"Le pagine corsare " dedicate a Pier Paolo Pasolini
Eretico e Corsaro
Inchiesta sulla donazione della fabbrica
Tratto da: Teorema libro.
(Trascrizione curata da Bruno Esposito)
Suonano le campane di mezzogiorno dalla vicina Lainate, o da Arese, ancora più vicina. Ad esse si mescolano le sirene. La fabbrica si stende per tutta la lunghezza dell'orizzonte, come un immensa zattera ancorata tra le marcite e le barriere trasparenti di pioppi.
L'atmosfera è elegiaca: quei due tre chilometri di muraglie orizzontali, sfumate nella nebbia leggera, sembrano cingere, con tenerezza e nitore lombardo, « calma, lusso e voluttà ». Anche le centinaia e centinaia di macchine ferme in fila ai posteggi, non sembrano che tasselli colorati di quell'ordine e di quella pace.
Poi, d'improvviso, è un vero inferno: i seimilacinquecento operai della fabbrica cominciano a uscire, insieme, vomitati dai teneri cancelli, e le distese dei posteggi sono sconvolte come da un ciclone.
Tuttavia gli spiazzi davanti alla fabbrica sono immensi, e la folla degli operai, dilagandovi, vi si dirada. E ben presto finirebbe col dileguarsi del tutto, se non si formassero qua e là, imprevisti e fuori da ogni regola, dei capannelli, degli ingorghi, come nei giorni di preparazione di qualche sciopero, o prima delle elezioni. Ci sono anche drappelli di poliziotti, attenti e sornioni, mentre dei borghesi, evidentemente giornalisti o curiosi, si mescolano agli operai.
Il lettore dovrà, a questo punto, adattarsi per una seconda volta, per quanto è possibile con pazienza, a un nuovo inserto nella favola: premere il pedale della povera logica quotidiana, abbandonando, con comprensibile disappunto, quello della dolce immaginazione.
Un giornalista, infatti, - o un cronista, con la sua macchina da presa - forse lo stesso del casolare di Emilia - affronta con un'aria professionale che non maschera né la timidezza né la cattiva coscienza, la folla degli operai: e comincia a fare loro le domande che ha diligentemente preparato, in quel suo linguaggio di bassa lega, di cultura per cittadini medi.
Ecco, all'incirca, queste domande, delegate a riportare bruscamente alla squallida prosa dell'attualità, senza di cui, del resto, né l'autore né il lettore - uniti in tacita e colpevole alleanza - saprebbero avere la coscienza in pace:
« Lei è un operaio che lavora qui? Da quanti anni? E lei? Bene, che cosa ne pensate dell'atto del vostro padrone? »
« Egli ha donato a voi operai la sua fabbrica: ora ne siete i proprietari: ma non vi umilia il fatto di avere ricevuto questa donazione? »
« Non avreste preferito ottenere il vostro diritto al potere sulla fabbrica attraverso un'azione dovuta a voi stessi? »
« In tutto questo, il protagonista non resta il vostro padrone? E, quindi, egli non vi ha messo in ombra? Non vi ha tagliati fuori, in qualche modo, dal vostro futuro rivoluzionario? »
« Ma l'atto del vostro padrone è un atto isolato, o rappresenta, piuttosto, una generale tendenza di tutti i padroni del mondo moderno? »
« La partecipazione al potere sulla fabbrica, ottenuta attraverso una serie di donazioni - o, diciamo meglio, di concessioni - dove può portare la classe operaia? »
« La mutazione dell'uomo in piccolo borghese sarebbe totale? »
« Se dunque prendiamo questa donazione come un simbolo o un caso estremo del nuovo corso del potere, essa non finisce col presentarsi come un primo, preistorico contributo alla trasformazione di tutti gli uomini in piccoli borghesi? »
« Come atto pubblico, allora, la donazione della fabbrica sarebbe, almeno dal punto di vista degli operai e degli intellettuali, un diritto storico, e, come atto privato, una vecchia soluzione religiosa? »
« Ma questa soluzione religiosa non è la sopravvivenza di un mondo che non ha più nulla a che fare col nostro? Non nasce dalla colpa anziché dall'amore? Così che un borghese non potrebbe mai ritrovare la sua vita, neanche se la perdesse? »
« L'ipotesi - non molto originale - sarebbe dunque che la borghesia non può più in nessun modo liberarsi della propria sorte, né pubblicamente né privatamente, e che qualunque cosa un borghese faccia sbaglia? »
« Si può considerare causa di tutto questo l'idea del possesso e della conservazione? »
« Ma l'idea del possesso e della conservazione, su cui si fonda la condanna della borghesia, non sono una caratteristica del vecchio mondo padronale? Mentre il nuovo mondo non si cura tanto di possedere e di conservare quanto di produrre e di consumare? »
« Se è stato l'antico mondo contadino a prestare alla borghesia nascente - ai tempi in cui essa fondava le sue prime industrie - la volontà del possedere e del conservare, ma non il suo sentimento religioso, non è stata giusta ogni indignazione e ogni rabbia contro di essa? »
« Ma se ora questa borghesia sta mutando rivoluzionariamente la propria natura, e tende a rendere simile a sé tutta l'umanità, fino alla completa identificazione del borghese con l'uomo – quella vecchia rabbia e quella vecchia indignazione non hanno perduto ogni senso? »
« E se la borghesia - identificando a sé l'intera umanità non ha più nessuno al di fuori di se stessa cui deferire l'incarico della propria condanna (che essa non ha mai saputo o voluto pronunciare), la sua ambiguità non è divenuta finalmente tragica? »
« Tragica perché, non avendo più una lotta di classe da vincere - con qualsiasi mezzo, anche criminale, come l'idea di Nazione, di Esercito, di Chiesa confessionale ecc. - essa è rimasta sola di fronte alla necessità di sapere ciò che essa è? »
« Se essa, almeno potenzialmente, è vittoriosa - e il futuro è suo - non tocca a lei stessa, ormai (e non più alle forze della contestazione e della rivoluzione), di rispondere alle domande che la storia - che è la sua storia - le pone? »
« A QUESTE DOMANDE ESSA NON PUÒ RISPONDERE? »
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