"Le pagine corsare " dedicate a Pier Paolo Pasolini
Eretico e Corsaro
Dal teatro allo schermo: interpreti d’eccezione
di Roberto Chiesi
(Ringrazio Roberto Chiesi, per il cortese consenso alla pubblicazione)
Pier Paolo Pasolini in Edipo re |
Da una parte Pasolini ha dichiarato di non amare gli attori professionisti, di non amare la professionalità dell’attore, ma dall’altra parte ha anche ammesso, come è evidente perché all’epoca di questa dichiarazione aveva già usato diversi attori nei suoi film, che era aperto anche a usare gli attori. E allora, come usava Pasolini i grandi attori, le grandi bestie da scena? Li usava per quello che erano, per la loro presenza fisica, per la loro personalità reale, o per il modo in cui egli intendeva la manifestazione fisica di questi attori sullo schermo, o anche per quello che la personalità di questi attori poteva evocare? Si può notare come ulteriore annotazione che Pasolini era singolarmente attratto dai grandi attori comici, dai grandi mattatori, dalle grandi maschere della tradizione comica, anche popolare, non legata in alcun modo al teatro colto. E ha fatto proprio ricorso ad alcuni attori che avevano questa estrazione, che appartenevano a questo mondo.
La prima attrice professionista di cui Pasolini si serve per un film è Anna Magnani che, non dimentichiamolo, è stata un’attrice innanzitutto di teatro. È curioso che la stessa Anna Magnani venga già citata in una poesia della Religione del mio tempo, dove Pasolini descrive i suoi lineamenti, le sue occhiaie, i segni del suo volto, le rughe che evocano di per sé un’immagine tragica. In Mamma Roma, che è il secondo film di Pasolini, Anna Magnani interpreta il ruolo di una prostituta che cambia vita per garantire al figlio un avvenire piccolo borghese che lei sogna per suo figlio. È una madre. Anna Magnani vista da Pasolini è una delle prime grandi madri del suo cinema, altre ne seguiranno. Le mattatrici, le grandi signore della scena, sono per Pasolini essenzialmente madri. E quindi, dopo la Magnani, Silvana Mangano, che è la madre di Edipo, la madre della famiglia alto borghese di Teorema, e che è addirittura la madre di Dio, la Madonna nell’apparizione del sogno del Decameron. Ma la stessa Maria Callas è una madre che uccide i figli in Medea.
Anna Magnani doveva essere madre diversa perché è una puttana, una prostituta di cui il figlio scopre la diversità, scopre l’identità di prostituta e allora la rifiuta. Rifiuta la madre e la strada lastricata di intenzioni piccolo borghesi che la madre ha preparato per lui. Una madre diversa, quindi. Sotto questa identità Pasolini vede la Magnani, però rimane deluso dalle sue prestazioni perché ritiene che comunque la personalità potente dell’attrice abbia prevalso su quello che era il suo disegno del personaggio. Sente che avrebbe dovuto mettere più briglie alla personalità della Magnani.
Prima, parlando delle madri di Pasolini, non ho citato ovviamente Laura Betti. Infatti a lei non è stato assegnato un ruolo di grande madre. Il rapporto che Pasolini ebbe con la Betti, il modo in cui si servì della Betti come uno strumento espressivo, è in realtà molto più complesso e sfaccettato. Nel senso che Pasolini usa Laura Betti cambiandole continuamente forma. Naturalmente ci sono delle varianti, però c’è questa grande diversità, c’è un ventaglio espressivo differente che Pasolini adotta e vuole dalla Betti. Credo che Laura Betti sia stata per Pasolini uno strumento di grande violenza provocatoria. Pasolini si serve della forza, e anche della violenza espressiva e verbale della Betti, che è un’arma da guerra, uno strumento di provocazione: prima sulle scene teatrali poi nel cinema, ma anche in alcune canzoni; si pensi a Macrì Teresa e all’asprezza che assume l’io che canta. Pasolini si serve appunto di questa violenza per scuotere la palude borghese degli spettatori. Significativo è che per lo spettacolo Potentissima signora, nella parte scritta e ideata da Pasolini, Laura Betti dovesse scendere fra il pubblico, su istruzioni proprio di Pasolini, e versare un bicchiere di champagne addosso a uno spettatore vestito in abito da sera, scegliendo naturalmente quello meglio vestito. E proprio questa discesa di Laura Betti fra il pubblico e il fatto che una parte dello spettacolo, almeno per quello che sono le nostre informazioni in merito, dovesse svolgersi fra la platea, fornì l’occasione ad alcuni fascisti di aspettarla e di aggredirla.
In realtà Pasolini non si servì soltanto della violenza e dell’espressionismo che la Betti portava naturalmente in sé nella sua voce, nella sua fisionomia, nella sua mimica. In Teorema, dove l’attrice riveste uno dei suoi ruoli più importanti, la serva Emilia che subisce l’illuminazione della visita di Eros, dell’ospite, e diventa una sorta di santa, Pasolini modificò la fisionomia fisica di Laura Betti, scontrandosi con l’attrice che non voleva assolutamente: le fece mettere una parrucca di un colore scuro, le abbassò così la fronte, le rese più scure le sopracciglia, insomma cambiò proprio il suo aspetto, per usare quella tragedia che Laura Betti portava dentro di sé. Perché era un personaggio tragico per molti versi, che viveva di contraddizioni molto forti e tragiche, e nella figura di Emilia tutto questo è evocato in chiave simbolica. Non c’è un’equivalenza immediata. Il corpo stesso viene modificato e alterato anche rispetto alla sua origine sociale, perché Laura Betti era di origine alto borghese e invece qui viene presentata nei panni di una sguattera, quindi viene anche modificata la sua origine per arrivare in realtà a qualcosa di più segreto che l’attrice aveva dentro di sé: per arrivare alla connotazione sociale, alla maschera sociale dell’attrice. Laura Betti poi scoprì questo e parlò anche dello strano lavoro che Pasolini aveva fatto sul suo corpo senza spiegarle nulla del mistero di Emilia.
Ma non dimentichiamo poi che c’è anche la Laura Betti burattino di Desdemona in Che cosa sono le nuvole? che invece è una vittima, vulnerabile. E c’è anche la voce di quel povero corpo sporco e abbandonato che è la voce che interpreta la canzone Cristo al Mandrione. C’è in fondo una sorta di identificazione tra Laura Betti e la stessa Marilyn, c’è un gioco di specchi strano in questo senso. E poi c’è un uso crudele dell’ironia della Betti da parte di Pasolini nel personaggio della Donna di Bath, nella beffa che per vendetta gioca al marito nei Racconti di Canterbury, o anche nella scelta di farle doppiare una delle laide attrici narratrici di Salò, personaggio che in un primo tempo Pasolini voleva assegnare proprio a lei. C’è una gamma di colori e tonalità che Pasolini vide nella Betti, che poi descrisse nel ’65, proprio in riferimento al teatro che amava, dicendo che l’attrice era in qualche modo una “nipote di Gadda”, era l’espressione vivente di qualcosa di gaddiano che possedeva naturalmente.
Abbiamo parlato prima di madri. Pasolini tendeva a dividere il mondo in padri e madri: il controcampo della madre è il padre. Il primo grande padre del pianeta Pasolini è una sorta di autoritratto, perché è il regista della Ricotta ed è Orson Welles. In realtà Orson Welles comparirà solo nella Ricotta, ma secondo le intenzioni di Pasolini doveva apparire numerose altre volte, doveva interpretare il ruolo di Tiresia nell’Edipo re, doveva essere padre in Teorema (ma poi lo fu Massimo Girotti), doveva essere l’industriale tedesco di Porcile e Old January nei Racconti di Canterbury, ruolo che poi ebbe Griffith. Penso che Pasolini in Orson Welles, anche se non lo ha scritto in maniera chiara, vedesse proprio l’autorità, una sorta di archetipo dell’autorità, come indicano i ruoli che aveva scelto per lui. Ma in realtà nel personaggio del regista della Ricotta è nascosto anche dell’altro, perché è interessante vedere come, nella prima stesura della sceneggiatura del film, alla domanda del giornalista su quale fosse la sua opinione sul nostro grande regista Federico Fellini, pare che originalmente Pasolini avesse scritto “qual’è la sua opinione sul nostro grande regista Pier Paolo Pasolini” e la risposta dovesse essere la stessa: “egli danza”. Poi Pasolini, probabilmente pensando al fatto che il personaggio si nutriva anche di un possibile autoritratto, ha preferito sostituire il nome di Fellini al proprio. Ma in realtà la figura di questo regista, la figura di Welles non corrispondeva evidentemente all’autoritratto di Pasolini, ma alludeva piuttosto alla figura archetipica del regista. Così come l’allusione a un film manierista sul Vangelo che per un momento Pasolini aveva vagheggiato di poter girare: ipotesi poi abbandonata visto che il Vangelo secondo Matteo certamente non corrisponde ai tableaux vivants della Ricotta. Come si vede anche così, da queste poche parole, ci sono molti motivi complessi che entrano nella fisionomia di questo personaggio: fondamentalmente, dunque, Orson Welles era l’autorità del padre.
Quando parla invece di Julian Beck, preso come ripiego nell’Edipo re perché Welles non aveva accettato di interpretare il ruolo di Tiresia, Pasolini parla di una variante. Ma in realtà mi sembra che sia cambiata drasticamente la fisionomia del personaggio: non è l’autorevolezza che Tiresia assume con Julian Beck, quanto l’immagine di un profeta stracciato che porta una profezia divina, una profezia di morte. Nello stesso film la figura di Creonte assegnata a Carmelo Bene – che era uno degli attori registi che Pasolini stimava, che considerava autonomo e originale – è una figura che ha qualcosa di assolutamente demoniaco, anche se è sofferente durante il contrasto con Edipo, e sembra l’incarnazione di un rimorso, sembra davvero portare il peso del terribile rimorso che deve portare Edipo.
Dicevo prima delle figure di madri. In realtà la Maria Callas di Medea non è soltanto questo. È la donna barbara, la donna diversa, di una diversità radicale e tragica. La diversità di chi non parla la stessa lingua del luogo dove è stata precipitata, di chi non conosce le leggi e la morale di Giasone, di chi viene esclusa. Nell’immagine della Callas Pasolini non cercava l’effige della grande soprano, ma la donna barbara che nasconde qualcosa di terribile, l’omicidio dei propri figli. Questo è quello che si poteva nascondere nella regalità della Callas. Purtroppo è molto raro sentire Medea parlare con la voce della Callas, perché la produzione fece pressione su Pasolini perché la facesse doppiare e, anche se Pasolini ha scritto di avere riconosciuto la legittimità di questa richiesta, in realtà appare un peccato, perché la pronuncia stentata della Callas in bocca a un personaggio barbaro, che non conosce appieno la lingua della società in cui si trova, sarebbe sembrata decisamente opportuna e anzi avrebbe aggiunto una realtà supplementare a questa figura.
Per concludere, volevo parlare dell’altra genia di attori di teatro e cinema che Pasolini prediligeva, che era quella delle grandi maschere comiche. Una predilezione che corrispondeva alla ricerca di quella comunicazione fatta di ironia, dissacrazione e trasgressione che la comicità porta sempre in sé e che probabilmente Pasolini cercava usando queste grandi maschere popolari. È innanzitutto il caso di Totò che appare in Uccellacci e uccellini, ma anche di Franco Franchi e Ciccio Ingrassia che appaiono in Che cosa sono le nuvole?, di Eduardo De Filippo che riteneva il più grande attore italiano e che avrebbe fatto protagonista del suo prossimo film se non fosse stato assassinato. Invece, in Francia, Pasolini amava tantissimo Jacques Tati e avrebbe voluto Tati per uno dei ruoli di grandi borghesi tedeschi di Porcile, una scelta che appare sconcertante agli occhi di oggi. A proposito di Totò è interessante che Pasolini dica di aver voluto togliere a Totò lo sberleffo, l’aspetto farsesco, quei tratti che rendevano il personaggio più sguaiatamente plebeo. Voleva invece un Totò quasi implume, tutto intriso di dolcezza e di povertà fisica. Ma se queste parole si adattano benissimo al frate Ciccillo dell’episodio ambientato nel medioevo, in realtà sono smentite dal personaggio che Pasolini ha dato a Totò in quello che doveva essere il terzo episodio di Uccellacci e uccellini, cioè il domatore circense Courneau, che al contrario era proprio l’essenza dell’arroganza borghese che pretende di colonizzare il terzo mondo, simboleggiato da un’aquila, e invece è lui ad essere colonizzato-addomesticato e vola via trasformato in un volatile. In un certo senso, anche se in dose minore, lo stesso Innocenti-Totò non è esente da alcuni aspetti piccoli borghesi: si pensi alla sequenza dove si introduce nella casa dei contadini, che è una sua proprietà, e pretende di cacciarli; quindi in realtà Pasolini fa uso proprio di queste caratteristiche di aggressività che la maschera di Totò aveva connaturate, perché questi elementi sono presenti nella figura di Innocenti, anche se evidentemente la sua visione principale era legata alla dolcezza implume di frate Cicillo.
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