspettavo a rispondere, mi venne da dire una battuta cinica: «Aspetto il prossimo delitto». Non si deve mai essere cinici, nemmeno per scherzo. Appena la pronunciai mi resi conto che poteva essere una di quelle battute che non ci si ricorderà volentieri d’aver detto. Ma non mi fermai su questo pensiero. Il mondo in cui avvengono i delitti sembra cosi lontano, rassicurantemente lontano, a chi si trova a scrivere dei delitti nella tranquillità del proprio studio. Ed ecco, sono passati pochi giorni. Non ha tardato a succedere, il delitto su cui il giornale mi chiede un nuovo articolo. Ma a Pasolini non posso più rispondere, la vittima è lui.
«Parlare di una parte della borghesia come colpevole è un discorso antico e meccanico — scriveva Pasolini in quella lettera aperta –. Se a fare le stesse cose fossero stati dei poveri delle borgate romane oppure dei poveri immigrati a Milano o a Torino, non se ne sarebbe parlato tanto e a quel modo… Perché i poveri delle borgate o i poveri immigrati sono considerati tutti delinquenti a priori. Ebbene, i poveri delle borgate romane e i poveri immigrati, cioè i giovani del popolo, possono fare e fanno effettivamente (come dicono con spaventosa chiarezza le cronache) le stesse cose che hanno fatto i giovani dei Parioli, e con lo stesso identico spirito… Cosa dedurre da tutto questo? Che c’è una fonte di corruzione ben più lontana e totale. Ed eccomi alla ripetizione della litania…».
La drammaticità di questo suo appello, come di tanti suoi scritti analoghi degli ultimi tempi, non può non colpirci oggi, come se avesse voluto avvertirci di un pericolo che sentiva incombere e a cui egli pure correva continuamente incontro. In ciò egli confermava l’immagine che sempre aveva voluto darci di sé: di martire-testimone di una sua verità, di apportatore di scandalo ai fini di una sua predicazione morale.
«Sono indignato del silenzio che mi ha sempre circondato» diceva ancora. Non era vero; mai come in questi tempi il suo discorso ininterrotto provocava pubbliche discussioni, con le sue illuminazioni di verità e le sue nuvole d’ombra. (E non era neanche vero che io non avessi detto la mia; solo che io la facevo entrare in altri discorsi, senza nominarlo mai; lui capiva benissimo che lo facevo per non dare soddisfazione al suo personalismo, ma invece di ripagarmi con la stessa moneta, mi prendeva di petto, come era nel suo temperamento).
Ora alla personalizzazione non potrei più sfuggire, perché è della sua morte che si tratta; ma tanto meno voglio farlo. Lui legava sempre il discorso generale alla sua esperienza vissuta; e questa mescolanza di vita e di opera si ritrova nei dati della sua morte. Ma nonostante che egli tenesse a non nascondere nulla, io credo che la sua vita privata riguardi lui solo; noi non possiamo giudicarlo. Quanto sappiamo della sua morte è di una semplicità rudimentale, ma quando si arriva al momento dell’uccisione tutto resta ancora da spiegare. Direi che, sia se i fatti sono tutti qui, sia se nuovi dati interverranno a complicare la storia, continueremo per un pezzo a domandarci l’ultimo perché.
Su un passo della sua lettera soprattutto ero pronto a dichiararmi d’accordo se avessi scritto in tempo la risposta:
«Risulta evidente da ciò che tu ti appoggi a certezze che valevano anche prima. Le certezze laiche, razionali, democratiche, progressiste. Cosi come sono esse non valgono più. Il divenire storico è divenuto, e quelle certezze sono rimaste com’erano».
Ma detto questo, constatato che il mondo che è venuto fuori è molto più complicato e peggiore di quanto tutte le previsioni razionali annunciassero (i fenomeni legati a una urbanizzazione caotica, a una economia sbilanciata, a un modo di vita in cui la mancanza di mestieri e di prospettive è comune ai vari livelli di vita delle classi sociali, ed è soprattutto drammatica nei giovani) non è possibile più idealizzare un mondo perduto che portava in sé tutti i germi della presente corruzione.
Le civiltà più arretrate solo quando costituivano un mondo organico, una totalità armonica potevano avere dei vantaggi sulla nostra. Nel nostro passato immediato era solo qualche sopravvivenza degradata di altre civiltà che ci portavamo dietro, e che anziché prepararci al domani lo rendeva più catastrofico. Le cosiddette società avanzate in cui viviamo sono in crisi in tutti i continenti, anche se le capacità di reagire alla crisi sono diverse. Forse sarà impossibile un vero sviluppo se non di tutto il pianeta insieme, ma oggi sembra che ne siamo ancora lontani. Dobbiamo guardare di più a quanto sta venendo nel resto del mondo e pensare di più al nostro futuro, alle trasformazioni possibili del nostro presente.
La violenza che ora esplode nella nostra società senza forma è un fenomeno nuovo in quanto le società dei tempi passati incanalavano le proprie spinte aggressive verso esiti spesso altrettanto spietati ma collettivi. Solo un trasformazione in energie dirette verso fini comuni ci salverà dalla forza distruttiva della violenza. So che dico cose terribilmente generiche e forse banali, ma è un punto di metodo che voglio segnare. Voglio dire che le scuole sono in crisi in tutto il mondo, ma nel resto del mondo bene o male funzionano e da noi no. E che l’Italia può temere di diventare per almeno cinquant’anni una periferia coloniale, una enorme borgata disoccupata e violenta.
Grande merito di Pasolini scrittore, che volle sempre essere insieme uomo dello scandalo e moralista, è l’aver posto il problema di una morale nuova che inglobi anche le zone del vissuto considerate oscure, che la morale e l’ideologia fino a oggi tendono a escludere. Non è un compito facile, e tutte le esemplificazioni oggi correnti appaiono frettolose, quelle che Pasolini rifiutava colme quelle che egli proclamava. Certo più di una generazione si romperà la testa, prima di costruire una nuova morale che valga per tutti, anche per chi ora ne è escluso. Ma, purché si arrivi in tempo, questa sarà la via più breve per dare un senso alle testimonianze sulla violenza che Pasolini ha voluto darci con la sua opera e la sua morte.
Italo Calvino
@Eretico e Corsaro - Le Pagine Corsare |
Nessun commento:
Posta un commento