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Biografia, lavori in corso - a breve anche il 1974 e il 1975

mercoledì 24 febbraio 2021

Laura Betti, le pagine inedite - Tratto da Laura Betti illuminata di nero.

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro


Laura Betti, illuminata di nero, a cura di Roberto Chiesi 


Laura Betti, le pagine inedite 
tratto da Laura Betti illuminata di nero, 
a cura di Roberto Chiesi 

(Un ringraziamento a Maria Vittoria Chiarelli, per la sua accurata trascrizione)

Teta Velata


Questa e altre pagine inedite sono state ritrovate in una cartella dell'archivio di Laura Betti, accanto a brani dattiloscritti del romanzo Teta Veleta. Possiamo quindi ipotizzare che si tratti di passaggi successivamente eliminati dalla stesura definitiva dell'opera.






7 gennaio 1976


Laura Betti, illuminata di nero, a cura di Roberto Chiesi 

Sono finite le feste. Natale. Capo d'Anno. Epifania. Giorni e giorni di silenzio atono e stravolto. Silenziose anche le urla di Susanna, la mia ultima figlia(1).
Poi le urla di Susanna sono state chiuse dentro ad un'automobile rossa che volava per l'autostrada Trieste-Casarza (sic) fino a diventare un solo, unico urlo prolungato, impastato di Pavesini, di Esso e di caschi colorati. Via, via mia figlia Susanna, chiusa dentro il suo urlo cieco, chiusa nella mia mano che le ha strappato un lieve odore di primule.

C'è sole, molto sole. Un sole pieno e sodo. Assomiglia al sole di agosto quando Pier Paolo ci si butta dentro a capofitto - intorno tutti morti - e lui, di legno, un legno dolce e pulito e odoroso di nulla. Odoroso di semplicità e di sudore. Fresco, sempre fresco e cocciuto e saltellante di qua e di là. Cento chilometri verso sud e cento chilometri verso nord. E poi il gioco della casa. Una casa che Pier Paolo si è comperato - una al Nord e una al Sud, con i suoi soldi. Quelli di cui non sapeva né la forma né il peso né il colore solo così pochi anni fa.
E in queste case ancora lui saltella in mezzo a errori sublimi calpestando i miei tentativi di raffinatezza: frigidaire che si aprono solo a patto di stendere il corpo a bandiera, cavatappi che subito si fanno incorniciare e si appendono tra i quadri, spigoli e rocce che franano mentre fai il bagno. Oppure la presunzione di poter travasare - adesso, subito - una botte di un certo vinello di uva vera e ritrovarsi allibiti e impotenti di fronte al cerimoniale antico e severo del come e dei perché assolutamente indecifrabili per cui il vino è già andato a male! E poi subito il dolce ronzio della sua alacre e serena operosità; una Olivetti da corsa carrozzata Ferrari per tenere il ritmo delle mille idee, delle idee che scendono a rivoli giù per i boschi attaccati alle grandi finestre,  per i burroni brueghelliani, per il fiumiciattolo dove allegramente battezzò Giovanni. Oppure davanti ad un mare libero, furiosamente azzurro e voglioso d'inghiottire i versi d'amore che volano dalla grande finestra sparpagliandosi ed entrando di prepotenza nella finestra accanto, gemella e figlia, a stordire un Moravia  impotente e tramortito dagli odori, dai sapori, dalle musiche della poesia.

E io me ne sto di sotto acquattata e gelosa del bosco, del mare, di Moravia, della sabbia, dell'Olivetti e dell'Africa.
Tu non mi hai mai parlato dell'irrealtà dell'assenza, Pier Paolo. Non ne so nulla.

Che cosa hai fatto, che cosa hai fatto, che cosa mi hai fatto, cosa è successo, perché l'hai fatto, perché è successo. Mi hai staccato la testa. La calotta è staccata, fasci di nervi penzolano sul collo e trasmettono sensazioni, rumori: il giornale radio, gli slogan delle manifestazioni, i battiti di un cuore, il mio, i discorsi sulla struttura, l'impegno dell'intellettuale...poi i fasci di nervi si ritirano strisciando sul collo, la calotta si richiude e tutto si ricompone nel silenzio delle ore, dei minuti primi, dei minuti secondi, delle lancette  che si muovono stupide e pretenziose come se davvero il tempo, come loro segnalano, è,  esiste.
E questo silenzio dove il tempo non è diventa un film senza colonna sonora e senza titoli di testa.  La prima inquadratura è il mio tavolo su cui c'è sempre stata tanta roba da mangiare per te. È un lento carrello a scoprirti steso sulla planimetria disegnata da Dante Ferretti che ha bagnato qua e là la carta di lacrime di rabbia. Seguiamo una matita rossa che vaga per la planimetria, sul tuo corpo, a segnare i perché di quella notte.
Lentamente entra in campo il mio profilo gonfio e appesantito e le mie labbra inseguono i segni e le crocette rosse e baciano le tue ferite, le tue mille ferite, le tue braccia ritorte, le tue orecchie sbranate, i tuoi passi ciechi verso dove, verso chi...dove, dove la cercavi la vita? dove?...non c'è vita sulla planimetria...è così chiaro...dove la cercavi? era buio...Un lungo bacio sul tuo cazzo divorato dall'odio di tutte le antenne televisive che dominano il cielo, il mare e le campagne, dei fortini moquettati della DC, delle chiese blindate e prive del ricordo di Cristo diventato banchiere a Wall Street.
Il tuo cazzo a cui io - prima tra tutti - ho negato la grazia. Il tuo cuore invece non lo si può baciare, non c'è crocetta poiché è sparso ovunque,  ovunque e Tonino Delli Colli lo inquadra ovunque e lo segue nel deserto, sotto le mura di Sana, a Bologna,  ad Harlem,  alla Carbonara o da Lipp. Ovunque.
Il film s'interrompe sempre sul primo piano di quando vedi. Di quando vedi per la prima ed unica volta. Ma tu non puoi aver realmente 'visto'. Tu non vedi senza occhiali.
E non voglio, non vorrò mai sapere che hai visto.
Il film s'interrompe sempre a questo punto.
'Come in un film di Godard'.

20 gennaio 1976

Laura Betti, illuminata di nero, a cura di Roberto Chiesi 

Mi sono messa il vestito nuovo che avevo fatto per andare con te al festival di Parigi.
È esattamente quello che volevi: uno scandalo senza precedenti, affogato da lustrini, nastri, paillettes e finalmente giusto anche di lunghezza , con le caviglie scoperte.
Inoltre mi hai dimagrita - "non sarai affatto il bastone della mia vecchiaia, sarai il pallone della mia vecchiaia!..." - sono quasi snella e romantica, quindi posso piacere e tentare un'entrata sotto i flash con passo da giaguara. Come piace a te.
Però ti ho tradito e tu dirai "naturalmente!".
Mi sono messa il vestito luccicante, mi sono truccata alla perfezione con l'occhio allungato e misterioso, ho ballato davanti allo specchio per controllare la stabilità di gesti affascinanti pescati nel repertorio del cinema americano anni Cinquanta e tutto questo solo perché aspettavo Gerard.
Gerard è parte del rito preparatorio, dei tempi e dei cerimoniali che hanno accompagnato la tua morte. Ricordi? Ero innamorata di Gerard, ma tu dicevi di no, no, no. Non ero innamorata e tanto meno lui di me. Insistevi cocciuto e sordo. Era strana infatti la tua insistenza. Ora non è più strana, è così semplice. Non avevi  più tempo e non potevi quindi tollerare che la mia cucina fosse distratta, che non avessi più tanta voglia di organizzare le seratine e i miei baci della buonanotte erano veloci, impazienti...c'era la telefonata da Parigi in arrivo. Troppo veloci e impazienti per te che chiudevi gli occhi paziente e stupito per la costante scoperta della nostra folle ambiguità, mentre le mie labbra si accucciavano dentro la guancia scavata. Volevo approfondire tutto: la scelta della tappezzeria per i divani di Sabauda,  Dario che non riusciva malgrado gli sforzi ad entrare con un minimo di dignità nel regno della follia, Alberto, sempre più irreggimentato, Dacia, persa nelle donne e per le donne, Elsa persa e ritrovata di continuo a ogni nuova protesta cosmica,  Ninetto i suoi riccetti e i suoi bambini,  la mia apocalittica inattendibilità.  E anzi volevi anche delle informazioni dettagliate ed esaurienti sulla fica. E come si comporta e come e in che modo può anche non essere un baratro ma una garçonnière carina e accogliente...
Volevi tempo, chiedevi altro tempo. Io te l'ho dato il mio tempo, da brava cagnona fedele. Ho buttato via Gerard che mi amava e che io amavo. E non è servito a nulla, a nulla. Nemmeno a darti un solo giorno di sole in più.
Ecco perché quel sabato, quello che prevedeva la domenica mattina, sono corsa da te per dirti nulla e dirti nulla in tre ore toccarti come se il tuo viaggio a Stoccolma e a Parigi fosse durato un'eternità come se fosse logico e non lo era, non lo era,  non ero mai corsa da te a un tuo ritorno, ti aspettavo a casa la sera...Nulla fu più logico da quel sabato a mezzogiorno. Perché non ti ho ordinato di portarmi al cinema la sera a vedere Rubliov. Non era logico: sapevo che se te l'ordinavo mi avresti accompagnata.
E poi.

Poi ora mi trovo qui davanti allo specchio con questo vestito luccicante.
Scena da Teorema
Mille luci per accecare Gerard, uno che amavo. Poi metterò  del profumo per stordirlo, poi lo guarderò dal basso all'alto come si fa quando si sta per uccidere un uomo e quindi, poi, lo sbranerò. Lo farò a pezzetti senza far troppo sporco, poi ne farò un bel pacco e mi metterò la parrucca di Teorema per venire da te, lì dove ti hanno spaccato il cuore.
Ti piaceva quel mio sogno, tanti anni fa; eri sdraiato nel deserto, dormivi, felice mentre dei bambini neri giocavano lì vicino...
All'improvviso il cuore ti si è  aperto e dal petto è spuntata una rosa rossa e tu sorridevi sempre di più mentre Susanna volava sopra di te a giri concentrici...
Allora io andrò lì dove ho fatto piantare due pioppi e una panchina. La panchina - come previsto - servirà  per sedermi, aprire la valigia di fibra di Teorema e buttare in giro a caso, tutt'intorno, dei baffi, delle orecchie, delle mani, un po' di naso e un po' di bocca, qualche ricciolo, un po' di cazzo e un po' di coglioni.
E ti parlerò a lungo. Ti farò ridere come sempre. Ti conquisterò per l'eternità offrendoti una delle più belle risate della nostra lunga vita. Il tuo regno per una risata...è  così, no?
E rimarrò su quella panchina finché i capelli mi diventeranno verdi, come in Teorema, e mangerò le ortiche, come in Teorema. Finite le ortiche tornerò a Roma. Da Fiumicino a Roma, come in un film di Godard.
A Roma comincerò ad aspettare.

6 maggio

Laura Betti, illuminata di nero, a cura di Roberto Chiesi 

Ti prego parla più forte. A volte la tua voce è esile, spenta, come, come se tu volessi arrenderti,come se tu fossi stanco. Non mi lasciare mai Pier Paolo, mai. Dimmi, seguita a dirmi. Dicono che non devo ascoltarti, che mi fa male. Ma lo dicono quelli che ti hanno ucciso. Lo dicono solo loro. Tu parlami, rispondimi, rimani con me, se rimani con me io ti porto il sole. Il sole che ami io te lo porto e ci starò anch'io sotto il sole, malgrado le tachicardie,  me lo lascerò entrare dappertutto,  senza la solita paura. E poi, se rimani con me, all'improvviso  - com'è bella l'avventura! - ti porterò  ad Anzio e ti aspetterò in macchina mentre fai una partitella in riva al mare, poi giro la macchina e ti porto a Terracina,  sempre mentre tutto brucia, e poi, all'improvviso,  a Fondi e poi a Sabaudia e poi a Nettuno e a Pomezia e  lì guarderemo a lungo i ragazzetti coi foruncoli, le magliette e i riccioli fitti e duri, i denti cariati e crudeli e le mani, le mani senza infanzia, mani grosse, con grosse vene, mani dure, mani che vorrebbero ricordare il lavoro dei nonni,  dei padri e invece ricordano la borsetta strappata,  il vetro spaccato, la radiolina, il gesso appoggiato alla lavagna, inerte, le due mila intascate mentre si tira su la lampo dei pantaloni. Mani di sangue,  mani che scrivono sui muri col sangue che due più due fa sette.
Poi torneremo di corsa, alle due, al Circeo, nella villa a strapiombo sul mare, per l'ora di colazione. E troverai tutto pronto e buono, caldo e generoso.
Perché è proprio lì che sto per tornare così potrò rimanere con te, ma sola. C'è troppa gente, qui intorno, a Roma. A Roma ormai fa freddo per te, troppo freddo. C'è gente pazza che pensa che non ci sei. C'è gente che non sa nulla della pazzia.
Non potrò però preparare - e non me lo chiedere - il breakfast con Mozart per farti aprire gli occhi su una giornata zeppa di scorrazzate e le madeleinettes e il paín d'épice per il buongiorno.
Questo non lo farò mai più. Per nessuno.

31 ottobre 1976 Roma-Treviso /Treviso-Roma


Laura Betti, illuminata di nero, a cura di Roberto Chiesi 

( non so dove riparare )
Mancano due giorni e poi zompano i tappi di champagne. Che manna. All'improvviso c'è lavoro per tutti e allora si mettono inserzioni: "occorre inedito anche pubblicato purché in preistoria '42-44; graditissimo carteggio inedito comprovante attitudine eterosessuale folgorante del poeta in questione, manipolata successivamente per richiesta di mercato e degradata ad abietta omosessualità dal Borghese Specchio eccetera...; male che vada una cartella su  'vita come morte o morte come vita'.
Quanto bene seguiti a fare Amado mio!
Gran fermento. Pensa, si vendono anche i sogni e quelli piacciono molto. Io invece non ti sogno. Non riesco. Nulla, niente, non un tuo colore, non il tuo suonare al citofono che non potevi essere che tu, non il tuo salutarmi in un soffio: "...adieu..." non il nero dei tuoi occhiali appannati dall'ansia dell'impossibile irraggiungibile rapporto d'amore che però sia tu che io, di nascosto,  teniamo ben chiuso in un cassetto la cui chiave ci fu rubata da sempre e per sempre dalla banda dei Probi Viri.
Come ti piaceva vedermi sbattere il naso contro porte che io m'immaginavo spalancate per ricevermi con trombe e annunci per scale e saloni...
Se non fossi certa, ben certa, di piacerti sempre di più,  tuo malgrado, e quindi di riconoscere le tue risate fragorose ovunque io mi trasporto,  allora entrerei definitivamente nel Regno dell'assenza.
E invece finché sei presente tu rimango presente anch'io ed è per questo che ancora, sebbene a sprazzi, riesco ancora a mettere insieme qualche dimensione. La mia sfacciata dignità,  il mio essere Principessa del tuo regno sublime, il mio strascico di velluto pervinca su cui appoggi i tuoi piedi calzati da foot-ball, il mio volgere il capo verso di te: "Maestà...?", ecco tutto questo subisce quotidianamente delle orride sbertulate, degli scivoloni privi anche di una speranza di grazia; con frastuono di culo appiattito al suolo e starnazzio da oca del Campidoglio che si ritrova con una mano de drio e una davanti a reggersi i genitali. E tu ridi e il tuo riso compensa la tua cagna- Milarepa affamata di lacrime e di assoluto che nessuno, mai più,  le butterà nella ciotola di stagno con iniziali L.B.
Scena da il Vangelo secondo Matteo

Il mio pubblico dolore poggia su tacchi altissimi da cui non si può che precipitare con la grazia delle vacche. Non possiedo collo da cigno che possa reggere con greca e tempestosa fierezza: volto, occhi e capelli in stato di cosmica angoscia. Né possiedo il fascino di un sottoproletariato privilegiato dalla pubblica esibizione di un'infiacchita  semplicità televisionata e dunque additata ad esempio di "ciò che si deve accettare per carità cristiana". Neanche questo e tu scoppi a ridere e allora io riprendo fiato e mi sento un po' restituita a me. E come te la ridi durante i miei passaggi obbligati per certe foreste pullulanti di 'eredi'; quando intuisci la sottile, magrissima e disperata noia che mi prende nel comporre il mio volto ad espressioni di atroce sofferenza e subito rapido cambio in umile silenziosa dignità all'arrivo di frodo di altro erede che soffre in modo che 'solo lui sa". Copy right...
Amado mio, che risate una vita senza di te. Che risate che risate.
Laura Betti, illuminata di nero, a cura di Roberto Chiesi 


Ora la mia faccia è nelle mani di Susanna che incomincia a leggeresenza voce i miei occhi: "Dove è Pier Paolo? Dove lo hai messo? Perché mi hai detto che non c'è più? Che cosa gli hanno fatto? Perché lo hanno ammazzato? Chi lo ha ammazzato?Cosa facciamo? Dimmi quello che sai?" Gli occhi di Susanna sono ironici: sanno E le parole di Susanna che tiene nelle sue mani la mia faccia invece sono "sei venuta finalmente! Ma sai che non sei cambiata? Sei molto più bella! E invece io! Adesso sembro molto più vecchia io di te.  Ti ricordi a scuola?
- Sì Susanna mi ricordo.- Mi facevi tanto ridere a scuola.- Io ti ho sempre fatto ridere.- Mi fa specie però che tu sia più giovane di me.- Ma forse non è nemmeno vero Susanna.- Però gli volevamo veramente bene, vero?- Sì, Susanna,  ma anche adesso gli vogliamo bene.- Ah, sì, ma è inutile...cosa vuoi adesso è inutile.- Bé allora era meglio perché eravamo gelose, vero Susanna?- Orpo...gelose? Sì?- Sì.- Ma tu hai sempre la mia età? No. Qualche anno di meno, vero?- Sì ma pochi. Ma perché rimani qui?- Io verrei via...Ci ho ancora da fare per due o tre giorni, ma verrei via...- Ti vengo a prendere?- Ecco...vienimi a prendere benedetta!!
La chiudo di nuovo dentro la mia mantella e così vedo la camera a due letti e una vecchia mezza cieca che le vive accanto, gelosa del suo armadio con dentro le provviste: olio, biscotti e formaggio latteria...
Un lieve profumo di merda dall'armadio.
Cosa fare di questo piccolo uccellino che è mio. Mi pare mio qui dentro la mantella. Un uccellino bugiardo.
Dove è il regno di Susanna? Quale rivoluzione l'ha deposta dal trono? Cosa fare?
Io non voglio vederla. Mai più. Lei però sa che io ci sono, vivo e non vado a prenderla.
Cosa significa tutto questo? Come posso sapere quello che significa.
La mia macchina funziona. Non si ferma. Non ci sono guasti. Corre per l'autostrada.
Io sono viola. Una colite atroce. Una colite è una colite ma a me pare che mi strappino il cordone ombelicale.  Forse non arriverò mai. A Treviso forse dimentico, se entro dentro al letto, sotto le coperte.  Le coperte hanno un diverso calore dal corpo di Susanna e non tremano. Forse non arriverò mai. Maledetto Friuli.

Treviso-Udine-Treviso, 17 novembre 1976


Laura Betti, illuminata di nero, a cura di Roberto Chiesi 

Poche ore fa, a Udine,  pioveva e forse c'era la nebbia e anche, forse, le strade tremavano e tremavano le case. Forse.
Io non volevo vederla, non volevo vederla mai più, per esempio, la mia piccola Susanna. Ed ho cominciato a prendere delle pillole dal fioraio mentre cercavo delle primule. Le primule non c'erano, ma tanto io non volevo vederla mai più. Ho poi comperato una pianta con uno strano fiore, solo e rosa, in cima. Il fioraio me l'ha involtata nel nylon ed io sono uscita dal negozio ed ho buttato la pianta nel sedile dietro, nella mia macchina. Tanto non sarei andata da Susanna e non l'avrei mai più vista. Poi ho paura del sacrilegio. Ho paura che Pier Paolo non voglia che io la veda. Non vuole che la veda nessuno. Non vuole che esista un posto dove Susanna dorme e mangia senza la sala del trono, senza i tappeti, i biscotti, i telegrammi,  le telefonate, il letto a baldacchino dove dormiva inchiodata da un amore feroce che la riempiva di lividi a ogni discesa e salita per gli spigoli e gli angoli di tanta magnificenza. Sua Maestà Susanna piena di lividi e cerotti ma legata al letto dell'amore. Credo che non voglia.
E infatti me ne vado in giro per il Friuli: Codroipo, San Vito al Tagliamento, Pordenone e mi fermo al '44, '45, '46, '47, '48, '49 da Giacomini, da Vacher, da De Zoti, da Ciceri, da Spagnuol, alla sede del PCI che ha espulso il mio Re dal suo regno.

Laura Betti, illuminata di nero, a cura di Roberto Chiesi 

Un regno dove si spalancavano le finestre e ne uscivano versi, rime, scoperte preziose, grida al cielo, alla terra, alla polenta, che Pier Paolo raccoglieva diligentemente,  con mani appassionate, intorno a sé, alla Accademia che non voglio sapere cosa è, ma era certo un regno vedo lo statuto era una dichiarazione d'amore alla vita, un impegno a non sottrarsi mai, per nessun motivo, all'amore. Un impegno di morte.
Poi la mia macchina è di nuovo a Udine, con i tergicristallo stanchi, attraversa dei viali, dei giardini che per il terremoto sono diventati campi di roulottes colorate come un Club Mediterranée. Poi la mia macchina si è fermata davanti alla clinica 'la Quiete'.
Quante pillole ho preso. Forse una per ogni tappa del tuo dolore, non so. Una per ogni vita che tu hai vissuto senza di me.
E adesso sono davanti a questo edificio privo di speranza, di un sole possibile, di alberi, di colori. Le finestre mi sembrano mille come quelle dell'IRI e mi rendo conto che quella dietro cui  c'è Susanna non può in alcun modo essere diversa dalle altre. Ma io, comunque, non voglio vederla. Non voglio vederla anche se fermo i tergicristallo, scendo dalla macchina, prendo la pianta ed entro nella casema dove è  improbabile si possa piangere.
- Susanna Pasolini
- Secondo piano.
Tutto qui. E se vado verso l'ascensore significa che Susanna, proprio lei, è  qui, anche se io non andrò a trovarla.
L'ascensore è lento ma poi si ferma puntuale. Io quindi esco, mi trovo in un corridoio poi nella camera di Susanna che chiudo dentro il mio mantello, dentro alle mie braccia.
Un uccellino con piume di primula.


1) Susanna Pasolini, madre di Pier Paolo.





Curatore, Bruno Esposito

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