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lunedì 26 settembre 2022

Pier Paolo Pasolini, Dialetto e poesia popolare - Mondo operaio, 14 aprile 1951, pag.12.

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro





Pier Paolo Pasolini
Dialetto e poesia popolare

Mondo operaio

14 aprile 1951

pag.12. 

(Trascrizione dal cartaceo, curata da Bruno Esposito)


Questa del rapporto tra poesia dialettale e poetica << popolare >>  è una questione che non è ancora stata posta, a meno che non si voglia considerare un primo implicito contributo all'argomento l'istituzione del << Premio Cattolica >>: il cui bando, l'anno passato, richiedeva  ai versi dialettali concorrenti il tema della pace, che è appunto un tema della poetica popolare.

I risultati del Premio (che speriamo ripetuto nel '51) sono confortanti: una riprova, esplicita stavolta, della bontà dell'ipotesi critica. Astraendo naturalmente da chi firma questo scritto, c'è veramente da stupirsi della validità delle liriche dialettali premiate e segnalate a Cattolica: si pensa a cosa potrebbe essere una raccolta, anche solo di due dozzine, di liriche tutte all'altezza di << Su pizzinu mutiladu >>, di Giovanni Moi, il vincitore del concorso: quanti libri di poesia in lingua, rivelerebbero, al confronto, la loro impoeticità letteraria? La questione è grossa: del resto non è chi istintivamente non pensi a quanto di falso permanga a minacciare la lingua chiamata << italiano >>, non solo scritta (che in tal caso si conoscono bene i pericoli della tradizione) ma anche parlata. E a quanto,

al contrario, di autentico viva nel dialetto. Bisogna stare attenti, però: perchè il confronto (tutto positivo per il dialetto) vale quasi unicamente per il parlato, anche perchè, infine, la lingua nazionale non è parlata da nessuno: se non per convenzione e approssimazione.

Il contadino che parla

il suo dialetto è padrone di

tutta la sua realtà: il giornalista

che parla in italiano allude

genericamente a una realtà

sempre insicura.

Per l'uso scritto è diverso: il dialetto in genere è abbandonato all'istinto e all'improvvisazione, in un'assoluta' mancanza di coscienza, scade nel sentimentale, nel coloristico; diviene, praticamente, molto più convenzionale della lingua. Mentre questa, usufruendo di una coscienza letteraria, giunge spesso a liberarsi dall'handicap istituzionale e a darci pagine d'espressione necessaria e pura. Sarebbe perciò in grave errore chi pensasse ingenuamente il dialetto come mezzo << immediato >> di una poesia popolare, in quanto usato e capito dal popolo, in quanto già per se libero dalle convenzioni di una classe colta.

Osservi infatti il lettore la produzione dialettale italiana: e vedrà quale pericolosa lettura essa rappresenti per il popolo, infarcita com'è di tutti i buoni sentimenti che possono albergare in un parroco o in un farmacista di paese: quali vizi sentimentali si nascondano sotto la sua proclamata salute.

Esistono i buoni poeti dialettali: dal triestino Giotti al genovese Firpo, dal veneto Novenia al milanese Tessa, dal gradese Marin al siciliano Buttata, ecc., a ognuno dei quali si potrebbe dedicare un utile discorso critico, fuori però dai termini del nostro caso: nel quale, a quanto ci risulta, potrebbero, direttamente, incidere solo i tre nomi di Mario Dell'Arco con << Tormarancio >>, di Tonino Guerra con << La s' ciuptèda >> e del firmatario di questo articolo con << Dov'è la mia patria >>. Ma in che senso questi volumetti dialettali potrebbero rientrare nell'ambito di una realizzata poesia popolare? Nell'inclinazione, nell'intenzione stessa dell'autore, fuori dalla poesia, nella sede politica? Sarebbe ovvio, ma inutile rispondere cosi: come il problema non è di pura tecnica letteraria, così non lo è nemmeno di pura teoria socialistica. Crediamo che il dialetto possa contare coi suoi mezzi naturali per servire a una poesia popolare, solo quando il poeta abbia superato tutte le convenzioni dialettali — in altri termini il << piccolo inondo >> dove il dialetto è usato — per dargli una coscienza linguistica che ne superi il colore e l'isolamento. L'operazione per giungere al riscatto di quella lingua povera che è il dialetto, è doppia: un regresso che il poeta per simpatia compirebbe nell'interno del parlante inconsapevole, e un recupero verso il livello della coscienza.

PIER PAOLO PASOLINI

Mondo operaio, 14 aprile 1951


@Eretico e Corsaro - Le Pagine Corsare

Curatore, Bruno Esposito

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